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Full text of "Ezelino da Romano, storia d'un Ghibellino"

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University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/ezelinodaromanosOOcant 


CES/^RE   CANTU 


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CEiSAnE  CAHTU 


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IO  li  MiiM 


STORIA  D'UN  GHIBELLINO 


*     MILANO 

Librcvia  di  educazione  e  d' istruzione 

DI   PAOLO  CARRARA 

1879. 


Proprietà  letteraria  dell'  Editore. 


PROEMIO 


— -«G«§>»--— 


E] 

1 


Ezelino,  immanissimo  tiranno,  che 
fia  creduto  liglio  del  demonio. 

Ariosto,  III,  33. 


L 


1  tempo  degli  anni  1222,  Adelaide,  moglie  che  fu  del 
terzo  Ezelino  da  Romano,  sentendosi  in  fine  di  morte, 
chiamò  al  letto  i  due  figliuoli  suoi,  e  in  questa  sentenza 
favellò:  —  Ezelino  ed  Alberico  mi€i,  un  arcano  io- 
tenni  sempre  chiuso  in  fondo  al  cuore,  ma  forza  mi  è  rivelar- 
relo  innanzi  ch'io  mi  parta  per  sempre  dal  mondo.Ed  è  che  voi 
non  siete  altrimenti  figli  di  chi  vi  deste  a  credere  fin  qua.  Udite. 
Una  notte,  mentre  io  dormivo  allato  al  mio  sposo,  fui  dibotto 
svegliata  da  una  mano  che  mi  teneva  ai  capegli,  e  mi  brancicava, 
e  m'accorsi  che  il  demonio  m'aveva  fecondata.  Né  fu  l'unica 
volta.  Frutto  di  questi  abbracciamenti  foste  voi:  né  ad  uom 
vivo  io  ne  feci  motto  sin  oggi.  Se  non  che  ora,  sul  punto  di 
andare  là  dove  m'aspetta  il  vero  vostro  genitore,  ho  voluto 
rendervene  consapevoh,  ed  insieme  accertarvi  che  diverrete 
tali  da  non  essersi  mai  trovati  uomini  peggiori,  né  più  scevri 
d'ogni  hontà;  con  gli  inganni  e  colla  forza  salirete  a  gran 
signorìa;  poi  con  tristo  fine,  voi,  le  vostre  donne,  i  vostri 
figli  perirete.  Tanto  io  vi  preconizzo  a  nome  del  padre  vostro, 
a  cui  vi  lascio  raccomandati  » 

—  5  — 

CA^TU  —  Ecelino. 


mR^-™ ~~ ---glljì 

rr-b  PROEMIO  ^  '-n 

In  quei  tempi  stessi,  un  buon  servo  del  Signore  mirò  i 
cieli  aperti,  e  il  Verbo  Incarnato,  che  ad  una  moltitudine  di 
angeli,  intorno  a  lui  librati  a  volo,  diceva:  • — ■  Vi  sono  conte 
«  le  scelleraggini  degli  uomini  della  Marca  Trevisana  ;  negletta 
«  la  religione:  dapertutto  izze  di  Guelfi  e  Ghibellini,  e  ferità 
«  di  tiranni,  e  scostumatezza  di  plebi,  tanto  che  è  colma  la 
«  fatale  misura  di  mia  pazienza.  Ho  dunque  deliberato  farne 
«  giusto  giudizio.  Ma  come  trovare  un  ministro  abbastanza 
«  severo  del  mio  provocato  furore  ?  » 

E  un  angelo  rispose  che  opportunissimo  a  ciò  tornerebbe 
Ezelino,  uom  perfido,  iniquo,  e  s'altri  mai  sitibondo  di  sangue: 
e  cosi  dicendo  lo  presentava  al  divin  Verbo.  E  il  divin  Verbo, 
consegnò  a  costui  una  spada  sguainata;  e  gli  disse:  —  Or  bene, 
«  a  te  commetto  le  mie  vendette;  va;  e  guai  alla  Marca  Tre- 
«  visana!  » 

E  un  eco  si  diffuse  tra  i  cori  celesti,  ripetendo:  —  Guai, 
«  guai  alla  Marca  Trevisana  !  » 

Lettori  :  vogho  lodarvi  per  vere  simili  fole?  Ma  poiché  corre- 
vano allora  per  le  bocche,  credute  come  oggi  si  credono,  altre  J 
baje  non  meno  assurde  e  assai  meno  schiette,  io  le  ho  riferite  | 
acciocché  dal  bel  principio  vi  sia  chiaro  qual  fosse  l'uomo,  di  / 
cui  imprendo  a  raccontare;  acciocché  sin  dal  hmitare  vediate  ) 
quella  perpetua  mescolanza  delle  cose  eterne  colle  contingenti,  \ 
dell'invisibile  che  governa  col  visibile  ch'è  governato;  e  Top-  ^ 
(  posizione  dei  due  spiriti  d'allora:  truce  ferocia  in  alto,  pietà  { 
\  credula  e  benefica  al  basso:  angeli  e  demoni,  frati  e  tiranni,  ( 
;  viventi  insieme  sopra  la  terra,  gli  uni  a  moltiplicar  le  colpe.  / 
l  gli  altri  ad  espiarle;  gli  uni  a  crescere  le  lagrime,  gli  altri  a  \ 
tergerle,  o  far  almeno  che  gli  occhi  si  volgessero  al  cielo  ( 
Perocché,  in  un  secolo  che  vide  il  sommo  della  gloria  e  delle  ( 
l  sventure  italiane;  fra  costumi  tanto  discosti  da  questi  nostri  i 
)  odierni,  resi  lisci  ed  uniformi  dalla  mano  della  civiltà  passandovi  ) 
\  e  ripassandovi  sopra  ;  fra  una  politica,  non  di  cabala  come  oggi,  ) 
)  ma  di  violenza  ;  fra  caratteri  di  forza  individuale  tanto  mag-  { 
)  giore  quant'era  minore  la  vigoria  pubblica;  quando  ogni  uomo  i 
l  aveva  da  far  conquiste  intellettuali  e  morali;  quando,  essendo  ) 
>  meno  complicata  la  società,  })iù  grande  e  attuoso  mostravasi  ( 
)         l'individuo;    spiccò    fra  gli  altri   Ezelino,  ricco  di  potenza,  di  \ 

à       valore,    di  sagacia,  di  perseveranza,  come  carico  di  delitti  e         ) 
_n  -6-  P — I 


STORICI   D  EZELINO 


d'abbominazioni,  sicché  il  nome  suo,  nei  libri  e  nelle  popolari 
tradizioni,  rimase  quale  paragone  di  fiera  virtù  e  di  pessima 
tirannide;  forse  aggravato  oltre  il  giusto  da' suoi  nemici,  certo 
mal  discolpato  da  chi  lo  tentò. 

E  quanto  egli  fosse,  basterebbe  già  a  dimostrarlo  il  vedere 
che,  in  tempi  di  si  poche  lettere,  nessun  altro  ebbe  tanti  nar- 
ratori de' fatti  suoi,  come  nessun  altro  de' tempi  moderni  ne 
avrà  quanti  Napoleone.  Coi  quali  istorici  conviene  facciamo 
conoscenza,  perchè  ci  siano  mallevadori  del  racconto. 

E  primo  va  nominato  Rolandino.  Il  costui  padre,  padovano 
di  nascita,  notaio  di  professione,  registrava  man  mano  gli 
avvenimenti  giornalieri,  come  alcuni  costumavano  per  testimo- 
nianza ai  nipoti,  in  tempo  che  i  libri  erano  una  carità.  E  quando 
suo  figlio  toccò  i  ventitre  anni,  gli  affidò  questi  appunti,  ingiun- 
gendogli di  ridurli  astoria. Obbedì  Rolandino:  e  nel  Memoriale  tem- 
porum  defactis  in  Marchia  et  jrrope  ad  Marchiani  Tarvisanam, 
raccontò  i  casi  dal  1188  al  1260.  Il  Vossio  lo  giudica  superiore 
a  tutti  i  cronisti  contemporanei  per  ordine,  perspicuità,  industria, 
e  principalmente  per  prudenza  ed  incorrotta  fede:  giuib'zio 
esagerato,  e  che  si  adotta  dai  compilatori  di  storie  letterarie,  ( 
J        soliti  a  star  a  detta  per  non  pigliarsi  la  noia  di  verificare.  ) 

l  Venuto  al  fine  del  suo  libro,  Rolandino  il  lesse  agli  scolari,         ) 

)         bacellieri,  maestri  e  dottori  delle  arti  liberali  in  Padova,  i  quali         l 
l'approvarono    nel   1266,   quando   cioè   vivevano  ancora    tanti         ) 
(         partecipi  ai  fatti  narrati.  > 

/  Sarà  questa  una  prova  bastante  di  sua  veridicità?  , 

]  Bisognerebbe  non  vedessimo  noi  pure  tuttodì  imbaldanzire         ) 

)  la  menzogna  sui  fatti  contemporanei,  sulla  cronaca  paesana, 
}  sulle  azioni  de' nostri  più  vicini,  tanto  più  calunniate  e  frantese, 
j  quanto  più  alte  sono  ed  esposte  agli  sguardi  le  persone  cui  si 
/  riferiscono.  Poi  nelle  letture  e  declamazioni  pubbliche,  facciansi 
)  in  piazza  o  in  chiesa,  in  iscuola  o  in  parlamento,  è  sciagura- 
ì  tamente  convenuto  si  deva  cercar  l'effetto,  non  la  verità  ;  e  > 
)  uscendone,  ammiratori  e  detrattori,  ragionano  se  il  discorso  era 
)  bene  o  mal  fatto,  se  blandì  le  passioni  del  giorno,  e  non  se  vi 
''  fosse  0  no  verità  e  ragione.  E  il  nostro  Rolandino  è  retore  > 
)         come  un  accademico,  sofista  come  un  gazzettiere  :  e  da  passionato  * 

',         guelfo    ipinse  non  si  potrebbe  più  fosco  il  ghibellino  tiranno,  ^ 

\         ostentando  quel  coraggio  che  sì  poco  costa   quando   s'esercita         > 


rrU  PROEMIO 

f 

contro  il  caduto,  e  quella  generosità  che  non  vai  nulla  quando  non 
è  che  un  blandimento  o  forse  un  sacrifizio  all'opinione  corrente. 
Guelfo  anche  lui  e  frate  era  il  jNlonaco  Padovano,  che 
stese  una  cronaca  dal  1207  al  1260,  esagerato  nelle  cose, 
negletto  nelle  forme. 
i  Paris  da  Cereta,  nella    Cronaca   Veronese,    raccontò    col 

(         calore  e  colla  vita  propri  di  chi  fu  testimonio  di  veduta,  e  che 
{         indarno  si  vorrebbe  emulare  da  chi  viene  dappoi. 
I  La  vita  di    Riccardo   conte   di    Sambonifazio;    la   cronaca 

(  d'Asti  e  quella  di  Nicolò  Smerego  vicentino  ;  il  XllI  libro  della 
/  Storia  Veneta  di  Lorenzo  de'  Monaci  trattano  pure  degli  Ezelini, 
scarsi  d'ordine  o  di  veracità:  se  ne  occupano  l'Ongarello,  i 
Cortusi,  la  Scardeone,  il  Salimonio  e  gli  altri  cronisti  di  Padova 
e  della  Marca,  e  un  Chronicoìi  veronejtse  manuscritto  nella 
biblioteca  di  quel  Gino  Capponi,  che  tutti  gli  scriventi  vogliono 
nominare  per  farsi  gloria  di  potervi  aggiungere  mio  amico. 
Più  tardi  Antonio  Godi  vicentino,  in  una  cronaca  dal  1194 
al  1260,  narrò  le  afflizioni,  le  stragi,  le  oppressure,  gli  stupri, 
i  saccheggi  a  cui  fu  in  preda  la  patria  sua;  messe  esuberante  \ 
sempre  a  chi  tratteggia  le  vicende  italiane.  \ 

Volete  cambiato  il  tono?  pigliate  in  mano  Gerardo  Maurisio,  ( 
causidico  vicentino,  testimonio  oculare  dei  fatti ,  e  panegirista  \ 
inesorabile  d'Ezelino  e  de' suoi;  giacché  non  vi  dev'essere  nessmi  | 
Tiberio  senza  il  suo  Velleio  Patercolo.  Fin  nei  nomi  va  egli  a  ( 
rifrugare  i  vanti;  e  in  Ezelino  trova  Ecce  linit,  perchè  tanto  ) 
bene  fa  a'  suoi  amici;  in  Alberico  Albus  color  od  Albus  riccus,  ^ 
da  Romano  perchè  rodimi  manus  ai  nemici  loro.  Che  se  alle  ( 
smaccate  adulazioni  sue  volessimo  pure  trovare  una  scusa,  ; 
inclinati  come  siamo  a  non  creder  mai  uno  storico  mahgnamente  ( 
bugiardo  o  vigliaccamente  servile,  questa  sarebbe  il  non  aver  ) 
esso  condotto  il  racconto  se  non  dal  1183  al  1297,  anno  in 
cui  Ezelino,  presa  Padova,  gettò  la  maschera,  dandosi  aperta-  ! 
mente  a  conoscere  il  brutale  che  era.  Forse  allora  il  Maurisio  ) 
mori  ;  forse  per  prudenza  o  vergogna  o  dispetto  si  tacque,  dopo  j 
avere  (dic'egli)  perseverato  a  predicare  i  signori  da  Romano  \ 
come  se  fosse  dell'Ordine  dei  predicatori,  eppure  senza  cavarne  ( 
un  bruscolo  di  compenso.  Tristissima  condizione  di  chi  rinnega  { 
l'opinione  più  generosa,  e  si  trova  mancare  persin  la  mercede  \ 
che  unica  sperava  ! 


ma^ 


)  Pietro  Gerardo  da  Padova,  contemporaneo   di   Ezelino,    è 

i  nome  supposto,  sotto  il  quale  Sebastiano  Fausto  da  Longiano, 
J  amico  e  in  parte  emulo  dell' mfame  Pietro  Aretino,  nel  1545 
pubblicò  una  storia,  desunta  il  più  da  Rolandino.  Pure  v'ha 
chi  crede  costui  copiasse  veramente  un  testo  antico,  rimutan- 
done la  lingua,  la  quale  ridusse  non  priva  di  bontà;  massime 
chi  il  paragoni  agl'imbratti  odierni. 

Tal  è  l'opinione  dell'erudito  eppure  arguto  Apostolo  Zeno, 
nelle  note  alla  presuntuosa  Biblioteca,  del  Fcmtanini,  volume  II, 
pagina  128,  edizione  del  1804.  Asserisce  aver  avuto  egli  stesso 
fra  mani  un  codice,  certamente  anteriore  al  Fausto  e  che  alla 
fine  porta  scritto:  —  E  mi  Pietro  delli  Gherardi,  cittadin 
«  di  Padova,  habito  in  centra  delli  Falarotti,  ho  notate  tutte 
«  le  sopraditte  cose  fìdelmente  secondo  che  sono  accadute,  per 
«  trovarmi  a  questo  tempo  infelicissimo  nel  numero  delli  vi- 
«  venti:  ma  se  havesse  volato  o  possuto  narrar  ogni  cosa,  haria 
«  fatto  maggior  volume  che  la  Bibia,  tante  sono  state  le  sce- 
«  ler.ite  opere  di  questo  crudelissimo  et  imanissimo  tirano.  Il 
«  qual,  per  vero  et  legallissimo  conto  tenuto  da  diversi  nostri 
«  padovani,  si  trova  sotto  la  sua  tirannide  haver  in  varj  tempi 
«  fatto  morir  da  morte  violenta  più  di  undici  milia  padovani  ( 
«  di  varie  condicioni  et  sesso  ».  A  ogni  modo,  non  cosi  seri-  ) 
vevasi  a  Padova  al  tempo  di  Ezelino,  benché  a  Firenze  già  ^ 
scrivesse  Ricordano  Malaspini. 

Francesco  Grossi  di  Vicenza  pubblicò  una  Istoria  di  Ezelino, 
che  dice  compilata  dietro  parecchie  storie  antiche,  e  stampata 
a  Venezia  il  1622,  ma  è  una  copia  di  quella  del  Fausto. 

A  poemi  e  tragedie  porse  soggetto  Ezelino,  anche  appena 
caduto.  Ferreto  vicentino,  nel  carme  De  Scaligerorum  origine, 
ne  espone  la  immanità  in  versi  che,  fatta  ragione  ai  tempi; 
non  sono  spregevoh.  Albertino  Mussato,  uno  dei  ristauratori 
degli  studi  classici,  ne  dedusse  la  tragedia  più  antica  eh'  io 
conosca  fra  le  moderne,  tutta  a  racconti  più  che  ad  azione; 
non  so  se  mai  sia  stata  messa  sulle  scene,  come  non  so  se  i 
precettisti  di  allora  avranno  trovato  ad  opporgli  l'avere  tolto 
a  suggetto  un'azione  recentissima. 

Da  tutti  questi  trasse  Giambattista  Verci  la  Storia  degli 
Ecelini  (Bassàno,  1779),  in  tre  discreti  volumi  radunando  quanto 

k^         poteasi    mai    desiderare  sul   conto  loro,  discutendo  con  pacata         \ 
^ . eIs 


rrTl  PROEMIO  Li  H 

r  ^ "^ 

critica  ogni  punto  controverso  e,  quel  che  gli  da  singoiar  pregio, 
stampando  tutti  i  documenti  relativi  agli  Ezelini.  La  compagine 
materiale  della  storia  sua  non  lascia  nulla  a  desiderare;  se 
altrettanto  la  filosofia,  se  buone  sieno  ed  opportune  e  sagaci 
)  le  riflessioni,  se  valide  le  scuse  recate  pel  suo  eroe,  lo  vedranno 
{         procedendo  i  nostri  lettori. 

)  Toccare  di  cose  italiane  è  impossibile  senza  nominare  con 

I  riverente  gratitudine  il  Muratori  ed  il  Sismondi,  l'uno  che 
j  raccolse  quanto  potevasi  a'  suoi  tempi  per  l'edifizio  della  storia 
i  patria;  l'altro  che  a  quella  congerie  accostò  la  favilla  di  Pro- 
)  meteo;  deplorabile  solo  dell'avervi  adoperato  stizze  ghibelline 
I  e  miopia  protestante.  Di  questi  due,  l'uno  professò  ad  Ezelino 
)  un  aborrimento  forse  trascendente,  perchè  nemico  alla  Casa 
{  Estense  di  cui  esso  Muratori  si  fé' storico  e  panegirista;  l'altro 
}  nella  Storia  delle  re-piibhliclie  Italiane  mendicò  scuse  al  tiranno, 
)  ma  con  si  debole  convincimento,  che  nell'  operetta  posteriore 
\  sul  Risorgimento,  i  progressi  e  la  rovina  della  libertà  in 
)  Italia,  convenne  appieno  sulle  atrocità  di  quello. 
'  Ai  dì  nostri  s' ingerì  il  prurito  di  rintegrare  la    memoria 

l  di  personaggi  indegnamente  giudicati  ;  ma  se  questo  per  molti 
'  fu  un  atto  di  mera  giustizia  e  di  quel  coraggio  che  si  vuole 
^  ^a  combattere  opinioni  tradizionalmente  autorate;  in  altri  divenne 
;  un  farnetico  di  moda  ;  e  per  essere  nuovi  non  badarono  ad 
;  esser  veri.  Non  invano  dunque  aspetteremo  che  anche  la 
)  memoria  di  Ezelino  venga  riabilitata  (come  dicono)  da  qualcuno 
/  di  qua' lodatori  d'eroi  e  di  cause  che  non  saranno  mai  la  nostra, 
né  (  io  credo  )  quella  dell'  Italia.  Intanto  un  difensore  suo  re- 
centissimo, e  anch'egli  lodato  per  moda  o  perchè  forestiero,  il 
;         tedesco  Leo,  scrive  : 

)  —  Fosse  Ezelino  vissuto  in  un  tempo  e  fra  un  popolo,  ove 

«  una  morale  rispettata,  un  diritto  in  vigore  ed  universalmente 

«  riconosciuto  avessero  offerto  norme  alla  vita  pubblica  e  privata, 

^<  lo  splendido  suo  operare,  l'estensione  del  suo  genio,   l'amor 

«  suo  della  giustizia  e  il  suo  carattere  7iaturahnc7ite  benevolo, 

^^         «  l'avrebbero  proposto  all'ammirazione  come  il  più  nobile   fra 

{         «  gli  uomini.  Ma  a  quell'età  e  in  un  paese  come  l'Italia,  dove 

)         «  tidto  era  egoismo  e  confusione,  ove  ciascuno  non  f<icea   se 

)         «  non   ciò    che    credea    non  poter   evitare,  le  più  ricche  doti 

«  naturali  non  parvero  concesse  ad  Ezelino  che  per  renderlo 


i 


n  -  10  - 


) 


7=-h  STORICI    D  EZELINO  ^   ^H 

«  il  nemico  degli  uomini,   e   trascinarlo   nella   via  del   cattivo 

«  genio  ».  1     x- 

A'oi  crediamo  fermamente  alla  potenza  dell'umana  volontà; 
tanta,  che  le  circostanze  ponno  alleggerirne,  ma  non  iscolparne 
i  traviamenti,  ^'oi  crediamo  che  molte  glorie  e  molte  infamie 
sieno  a  spostare,  ma  ciò  non  per  contraddizione  sofistica  e  per 
capriccioso  paradosso,  bensì  col  cambiar  punto  di  aspetto,  e 
invece  di  osservare  la  storia  dalle  finestre  vetriate  dei  palazzi 
principeschi  o  dalle  specole  retoriche,  mettersi  m  piazza  alla 
pien'aria,  col  popolo,  e  vedere  che  cosa  egli  dovesse  sofi-nre, 
o-odere  giudicare.  Ora  noi  crediamo  che  il  popolo  assai  patisse 
da  Ezelino  e  dai  tirannetti  suoi  pari;  ma  a  fronte  di  lui  e  dei 
suoi  scorgiamo  un'altra  serie  di  persone,  a  cui  la  stona  let- 
teraria non  fa  mente  e  che  furono  benedette  da  quella  gene- 
razione, quanto  esecrati  coloro  cui  essa  storia  decretò  le  sue 
immoralità.  E  noi  siamo  iti  a  cercarne  le  tracce,  non  più  in 
istorici  ed  accademici  che  popolo  non  sono  e  il  popolo  non 
intendono  e  non  ne  sono  intesi,  ma  (si  vorrà  perdonarcelo?)  m 
cronicacce  di  frati,  in  leggendari,  in  sacristia. 

Dietro  a  tale  confessione,  vi  sarà  ancora  chi  ci  domandi 
perchè  noi,  dopo  tanti,  vogliamo  rimetterci  a  raccontare  d'E- 

zelino  ? 

Noi  non  torcemmo  mai  da  un  argomento  perchè  lo  sapessimo 
trattato  da  altri;  ciascuno  al  suo  modo.  Ragioni  poi  di  questo 
assunto,  chi  volesse  almanaccarle,  ne  troverebbe  parecchie,  che 
potrebbero  essere  e  non  essere  vere: 

0    per    secondare  l'andazzo  odierno  di  narrare  atrocità  e 

sangue; 

0  per  contrapporre  la  fiera  e  taciturna  attività  d  allora 
alla  accidiosa  e  ciarliera  mansuetudine  odierna  ; 

0  per  cercare  le  opinioni  del  giorno    in    quelle    di  tempi 

remoti  ;  j-   ij.  • 

0  per  esplorare  il  giudizio  del  pubblico,  a  norma    d  altri 

lavori. 

Fors' anche,  osservando  come  taluni,  per  rispetto  alla  storica 
dignità,  sopprimono  i  particolari  del  racconto,  e  staccano  i  per- 
sonaggi dal  teatro  su  cui   operarono,    togliendo    così    la    viva 
mobilità  e  la  verità  efficace,  a  segno  da  credere  che   la   viva         ^ 
/         impressione    prodotta    dallo    spettacolo    dei    fatti  non    potesse         ) 

Ìp    ■  —  "à 


'      b  PROEMIO 


f 


ottenersi  che  col  romanzo,  volemmo  sperimentare  se  nella 
storia,  senza  alterarla,  si  potesse  introdurre  l' interesse  del 
romanzo. 

Diranno  che  non  ne  usci  né  storia,  né  romanzo?  E  sia: 
r  improspero  successo  farà  egli  gran  meraviglia  nella  odierna 
fecondità  di  aborti  ? 

Questo  sappiamo,  che,  non  disposti  ad  applaudire  la  mal- 
vagità comunque  sublimata,  né  vilipendere  la  virtù  comunque 
oppressa,  convinti  che,  nella  lotta  fra  la  coscienza  e  le  opinioni, 
a  quella  si  deva  sagrificare;  amanti  del  nostro  paese  non  in 
solo  pindarico  vaniloquio  ,  persuasi  che  l'umanità  procede  fra 
i  patimenti  e  le  abnegazioni  dell'individuo,  abbiamo  creduto 
cosa  non  vana  a  noi  ed  ai  nostri  fratelli  di  patria  il  raccontare 
quei  tempi.  Il  pubblico,  non  quelli  che  illegalmente  parlano  a 
nome  del  pubblico,  giudicherà  il  nostro  lavoro;  e  se  non  vi 
trovi  né  bellezza,  né  opportunità,  lo  riproverà  con  quel  giudizio 
che  è  il  peggiore,  il  silenzio,  la  dimenticanza:  se  altrimenti, 
ci  auguri  buone  circostanze  di  tempo  e  di  vita  per  condurre 
maggior  fatica,  di  cui  questa  non  è  forse  che  un  saggio. 

Milano,  il  1  novembre  1833. 


i 


POSCRITTA. 


"1 


Ciò  io  scriveva  ora  fa  quindici  anni,  e  quali,  anni  !  e  un 
romanzo  potrei  tessere  sulle  avventure  che  corse  questo  me-  ì 
desimo  raanuscritto.  Stava  egli  sul  mio  scrittojo  aspettando  lo  \ 
stampatore  che  doveva  quel  giorno  pigliarlo,  quando  invece  entrò  \ 
un  commissario  della  polizia  austriaca,  e  insaccatolo  con  moltissime 
altre  carte,  lo  portò  in  prigione  come  l'autore.  Quivi  fu  sofi- 
sticamente rimuginato  da  un  inquirente  letterato,  e  perciò  ' 
arguto  e  malevolo.  Sol  dopo  molti  anni,  in  forza  d'una  rivoluzione,  \ 

-,2-  ni 


r 


VICENDE    DI    QUESTO    LIBRO  U   "-j- 1 


quel  manuscritto  tornò  alle  mie  mani,  e  tornò  a  me  un  intervallo 
di  obbligato  riposo  per  rincorrere  lavori  antichi,  e  gustare  il 
piacere  che  si  prova  a  riconoscere  nelle  opere  giovanili  sé 
stessi,  più  immaginosi,  più  intolleranti,  più  assoluti,  ma  sempre 
gli  stessi.  Fortune,  studj,  speranze,  disastri,  amici,  nemici, 
dovrebbero  avere  migliorato  in  me  il  modo  di  vedere,  di  giu- 
dicare, di  esporre  :  certamente  ora  concepirei  diversamente  e 
quelle  imprese  virili  e  quei  fecondi  dolori  della  seconda  lotta 
tra  il  feudalismo  scassinato,  la  Chiesa  concussa  e  il  municipio 
rigenerante,  e  quelle  conseguenze  che  tardi  la  Presidenza  deduce 
dai  posati  principi.  Eppure  mi  dà  cuore  di  avventurare  al 
pubblico  un  lavoro  antico,  dopo  quelli  verso  i  quali  non  era  esso 
che  un  esperimento.  Sempre  istruttivo  anche  quando  non  sembra 
che  curioso,  è  lo  spettacolo  dei  tempi  forti;  e  il  vedere  quella 
profondità  di  convinzioni,  quella  perseveranza  di  intenti,  quella 
selvaggia  energìa  di  mezzi,  quella  franchezza  nella  violenza  e 
nell'astuzia;  fa  singolare  contrasto  con  noi  d'oggi,  impazienti 
nei  desiderj  e  fiacchi  nell'attuarli;  agitantici  senza  tregua,  e 
impotenti  a  riuscire  :  che  ci  querehamo  d'ogni  piccolo  sconcio, 
e  facilmente  ci  rassegniamo  a  gravissimi;  coli' immaginazione 
esigiamo  senza  misura,  poi  non  reggiamo  agli  sforzi  e  sacrifizi 
che  sono  inevitabili  per  raggiunger  neppure  lo  scopo  ragionevole; 
non  più  angeli,  non  più  demoni;  ma  che  Dante  porrebbe  al 
vestibolo  del  suo  inferno  o  alle  falde  del  purgatorio  :  pieni  del 
resto  d'una  boria  sfolgorata  che  ci  fa  sprezzatori  d'un  passato 
il  quale  preparò  i  beni  d'oggi,  e  fantasticanti  un  avvenire, 
verso  il  quale  tendiamo  con  piedi  podagrosi  e  braccia  rattrap- 
pite: —  se  non  che  ci  spinge  una  forza  tanto  più  viva,  quanto 
più  inette  sono  le  nostre  volontà. 

R  settembre  1848. 


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rrb  VICENDE    DI    QUESTO  LIBRO  .  ^   "-jn 


SECONDA    POSCRITTA. 


Decisamente  questo  libro  è  destinato  a  vicende  bizzarre. 

Le  parole  sovrapposte  sentivano  lo  scoraggiamento  dei 
falliti  tentativi  del  1848.  Fra  il  terrore  del  governo  militare 
che  pesò  d'allora  suU'  Italia,  osai  stampare  questo  lavoro.  Come 
suole,  passò  inavvertito  ai  maestri,  non  al  popolo  leggente; 
sicché,  dopo  comparso  s'un  giornale,  indi  in  un  volume  a  Torino, 
volle  ristamparsi  a  ^lilano,  quando,  tolta  la  censura  preventiva, 
restava  però  la  punitiva.  Il  censore  diede  un  voto  così  avverso 
a  quest'opera,  che  venne  proibita  non  solo,  ma  confiscata.  Invano 
si  ricorse  a  Vienna,  e  si  mostrò  che  l'edizione  torinese  correva 
anche  in  Lombardia:  la  decisione  fu  irrevocabile,  anzi  essen- 
dosene riportato  un  brano  in  una  mia  raccolta  di  letteratura, 
bastò  perchè  anche  questa  fosse  colpita  di  irremissibile  divieto. 

È  bene  notare  che  la  principale  accusa  addotta  dal  censore 
cadea  suU'esser  quel  libro  troppo  guelfo  :  segno  che  l'Austria 
e  i  suoi  cagnotti  avevano  conosciuto  il  vero  carattere  dell'op- 
posizione guelfa  in  Italia  ;  sicché  il  vederla  poi  caninamente 
osteggiata  da  coloro  che  ne  pasteggiano  i  frutti,  potrà  un  giorno 
attestare  come  anche  le  cause  più  magnifiche  s'impiccioliscano 
nella  cabala  degli  ambiziosi  e  nelle  meschine  personalità  delle 
consorterie.  Né  forse  il  libro  viene  disopportuno  anche  adesso 
a  mostrare  come  a  torto  del  medioevo  si  ammirino  solo  gli 
assassini,  i  tiranni,  gli  Ezelini,  e  si  deridano  gli  eremiti,  pii, 
sant'Antonio  e  Giovan  da  Schio.  E  in  ciò  e  in  troppe  altre  mate- 
rie suona  differente  il  giudizio  de'  gaudenti  e  quel  de'  soffrenti, 
dei  rngionacchianti  e  degli  opranti,  degli  ambiziosi  e  del  popolo. 
E  noi  ci  ostiniamo  a  stare  col  popolo,  malgrado  la  proscrizione 
e  de'  censori  austriaci  e  dei  loro  successori. 

Il  novembre  1863. 

K  -"-  ^ 


Sli^^^ 


r 


CAPITOLO    PRIMO 


GENERAZIO^'E   DI   EZELIXO 


la  quella  parte  della  terra  prava 
italica  ,  che  siede  infra  Rialto 
e  le  fontane  di  Brenta  e  di  Piava, 

Si  leva  un  colle,  e  non  sorge  molt'alto, 
là  onde  scese  già  una  fiamella    che 
fece  alla  contrada  grande  assalto. 
Dante  ,  Faradiso,  IX, 


Barbari  distruttori  dell'  imperio  romano — 

Perdóno  ,  o  lettore ,  se  risalgo  tant'  alto  :  la 
storia  è  cosi  fatta,  che  non  ha  un  principio  asso- 
luto ;  sicché  il  maggior  filosofo  del  secolo  passato, 
Yolendo  raccontare  quella  del  ducato  di  Brr.nn- 
swick,  si  trovò  condotto  a  ragionare  della  creazione 
0  formazione  del  mondo.  Io  comincio  più  in  qua  ,  e  dico  che 
i  Barbari ,  distruttori  dell'  imperio  romano  ,  irrompevano  sul 
nostro  paese  divisi  in  bande  ,  ciascuna  delle  quali  obbediva  a 
un  capo,  eletto  da  essa  volontariamente.  Accintisi  a  lontane 
e  vaste  imprese  ,  trovarono  necessario  un  generale  supremo  ; 
r  elessero  ,  e  gli  ubbidivano  durante  la  guerra  ;  ma  tornata  la 
pace  ,  non  v'  avea  ragione  di  tenerglisi  obbligati  ;  si  fissavano 
sopra  i  terreni  conquistati ,  ciascuno  come  in  dominio  proprio, 
confondendo  la  potestà  politica  colla  ]iroprietà  territoriale  ,  e 
non  legati  fra  loro  e  col  capo  se  non  pel  caso  della  difesa  co- 
mune 0  per  imprese  che  in  comune  decretassero.  Così  le  estre- 


—  15  — 


nrri  capitolo  primo  lJ  4n 

mìtà  prevalsero  al  centro  ,  il  dominio  baronale  a  quell'  unità  ) 
suprema  ,  che  ricordavano  esservi  costituita  al  tempo  dell'ini-  ( 
perio  romano.  \ 

Carlomagno,  re  de'  Franchi  ,  con  forte  spada  ed  alti  ac- 
corgimenti cercò  di  ricostruire  in  Occidente  quest'  unità , 
posandola  sovra  base  venerabile ,  qual  è  Y  unzione  pontifizia. 
Ma  r  imperatore  non  diveniva  già  padrone  dell'  Italia  ,  come 
mostrano  credere  coloro  che  incolpano  i  papi  d'avere  qui  isti- 
tuito un  dominatore  straniero.  Era  l'unto  di  Dio,  al  quale  il 
pontefice  affidava  l'esercizio  della  podestà  temporale,  a  lui 
stesso  attribuita  da  Dio  :  imperatore  dunque  per  elezione  e  per 
consacrazione ,  che  in  conseguenza  poteva  essere  deposto  se 
violasse  que'  patti  che  giurava. 

Tal  era  il  diritto  :  quanto  al  fatto  ,  pochissimo  egli  poteva 
neir  Italia ,  la  quale  dapprima  ebbe  re  particolari ,  da  poi  fu 
sbranata  tra  una  infinità  di  signori ,  ciascun  de'  quali  teneva 
sovranità  piena ,  o  quasi  piena ,  s'  un  piccolo  territorio ,  dove' 
esercitava  diritto  di  vita  e  di  morte ,  levava  tributi  ,  det- 
tava leggi ,  facea  guerra  quanto  oggi  i  re  di  trenta  milioni  di 
sudditi. 

Quest'  è  il  sistema  feudale  ,  costituito  però  non  tanto  da 
questo  sminuzzamento  ,  quanto  da  una  gerarchla  ,  digradante 
dal  sommo  all'  infimo.  Di  questa  scala  stava  in  cima  Iddio  , 
unica  fonte  legittima  d'  ogni  autorità.  Egli  aveva  trasmessa 
al  sommo  pontefice  la  podestà  spirituale  e  la  temporale  ,  sic- 
ché da  questo  vicario  di  Dio  in  terra  derivava  ogni  dominio. 
Ed  esso  pontefice  aveva  affidato  la  spada,  cioè  la  podestà  tem- 
porale ,  all'  imperatore  ,  che  cosi  rimaneva  signore  di  tutta  la 
teri-a.  Ed  egli  questa  terra  distribuiva  a  grandi  signori ,  col- 
r  obbligo  di  prestargli  fedeltà  sempre  ,  omaggio  in  pace,  ser- 
vigi in  guerra,  del  resto  vi  facessero  quel  che  voleano  sì  nel- 
r  amministrazione,  si  nella  giustizia,  come  donni  e  padroni. 
Questi  signori  spartivano  il  loro  estesissimo  dominio  tra  altri, 
i  quali  imponevano  gli  obblighi  medesimi:  questi  poi  suddivi- 
devano il  loro  territorio  ad  altri ,  pure  obbligati  egualmente.  { 
Cadeva  bisogno  di  guerra?  L'imperatore  mandava  l'ordine,  \ 
il  hanno ,  ai  maggiori  vassalli  ;  questi  il  trasmettevano  ai  mi-  ) 
nori,  i  minori    agli  infimi:  e  ciascuno    veniva    al  posto    desi-         ( 

agnato  ,  col  prestabilito  numero  d'  uomini  e  di  cavalli,  lesti  per         \ 


7=-h  GENERAZIO^'E    DI    EZELINO  LJ  'TH 

ì         la  guerra,  con  viveri  quanti  occorressero  pel  tempo    prefinìto 

{         al  loro  servigio. 

Così  accanto  alla  società  feudale  sviluppavasi  la  munici- 
pale ,  disposta  però  anch'essa  feudalmente,  e  applicata  ora 
soltanto  ai  vinti  ,  ora  anche  ai  dominatori. 

Quando  nella  discendenza  di  Carlomagno  non  si  trovò  più 
principe  degno  ,  1'  impero  fu  tramutato  in  re  tedeschi ,  e  Ot- 
tone il  Grande  volle  in  Italia  dar  lustro  alla  corona,  la  quale 
veramente  era  un  cerchio  di  metallo  che  valeva  soltanto  a 
proporzione  della  testa  che  circondava.  Egli  seppe  tornare  ad 
obbedienza  i  grandi  feudatari  d'Italia  che  se  n'erano  di- 
sabituati ,  e   per  reprimerli  favorì  i  signori  ecclesiastici  ed    i 

Comuni. 

Siffatto  sistema  vedeasi  compiuto  di  là  dall'Alpi ,  m  modo 
da  assorbire  ogni  altra  forma  di  dominio  e  d'  amministrazione. 
I\Ia  in  Italia  fra  i  soggiogati  viveva ,  se  non  altro  ,  la  tradi- 
zione del  diritto  romano  ,  secondo  cui  il  potere  sociale  non  si 
sfrantumava,  matenevasi  accentrato  nel  capo  ;  vivevano  città 
che  mal  avrebbero  potuto  venire  sminuzzate  fra  signorotti;  vi- 
veva qualche  reliquia  di  forme  municipali,  con  cui  si  ammi- 
nistravano da  sé  alcuni  paesi,  quantunque  sotto  al  dominio 
d'  un  signore.  Agli  imperatori  garbava  il  conservare  e  invigo- 
rir queste  forme  ,  giacché  impedivano  che  i  feudatari ,  coll'op- 
primere  i  popoli  ,  ingrandissero  a  segno  da  pigliare  baldanza 
a  disobbedire  ;  laonde  con  loro  decreti  confermavano  le  fran- 
chigie che  quelle  comunità  avessero  conseguito  per  usanza  o 
per  patto  o  per  usurpazione  :  e  i  Comuni  ,  per  ottenere  la 
conferma  dei  vecchi  privilegi  o  la  concessione  di  qualche  nuovo, 
damano  denaro  all'  imperatore  ;  gli  davano  soldati  per  le  sue 
guerre  ;  tenevano  in  soggezione  i  feudatari  vicini ,  di  che  gli 
imperatori  si  trovavano  giovati. 

Prelati  e  vescovi  aveano  anch'  essi  gran  luogo  nella  società 
feudale ,  perchè  possessori  di  ampi  terreni  ;  ma  non  potendo 
trasmetterli  per  eredità  ,  non  acquistavano  1'  orgoglio  clie  na- 
sce dalla  durata  ,  ad  ogni  vacanza  sottentrandone  un  nuovo.  j 
Questo  ,  secondo  i  canoni  avrebbe  dovuto  esser  eletto  dal  pò-  k 
polo  e  confermato  dal  papa  ;  ma  gli  imperatori  aveano  troppi  \ 
modi ,  se  non  di  nominare  ,  almeno  di  far  nommare  chi  ad  ^ 
essi  garbava.  ) 


l3]r^^"--~~-~~— --^ ---s][di 


fr~b  CAPITOLO    PRIMO  ^pì 

Tra  siffatta  gente  di  Italiani  antichi  e  di  sopragiunti  do- 
minatori ,  tutta  agitantesi  nel  desiderio  dell'  indipendenza  per- 
sonale, scendeva  il  re  di  Germania  Corrado  II  nel  1026  per 
farsi  tìngere  imperatore.  Fra  i  baroni  che  lo  seguivano  era 
Ezelo  di  Arpone  i,  tedesco,  probabilmente  bavaro,  di  stirpe 
salica ,  che  menava  una  banda  di  cavalieri ,  da  un  solo  cavallo 
ciascuno  :  ed  invaghitosi  (facil  cosa)  del  sorriso  onde  il  cielo 
guarda  la  bella  patria  nostra,  disegnò  di  fermare  qui  sua  stanza: 
e  per  guiderdone  dei  servigi  resi ,  ebbe  in  feudo  dall'  impera- 
tore la  giurisdizione  di  Onara,  e  più  tardi  quella  di  Romano. 

Queste  terre  e  le  altre ,  che  saranno  principale  teatro  dei 
nostri  racconti  ,  formano  parte  della  Marca  Trevisana  ,  come 
intitolavano  quel  tratto  dell'  Italia  settentrionale,  che  giace 
tra  il  Mincio,  il  lago  di  Garda,  le  Alpi,  il  Tagliaraento  ,  la 
marina  veneta  e  il  Po;  che  poi  fu  ristretto  ai  territorj,  mo- 
dernamente chiamati  di  Feltro,  Belluno,  Cadore,  Treviso.  Marca 
propriamente  significa  terra  di  confine,  e  soleva  affidarsi  ad  un 
signore  de'  più  potenti ,  detto  perciò  mm^h-graf  margravio  in 
Germania  ,  marchese  da  noi ,  affinchè  valesse  a  tener  la  bi- 
lancia fra  i  due  vicini.  Così  era  del  Veronese  e  della  Mar- 
ca Trevisana.  Il  castello  di  Onara  ,  a  dodici  miglia  da  Bas- 
sano  ,  era  piantato  sui  confini  di  Padova  ,  la  quale,  mal  gar- 
bandosi di  questo  vicino,  nel  1199  distrusse  afi"atto  la  fortezza. 
Romano  è  villaggio  sul  tenimento  di  Asolo,  tre  miglia  a  greco- 
levante  da  Bassano.  Ivi  dalle  radici  dell'Alpi  levasi  un  colle , 
su  cui  è  posto  un  castello ,  inespugnabile  per  posizione  e  per 
arte.  Avvegnaché  di  verso  levante  ,  mezzodì  e  ponente,  la  sa- 
lita tira  sì  ripida,  che  mal  presumerebbe  guadagnarla  alcun. 
L'  arte  poi  avea  scosceso  e  munito  quanto  vi  fosse  d'  agevole, 
non  lasciando  accesso  che  da  tramontana,  ove  si  vinceva  l'erta 
per  angusti  e  tortuosi  viottoU,  anche  questi  interrotti  da  ponti 
e  da  serraglio.  I  quali  come  tu  avessi  superato  ,  eccoti  doppio 
ricinto  di  mura  in  quadro,  con  torri  ,  spaldi  a  baluardi  spor- 
genti :  tra  una  cerchia  e  1'  altra  stanziavano  i  soldati;  nel  più 
interno  sorgeva  il  palazzo  con  un'  alta  torre. 

Quale  trovava  Ezelo  T  Italia  ?  Come  un  caos  dove  si  coz- 
zano gli  elementi  che  non  presero  ancora  il  loro  assetto,  e  in 


m^^ 


Forse  da  ìlctzm  cacciare  Nei  Niebelunrjen  Attila  è  chiamalo  Elzel. 
—  18  — 


GE^^ERAZIO^'E    DI    EZELII^O 


f 


cui  r  occhio  vulgare  non  vede  che  confusione.  Da  una  parte 
gì'  imperatori  aspiravano  a  convertire  la  supremazia  feudale 
in  vera  prerogativa  regia.  Parapetto  ad  essa  i  baroni  ,  capi- 
tani della  gente  conquistatrice  ,  fosse  la  longobarda  primitiva, 
fosse  la  succeduta  franco-italica  ,  fosse  la  tedesca ,  studiavano 
)  a  crescere  l' indipendenza ,  e  inoltre  convertire  il  dominio  po- 
\  litico  in  dominio  reale  e  personale  privato.  Erano  questi  una 
\  vera  nazione  ,  cinti  da  gente  propria ,  e  distinta  affatto  dal 
(  popolo  ,  cioè  dai  conquistati  ,  i  quali  languivano  spogli  di 
^  diritti ,  in  arbitrio  d'  un  signore  immediato  ,  ed  agognavano 
ricuperare  i  possessi  antichi  e  ,  se  non  altro  ,  avere  un  ap- 
poggio contro  del  feudatario  nell'  imperatore  che  su  questo 
tenea  sovranità.  La  lotta  fra  tali  elementi  impedi  la  tirannide 
pura  al  modo  antico  ,  e  creò  la  libertà  odierna. 

E  in  feudi  era  tutta  spartita  1'  alta  Italia  :  più  robusti 
quelli  al  confine ,  che  poi  a  poco  a  poco  assorbirono  i  minori. 
Ma  il  confine  suo  toccava  d'  ogni  parte  a  paesi  dell'  impero 
germanico  ;  solo  all'  estremo  lembo  occidentale  s'  univa  colla 
Provenza  ,  rilevante  però  anch'  ella  dall'  Impero.  E  l'Impero 
^  stava  pur  esso  squarciato  in  un'  infinità  di  signorie,  che  ,  in- 
l  vece  di  fondersi  come  la  Francia  nell'  unico  dominio  regio  , 
)  acquistarono  ciascuna  la  sovranità  territoriale  ,  tanto  che  , 
)  appena  mezzo  secolo  fa ,  costituivano  trecensettanta  signorie 
(  fra  ecclesiastiche  e  secolari.  Questo  stato  moderno  può  dar 
)  idea  di  queir  Italia  al  tempo  che  discorriamo. 
;  Chi  v'entrasse  dal  lato  d'  occidente,  trovava  fra  l'Alpi  i 

ì  conti  di  Savoja  ,  che  poco  a  poco  acquistarono  il  Bugej  ,  lo 
)  Sciablese,  porzione  del  Fucigny,  del  Vallese,  del  paese  di  Vaud; 
)  poi  di  qua  dall'  Alpi  il  ducato  d' Aosta ,  la  vai  superiore 
'  dell'  Isero  o  Tarantasia  ,  il  marchesato  di  Susa  e  Torino  ;  e 
non  appartenevano  ancora  all'Italia,  in  cui  poi  doveano  primeg- 
S  giare.  Seguivano  ad  essi  i  marchesati  di  Saluzzo  e  ^Monferrato  ; 
\         di  là  fino   alla  costa    ligure    spingeansi    quei    del    Finale   e   i 

del  Caretto.  A'  piedi  dell'  Alpi  Leponzie  i  contadi  della  Me-  ) 
solcina ,  di  Bellinzona  ,  di  Locamo  dominavano  la  testa  del  ) 
lago  Maggiore  ,  disputati  fra  i  vescovi  di  Como,  i  Rusca,  i  l 
Sax.  In  capo  al  lago  di  Como,  i  contadi  delle  Tre  Pievi  e  di  > 
Chiavenna;  più  in  su  le  varie  signorie    della    Valtellina  e  del         \ 

àBormiese  ;  a  lato    le  bergamasche    e    le  bresciane    delle  valli         \ 
n  ■  -.0-  ni 


nrh  CAPITOLO  PRIMO  lJ  '— 1 

d'  Imagna  ,  Brembana  ,  Seriana ,  Scalve,  Calepio,  Caraonic?.  ,  ) 
Troiiipia  munivansi  di  una  tela  di  fortezze.  Altrettante  nelle  ( 
gole  del  Trentino  ne  tenevano  i  Castelbarco,  i  Vanga,  i  d'Arco,  ì 
i  Lodroni.  Le  Alpi  Giulie  erano  protette  dal  patriarca  d'Aqui-  * 
lea  ,  che  da  Udine  governava  il  Friuli  e  parte  dell'  Istria.  I 
conti  di  Carintia  si  protendevano  assai  fra  il  paese  italico,  e 
talvolta  dominarono  anche  Verona,  amando  gì'  imperadori  che 
quel  varco  d' Italia  fosse  in  mano  di  Tedeschi. 

Minori  contadi  spartivano  1'  interno  paese  ;  i  Collato  ,  i 
da  Camino,  i  Camposampiero  nel  Vicentino  e  nella  Marca  Tre- 
visana ;  i  Sambonifazio  nel  Veronese ,  i  Gavelli  nel  Polesine  di 
Rovigo,  cioè  nella  penisola  tra  il  Po  e  1'  Adige  ;  poi  verso  il 
Po  e  Cremona  i  Pallavicino;  nel  Pavese  i  Longoschi,  i  Gam- 
barano,  i  Lomellini,  i  Beccaria;  sul  Piacentino  Scotti  e  Landi; 
nel  Parmigiano  i  Rossi  ;  sul  Reggiano  i  Carpineti ,  i  Fogliano, 
i  Pico  ,  i  Correggio ,  senza  parlare  de'  più  lontani. 

Fu  detto  che  ogni  fantaccino  francese  porta  nel  suo 
zaino  il  bastone  di  maresciallo  :  cosi  potea  dire  che  ciascuno 
di  questi  principotti  avesse  probabilità  di  divenire  re  d'Italia; 
0  almeno  della  superiore.  Ma  mentre  il  duca  di  quel  piccolo  tratto 
che  si  chiama  Isola  di  Francia  tra  la  Senna  e  la  Loira,  si  ag- 
gregò tanti  possessi  da  divenir  re  della  Francia  intera,  la 
quale  così  si  trovò  nazione,  noi  sappiamo  che  la  regione  dove 
accaddero  i  fatti  del  nostro  racconto  fu  poc'  a  poco  occupata 
da  Venezia ,  e  più  tardi  Venezia  con  essa  fu  assorbita  da  fore- 
stieri. All'unità  mancò  il  concetto,  mancarono  le  opportunità; 
e  finché  1'  avvenire  pendeva  incerto,  chiunque  si  sentisse  forza 
di  braccio  e  di  volontà  ,  non  aspirava  ad  altro  che  ad  ottenere 
prevalenza  sovra  i  vicini. 

Chi  visiti  la  Marca  Trevisana ,  e  via  via  sino  ai  deliziosi 
colli  Euganei ,  e  specialmente  il  braccio  di  questi  che  si  pro- 
tende da  levante  a  settentrione ,  trova  dappertutto  vestigia  di 
)  castelli.  Frano  i  nidi  dei  feudatari,  che  là  dentro  stavano  come 
}  proprietarj  ,  patriarchi  ,  signori  ;  non  riconoscendo  altre  leggi 
che  le  proprie:  non  altro  limite  al  fare  che  la  potenza  di  fare. 
'l  Di  qui  r  individuale  orgoglio  ,  e  il  sentimento  della  persona- 
^  lità  ,  che  perdutosi  nell'  educata  tirannide  romana  ,  allora  ri- 
}         nacque.  Il  feudatario ,  superiore  e  straniero  ai   sudditi  ,  perciò 

à       isolato  e  diffidente  ,  ha  la  guerra  e  la  caccia  per  unici   studj  ;         S 
_n  -«-  ai 


Sentendosi  in  flne  di  morte,  chiamò  al  letto  i  due  figliuoli  suoi... 


Pag.  5. 


I a  FEUDITI    ITALIANI.    IL    FEUDATARIO  Ù 


r 


giacché  il  feudo  non  è  una  proprietà  come  le  altre,  che  basti 
possedere  e  trasmettere,  ma  conviene  difenderlo,  combattere, 
tenersi  a  livello  dei  pari  e  in  diffidente  soggezione  del  sovrano. 
E  perchè  le  attinenze  fra  vassallo  e  signore  si  reggeano  col- 
r  unico  vincolo  della  fedeltà,  non  di  qualsifosse  costrizione  so- 
ciale, ne  veniva  quell'  aspetto  di  nobile  lealtà,  che  facilmente 
si  ammira  nel  viver  d'allora,  ma  dal  quale  il  cielo  ne  scampi. 

Tale  dobbiamo  figurarci  il  vivere  di  Ezelo  e  della  sua  di- 
scendenza. Coi  pari  trattava  come  oggi  si  fa  da  nazione  a  na- 
zione per  via  d'  ambasciatori  ,  e  nel  dissenso  ,  colla  forza  ar- 
mata. L'imperatore  stesso  non  avea  mezzi  permanenti  a  tener 
in  freno  que'  feudatarj  ,  non  concentrazione  amministrativa  , 
non  tribunali ,  non  truppe  stabili  ;  man  mano  che  nascesse  il 
bisogno  convocavasi  un  esercito  ,  ergevasi  un  tribunale ,  s'im- 
poneva il  tributo;  era  eccezione  quel  che  adesso  è  regola  e 
consuetudine  ;  eccezione  1'  obbedienza. 

Neppure  tra  loro  i  feudatarj  formavano  né  un  corpo  né 
una  federazione  ;  ma  ciascuno ,  sovrano  del  proprio  feudo , 
non  aveva  idea  d'un  potere  pubblico,  se  non  le  volte  che  l'im- 
peratore, scendendo  in  Italia  ,  convocava  in  qualche  vasta  pia- 
nura (a  ^Marengo  per  esempio  o  a  Roncaglia)  tutti  i  feudatarj, 
i  quali  del  resto  ,  se  la  decisione  non  andasse  loro  a  garbo  , 
la  ricusavano  ,  e  resistevano  nei  castelli.  Unica  legge  insomma 
era  la  convenzione  ,  unica  garanzia  la  forza  e  la  resistenza 
personale  :  ed  Ezelo  sapeva  bene  colla  spada  farsi  rispettare 
da  amici  e  da  nemici. 

Cosi  isolato  ,  il  feudatario  si  restringe  colla  sua  famiglia, 
nella  quale  stanno  1'  erede  del  nome  e  delle  forze  di  esso  ; 
e  la  moghe  ,  unico  essere  che  sia  pari  a  lui.  Laonde  in  quei 
castelli  ,  tane  di  tanti  oltraggi  alla  natura  ,  si  rinnovellò  lo 
spirito  di  famiglia  ,  annichilito  dall'  egoismo  pagano  ;  e  il  de- 
siderio di  trasmettere  il  possesso  per  eredità  ,  e  1'  importanza 
della  moglie ,  che  rimaneva  dominatrice  allorché  usciva  dal 
campo  ,  e  che  allora  appunto  da  feinnuna  cominciò  a  chia- 
marsi donna,  avviavano  a  più  generose  idee  sociali. 

Ma  se  il  feudatario  manteneva  devozione  verso  il  signor 
sovrano,  non  conosceva  doveri  verso  gl'inferiori,  né  alcun  tri- 
l)unale  giuridico  gliene  poteva  imporre.  A'  piedi  dell'aerea  ròcca 
affollavansi  i  tugurj  dei  villici  ,  servi  in  diverso   grado  .  senza 

3  '  -  21  -  q 

Caxtu  —  E;eUno.  o  — 


à 


CAPITOLO  PRIMO 


diritto  né  garanzia  ;  per  forza  e  per  abitudine  sottomessi  a 
quella  volontà  capricciosa  ;  non  collegati  coi  vicini  per  veruna 
lego-e  ,  per  verun  interesse  :  con  sorte  distinta  ,  quasi  altret- 
tante nazioni  diverse.  La  consuetudine  feudale  gì'  incatenava 
a  quella  gleba  ,  a  quella  ròcca  eh'  era  la  capitale  del  picco- 
lissimo impero  ,  e  guardavano  come  straniero  il  camperello 
limitrofo.  Eppure  questa  servitù  giovò  all'  avvenire  :  perocché, 
mentre  negli  ultimi  tempi  romani  la  gente  si  era  raffittita 
nelle  città  ,  lasciando  ridursi  la  campagna  a  vasti  deserti,  usu- 
fruttati  da  pochi  schiavi  ,  allora  la  popolazione  fu  novamente 
diffusa  su  tutto  il  paese  ;  allora  creato  il  villaggio. 

In  mezzo  a  questo  vulgo  soffrente  collocavasi  il  prete  ,  il 
pievano  ;  un  uomo  vulgare  ,  spesso   ignorante  ,  ma   per  carat- 
tere e  per  indole  benevolo    e  benefico,   aborrente   dalla  forza 
a  cui  egli  pure  trovavasi  esposto  ,  amico  de'  poveri   dai  quali 
riceveva  il  pane ,  e  coi  quali  lo  compartiva  ,  e  che   egli  assi- 
steva dal  nascere  fino  alla  morte ,  e  ne  santificava  i  patimenti 
colla  benedizione.  Poco  sapeva  egli,  ma  avea  letto  il  vangelo 
e  imparato  i  canoni ,  e  veduta  quella  dottrina  tutta    popolore 
(V  un  Dio  nato  da  artigiani,    adorato  dai    pastori  e  persegui- 
tato dai  re  ;  che  scelse  gli  apostoli  fra  i  pescatori  ,  e  riprovò 
i  magistrati  e  i  sacerdoti.  I  preti  aveano  moltiplicato  le  feste, 
giorni  in  cui  il  popolo  -riposava    da   fatiche    durissime    e    non 
compensate  ;  aveano    fatto    sacri   i   contorni  della  chiesa  per- 
chè vi  potesse  rifuggire    il    debole    inseguito ,  e    tenere   mer- 
cato,  sicuro  dalla  prepotenza;  sui  trivi  aveano  piantato  croci, 
il  cui  aspetto  frenasse  il  violento  ,  aveano  acceso  lumicini  alle 
immagini  e  ai  tabernacoli  ,  perchè,    oltre  la  devozione  ,    illu- 
minassero le  vie  nella  notte  :    aveano  insegnato  inni    da  can- 
[         tare  e  preci,  la  cui  uniforme  cantilena,  senza  fatica  imparata, 
l         risparmiasse  le  mormorazioni  e  le  bestemmie  ;  avevano  istituito 
)         le  decime,  per  cui  dal  frutto  del  campo  dovuto  al  padrone  si 
S         sottraeva  una  parte  che  ,  deposta  nel  presbiterio  ,    ne  usciva 
(         a  sollievo  del  povero.    Nella    chiesa    poi  intimavano  al  prepo- 
;         tento  che    /  grandi    saranno    firandenìenie   puniti  ;    ^  fra    il 
<,         canto  dell'  esultanza  ripeteano   che   il    Signore   depone   i  po- 


2    Poleiitrs  poicnter  tormenta  paticnfiir  ,  Sapienza ,  v.  7. 

-  S2  -  n. 


i 


ÌJ^^ '^t^' 

IL    VULGO.    IL    CLERO.    LE    IMMUNITÀ  Ui^ 


tenti  dal  seggio  3;  anzi  introdussero   una   messa   contro  i  ti- 
ranni. * 

E  questo  prete  ,  posto  sotto  al  castello  di  un  forte  e  in 
mezzo  ai  deboli  ,  poteva  assai ,  perchè  formava  parte  d'  un 
corpo  che  era  il  preciso  opposto  del  feudale;  d'una  repubblica 
estesa  quanto  il  mondo ,  avente  un  capo  indipendente  dalle  po- 
testà terrestri;  e  munita  non  di  forza  ,  sicché  colla  forza  po- 
tesse essere  abbattuta  ,  ma  di  santità  ,  di  opinione  ,  di  con- 
cordia. Il  barone  che  avesse  stesa  la  mano  s'  un  prete  , 
guai  a  lui  !  avrebbe  avuto  contro  di  sé  richiami  dell'  intera 
Chiesa,  e  maledizioni  che  lo  perseguitavano  anche  di  là  della 
tomba. 

Quanto  più  non  doveano  valere  queste  genti  di  chiesa  allor- 
ché si  trovavano  ristrette  in  un  Ordine  religioso,  e  coabitavano 
in  conventi?  Per  quella  previdenza  che  pone  il  rimedio  accanto 
a  ogni  male  ,  quanti  erano  i  castellotti  tanti  erano  i  mona- 
steri ;  e  noi  che  guardiamo  ora  senza  paura  i  primi ,  possiamo 
gettar  sugli  altri  1'  inerudito  disprezzo;  non  cosi  i  popolani 
nostri  padri,  pe'quali  il  convento  significava  il  rifugio  nelle  per- 
secuzioni, il  consiglio  nelle  deliberazioni  ,  il  magistrato  ne'  li- 
tigi,  il  conciliatore  nelle  differenze,  il  ministro  della  miseri- 
cordia divina  non  solo  ,  ma  di  quella  carità  che  oggi  si  allam- 
bicca  in  regolamenti  e  teoremi ,  e  che  allora  profondeasi  forse 
senza  discernimento  ,  ma  non  in  modo  che  alcuno  morisse  di 
fame  mentre  si  discuteva  sui  modi  più  scientifici  di  alimentarlo. 
Siccome  allorquando  una  malattia  diviene  epidemica,  tutte 
le  altre  ne  assumono  il  carattere,  cosi  è  di  alcune  grandi  isti- 
tuzioni sociali,  e  così  fu  allora  della  feudalità,  talmente  iden- 
tificata colla  società ,  che  anche  la  Chiesa  dovette  vestirne  le 
forme.  E  veramente  alla  forza  materiale  sarebbe  stato  al)ban- 
donato  il  mondo  se  non  fosse  soccorsa  la  Chiesa ,  la  quale  eser- 


3  Dcposuil  polentcs  de  sedi' ,  nel  Musinifical. 

*  Vedi  in  Muratori.  Anti(iuilutes  Medii  yEvi ,  difis,  LIV  ,  p.  729.  Il  prc- 
fazio  dice  :  Omnipolens  n'Icrue  Deus ,  respice  jrojìilhis  in  faciem  ecclesia'  tum 
quop-  de  suorum  gemil  contritione  memlvorum.  Essel  namque  toìerahilius  si  qenlili 
f/ladio  ferienda  iraderelur  incursione  maìoruvi.  Ne  pravis,  Dowiiie  ^  prcna  cumu- 
lelur  (eterna;  nolisque  eonini  sit  infesfadonibus  onerosa,  dinlur  illorum  non  sine 
prevalere  severitatem.  Per  Christiim  ,  de. 


ì 


—  23  — 


-ejt3 


citava  im'  autorità  morale,  diffondeva  1'  idea  di  una  regola  , 
d'una  legge  superiore  alle  convenzioni  umane;  e  separando  il 
poter  temporale  dallo  spirituale,  aprì  a  tutti  un  campo  dove 
fossero  franchi  dagli  impiegati  e  dai  militari ,  assicurò  la  più 
sacra  delle  libertà  ,  quella  della  coscienza. 

Ma  le  migliori  istituzioni  in  atto  si  contaminano  ,  e  per- 
dono di  queir  ideale,  di  cui  alimentavansi  all'  origine. 

In  tempo  che  i  possessi  territoriali  erano  l'unica  fonte  del- 
l' autorità,  anche  i  prelati  dovettero  cercarli,  e  con  ciò  si 
trovarono  avvoltolati  negli  interessi  mondani.  La  virtù  di  al- 
cuni ,  r  essere  depositar]  di  tutto  il  sapere  sopravissuto  ,  la 
venerazione  pel  loro  carattere,  i  beneficj  che  diffondeano  tra 
il  popolo  ,  il  robustissimo  sostegno  dell'  opinione  ,  facendo  che 
il  clero  divenisse  potente  ;  giacché  ne'  tempi  agitati  l' autorità 
è  di  chi  r  esercita  ,  non  di  chi  ne  ha  il  titolo  ;  ed  è  crassa 
ignoranza,  se  non  fosse  maligna  menzogna,  il  non  voler  vedere 
in  questo  fatto  necessario  che  un'  usurpazione,  una  serie  mil- 
lenaria di  ambiziosi  ordinamenti. 

Da  chi  ,  in  grazia ,  gli  ecclesiastici  sottraevano  il  potere 
dai  signori  prepotenti ,  cui  unica  legge  era  il  capriccio. 

Che  cosa  usurpavano  ?  il  diritto  di  resistere  alle  pre- 
potenze. 

Noi  li  malediciamo  ripetendo  clie  il  regno  loro  noti  è  di 
Questo  mondo,  ma  allora  la  plebe  (che  vero  popolo  non  vi  era) 
considerava  come  una  benedizione  il  poter  passare  ,  dal  domi- 
nio brutale  d'  un  padrone  ,  a  quello  d'  un  vescovo  ,  il  quale 
non  colpiva  colla  spada  ,  ma  correggeva  col  pastorale  ;  non 
giudicava  a  capriccio,  ma  secondo  il  diritto;  aveva  la  confes- 
sione come  espiamento  ;  non  adoperava  atroci  castighi ,  non 
barbare  prove.  Salutare  mediazione  fra  1'  imperante  e  i  sudditi, 
non  trasmessa  per  eredità,  ma  per  elezione  ,  cioè  data  ai  più 
degni.  A  noi  che  e'  inginocchiamo  davanti  a  una  libertà  tutta 
politica,  tutta  negativa,  tutta  antagonismo  ,  sa  di  strano  l'udire 
che  il  clero  ,  e  a  capo  suo  il  papato,  fu  sempre  l'oppositore 
più  sincero  come  più  efficace  della  prepotenza:  eppure  tutta  la 
storia  e  là  per  dire  che  quella  di  esso  era  la  causa  del  pen- 
siero contro  le  sciabole  ,  del  popolo  contro  i  tiranni. 

Di  rimpatto  gì'  imperatori  (già  lo  accennammo)  più  volen- 
tieri investivano  del  dominio  questi  ecclesiastici  che  non  i  ba-         j 


rEZELINO    I.    LE    CROCIATE  D    L-i 

\  roni ,  e  un  primo  passo  fu  il  concedere  1'  immunità  :  cioè  che 
I  •  il  circondario  della  città  (  clie  chiamavano  camperie  o  corpi 
santi)  fosse  esente  dalla  giurisdizione  del  conte  regio,  e  sotto- 
messo a  quella  del  vescovo.  Più  non  ci  volle  che  un  passo  per- 
chè il  vescovo  si  facesse  attribuire  1'  intera  giurisdizione  sulla 
città.  xSon  pochi  erano  quelli  che  usciti  dall'  aristocriizia  e  al- 
levati neir  armi ,  anche  dopo  prelati  menavano  i  proprj  vas- 
salli in  campo  ,  per  quanto  ne  esclamassero  i  pontefici  e  i 
santi,  che  vedevano  da  ciò  lentata  la  disciplina  e  guasti  i  co- 
stumi. I  più  sottinfeudavano  il  territorio  a  qualche  signore  se- 
^  colare  ,  che  li  corteggiasse  nelle  solennità,  ne  guidasse  gli  e- 
\  serciti  al  hanno  ,  combattesse  per  loro  anche  ne'  giudizi  quando 
il  duello  era  una  prova  giudiziaria. 

Tanto  fece  il  vescovo  di  Vicenza.  Tra  gli  ampi  suoi  pos- 
sessi contava,  sin  prima  del  mille  ,  Bassano,  lieta  cittadina  s'un 
colle  dolcemente  declive  ,  lambito  dal  Brenta  e  protetto  a  set- 
tentrione dalle  montagne  ,  che  gli  danno  letizia  di  arie  e  va- 
rietà di  prospetti.  Di  questa  egli  investi  il  novello  signore  di 
Onara  e  di  Romano  ,  dandogli  piena  balia  sulla  città  ,  sicché 
v'  avesse  impero  di  toga  e  di  spada,  arbitro  di  far  leggi, 
tutti  giudicare ,  imporre  gravezze ,  pedaggi ,  creare  gli  uf- 
fiziali,  insomma  gli  atti  della  sovranità:  ma  ponevagli  patto 
che,  sopra  i  santi  vangeli,  giurasse  fedeltà  e  vassallaggio  a 
lui  vescovo  ;  a  servigio  suo  militasse  qualvolta  richiesto  ; 
allorché  radunavasi  la  curia  de'  vassalli ,  andasse  a  fargli 
omaggio. 

Ezelo  ,  divenuto  signore  di  Bassano  ,  ivi  prese  abitazione 
sopra  la  piazza  comunale ,  e  fu  questo  il  primo  fondamento  alla 
futura  grandezza  di  sua  famiglia.  Sposò  una  Gisla  ,  di  gente 
longobarda  :  corteggiava  gli  imperadori  ,  i  quali ,  per  tener- 
selo amico,  gli  largivano  onori  ,  poderi  ,  giurisdizioni,  e  con- 
fermavano quelli  eh'  egli  avesse  usurpati  ;  ed  egli  a  vicenda  , 
per  tenersi  in  grazia  cogli  ecclesiastici ,  era  largo  di  laute 
donazioni.  E  quando  io  dico  donazioni,  non  crediate  accenni 
qualche  poderuccio  o  poco  denaro,  come  quello  onde  oggi  si  fa 
clamorosa  generosità  a  una  chiesa  o  ad  un  ospedale.  Ezelo, 
di  concordia  colla  famiglia  dei  Camposampiero  ,  per  suffragio 
dell'  anima  sua  regalò  in  un  tratto  alla  balia  di  s.  Eufemia  da 


A'illanuova  censessantotto   masserie  ,  ed  ogni  masseria  (stando 


■"^ 


CAPITOLO   PRIMO 

ai  calcoli  del  Muratori)  corrisponde  a  venti  campi  padovani  5  e 
iDsieme  le  bestie  e  i  servi  e  le  ancelle ,  tenuti  in  poco  mi- 
glior conto  elle  le  bestie. 

Anche  Ezelo  ed  Alberico,  figli  e  successori  di  lui,  per  ri- 
medio dell'  anima  loro  e  per  conseguire  da  Dio  il  cento  per 
per  uno  ,  largheggiavano  beni  e  giurisdizioni  ai  frati  ,  "magni- 
fico monumento  ,  dice  il  Verci  ,  della  lot^o  pietà:  della  quale 
non  so  se  sarà  ricompenso  il  tanto  aumentare  ch'essi  fecero 
in  ricchezze.  11  primo  di  loro  mori  senza  figliuoli;  il  secondo 
generò  una  Cunizza  ed  un  altro  un  Ezelo,  detto  per  diminu- 
tivo Ezelino  ,  e  per  difetto  di  lingua  il  Balbo  ,  uomo  che  di- 
venne de'  più  famosi  a'  suoi  tempi.  Lo  storico  Maurisio  lo  qua- 
lifica ricchissimo  ,  savio  ,  discreto  ,  liberale  ,  modesto  ,  facile  , 
piccolo  ,  placido  ,  benigno  a'  supplichevoli,  truce  ed  orrido  mo- 
deratamente a' rei  ,  di  costumi  integri  ,  di  scienza  e  virtù  so- 
pra tutti  fornito. 

Questo  ritratto  vi  provi,  se  non  altro,  come  sia  vecchio 
negli  scrittori  il  mestiere  dell'adulare,  e  come  quella  che  Tacito 
chiama  coscienza  della  storia,  non  diversa  dalle  altre  co- 
scienze, sappia  transigere  coli'  interesse  e  co'  sentimenti. 

Era  a' tempi  suoi  ardentissimo  il  fervore  delle  crociate, 
che  per  tre  secoli  furono  la  vita  della  società  europea.  Anche 
queste  imprese  rimangono  una  stravaganza  inesplicabile,  come 
tutto  il  medioevo  ,  a  chi  veda  sempre  a  fronte  due  società 
differenti,  l'ecclesiastica  e  la  guerresca  (badate  ch'io  non 
dico  la  civile);  l'una  che  pensava,  l'altra  che  faceva;  l'una  che 
dirigea,  l'altra  che  compiva.  Una  nuova  barbarie  peggior  della 
precedente  perchè  portava  anche  la  mina  della  religione  e 
della  famiglia;  quella  barbarie  che  da  dodici  secoli  pesa  sulle 
parti  più  belle  dell'Asia  e  da  quattro  sulle  più  belle  d'Europa, 
e  per  cui  la  schiavitù,  gli  harem,  gli  eunuchi,  i  muti,  i  veleni 
sono  ancora  il  diritto  d'un  popolo  intero,  questa  musulmana 
barbarie,  dico,  minacciava  l'Europa.  Opporvisi  come  poteva 
questa,  sbriciolata  fra  quel  milione  di  Stati  che  vedemmo,  senza 


^  Un  cnmpo  padovano  ili  involo  8'tO  si  divide,  in  4  parli  da  tavolo  10,  e 
ogni  tavola  i»  sesti,  ciascuno  da  6  piedi  (piadraii;  ed  eiiuivalo  a  porliclie  nuove 
censuarie,  3.86. 


À 


j^  -  2G  -  a 


I — 1^  EZELINO    I.    LE    CROCIATE  ni 

un  potere  centrale  che  volesse,  senza  forza  unita  che  eseguisse? 
Soccorse  dunque  l'unica  autorità  che  su  tutti  valesse,  l'eccle- 
siastica; e  di  quanti  papi  vissero  dopo  Urbano  II  nessuno  cessò 
d'affaticarsi  per  muovere  o  l'entusiasmo  o  la  politica  europea 
alla  liberazione  di  Terrasanta,  e  di  cooperarvi  colle  forze,  colla 
parola,  almen  col  desiderio. 

Il  gran  pensiero  penetrava  intera  la  società,  e  il  fanciullo 
al  paterno  focolajo,  udiva  indicare  come  il  maggior  segno  di 
fede  operosa,  di  amore  supremo,  di  pie  speranze  il  contribuire 
a  liberar  la  Palestina;  nelle  scuole,  nelle  chiese  eccitavansi  a 
ciò  gli  spiriti  ;  chi  saliva  nei  gradi  dell'ecclesiastica  gerarchia 
dovea  proporsi  di  rimettere  pace  e  insinuar  penitenza,  acciocché 
di  conserva  principi  e  popoli  si  drizzassero  a  quell'intento.  Chi 
sarebbe  potuto  sottrarsi  al  concorde  impulso  ?  Non  era  gentil 
cavaliero  chi  non  volesse  impugnare  le  armi  e,  segnato  dalla 
cro^e,  passar  oltremare  a  combattere  i  Saracini,  e  tentare  la 
liberazione  di  Gerusalemme.  Così  la  gran  lotta  fra  il  cristiane- 
simo e  la  religione  di  Maometto,  fra  il  progresso  e  il  deterio- 
ramento, fra  la  croce  e  la  mezzaluna,  fu  portata  a  decidere 
sul  suolo  dell'Asia,  invece  d'aspettarla  in  Europa;  e  tutte  le 
volontà,  nel  nome  del  dio  dei  forti,  furono  unite  a  respingere 
quel  nuovo  torrente  di  barbari,  e  ripararne  per  sempre  la 
cristianità. 

Sia  però  sapienza  il  riderne,  perchè  ne  rise  qualche  scrittore 
fìlosofista:  noi  ammiriamo  il  trionfo  dell'estrema  esaltazione 
sopra  l'estrema  inettitudine  dei  mezzi,  in  que'  combattimenti 
giganteschi,  in  quelle  fami  che  distruggevano  eserciti  interi. 
Una  forza  arcana  sospingeva  sempre  nuovi  armati  dell'Occidente 
in  Oriente,  come  alcuni  secoli  prima  dal  Settentrione  sul  Mezzodì  ; 
donne,  vecchi,  fanciulli,  monache  avventavansi  con  ardore  pari 
all'imprevidenza:  non  si  munivano  di  pane  ma  di  fede;  più 
che  nelle  armi  confidavano  ne'  miracoli;  Dio  lo  vuole,  e  Dio 
manifesta  la  sua  volontà  con  segni  visibili;  le  miriadi  di  pel- 
legrini vedono  angoli  cauv.uinare  alla  lor  testa;  un'oca,  una 
capra  insegna  loro  il  sentiero;  né  vi  perdono  fede  benché  ne 
siano  menati  nei  precipizi. 

Avvenimento  universale,  europeo,  eppur  nazionale  ;  conforine  > 
alla  fede  non  men  che  allo  spirito  di  lotte  e  d'avventure  d'allora.  j 
Dipoi    sottcntra   il  calcolo:  i  Crociati  stimano  e  lodano  i  Mu- 


■^-eJ0 


rp-Q  CAPITOLO    PRIMO 

sulmani,  patteggiano  con  loro;  non  più  le  idee  religiose  operano 
spontanee,  ma  le  convenienze  della  politica,  i  ragionamenti,  il 
tornaconto,  e  finiscono  in  triche  di  gabinetti.  Pure  il  fine  supremo 
era  ottenuto;  ne  seguivano  anche  di  secondar]:  come  avviene 
de' viaggiatori,  i  Crociati  doposero  molti  pregiudizi  vedendo 
altri  costumi;  dall'  incivilimento  greco  e  maomettano  dedussero 
il  meglio  per  affinar  qui  le  arti,  i  costumi,  le  opinioni.  Anche 
lo  stato  sociale  ne  risenti,  poiché  molti  feudatarj  vendettero 
i  possessi  e  i  servi  per  aver  denari  all'  impresa,  o  morendovi 
lasciarono  i  piccoli  concentrarsi  ne' grossi:  i  plebei  convissero 
co'  più  grandi ,  imparando  gli  uni  a  comandare  gli  altri  ad 
obbedire;  ognuno  sentiasi  uomo,  e  come  tale  comprendeva 
di  poter  pretendere  rispetto  ;  s'allargò  il  commercio  marittimo, 
si  ravvicinarono  i  popoli,  si  ruppero  molte  catene  ;  quel  periodo 
fu  singolarmente  fecondo  di  ricchezze,  di  libertà,  di  cognizioni 
all'  Italia. 
1117  Ezelino  il  Balbo  assunse  anch'esso  la  croce,  quando  Luigi  VII 
di  Francia  e  Corrado  III  imperatore,  ascoltando  il  fervoroso 
appello  di  san  Bernardo,  lasciarono  le  comodità  e  le  pompe  dei 
propri  regni  per  andar  ad  estendere  quello  di  Cristo.  Ezelino 
guerreggiò  a  Damasco  e  ad  Ascalona;  vinse  un  terribile  Sa- 
raceno; poi,  ita  r  impresa  al  rovescio  che  ognun  sa,  tornò  in 
patria  colle  reliquie  de'  suoi.  Vuole  la  tradizione  che,  nel  tornare, 
còlto  da  grave  procella  votasse  un  tempio  a  Maria  Vergine, 
che  fabbricò  di  fatto  in  Bassano,  e  che  poi  fu  dai  Francescani 
dedicato  al  loro  fondatore. 

Uno  dei  frutti  delle  crociate  è  1'  aver  accelerato  lo  stabi- 
limento dei  Comuni ,  e  sviluppato  questo  antico  elemento  del- 
l' italiana  società.  Accennammo  come  i  vinti  rimanessero  quasi 
affatto  stranieri  ai  vincitori,  regolando  da  sé  soltanto  quegli  in- 
teressi di  cui  il  vincitore  non  si  brigava.  Le  città  erano  debolissime 
sotto  la  conquista  ;  e  il  feudalismo  le  ridusse  a  mero  vassallaggio  ; 
pure  vedemmo  come  vi  acquistassero  importanza  i  vescovi  , 
legame  tra  il  vincitore  e  il  vinto.  Al  crescer  dell'  industria  le 
città  conseguirono  ricchezze  ,  e  con  queste  il  bisogno  di  assi- 
curarle contro  la  prepotenza  feudale.  Tornarono  dunque  a  si- 
stemarsi giusta  le  tradizioni  romane  ;  cercarono  la  conferma 
dei  diritti ,  che  in  fatti  non  erano  se  non  salvaguardie  contro 
i  feudatarj  ;  quali    sarebbero    che  i  cittadini    possedessero    li- 

—  28  — 


I   COMUNI 


beramente  ,  che  nominassero  da  sé  i  proprj  giudici,  che  i 
litigi  risolvessero  secondo  statuti  proprj  ;  che  potessero  an- 
dar e  venire  ai  mercati  senza  esser  derubati  ,  e  solo  pagando 
i  pedaggi  prefissi.  Il  barone  negava  ?  insorgevano  a  forza  e  lo 
cacciavano. 

Questo  movimento  unanime  non  era  concertato  ,  bensì 
spontaneo  e  locale  ;  nasceva  da  parità  di  bisogni  ;  laonde  fu 
dappertutto  guerra  del  popolo  delle  città  ai  signori  feudali. 

Ogni  guerra  deve  pur  avere  un  termine  ;  e  quando  un'età 
si  ostina  ad  un  intento  ,  non  riposa  che  non  1'  abbia  ottenuto. 
Conveniva  pertanto  accordarsi,  e  quei  trattati  di  pace  fra  i  si- 
gnori e  le  città  erano  la  costituzione  municipale.  GÌ'  impera- 
dori  qualche  volta  vi  si  mescolavano  ,  e  per  le  ragioni  dette 
favorivano  piuttosto  le  comunità ,  le  quali  così  trovavansi  da 
essi  appoggiate  neh'  acquisto  di  loro  franchigie.  Le  comunità, 
essendo  animate  dai  medesimi  interessi  ,  stringevano  lega  tra 
loro  ,  e  per  tal  modo  ,  senza  previa  congiura  ,  ma  per  biso- 
gno del  tempo  ,  cacciavano  di  ciascuna  città  i  ministri  o  messi 
regj  che  la  governano  ;  prendevano  a  riordinare  le  istituzioni 
municipali,  che,  attraverso  la  barbarie,  erano  almeno  nella  tra- 
dizione sopravissute  per  congiungere  gli  antichi  coi  nuovi  ita- 
liani ;  gli  uomini ,  resi  migliori  dall'  operar  in  comune  e  per 
la  pubblica  cosa,  crescevano  in  civiltà  e  in  numero  ;  dappertutto 
si  stabilivano  governi  municipali. 

I  conti  0  feudatarj  rimanevano  tuttavia  alla  campagna  , 
e  in  quel  che  da  ciò  appunto  trasse  il  nome  di  contado  ;  in- 
comodi vicini,  che  impacciavano  le  comunicazioni  colle  città  , 
ne  intercettavano  i  commerci ,  e  all'  occasione  potevano  anche 
affamarle.  Primo  studio  delle  città  fu  dunque  il  deprimerli , 
da  principio  col  dare  ricovero  a  tutti  i  villani  che  dalla  co- 
loro tirannia  fuggissero  ,  poi  coli'  osteggiarli  direttamente. 

Per  un  tratto  ogni  cosa  fu  guerra  de'  borghesi  contro 
nobili  e  vescovi  e  conti.  Non  figuriamoci  in  tutto  ciò  nulla  di 
astratto  ;  non  teoriche  di  (Hritti  dell'  uomo  ,  non  grucce  di 
accademiche  costituzioni ,  non  concetti  di  nazionalità  ,  affatto 
estranei  al  tempo.  Erano  mere  difese  individuali,  parziali  in- 
surrezioni contro  i  piccoli  capi  ,  oscure  rivolte  contro  oscuri 
signorotti  ;  ma  mentre  dal  nostro  teorico  campeggiare  non  ri- 
Itano  cbo  izze  e  confusione  ,  da    quel   d'  allora  usci  la  rige-         ) 

q| 


CAPITOLO   PRIMO 

nerazione  d'  un  popolo  intero  ,  il  mutamento  dei  servi  in  uo- 
mini ,  dei  proletarj  in  cittadini  ,  la  premura  pe'  carapagnuoli , 
sin  allora  ignota  al  mondo.  Gli  oppressori  non  ressero  contro 
la  moltitudine  :  e  dopoché  o  colla  persuasione  o  più  spesso 
colla  forza  dell'  armi  erano  stati  sottomessi  ,  doveano  patteg- 
giare colla  città  di  abitare  almeno  due  o  tre  mesi  1'  anno 
entro  le  mura,  il  che  equivaleva  a  sottoporsi  ai  giudizi  citta- 
dini ,  non  impedire  sulle  loro  terre  il  passo  alle  milizie  dei 
municipj,  ricevere  presidj  nei  castelli,  venir  in  aiuto  delle  città 
nelle  guerre  :  in  compenso  di  ciò  ricevendo  la  cittadinanza  ed 
i  diritti  che  1'  accompagnano  fra  un  popolo  libero. 

Ezelino ,  non  sappiam  bene  se  colle  buone  o  a  viva  forza , 
fu  indotto  anch'  egli  ad  accomandarsi  alla  città,  ed  aveva  casa 
e  diritto  di  cittadino  in  Vicenza  ,  in  Padova  ,  in  Treviso.  In 
Vicenza  il  suo  palazzo  stava  in  via  del  Colle,  merlato,  con  torre 
che  aveva  una  porta  nella  mura  della  città,  gran  segno  di 
potenza  ;  palazzo  che  fu  poi  convertito  in  chiesa  e  nel  con- 
vento dei  Domenicani  ,  ed  ancora  si  addita.  In  Treviso  l'aveva 
sulla  piazza  del  Duomo  :  a  Padova  presso  Santa  Lucia ,  dove 
lo  mostrano  tuttora.  In  fine  anche  Bassano,  vendicatosi  in  li- 
bertà, non  gli  lasciò  se  non  Tessere  primo  fra'  pari.  Attesoché 
i  signori ,  anche  fatti  cittadini  ,  conservavano  quella  premi- 
nenza che  suol  venire  dalla  nascita  e  dalla  consuetudine  del  co- 
mando, fu  egli  chiesto  podestà  in  paesi  diversi,  ove  dicono  facesse 
regnare  l'ordine  e  la  tranquillità:  in  lui  furono  compromesse  > 
importanti  quistioni,  ( 

Le  transazioni  però  della  prepotenza  col  diritto  sono  di  ^ 
rado  sincere.  I  signori  ,  che  si  vedevano  impediti  nel  loro  do- 
minio assoluto  ,  mal  credendosi  compensati  dai  vantaggi  e  da- 
gli onori  che  godevano  ,  occhieggiavano  ogni  occasione  per  de- 
primere la  potenza  dei  Comuni  e  rilevare  la  propria.  Buon 
destro  ne  porse  ad  essi  Federico  Barbarossa  imperatore  di 
Germania  quando  ,  forte  d'  eserciti ,  di  carattere  ,  di  valore , 
di  ambizione,  scese  in  Italia.  Aveva  egli  letto  che  gì'  impera- 
tori romani  concentravano  in  sé  tutte  le  prerogative  regie  ;  ( 
che  Carlomagno  e  qualche  suo  successore  aveva  esercitato  ) 
potere  su  tutta  1'  estenzione  del  dominio  ,  e  volle  anch'  esso  ) 
rimettere  i  baroni  alla  soggezione  ,  e  all'  obbedienza  le  città  ,  ^ 
<         sottrattesi  ormai  e  impossessatesi  della  libertà.  > 


Ma  la  libertà  è  germe,  che,  qualora  metta  radice  non 
per  trama  di  pochi  ,  ma  per  proposito  d'  un  popolo  intero  , 
più  non  si  svelle.  A  chi  non  sono  conosciute  le  lunghe  guerre 
del  Barbarossa  nel  nostro  bel  paese,  i  molti  assedj,  la  distru- 
zione di  Brescia,  di  Crema,  di  Milano?  In  queste  imprese  egli 
si  valse  dell' ajuto  feudale  dei  baroni  e  dei  conti,  e  di  Ezelino 
il  Balbo  ,  non  già  favoreggianti  allo  straniero ,  come  cianciano 
gli  storici  sentimentali  ,  ma  obbligati  a  portar  1'  armi  pel  si- 
gnore, che  a  questo  patto  gì'  investiva  del  feudo;  pel  signore 
che  era  della  nazion  loro  stessa,  durando  quegli  stranieri  al  suolo 
su  cui  avevano  piantato  dimora.  Altri  ancora  vi  erano  indotti 
da  promesse  e  donativi  *'. 

Col  braccio  di  costoro  ,  Federico  fiaccò  le  città  lombarde, 
e  a  governo  di  esse  pose  creati  suoi,  stranieri  i  più,  che 
r  onta  dell'  obbedire  a  forestieri  facevano  più  grave  coli'  ab- 
bandonarsi a  libidini ,  ad  avarizia  ,  a  superbia  ,  ad  ogni  per- 
verso talento. 

Però  non  è  finita  per  un  popolo  finché  gli  animi  non  siano 
corrotti.  Gli  Italiani  sapevano  maneggiare  le  armi  e  non  av- 
vilirsi della  sventura  ,  e  presto  scossero  dalla  cervice  quel 
giogo  ,  espulsero  i  governatori  ,  riordinarono  i  reggimenti  re- 
pubblicani ;  poi  dalla  trista  esperienza  avvisati  che  la  forza  sta 
neir  unione  ,  giurarono  la  Lega  della  Lombardia ,  della  Marca 
e  della  liomagna.  Presero  parte  a  questa  anche  molti  signo- 
rotti ,  disgustati  dal  sovrano  dacché  lo  videro  o  esorbitar  di 
pretenzioni  o  sfavorito  dalla  fortuna  ;  ed  Ezelino  era  di  tanto 
nome  che  ,  con  Anselmo  di  Dovara  ,  venne  gridato  capitano 
generale  delle  città  collegate  ,  e  per  ridurre  l' imperatore  a 
miti  consigli  prima  dell'  esperimento  delle  armi,  gli  stette  as- 
siduo ai  fianchi,  e  lo  risolse  ad  un  compromosso,  dopo  fallito 
il  quale,  l'imperatore  baciò  in  bocca  lo  stesso  Ezelino;  tanto 
la  sventura  avealo  ammansato.  Ma  ben  presto  i  popoli  capirono 
che  tali  accordi  del  potere  brutale  colla  opinione  vincitrice 
sono  astuzie  per  aspettare  luogo  e  tempo  alla  frodolenta  ria- 


(                  <■'  Frdoi-ico  I  assegna  24  lire  l'anno  a  Uliiarico  o  Federico  D'Arco  per  fe- 

{  (Iclc  servigio  resogli,   e   aflìnchè  gli  prestino    omaggio  e  fedeltà  contro  olii    clie 

,'  sia,  ed  abbiamo  per  nemici  i  nemici  di   lui,  e  nominatanienie  i   Vicentini,  Ve- 

V  ronesi ,  Padovani ,  Veneziani.  Codice  Ecrliniano,  N.  28. 


S-p 


—  31  — 


r  CAPITOLO    PRIMO  D 

'  zione.  Perciò  s'  avventarono  nelle  armi  con  queir  augurio  che 
è  r  ottimo  ,  il  combattere  per  la  patria.  Prima  cura  di  esse  era 
stato  prepararsi  di  armi ,  come  fa  chi  bene  e  davvero  vuol  fian- 
cheggiare la  causa  della  libertà.  Gli  eserciti  di  Federico,  ben- 
ché agguerriti,  benché  resi  confidenti  dalle  vittorie  ,  non  res- 
sero a  fronte  di  guerrieri  collettizi  e  nuovi,  ma  forti  nella  con- 
ii76cordia  del  volere  e  nella  santità  della  causa  loro:  e  ad  Ales- 
sandria ed  a  Legnano  furono  rotti  affatto:  —  vittorie  che  sono 
delle  poche  ,  che  si  possano  ricordare  senza  vergogna  dell'  u- 
manità  ,  e  per  le  quali  poterono  nella  pace  di  Costanza  ve- 
dere riconosciuto  alle  città  il  diritto  di  stabilirsi  un  governo 
a  comune ,  eleggere  consoli  e  magistrati  proprj ,  amministrare 
a  loro  prò  le  regalie  ,  e  continuare  nelle  consuetudini    patrie. 

Anche  qui  non  si  stipulavano  dunque  franchigie  metafìsi- 
che e  costituzioni  esotiche;  ma  tutti  vantaggi  positivi  ,  indi- 
geni, storici,  la  conferma  dei  titoli  acquistati,  la  libertà  di 
obbedire  spontanei  e  dignitosi  ,  il  diritto  di  conoscere  i  pro- 
prj affari  ,  di  provvedere  al  proprio  meglio. 

Se  ,  entrati  in  questo  racconto  ,  vi  e'  indugiamo  ,  ce  ne 
farai  colpa  ,  o  lettore  ?  Si  bello  è  quel  momento  delle  patrie 
storie,  brutte  nel  resto  di  misfatti  e  di  guai,  che  ci  lasciamo 
andare  volentieri  alla  dolcezza  del  ragionarne  qual  volta  ci 
occorre;  poi  era  necessario  ad  intendere  meglio  quel  che  diremo. 

L'  ordinamento  che  allora  le  città  si  diedero  consisteva 
neir  assemblea  generale  del  popolo  ,  vero  sovrano  ;  e  in  un 
governo,  investito  di  potenza  quasi  arbitraria,  come  accade 
allorché  dal  popolo  direttamente  deriva.  Eh  oh  i  bei  tempi  che 
sarebbero  potuti  cominciare  per  l' Italia  se  avesi?e  saputo  usar 
bene  della  libertà  ben  conquistata  !  Ma  di  troppo  eterogenei 
elementi  era  composto  il  Comune.  Ristretto  in  prima  ai  soli 
proprietarj,  corpo  prisàlegiato  anche  sotto  la  servitù,  ben  pre- 
sto vi  s'  introdussero  i  mercadanti  e  i  dotti  e  i  magistrati. 
Da  poi  vi  s'  inchiusero  i  feudatarj  ,  che  vi  portarono  orgoglio 
di  razza  e  abito  di  comandare ,  e  di  non  sottoporsi  alle  leggi, 
ma  soltanto  alla  forza.  Costoro  ,  come  fece  Ezelino  ,  si  forti- 
ficavano nella  città  ,  al  modo  che  aveano  fatto  alla  campagna, 
e  continuavano  dagli  uni  agli  altri  le  nimicizie  ;  mentre  i  bor- 
ghesi ,  che  avevano  soltanto  domandato  quiete  e  sicurezza  , 
<c         volontieri  lasciavano    le  armi   e  le  magistrature    a    questi  si- 


i 


rrb  LEGA    LOMBARDA  Q 

gnori  ,  che  e'  erano  avezzi  e  ne  avevano  il  tempo  ,  e  che  spesso 
ne  traevano  occasione  di  soperchiare  e  tiraneggiare. 

Altrove  al  contrario  ne  prendeano  gelosia  ,  e  comincia- 
vano contese  da  classe  a  classe  ;  contese  che  si  estendevano 
anche  fuori  del  Comune  ;  laonde  1  nostri  volsero  in  sé  stessi 
le  armi  impugnate  contro  lo  straniero ,  né  prima  furono  li- 
beri che  nemici.  Già  durante  le  guerre  contro  Federico  ,  si 
combattevano  fra  loro  pei  diritti  e  per  le  ambizioni ,  stimolati 
anche  dai  Tedeschi ,  che  nelle  discordie  nostre  videro  sempre 
la  loro  salvezza  ;  e  per  toccare  dei  fatti  soltanto  ove  ebbe 
parte  Ezelino ,  esso  guidò  i  Trevisani  a  vincere  quei  da 
Céneda  :  quindici  anni  dopo  fu  rotto  e  vòlto  in  fuga  da  essi 
Trevisani  ,  sollecitati  a  danno  di  lui  dall'  imperatore.  Della 
qual  fuga  rinfacciato  da  alcuno  come  di  grave  onta,  rispose  : 
—  Meglio  è  si  de  a,  qui  fuggi  Ezeìino;  di  quello  che  qui 
E  zelino  fu  preso  o  morto  ». 

Ma  di  queste  fraterne  baruffe  avremo  a  piangere  in  que- 
sto scritto:  e  dopo  tanti  secoli  ne  piange  ancora  in  fatto  l'I- 
talia tutta. 

Ezelino  il  Balbo  nella  pace  di  Costanza  fa  espressamente 
ricevuto  dall'  imperatore  nella  pienezza  della  sua  grazia,  ri- 
mettendogli ogni  offesa.  Egli  generò  quattro  figliuoli.  Giovanni 
e  Gisla  vissero  ,  come  il  più  degli  uomini ,  senza  lasciare 
memoria  di  sé:  Cunizza  fu  moglie  a  Tisolino  da  Caraposan- 
piero  ,  famiglia  di  cui  tornerà  spesso  discorso  ;  e  in  testamento 
legò  ai  monaci  di  Campese  cento  lire  ,  più  un  cero  e  cenqua- 
ranta  soldi  d'oro  o  vogliam  dire  zecchini,  per  un'  anniversa- 
ria messa  solenne  ,  cento  soldi  da  distribuire  ai  chierici  e  po- 
veri che  v'assistessero  ,  ad  ogni  monaco  soldi  cinque  per 
messa  ,  e  due  per  uno  a  cinquanta  altri  sacerdoti. 

Ci  baderemo  di  più  sull'  altro  figlio  ,  Ezelino  anch'  egli , 
cognominato  poi  il  Monaco  quando  ,  sullo  scorcio  di  sua  vita, 
si  ritrasse  dal  mondo.  Menò  egli  quattro  mogli,  fiore  di  nobiltà, 
che  la  prima  fu  Agnese  dei  marchesi  d'Este,  morta  in  breve  so- 
pra parto  ;  la  seconda  ,  Speronella  figliuola  di  Delesmanno  e 
sorella  di  Delesmanino  ,  la  quale  somigliò  alle  famose  della 
Grecia  eroica. 

Allorché  Federico  I  avea  posto  a  governo  i  suoi  Tedeschi , 
V        sedeva  luogotenente    di  lui  in  Padova  un  tal  conte    Pngano  , 


rr-Q  CAPITOLO   PRIMO  ^    "TI 

esoso  ai  nobili  non  meno  che  a'  plebei.  Costui  pose  gli  occhi  ^ 
sovra  la  Speronella ,  giovinetta  di  appena  quattordici  anni  , 
ma  già  maritata  in  Giacobino  di  Carrara  "7.  Le  pose  gli  oc- 
chi addosso  ;  né  guari  andò  che  1'  ebbe  rapita  e  sposata.  I 
net  suoi,  giustamente  indignati  ch'ella  fosse  capitata  allo  straniero, 
al  tiranno,  al  rapitore,  macchinarono  contro  di  esso  con  quei 
molti  che  nella  Marca  fremevano  di  tale  dominio:  onde  venne 
stabilito  di  cacciare  ,  a  un  dato  giorno ,  tutti  quei  prepotenti 
stranieri. 
]i6t  I  Padovani  scelsero  la  vigilia  del  san  Giovanni,  giorno  di  fe- 

ghi-  stoso  concorso  ;  e  con  tale  pretesto  radunati,  come  parve  il  destro, 
^°'^*  diedero  nelle  armi  ;  toccarono  la  campana  a  martello  ,  suono 
terribile  che  più  volte  gli  Italiani  opposero  alle  trombe  dei  ti- 
ranni; e  insignoriti  della  città,  strinsero  d'assedio  Pagano.  S'era 
egli  ricoverato  nella  ròcca  di  Pendice,  posta  nei  colli  Euganei, 
fra  Torreglia  e  Teolo  sulla  cresta  merlata  d'un  nudo  scoglio, 
da  cui  ancora  le  sue  rovine  si  mostrano  minacciose  ai  riguar- 
danti. Quale  doveva  apparire  allorché  era  nido  del  prepotente 
e  prigione  di  generosi  ?  Pagano  ,  non  avendo  speranza  né  in 
proprie  forze,  né  in  alleati,  per  inespugnabile  che  fosse,  presto 
la  cedette  ai  Padovani,  che,  esultanti  della  ricuperata  libertà, 
decretarono  che,  in  memoria  del  fatto,  ogni  anno  si  festeggiasse 
quel  giorno,  e  tutti  a  fiori,  sporgendosene  gli  uni  agli  altri, 
corressero  cantando  lungo  1'  esultante  Medoaco.  ^ 

La  Speronella,  cui  non  dovea  gran  fatto  rincrescere  il  mutare 
di  marito,  fu  allora  legata  ad  uno  dei  Traversari:  e  poco  stante 
passò  a  Pietro  da  Zaussano;  col  quale  rimasta  tre  anni,  se  ne 
fuggi  ad  Ezelino  da  Romano,  che  la  sposò  per  bella  e  per  buona. 
Incontrò  che  questo  nuovo  sposo ,  condottosi  una  volta  a  Mon- 
selice  ed  ivi  accolto  con  ogni  maniera  di  miglior  cortesia  da 
Olderico  da  Fontana ,  come  ritornò  a  casa  non  sapeva  rifinire 
di  lodare  alla  moglie  l'accoglienza  ed  insieme  la  persona  del- 
l' ospite  suo,  e  le  maschie  bellezze  vedutegli  nel  bagno.  Scon- 
sigliato! La  mal  onesta  donna  ne  venne  in  tanto  desio,  che  per 
messaggi  fu  presto  intesa  con  Olderico,  e  còlto  il  tempo,  fuggi 


7  CoiTO|rp:o  l'anonimo  del  Cronico  Patavicino  colle  riflossioni  del  Brunacci, 
De  Facto  Marchia'. 

—  34  — 


EZELINO   IL    MONACO.    SPERONELLA 

da  Ezelino,  ed  in  Monselice  godette  della  mal  lodata  vigoria  del 
garzone. 

Avremo  in  questa  donna  un  tipo  dei  costumi  signorili  di 
allora,  quando  siasi  aggiunto  che,  dopo  cinquantun  anno  di  vita 
così  scostumata,  morendo  lasciò  legati  pii  a  quante  chiese  e 
spedali  dell'intorno  le  corsero  a  mente  nel  memore  giorno  ^. 

Perduta  la  donna  sua  senza  grande  rammarico,  Ezelino  pensò 
a  nuove  nozze.  Era  morto  di  quei  giorni  Manfredo  conte  di  Al- 
bano e  di  Baone,  il  maggior  ricco  dei  contorni  in  monte  o  in 
piano,  lasciando  di  sé  unica  erede  la  figlia  Cecilia  di  quattor- 
dici anni.  Come  questa  arrivò  ai  venti,  Spinabello  da  Landrigo 
tutore  di  lei  propose  a  Tisolino  da  Camposampiero  di  tirarsi  cosi 
lauta  dote  in  casa,  sposando  la  Cecilia  a  suo  figliuolo  Gerardo. 
La  proposta  die  pel  genio  a  Tisolino;  ma  volle  prima  averne 
parere  cogli  amici,  e  congiunti,  e  principalmente  con  Eze- 
lino Balbo  suocero  suo  ,  che  ancora  viveva.  Il  quale  ,  cono- 
scendo quanto  il  partito  riuscirebbe  vantaggioso  pel  proprio 
figliuolo  ,  abusò  della  confidenza  ,  e  prevenendo  il  genero  , 
mandò  promettere  a  Spinabello  più  grossa  ricompensa  qualora 
facesse  maritare  la  figlia  col  suo  Ezelino.  Come  detto  cosi 
fatto  ,  ed  essa  ,  con  grossa  scorta  condotta  a  Bassano  ,  venne 
solennemente  sposata  ad  Ezelino. 

Qual  dispetto  provassero  i  Camposampiero  del  danno  e  dello 
scorno,  voglio  lasciarvelo  pensare.  Legatesela  al  dito,  spiavano 
r  occasione  di  farne  vendetta  ;  e  la  fortuna  mandò  tempo  al 
loro  proposito.  Un  bel  giorno  la  sposa  cavalcava  con  poca  fa- 
Jiiiglia  a  visitare  non  so  che  poderi  sul  Padovano  e  salutare 
certi  parenti  suoi  :  ed  ecco  Gerardo  da  Camposampiero  le  si 
fa  incontro  ,  salutandola  benvenuta  ,  e  sotto  vista  di  far  onore 
alla  parente  ,  se  la  conduce  ne'  suoi  palazzi.  Come  quivi  l'ebbe 
in  potere,  l'oltraggiò  villanamente:  venuta  la  mattina,  chiamò 
il  più  creduto  fra  i  servitori  del  marito  di  essa,  e  mostratagli 
r  onta  fatta    alla    padrona,  —  Va  (gli  disse)    ed  annunzia  al 


8  In  esso  testamonlo  la  Sporondla  lascia  cento  lira  per  edificare  una  casa  ai 
poveri  sul  monle  della  Stufa.  Forse  fu  cosi  detto  perdio  v'  avesse  stanze  riscaldate 
col  vapore  delle  acque  termali  di  Albano',  celebri  in  antico  ,  poi  cadute  (juasi  in 
dimenticanza,  e  tornate  ora  in  tanta  riputazione. 


A 


JJ  .  -3r.  -  UL 


»  signor  tuo  che  l'ho  onorato  secondo  erano  degne  le  opere  sue: 
»  e  che,  qualora  perseveri  a  procedere  meco  di  simil  tenore,  se 
>  questa  volta  mi  sono  lordato  dell'  onor  suo,  un'altra  mi  la- 
»  vero  nel  suo  sangue.  »  E  cosi  gli  riconsegnò  la  contaminata. 

L' enorme  oltraggio  fu  radice  di  gravi  e  lunghi  mali  a 
tutta  la  Marca  per  le  nimicizie  inviperitesi  delle  due  famiglie. 
Ezelino  ripudiò  la  donna  ,  a  cui  però  il  fatto  clamoroso  non 
tolse  di  trovar  nuove  nozze  negli  Ziani  di  Venezia ,  poi  altre 
illustri  ;  si  poco  i  grandi  guardavano  pel  dilicato  in  simili  af- 
fari; ed  egli  cercò  sposa  Adelaide  dei  conti  di  Mangona  in 
Toscana ,  detti  i  conti  Rabbiosi.  Splendidissime  accoglienze  fu- 
rono fatte  in  Bassano  alla  sposa,  che  le  meritava  si  per  le 
famose  genti  ond'  era  stretta,  si  perchè  era  delle  più  avve- 
nenti donne  d'  allora,  si  ancora  pel  molto  sapere  suo.  Giacché 
ella  era  se  altri  mai  addottrinata  in  una  scienza  di  capitale 
pregio,  r  astrologia  giudiziaria:  ed  almanaccando  le  congiun- 
zioni, le  cose,  gì'  influssi  dei  pianeti  ,  seppe  esporre  in  versi 
alcune  profezie  ,  oscure  quanto  bastava  perchè  potessero ,  dopo  \ 
il  fatto ,  essere  trovate  veritiere.  Aggiungono  ancora  che  , 
avendo  co'  suoi  magisteri  indovinato  a  qual  fine  riuscirebbero 
i  suoi  figliuoli,  tal  crepacuore  ne  concepì  che  più  non  fu  ve- 
duta ridere. 

Questo  sia  detto  delle  mogli  d'  Ezélino  il  Monaco.  Quanto 
a  lui ,  r  encomiatore  suo  ?^laurisio  ce  lo  dà  come  stupenda- 
mente illustre  per  fatti  ,  prudenza  e  facondia  ;  pari  al  gran  ge- 
nitore in  costumatezza  e  senno  ,  superiore  in  eloquenza,  nella 
quale  ,  come  in  ricchezza  ,  sovrastava  a  quanti  viveano  allora. 
Era  il  tempo  che  i  Comuni  d'  Italia  ,  assicuratasi  la  libertà  , 
ponevano  ogni  ingegno  a  superarsi  a  vicenda  colle  guerre  e 
colle  ambizioni,  governandosi  non  secondo  la  scienza  delle  cose, 
della  quale  mancavano  affatto  ,  ma  secondo  l' impeto  popolare, 
le  fazioni  degli  oligarchi  ,  i  maneggi  del  clero  e  le  subdole  arti 
degli  imperatori.  Sebbene  per  patto  dichiarate  libere,  le  città 
non  si  credevano  sottratte  affatto  alla  supremazia  imperiale: 
e  gl'imperatori,  dicendo  estorti  per  forza  i  privilegi,  miravano 
di  continuo  a  cincischiarli.  Funesto  di  mezzo  fra  la  tirannide 
e  il  franco  stato:  nel  quale,  sotto  titolo  di  proteggere  i  di- 
ritti imperiali  0  di  abbatterli,  si  venivano  le  città  l'una  l'altra 
straziando. 

—  36  — 


Il  principio  religioso  che  qui  aveva  suo  centro,  chiamava  ) 

air  unità  tutte  le  parti  d' Italia  ;  ne  la  impedivano  la  bellezza  { 

e  la  ricchezaa  di  ciascuna,  Verun  conquistatore  vi  si  era    re-  ) 

so  preponderante  ,  come  aveano  fatto  i   Franchi   nelle    Gallie,  '; 

gli  Angli  0  i  Normandi  nella  Bretagna.  Nessuna   città  preva-  ì 

leva  a  tutte  le  altre;    ma  ogni  paese  era  fertile,    era   atto  al  ) 

commercio;  sentiva  di   poter    bastare  a  sé,  poter   aspirare  ad  l 

esser  capitale,  avendo  cittadini  intelligenti  e  coraggiosi,  e  mezzi  / 

a  riuscirvi.  Pertanto  la  nazionalità  degli  Italiani  e  restringeasi  ;> 

sulla  piccola  cerchia  del  nativo  paese  ;  Genova  non  sentiva  bi-  ■ 
sogno  a  ragioni    d'  unirsi  a  Napoli ,  né  Milano  chiedeva    cosa 
veruna  a  Firenze  o  a  Roma;  uno  era  parmigiano  o  fiorentino, 
collo  stesso  orgoglio  ond'  altri  è  tedesco  o  francese,  anzi    con 

quel  maggiore  affetto  che  si  professa  ad  una  patria  poco  estesa.  ; 

Solo  la  lunga  educazione  della  sventura    fa  conoscere    ed   ap-  ( 

prezzare  la  solidarietà  delle  nazioni ,   costituite  dalla  posizione  ) 

naturale,  dall'origine    comune,  dalla    storia,  dalla   favella.  I  ', 

pensatori    più    avanzati    del    tempo  che  descriviamo  non   con-  l 

cepivano    in    altro    modo    il    patriotismo;    e    Dante  stesso,  cui  > 

e  debitore  il  sentimento  nazionale  ,  non  lo  intendeva  in  modo  \ 

tanto    più  esteso   che   i   confini  della   signoria    toscana  ,    anzi  / 

fiorentina.  ) 

Pertanto  esistevano  le  une  accanto  alle  altre  una  quantità  ) 

di  forze  discordanti  :  ma  tutte  operose  ed  efficaci.  Sovra  tutto  * 
poi  si  ergevano  il  papato  e  l' impero  ;  e  i  fautori  di  quello  chia- 
mavansi  Guelfi,  e  di  questo  Ghibellini:  nomi  che  servirono  di 

pretesto  a  inimicizie  e  battaglie  ereditarie  :  e  che  in  fondo  rap-  ' 

presentano  le  idee  per  le  quali  oggi  ancora  si  combatte  o  al-  ) 

meno  si  dibatte  :  la  libertà  e  1'  indipendenza  d'  Italia.  ( 

Secondo  la  definizione   d'  un    caldo  Guelfo  d'allora,  Gio-  ) 

vanni  Villani  ,  «  quelli  che  si  chiamavano  Guelfi,  amavano  lo  ; 

»  stato  della    Chiesa  e  del  papa  :  e  quelli  che  si    chiamavano  ^ 

»  Ghibellini  amavano  lo  stato  dell'  imperio  e  favorivano  F  im-  ) 

»  peratore  e  suoi  seguaci  »;  e  nei  primi  prelaveva  il  desiderio  ; 

di  vendicarsi  della  dinastia  Sveva  liberticida,  e  vedere  la  fran-  s 

chezza  dei  Comuni  districarsi  da  ogni  legame  forestiero;  i  Ghi-  < 

bellini  credeano  che  questo  pretendere    ciascun    paese  alla  li-  ^' 
berta    senza    dipendere  da  un  paese    superiore  ,   recherebbe  a 

discordie,  le  quali  logorerebbero  gli  Italiani  colle  proprie  forze.  ') 

5n                ■                               -3,-  niB 

Ì^Jl^  ^^ 

Cantu  —  Ezelino.  3 


0 


Gli  uni  volevano  1'  indipendenza  dell'  Italia ,  e  die  potesse  a 
talento  ordinare  iproprj  governi;  gli  altri  aspiravano  all'unità,  { 
come  unico  modo  di  farla  concorde  entro ,  rispettata  fuori ,  do-  \ 
vesse  pure  scapitarne  la  fortuneggiante  libertà.  ( 

Erano  dunque  due  partiti  generosi,  e  con  aspetto  entrambi         \ 
di  equità  ,  sicché  sarebbe  difficile  il  risolvere  oggi    con    quale  > 

dei  due  stesse  la  maggior  ragione.  Tanto  più  difficile  a  chi  non  ] 

sappia  trasportarsi  in  quei  tempi ,  e  separare  il  principio  dall'uso  ) 
e  dall'abuso  fattone.  Gli  illustri  personaggi  che  si  infervoravano  ) 
del  sentimento  ghibellino  ,  o  erano  provisionati  degli  impera-  l 
tori"  come  Pier  dalle  Vigne  ,  o  idolatri  dell'  antichità  come  i  ) 
giureconsulti ,  o  trascinati  da  passione  come  Dante  ,  il  quale  ,  ) 
sbandito  da  città  guelfa  ,  si  fece  ragionato  propugnatore  della  J 
parte  avversa.  Eppure  nei  suo  libro  Della  Monarchia ,  ove  ,  ) 
senza  servilità  d'  animo,  assoda  la  più  sfrenata  tirannide,  bra-  \ 
ma  egli  bensì  che  1'  Italia  riducasi  sotto  un  imperatore,  ma 
vuol  che  questo  sieda  in  Roma.  Chi  più  ghibellino  del  Ma- 
chiavello? eppure  con  magnanimo  voto  conchiude  l'abomine- 
vole suo  libro.  D*  altra  parte  i  diritti  regj  intendevansi  allora 
ben  altrimenti  da  oggi ,  non  importando  meglio  che  una  supre- 
mazia, in  nulla  pregiudichevole  alle  particolari  libertà.  Pertanto 
i  Guelfi,  vagheggiando  la  teocrazia  in  terra,  mostraronsi  più  im- 
maginosi ,  probi  ed  utopisti  ;  i  Ghibellini  sentendo  che  le  so- 
cietà sono  fatte  per  uomini,  apparivano  più  reali  e  pratici:  lo  ■ 
spirito  democratico  dei  primi  pendea  verso  1'  indipendenza  in- 
dividuale e  lo  sregolamento  ;  1'  idea  ordinatrice  degli  altri  li 
portava  alla  forza  e  alla  tirannide  ,  ma  in  fondo  la  loro  è  la 
causa  stessa ,  la  stessa  divisione  che  appare  in  tutta  la  storia, 
e  che  oggi  ancora  avviva  gli  Italiani  pensanti  ,  fel)bricita  i 
turbolenti. 

È  natura  delle  sètte  di  svisare  il  più  onesto  scopo,  e  do- 
v'  era  la  ragione  mettere  il  torto  ,  o  abusandone  ,  o  esage- 
rando ,  o  traviando.  I  signori ,  che  i  perduti  diritti  ambivano 
ricuperare,  non  ne  vedeano  modo  che  coll'appoggiarsi  all'impe- 
ratore e  sostenere  le  pretendenze;  sempre  poi  amavano  meglio 
dipendere  da  esso  che  non  dai  borghesi ,  villani  rifatti ,  o  da 
un  frate  che  li  dirigeva.  Chiarivansi  dunque  Ghibellini,  istiga- 
vano r  imperatore  a  calare  in  Italia,  e  per  contrariare  al  papa 
furono  sin  veduti  favorire  agli  eretici.  J 


■ — b  GUELFI    E    GHIBELLINI 


^ 


Tutti  i  tentativi  di  generale  indipendenza  in  Italia  si  fe- 
cero in  nome  del  papa  ;  fosse  la  Lega  Lombarda  nelle  varie 
sue  fasi  ;  fosse  poi  la  Lega  Toscana ,  o  quella  che  vedremo 
contro  Ezelino.  ÌNIa  anche  nel  senso  dell'unità,  niun  altro  che 
il  papa  poteva ,  col  paragonar  la  Chiesa  universale  all'  impero  } 
romano  ,  concepire  una  vasta  unità  cattolica.  ( 

I  papi  grandemente  potevano  nella  bassa  Italia  per  l'alto  ( 
dominio  sopra  la  Sicilia;  nell'  alta,  pei  molti  che  vi  conserva-  ; 
vano  odio  agli  Svevi  ;  dappertutto  per  le  insinuazioni  del  clero  l 
e  massime  dei  frati,  motori  del  sentimento  e  guide  dell'  opi-  / 
nione  ,  la  quale  può  tutto  nei  governi  a  popolo.  L'imperatore  ) 
non  valeva  sulle  repubbliche  se  non  colla  forza  delle  armi  ,  \ 
giacché  non  è  facile  guadagnare  tutta  una  gente  ,  sempre  gè-  > 
Iosa  di  chi  possiede  1'  autorità  ;  al  pontefice  all'  incontro  non  > 
restava  che  1'  efficacia  della  persuasione.  Ma  poiché  anch'  egli  ì 
principiava  e  disponea  d'  eserciti  ,  e  spesso ,  come  uomo  ,  ab-  ) 
bandonavasi  a  private  passioni  ,  anche  i  Guelfi  sposavano  ta-  \ 
lora  una  causa  ,  non  perchè  giusta  e  giovevole  alla  libertà  ,  \ 
ma  perché  a  quella  aderiva  il  pontefice.  ^ 

Anche  uno  scrittore  ,  dalle  cui  opinioni  noi  dissentiamo  \ 
in  troppi  punti  ^  ,  dice  che  il  vero  partito  italiano  era  il  ) 
guelfo:  tedesco  il  ghibellino,  il  quale  perì  dacché  cessò  d' es-  ) 
sere  tedesco  e  feudale ,  e  si  risolse  in  tirannia  pura.  I  Guelfi 
professavano  un  principio  ideale  ;  i  Ghibellini  la  devozione  del- 
l'uomo  all'uomo.  I  Guelfi  erano  stretti  logici,  amanti  la  Chiesa 
finché  questa  amò  le  franchigie;  livellatori  che  bandivano  guer- 
ra ai  castelli,  pace  alle  capanne:  ma  poi  abbattuto  l'elemento 
militare,  per  amor  di  pace  urbana  vi  surrogarono  le  bande 
mercenarie ,  non  meno  funeste  e  tiranniche. 

ì\è  quelli  crediate  meri  nomi  di  fazione  ;  ma  aveano  Comune 
e  sindaci  proprj  ;  nascevasi  d'  un  tal  partito  ,  e  diserzione  pa- 
reva il  passare  ad  altro  ;  i  trattati  si  facevano  a  nome  della 
repubbhca  e  della  fazione:  a  Firenze  coi  beni  tolti  ai  Ghibel- 
lini espulsi  si  formò  una  borsa  particolare  onde  mantenere  e 
invigorire  la  parte  avversa  ,  e  un  magistrato  particolare  fu  po- 
sto ad  amministrare  questa    massa    (jiiclfa ,   eleggendosi  ogni 


{  ^  ìMicHKLET,  lìist.  de  Fianco,  III,  35.  .' 

\^P^  ^ ; -  '"  -  ^nl 


Q 


a  CAPITOLO    PRIMO 


due  mesi  tre  capi  ,  con  un  consiglio  secreto  di  quattordici 
membri  ed  un  gran  consiglio  di  sessanta,  tre  priori,  un  teso- 
riere, un  accusatore  de'  Ghibellini  ;  consorzio  regolare  e  perma- 
nente, armato  e  ricco,  che  si  sostenne  quanto  la  repubblica. 

Molti  però  erano  Guelfi  o  Ghibellini  per  abitudine  ,  per 
esempio  ,  per  eredità  ,  per  emulazione  ;  o  per  potere  ,  sotto 
r  ombra  del  trono  o  della  tiara  ,  acquistarsi  il  favore  di  una 
fazione  ,  grandeggiare  ,  soperchiare. 

Tardi  mutaronsi  in  nomi  vani  senza  soggetto;  e  uomini  e 
città  li  cangiavano  dalla  state  al  verno  ,  e  ne  fecero  pretesto 
di  rancori  privati  e  di  battaglie,  sbranandosi  fra  sé  finché  riu- 
scissero all'  ultimo  conforto  degli  stolti,  il  servaggio  di  tutti. 

Dei  Ghibellini  nella  Marca  Trevisana  stava  a  capo  Ezelino: 
i  Guelfi  v'  erano  denominati  marcheschi  perchè  seguitavano  i 
marchesi  d'  Este  :  e  teneano  vivo  il  fuoco  della  disunione  con 
piccole  guerre  ,  piccole  paci  ,  non  distinte  una  dall'  altra  se 
non  dalla  diversità  dei  nomi  e  dei  luoghi,  né  efficaci  ad  altro 
che  ad  indebolire  il  paese.  La  più  tenue  cagione  metteva  rissa 
fra  gli  uni  e  gli  altri  :  e  tosto  le  campane  toccano  ad  accor- 
r'uomo;  tutti  ,  dai  diciotto  ai  sessant' anni ,  prendere  le  armi, 
chiudere  le  case  e  le  botteghe  ,  serragliare  gli  sbocchi  delle 
vie  :  delle  contrade  ,  le  piazze ,  i  fortificati  palazzi  bagnansi  di 
sangue  :  una  parte  ne  va  col  capo  rotto  ,  costretta  ad  abban- 
donare la  città  in  balia  de'  vincitori  ,  che,  nell'  insolenza  della 
vittoria  ,  diroccano  torri  e  palazzi  ;  più  a  scherni  che  a  barba- 
rie strapazzano  i  prigionieri;  intimano  il  bando  ai  vinti,  e  in- 
nalzano a  Dio  ringraziamenti  per  aver  ucciso  maggior  numero 
di  fratelli. 

I  vinti  riparavano  in  paese  ove  la  loro  fazione  avesse  il 
sopravvento  :  e  colà  rinnovate  le  speranze  si  pel  numero  cre- 
scente e  deliberato  ad  ogni  estremo  ,  come  sogliono  i  fuoru- 
sciti ,  si  per  la  negligenza  subentrata  ne'  vittoriosi  dopo  il  pri- 
mo bollore  ,  sì  per  le  intelligenze  conservate  in  paese  ,  piom- 
bano armati  sovra  la  patria  ,  devastano  i  campi ,  rompono  gli 
argini ,  sviano  le  acque  dai  mulini ,  tagliano  i  ponti  ;  il  sac- 
cheggio comincia  le  ostiUtà  ,  le  finisce  una  battaglia  'o. 


^0    II  6  aprile  1189  i  Comuni  di  Solagna  ,   Proveda,   Sannazzaro,  Cismone, 
G  -  -IO  -  D- 


GUERRE    INTESTir^E 


In  questa  non  cercare  1'  ordine  con  cui  1'  odierno  incivi- 
limento ridusse  a  insigne  maestria  l'arte  dell'ammazzarsi.  Tutto 
operava  il  valor  personale ,  acquistato  e  nudrito  in  frequenti 
esercizj  ginnastici,  nelle  giostre,  nelle  gualdane  ,  nelle  briglie 
private.  Si  fa  dunque  giornata:  i  fuorusciti  vincono ,  assalgono 
la  città ,  ed  alla  volta  loro  rincacciano  i  nemici ,  diroccano  abi- 
tazioni ,  cantano  a  Dio  lodiamo.  Frati  e  vescovi  sovente  s' in- 
tromettevano a  queste  izze  come  apostoli  di  pace  ,  strappando 
di  mano  le  spade  fratricide  :  altre  volte ,  cangiato  il  pastorale 
nella  spada,  1'  apostolato  in  grido  di  guerra,  aizzavano  gli  ac- 
caniti ,  e  facevano  pii^i  sanguinose  e  fiere  le  stragi  ^i:  il  papa 
cogli  anatemi  maledicendo  una  parte  ,  incorava  1'  altra  a  gua- 
dagnarsi il  paradiso  collo  sterminarla:  — Poveriltaliani ,  quanto 
sangue  prezioso  fu  sparso  !  Torrenti  di  lagrime  lo  bagnarono 
poi,  ma  senza  lavarne  la  macchia,  o  scontarne  la  maledizione. 
Fra  il  tramestio  delle  parti ,  cinque  famiglie  singolarmente 
grandeggiavano  nella  Marca. 

Già  nominammo  i  signori  Estensi,  padroni  di  Gavello,  del 
Polesine  di  Rovigo,  di  Este,  Montagnana  ,  Badia  ed  altre  no- 
bili terre  ,  e  assai  potenti  nella  jNIarca  di  Verona  ,  oltre  i  lar- 
ghissimi tenimenti  sul  Bresciano,  il  Cremonese,  il  Parmigiano, 
la  Lunigiana  ,  il  Modenese  ;  il  Piacentino  ;  e  fin  verso  Tortona 
si  spingevano  a  confinare  coi  INIarchesi  del  Monferrato. 

I  Sanbonifazio  ,  ricchi  ed  autorevoli,  continuavano  ad  inti- 
tolarsi conti  di  Verona,  sebbene  più  non  vi  conservassero  om- 
bra dell'  autorità  che  v'  aveano  esercitato  i  padri  loro  avanti 
che  la  città  si  affrancasse  :  tenevano  la  parte  guelfa  contro  i 
/lontecclii  ghibellini  ,  i  quali  dominavano  le  colline  che  ancor 
ne  portano  il  nome. 


Canipose,  Villa  doli' ospodal  dol  Tempio,  giurnrnno  fedeltà  a' Vicentini ,  promet- 
tendo di  non  entrare  in  trama  per  guastare  i  membri  o  la  vita  ai  consoli  di  Vi- 
cenza ,  e  sapendola  ,  palesarla  :  non  tagliar  viti,  olivi ,  alberi  domestici,  nò  bruciar 
case;  né  tirare  con  mangano,  trabocliello,  prederia,  balista,  arco  :  né  portare  spa- 
da 0  ferro  fraudolento  nelle  città  e  noi  borgbi  :  non  aiutar  ad  ammazzare  un  uo- 
mo ,  purché  non  sia  uno  sbandito  ,  ecc.,  ecc. 

11  Giordano  da  Clivio,  arcivescovo  di  Milano,  nel  1110  convocò  innanzi  a 
Sani'  Ambrogio  il  popolo ,  e  fattosi  sulla  porta  ,  intimò  che  starebbero  chiusi  i 
tempi  7  sospesi  i  sacramenti  lintantochè  non  l'osse  dichiarata  guerra  a  morte  ai 
Comaschi. 


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,    -in  CAPITOLO    PRIMI)  Q" 

LU  ^ -.^_.^_-_^_^ 

)  Terzi  conteremo  i  signori  di  Camino,  gran  possidenti   nel 

)        Trevisano,  ed  ora  in  lotta  or  in  lega  con  Conegliano  e  Céneda. 
\  Seguono  i  Camposarapiero  ,  famiglia  tedesca  ,    venuta  giù 

(  coir  imperatore  Enrico  il  Santo  ,  e  che  prese  il  nome  dal  ca- 
;  stello  che  fabbricò  presso  un'  antica  chiesa  di  san  Pietro ,  at- 
)  torno  al  1025,  nel  territorio  di  cui  era  infeudata,  un  dieci  mi- 
glia a  settentrione  di  Padova,  e  divenne  famosa  per  valentia 
di  braccio  e  per  vasti  dominj  nel  Padovano  e  nella  Marca  di 
Treviso ,  della  quale  ebbe  1'  avogaria  ,  cioè  di  esser  assistente 
al  vescovo  nelle  funzioni  di  Conte.  Poco  .valeano  ancora  quei 
dì  Carrara ,  destinati  a  ingrandirsi  al  decader  degli  altri  ;  ma 
pii^i  famosi  erano  quei  di  Romano  ,  che  vedremo  soverchiare 
gli  altri  ,  e  da  ultimo  rimanere  soverchiati. 

Versando  nel  più  vivo  di  tali  dissidj  ,  Ezelino  il  Monaco 
ne  profitta  per  acquistare  dominio  sulle  città  della  Marca.  Pri- 
mieramente procurò  farsi  tiranno  di  Treviso,  ma  scoperto,  n'ebbe 
il  bando.  In  Verona  si  rese  potente  coli'  offrirsi  capo  alla  fa- 
zione de'  Montecchi ,  in  odio  agli  Estensi  e  ai  Sanbonifazio.  In 
Vicenza,  volta  a  soqquadro  dalle  parti  de'  Maltraversi  e  dei 
Vivaresi ,  capitanò  quest'  ultimi  finche  in  onta  sua  eletto  un 
podestà  della  fazione  contraria  ,  si  udì  intimare  lo  sfratto.  E 
quantunque  ,  fiancheggiato  anche  dal  vescovo  ,  corresse  alle 
armi  e  funestasse  di  sangue  e  d'  incendj  la  bella  città  e  le  be- 
riche  pendici,  pure,  respinto,  dovette  rimanersene  fuori.  Si 
precipitò  egli  allora  sopra  Bassano  e  i  dintorni,  ch'eransì  messi 
ad  obbedienza  dei  Alcentini  ,  ma  che  desiderando  sottrarsene, 
favorirono  Ezelino,  il  quale  li  tenne  sotto  la  protezione  de'Pado- 
vani  ;  e  protezione  allora  come  adesso ,  significava  signoria. 

Questi  servigi  davano  ad  Ezelino  molta  influenza  in  Padova, 
ma  per  quanti  ordigni  aguzzasse,  non  riusci  ad  ottenervi  giu- 
stizia dell'affronto  recatogli  nella  sua  donna  dai  Camposampiero  : 
che  anzi  questi,  essendosi  congiunti  cogli  Estensi,  trionfarono 
dell'emulo.  Animata  da  essi,  la  Lega  Lombarda  citò  in  Mantova 
1194 Ezelino  a  restituire  Bassano  a  Vicenza;  ma  egli  co' Padovani, 
non  ponendo  mente  alla  Lega,  menò  i  prodi  Bassanesi  a  scon- 
figgere i  Vicentini.  Se  non  che  questi,  alleati  coi  Veronesi,  lo 
ridussero  a  posar  le  armi,  dare  statico  il  proprio  figliuolo,  e 
riconsegnare  Bassano  ai  Vicentini.  Poco  andò  che  l'ebbe  ricu- 
perato, ma  i  nemici  prevalsi  costrinsero  i  Padovani  a  correre         ) 

— 12  —  n — 1 


m 

devastando  i  poderi  degli  Ezelini,  e  assalito  il  castello  di  Onara, 
metterlo  affatto  al  nulla,  quasi  per  annichilar  con  esso  la  famiglia  ^^^^ 
che  ne  traeva  il  titolo. 

Di    più  in    più  se   ne    invelenivano   gli  sdegni;  irreposata 
agonia  di  Ezelino  divenne  il  vendicarsi  dei  Camposampiero,   e 
vi  riusci  collo  scorno  e  col  sangue.  Tisone  Novello,  di   questa 
famiglia,  possedeva,  unitamente  a  sua  sorella  Maria,  il  Castello 
di  Campreto,  posto  vicino  di  Loregia  sul  confine  del  Padovano 
col  Trevisano,  e  in  ogni  guisa  soverchiava  la  sorella,  la  quale,         \ 
desiderando  vendicarsene  e  sottrarsi  all'ingrata  soggezione,  né 
valendole  il  diritto,  deUberò  consegnare  la  persona  e  le  ragioni 
sue  ad  Ezelmo.  Accolse  egli,  pensate  con  qual  contento,   l'oc- 
casione; ed  avutala  a  sua   posta,   n'ebbe   una   figlia    Adelasia. 
Occupato  quindi  coll'armi  il  castello,  ottenne  dai  messi  imperiali 
una  sentenza  che  ne  aggiudicava  a  lui  la  proprietà;  indi,  non 
sazio  dell'oltraggio  fatto  col  tenersi  una  donna  di  tal  condizione, 
diede  voce  di  aver  cólta  la  Maria  in  fallo  con  uno  di  più  che         ! 
bassa  mano,  e  cosi  la  rimandò  scornata.    Una  parte   e    l'altra         ' 
ricorse  alle  spade,  e  prendendovi  impegno  i  parenti   e   i   ligi, 
dicono  si  trovassero  in  piedi  ottantamila  armati.   Capiglie,    di-         ) 
struzioni,  i  soUti  modi  della  guerra  durarono  a  lungo,  fiu  quando         \ 
s'interpose  Gerardo  vescovo  di  Padova,  e  li   rappaciò.   Diremo         ) 
meglio  :  gittò  un  poco  di  cenere  sui  tizzoni,  che  a  breve  andare         j 
divamparono  ancora  ;  giacché  in  prima  s'ebbe  a  piatire  sulle  con-         j 
dizioni  mal  osservate,  indi  si  ricorse  agU  assassinj.  Eccovi  il  fatto.         > 

Una  festa,  splendida  oltre  l'usato,  era  bandita  in  Venezia,         ì 
la  città  libera,   che,   fra   il   deplorabile   trambusto   dell'Italia,  ( 

sicura  e  possente  riposava  nelle  sue  lagune,  spingendo  il  guardo         ) 
verso  l'Asia  o  per  riceverne  le  tributarie  ricchezze  o  per  re-         ) 
prirnerne  le  miuaccie.  Le  feste  v'erano  ed  un  avvedimento  del 
Governo    che   voleva   addormentare   il  popolo  sovra  i  rapitigli 
diritti,  e  un'arte  de' mercadanti  per  attirarvi  gente  a  vendere, 
a  comprare,  a  scialare.  D'ogni  parte  vi  soleva  accorrere  popolo 
e  baronia,  facendo  ognuno  a  gara  quel  maggiore  sfoggi  di  lusso 
che  potesse.  Alla  festa  che  dicemmo  non  volle  mancare  Ezelino  12  e, 
e  seco  gran  treno  di  famigli  e   undici  cavalieri,   divisati   tutti 
ad  una  foggia,  e  senza  altro  divario  da  lui  se  non   clie   quelli         ^ 
portavano  mantelli  federati  con  preziosi  vaj  di   Schiavonia,  ed  ) 

egli  con  ermellino.  Passeggiavano   tutti   insieme    sulla   piazza,  ; 


13  — 


jEL. 
I □  CAPITOLO    TRIMO 

«^  —  -      -  - 

\  non  ancora  si  stupenda,  di  San  Marco,  quando  alcuni  scherani 

;  gli  assalgono,  e  credendo  trucidare  Ezelino,  colgono  in  sua  vece 

<  uno  de'  suoi  seguaci.  Era  opera  del  Marchese  e  di  Gerardo  da 
/  Camposampiero,  che  mai  non  distolse  l'occhio  dalla  vendetta; 
S  insidiò  più  volte  ad  Ezelino  ;  due  giorni  interi  appiattato  attese 
(  un  costui  fedele  per  trucidarlo,  e  nel  proprio  castello  tremava 
/  e  minacciciva. 

)  Sbuffante   ira  e    vendetta,   Ezelino  tornò    a'  suoi   poderi; 

)  né  gli  tardò  occasione  di  ripagarsi.  Perocché  i  Montecchi, 
)   1207  scacciati    di  A^erona   dal   marchese   d'Este,   che  se  n'era  reso 

\  podestà  ed  aveva  stretta  lega  coi  Sambonifazio,  ebbero  ricorso 

S  ad  Ezelino:  egli  in  Bassano  raccozzò  gente  assai,  si  diede  mano 

col  potentissimo  Salinguerra  da  Ferrara,  ed  assalita  Verona, 
;  ne  snidò  il  marchese  e  tornò  in  fiore  la  parte  ghibellina  si 
)  colà,  sì  a  Ferrara,  di  cui  prese  il  dominio  a  vicenda  con  Sa- 
■  linguerra.  L'  Estense  allora  che  fa?  Da  Lombardia,  da  Romagna, 
dal  Veronese,  prmcipalmente  da  Mantova,  raccoglie  sforzo  di 
gente,  e  venuto  segretissimo  sopra  Verona,  il  giorno  di  san  Mi- 
/  chele  v'entra  prima  che  se  n'intenda;  lunga  e  dura  battaglia 
',         si  combatte  per  le  vie;  in  fine  i  Montecchi  sono  respinti,  e  le 

<  case  e  i  poderi  loro  arsi  e  devastati. 

(  Rolandino    aggiunge    che    Ezelino    cadde    prigioniero    del 

S  Marchese,  e  sì  egli,  sì  le  dame  e  i  cavalieri  veronesi  ebbero 
(  leale  trattamento  e  furono  amorevolmente  rimandati.  Tanta 
/  generosità  in  uno  che  poc'anzi  non  isdegnava  scendere  fino 
\         all'assassinio,  era  suggerita,  se  pur  è   vera,   dalle  leggi  della 

cavalleria,  la  quale  dichiarava  infamia  l' incrudelire  sui  vinti. 
\  Ho  detto,  se  è  vera:  giacché  altri  storici  taciono  o  negano  il 
j  fatto,  e,  se  guardiamo  al  seguito,  pare  a  ragione.  Perocché 
(  tosto  dopo  ritroviamo  Ezelino  ancora  in  armi,  che  con  grossa 
flotta  va  a  soccorrere  di  cibi  i  Montecchi,  chiusi  nel  castello 
(U  Garda  dal  Marchese;  ma  invano,  giacché  questi  ebbe  in  ogni 
(  parte  la  meglio,  e  perseguitò  per  tutto  il  paese  Ezelino  ed  i 
•  suoi.  Alla  riscossa  questi  recava  ai  nemici  ed  al  paese  il  maggior 
\  guasto  che  sapesse,  con  qual  danno  delle  arti,  dell'agricoltura, 
)         del  quieto  vivere,  é  facile  immaginarlo. 

j  In  questo  mezzo  Ottone  IV,  imperatore  di  Germania  dopo 

(  che  un  opportuno  assassinio  ebbe  tolto  di  mezzo  l'emulo  suo 
^         Filippo,  calava  in  Italia  per  farsi  a  Roma  incoronare,  e  ricevere        } 


...,  se  questa  volta  mi  son  lordato  dell'onor  suo,  un'altra  mi  laverò  nel  suo  sangue. 
E  cosi  gli  riconsegnò  la  contaminata.  ^'^^-  ^-  ^^^'     * 


k 


EZELINO    IL    MONACO    E    GLI    ESTENSI 


l'omaggio  dalle  città  e  dai  baroni.  Fermatosi  ad  Orsanica  del 
Veronese,  gli  venne  udito  che  Azzo  d'Este  ed  Ezelino  stavano 
in  violenta  discordia. 

Questo  Azzo  aveva  sposato  Alisia,  figliuola  di  Rinaldo  12  prin- 
cipe d'Antiochia,  per  la  quale  diveniva  cognato  di  Mannello 
Commeno  imperatore  di  Costantinopoli  e  di  Bela  re  d'Ungheria. 
Ma  più  vantaggioso  gli  era  stato  il  precedente  matrimonio  con 
Marchesella  degli  Adelardi,  famiglia  potentissima  in  Ferrara, 
coll'aiuto  della  quale  erasi  acquistato  potenza  tale  in  questa 
città  che,  doma  la  fazione  ghibellina  guidata  da  Salinguerra, 
era  riuscito  a  farsi  nominare  signore  dei  Ferraresi  con  diritto 
di  fare  il  giusto  e  l'ingiusto  (cosi  impazziscono  i  popoli  nello 
sprecare  la  libertà)  e  di  legarsi  un  successore  ;  primo  esempio,  1208 
troppo  imitato,  di  città  italiana  legatasi  a  signoria  d'un  solo, 
e  fonte  prima  di  quelle  divisioni  che  im.pedirono  all'Italia  d'aver 
mai  più  uniformità  di  leggi  ed  unità  di  Stato.  Con  Salinguerra  ( 
esercitava  dunque  il  Marchese  continua  lotta,  ed  ultimamente  ) 
aveva  veduto,  per  opera  di  quello,  espulsi  da  Ferrara  i  suoi  ^ 
partigiani;  onde  esso  Marchese,  che  accingevasi  ad  irrompere  ( 

sovra  Bassano  per  combattere  Ezelino,  dovette  accorrere  a  ( 
Vicenza  per  confermarsela  in  fede.  Inseguito  da  Ezelino,  era  stato  ( 
costretto  a  retrocedere,  ma  tenevansi  tutti  coll'armi  in  pugno  } 

e  anelanti  sangue. 

Inteso  di  ciò,  Ottone  mandò  ad  Ezelino  che,  cessata  ogni  j 
guerra,  venisse  a  lui.  Oljbedi  questi,  e  ne  fu  accolto  con  ono-  ) 
ranza  straordinaria:  ebbe  una  tenda  più  magnifica  delle  altre  i 
e  accosto  a  quella  dell'imperatore;  cavalcava  sempre  a  fianco  1209  | 
di  questo,  e  n'era  con  somma  dimestichezza  trattato.  A  quel 
campo  venne  pure  il  marchese  d'Este,  accolto  con  ogni  maniera 
di  cortesie;  se  Ezelino  era  il  più  caldeggiante  per  la  parte 
imperiale,  Azzo  era  parente  dello  istesso  Ottone  ^^.  Mentre 
un  giorno  stavano  entrambi  in  presenza  dell'augusto,   Ezelino 


1^  Fu  nel  1204:  0  di  qui  cominciò  il  nome  di  Rinaldo,- propagalo  nella  famiglia 
estense,  e  elio  il  Tasso,  por  ispirilo  d'adulazione,  portò  indielro  lino  alla  prima 
crociala. 

^3  Discendevano  entrambi  da  Azzo  II  niarclieso,  stipile  dei  Guelfi  italiani 
e  tedeschi. 


,0  •  —  15  — 


CAPITOLO    PRIMO  U    i— i 

) 

si  alzò,  ed  espose  i  torti  che  aveva  dall'altro  ricevuti,  esibendo  ì 

provarne  la  verità  colla  punta  della  spada.   Il  re  allora  tanto  \ 

riuscì  a  calmarli:  ma  il  domani  sopraggiunse  Salinguerra  con  > 

cento  cavalieri,   e   invece  di  procedere  difilato  alla  tenda  im-  ì 

periale,  passò  innanzi  a  quella  del  marchese,    per   mortificare  ) 

collo  sfoggio  di  tanta  pompa  il  discendente  di   quegli   Alberto  ) 

ed  Obizzo,  che,  quando   a   VenezLa,   nel   1177,  si   maneggiava  ì 

la  pace  fra  Alessandro  papa  e  Federico   I,    vi  erano   comparsi  ) 

con    180  persone    di   seguito,  comitiva  che  nessuno  eguaglia-  ) 

va  14,   Poi    esso   Salinguerra,  venuto  a'  piedi  di  Ottone,   recitò  J 

querela  contro  l'Estense:  qui  entrarono  in  parole,  dalle  parole  f 

alle  sfide,  onde,  non  che  tutta  l'autorità  di  Ottone,  ma  vi  vollero  ] 

S         le  armi  de'  suoi  per  tenerli  in  freno.  ) 

J                 Poco  dopo  cavalcava  il  Tedesco  a  diporto  fra  Ezelino  ed  > 

>         il  marchese,   e   bramoso   di    metter  joace  fra  quegli  iracondi,  l 

\         voltosi  ad  Ezelino    in   lingua   romanza    gli    disse:    Sir    Ycelin,  j 

)         salutem  li  Marcliès.  \ 

S                Ed  Ezelino,  trattosi  il  cappuccio,  disse  :  Signor  Marchese,  ( 

ì         Dio  vi  salvi.  > 

^                 Cui  il  marchese,  senza  scoprir  il  capo,  rispose:   Dio  salvi  i 

\         voi  pure.  ) 

/                 Allora   Ottone,    voltosi    al    marchese.  Sire  Marchcs,  gli  \ 

^         disse,  salutem   Ycelin;  e  quegli  a  testa  coperta  (il  suo    grado  ( 
\         lo  comportava)  proferi:  Dio    vi  salvi:    e  l'altro  scoprendosi: 
/         Così  voi. 

)  Indi  nel  camminare  venuti  ad  un  angusto  valico,  il  re  trottò 

(  innanzi  ,  essi  rimasero  indietro  a  fianco  un  dell'altro;  e  per 
,'  due  migha  ragionaronsi  tanto  amicamente ,  che  al  Tedesco 
\  nacque  sospetto  non  gli  macchinassero  qualche  tiro;  si  poco 
/         contava  sulla  loro  lealtà.  Quando  però  li  richiese  di  che    cosa 


1*  Raccomando  ai  romanzieri  una  cronaca,  verace  o  no  ma  curiosa,  dove 
sono  divisato  UUtc  le  persone  che  intervennero  a  quel  famoso  congresso  :  vescovi 
d'ogni  paese,  con  40,  60,  100  uomini  di  seguilo;  i  signoroni,  i  podestà:  Ezeiino 
con  30  uomini;  nove  capitanei  di  Treviso  con  43,  e  soggiunge  il  cronista:  de 
zascuna  citade  de  Lombardia  e  de  la  Marca  ve  fo  catani  e  j)Osst'nli  hoinciii,  lo 
nome  e  lo  numero  deli  quali  non  saveno.  Suma  lo  numero  delle  persone  numerade 
e  i  50  principali  nnminadi  per  nome,  in  /ut/o   homeni  6590.   Vedi    Ulmo,    lUst.  ( 

della  venula  a  Veiielia  occuUamcute  nel  1177  di  papa  Alessandro  ìli,  ecc.,  ecc.,  Ve-  } 

nezia  1629.  } 


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[TTU  IL    CASTELLO    d'aMORE 

avessero  favellato  ,  essi ,  vero  o  no  ,  replicarono  aver  rincorsa 
r  antica  loro  amicizia ,  e  come  esso  re  fosse  tra  gli  uomini  il 
più  mansueto  e  virtuoso  ,  ma  insieme  all'  uopo  il  più  austero 
e  tremendo. 

Cosi  egli  ottenne  che  i  due  gran  nemici  si  rappattumassero, 
e  ne  esigette  il  giuramento.  Debole  argine  a  sbrigliate  pas- 
sioni. 

Lo  stesso  Imperatore  fece  da  Azzo  d'  Este  rilasciare  i  pri- 
gioni ,  punire  i  malevoli  di  Ezelino  ,  e  questo  nominò  podestà 
di  Vicenza.  Il  quale  entratovi  in  signoria  ,  bandì  perdono  ai 
molti  avversari  che  v'  aveva  :  ma  come  con  ciò  ebbe  tratti 
nella  rete  i  creduli  ,  perfidamente  gli  imprigionò  :  quelli  che 
scamparono  furono  ben  presto  sulle  armi ,  e  la  pace  conciliata 
dall'  imperatore  tornò  in  fumo. 

Poi  esso  Ezelino  ebbe  da  questi  il  governo  di  Bassano  ,  1211 
primo  passo  alla  futura  potenza  ;  ed  altri  favori  ancora  ,  sin- 
golarmente dopo  che  gli  si  fu  chiarito  nemico  il  papa  ,  per  cui 
istigazione  le  città  lombarde  quasi  tutte ,  ed  Azzo  estense  si 
voltarono  contro  l'Impero.  Giovandosi  di  queste  defezioni,  Eze- 
lino montava  sempre  più  alto:  massime  dacché  i  due  suoi  grandi 
emuH  ,  il  conte  Sambonifazio  e  il  marchese  di  Este  ,  perirono 
d'  immatura  morte  ,  lasciando  la  loro  fazione  sotto  capi  ine-  nor.  ) 
sperti.  Onde  Ezelino  di  vittoria  in  vittoria,  non  curando  le  sco- 
muniche del  papa  ,  domò  i  nemici  e  dettò  la  pace. 

Pace  come  le  altre  ,  d'  efimera  durata.  Che  in  quegli  ani- 
mi turbolenti  la  minima  cagione  bastava  a  rinnovar  le  risse  , 
come  una  minutissima  favilla  dà  il  volo  alla  mina  preparata.  Di 
quei  giorni  i  Fiorentini  indissero  guerra  ai  Pisani  per  un  ca- 
gnuolo  promesso  e  non  dato  al  loro  ambasciadore  ^^;  ed  ai 
Pistojesi,  perchè  sur  una  ròcca  aveano  poste  due  mani  di  mar- 
mo ,  che  faceano  atto  di  sfregio  verso  la  loro  città;  a  tutti  è 
nota,  pel  poema  del  Tassoni  ,  la  guerra  tra  Bolognesi  e  Mo- 
denesi a  cagione  d'una  seccliia.  Un  accidente  di  poco  più  seria 
importanza  ridestò  a  battaglie  la  ]\Iarca. 

I  Trevisani  avevano  preparato  una  di  quelle  feste  ,  tanto 
splendide  perchè  rare  ,  in  cui  allora  si  piacevano  gli  Italiani , 


E 


'S  G.  ViLLAN,  I,ib.  VI,  Cai).  2. 
n  .  -  47  - 


& 


CAPITOLO    PRIMO 


1214  quanto  oggi  dei  quotidiani  teatri.  V'erano  stati  invitati  molti 
cavalieri  e  borgliesi  di  Padova  ,  e  le  dodici  donne  più  belle  , 
più  nobili  ,  più  sporte  ai  giuochi ,  che  fossero  in  questa  città. 
Le  quali  furono  chiuse  entro  un  castello ,  colle  serventi  e  da- 
migelle loro ,  acciocché  le  difendessero  dall'  assalto  degli  uo- 
mini. Era  il  castello  di  legno  ,  munito  con  vaj ,  grigi ,  ermel- 
lini ,  zendali ,  porpore  ,  sciamiti ,  scarlati ,  baldacchini  ;  corone 
d'oro,  crisoliti,  giacinti,  topazi,  smeraldi  ornavano  ed  insieme 
difendevano  dai  projettili  le  teste  delle  donne.  E  i  projettili  de- 
gli assalitori  erano  poma  ,  datteri  ,  pere  ,  muscati ,  frittelle  ; 
un'  amabile  varietà  di  gigli  e  viole,  poi  oricanni  di  balsamo 
e  d'  acque  nanfe ,  ambra  ,  canfora  ,  cinamomo. 

Da  Venezia  ,  da  Padova,  dal  Friuli  trassero  i  giovani  al- 
legri e  volenterosi  all'  incruenta  tenzone,  ciascuno  sotto  lo 
stendardo  del  proprio  Comune.  Qui ,  a  prova  gii  uni  degli  al- 
tri ,  con  tempesta  di  doni ,  con  molli  parole  e  scoccando  baci, 
tentavano  rimuovere  le  belle  guerriere  dalla  difesa  :  ma  era 
nulla.  I  Veneziani  ,  gente  di  traffici ,  indovinarono  come  far 
breccia  ;  ed  ammanendo  un  arma  ,  che  troppo  spesso  vince  , 
non  che  le  Danai  ,  ma  anche  la  maschile  costanza ,  comincia- 
rono a  saettar  fra  esse  dei  lampanti  zecchini.  AH'  inaspettata 
pioggia  si  leva  un  oìi  di  meraviglia  ,  e  si  suscita  un'avidità  di 
ghermirne  il  più  che  ciascuna  potesse  :  al  che  intente,  le  belle 
si  tolsero  dalla  difesa. 

E  già  il  gonfalone  di  San  ^Nlarco  s'avanzava  sicuro  per  es- 
sere piantato  sugli  spaldi  del  castello  d'  amore  ;  quando  i  Pa- 
dovani ,  stizziti  dell'  altrui  trionfo ,  e  non  accorgendosi  con  quali 
arte  fosse  conquistato  ,  s'  accalcano  anch'  essi  verso  la  porta 
per  montare  i  primi.  Qui  urto  ,  ressa  ,  scompiglio  :  dalla  baja 
si  passa  al  serio  ;  comincia  grave  baruffa  ,  tanto  che  i  Pado- 
vani mettono  a  brani  il  vessillo  di  San  Marco.  Non  mi  chie- 
dete quanto  se  lo  recassero  ad  onta  i  Veneziani  ;  e  si  lu  ad 
un  punto  di  venire  ivi  stesso  a  sanguinosa  battaglia.  Per  al- 
lora si  sospesero  le  ire  :  ma  tornatisi  alle  case  ,  Padova  e  Ve- 
nezia presero  interesse  comune  alla  briga  di  que'  pochi  citta- 
dini ;  dichiararonsi  guerra,  e  occupata  Torre  delle  Bebbe  fra 
Chioggia  e  Cavarzere  ,  cominciarono  come  Napoleone  dall'  im- 
pedire il  commercio  ,  poi  furono  a  guastare  il  territorio  e  le 
navi  con  ruberie  e  rappresaglie  ;    tinche  Padova  conoscendosi 

-  48  -  D- 


rr-^n  IL    CASTELLO    D  AMORE  LI    'ri 

m  [jj 


ineguale  alla  sposa  dell'  Adriatico  ,  chiese  pace.  Il  veneto  se- 
nato la  consentì  ;  patto  che  fossero  dati  in  balìa  del  doge  ven- 
ticinque fra  i  giovani ,  che  nella  festa  aveano  oltraggiato  lo 
stendardo  del  leone.  I  quaU  giovani,  anzi  che  patire  danno  né 
vergogna  di  sorta,  furono  con  cortesia  ricevuti,  e  rimandati 
senz'  altro  in  hbertà.  Ma  secondo  i  bizzarri  usi  del  tempo,  fu- 
rono condannati  i  Padovani  a  dovere  ogni  anno  mandare  a 
"\'enezia  ,  in  determinato  giorno  ,  trenta  galline  i^. 

Questo  rito  continuò  quanto  la  repubblica  :  e  il  giorno  che 
le  galline  padovane  arrivavano  ,  era  una  baldoria  per  Venezia, 
accorrendo  un  mondo  di  gente  a  veder  lasciarle  in  libertà ,  e 
tutti  i  Nane  e  i  Zaneti ,  e  le  Zanze  e  le  Nine  'di  Castello  o  di 
San  Nicolò,  dietro  esse  a  cacciarle  per  le  cale,  pei  campieti, 
e  prenderne  allegria  e  sollazzo. 

Oggi  le  feste  di  Venezia  sono  finite  ! 

Anche  a  questa  guerra  prese  parte  Ezelino  :  ma  doveva 
da  tante  commozioni  trovarsi  stancato.  Lo  perchè  ,  bramando 
quella  pace  che  viene  così  dolce  e  desideralnle  quando  il  giorno  ^ 
il  giorno  della  vita  volge  a  sera,  fermò  ricoverarsi  in  un  sa- 
cro ritiro.  Stile  di  molti  in  quell'  età,  che,  vissuti  braveggiando 
e  furfantando  ,  allo  scorcio  di  loro  vita  si  ritiravano  in  mona- 
steri a  dare  a  Dio  gli  ultimi  anni,  e  porre  un  intervallo  fra 
i  tumulti  del  mondo  e  la  misteriosa  quiete  del  sepolcro.  L'  età 
sapiente  ,  in  nome  della  libertà  ,  proscrisse  cotesti  ricoveri  delle 
anime  stanche  o  dei  cuori  tribolati  ;  la  società  non  sa  che  farne 
di  gente  che  prega  per  chi  non  prega  ;  ma  se  voi  avete  os- 
servato i  pugnali  dei  briganti  sospesi  alle  Madonne  di  Roma  , 
forse  diverrete  più  tolleranti  per  quelle  superstizioni,  contro 
cui  r  epigramma  e  lo  spirito  forte  sono  così  facili  che  ces- 
sano d' essere  generosi  ,  così  volgari  che  cessano  d'  essere 
arguti. 

Ezelino,  chiesta  ed  avuta  licenza  dal  papa,  in  Ohero , 
villaggio  del  Accentino  di  là  del  Brenta,  sei  miglia  presso  Bas- 
sano  ,  si  ridusse  in  una  casa  dei  Benedettini  di  Campese,  già  da 


16  Chioirgia  ajuiò  i  Veneziani  in  quella  guerra;  lo  perchè  fu  assolta  da  un 
tribulo  (li  galline  che  ogn'  anno  portava  [al  doge ,  e  autorizzata  a  eleggersi  un 
proprio  podestà. 


i 

sta 


gira — _„ ^ EH^ 


□  CAPITOLO    PRIMO 

lui  lautamente  dotata,  ed  ivi  trasse  il  resto  de'  suoi  giorni  in 
atti  di  pietà  ;  sicché  molti  di  quelli  che  l'avevano  bestemmiato 
micidiale  e  quando  in  armi,  l'avranno  benedetto  o  gli  avranno 
perdonato  sotto  la  nera  tonaca.  Forse  la  Casa  di  Romano  potea 
sperare  la  gloria  d'  un  santo  ,  come  già  1'  aveva  1'  emula  fa- 
miglia di  Camposampiero  i"^  ;  ma  Ezelino  col  comando  non 
avea  deposto  1'  orgoglio  della  personalità  ,  né  concepita  quel- 
r  abnegazione  di  se  stesso  che  per  un  monaco  è  la  prima  virtù, 
e  virtù  grande  per  chiunque  vuol  vivere  bene  col  prossimo  : 
e  cessato  d'  armeggiare,  si  intrigò  di  opinioni  teologiche  e  die' 
nell'  eresia ,  tanto  che  fu  scomunicato  dal  papa. 

Ivi  morì  poi  verso  il  1235  ;  e  lasciò  di  sé  tre  femmine  e 
due  maschi.  Da  Cecilia  di  Baone  ebbe  Agnese  ,  che  sposata  nei 
Guidetti,  partorì  un  Giovanni  e  un  Ansedisio,  il  quale  trove- 
remo ministro  e  consigliere  dello  zio.  Da  Adelaide  gli  nacquero 
Palma  Novella,  sposata  ad  Alberto  di  Baone:  Emilia  od  Imia, 
fatta  moglie  di  Albertino  de'  Conti  governatore  della  Venezia, 
la  quale  dovette  aver  a  fare  coll'uffizio  dell'Inquisizione,  giac- 
ché questo,  dopo  morta,  ne  confiscò  i  beni;  Sofia,  maritata 
con  Enrico  di  Egna ,  poi  col  famoso  Salinguerra  :  seguono 
Cunizza,  Ezelino  ed  Alberico,  sui  quali  lungo  sarà  il  nostro 
parlare. 


D 


^7    11  beato  Crescenzio  ,    clie  fondò  il  nionaslcro  di  Santa  Cecilia  in  Padova 
e  la  cliicsa  di  San  Luca. 


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rBrP  -  50  -  n. 


--NE^ 


CAPITOLO    IL 


PRIMA  ETÀ'  DI  EZELI^"0 


E  quella  fronte  ch'ha  '1  pel  cosi  nero 
è  Azzolino. 

Dante.  Inf.,  12. 
Necis  procrnosticus  ventrem  lev.is 
cruentus  infons,  fronte  crudeli  niinax; 
terribili  visu,  atroxque  portentiim  indicans. 
Mussato,  Ecelinis. 


a  tale  schiatta  uscito,  Ezelino  III  sovra  gli  altri 
acquistò  infelice  rinomanza.  Nacque  egli  ai 
16  dell'aprile  1194:  e  per  dire  qui  l'abito  del 
corpo  suo,  fu  di  mezzano  taglio,  nero,  peloso, 
grosso  il  capo  ,  denti  acuti  ,  capelli  tiranti  al 
rosso ,  occhi  piccoli  e  vivi ,  aspetto  terribile  e 
fiero  ,  e  sopra  il  gran  naso  aquilino  gh  spuntava  una  lunga 
setola  che,  qualora  montasse  in  collera,  si  rizzava  ^:  negli 
atti  composto  ed  elegante,  dolce  nel  conversare,  facile  dicitore 
quanto  verun  altro  del  suo  tempo. 

I  primi  anni  versò  tra  quelle  guerre  o  ladronaje  fraterne, 
che  doveano  alimentare    in    suo    cuore  1'  inclinazione    feroce. 


1 

\ 


1  Benvenuto  da.  Imola.  Comiiicnli  a  Dante. 

—  51  — 


CAPITOLO    II. 

Sotto  SUO  padre  fece  i  primi  passi  nella  carriera-  del  sangue: 
e  fin  quando  nel  1213  questi  combatteva  il  forte  d'Este,  egli, 
che  allora  chiamavasi  Ezelinello,  ebbe  a  comandare  soldati  col- 
letizj  delle  parti  di  Bassano  e  di  Pedemonte  ,  e  già  (dice  Ro- 
landino)  mostrava  non  comune  finezza  d' ingegno  coli'  ado- 
prarsi  fra'  coetanei  suoi  ad  inventar  certi  ingegni  da  scagliare 
pietre  -.  Sciagurato  tirocinio  in  una  guerra  dove  era  ordine 
^  di  mettere  a  ferro  e  a  fuoco  il  paese  ,  non  altrimenti  che  se 
j  fosse  terra  di  Saraceni.  Poi  nel  1220  assalendo  i  Vicentini, 
{  ne  tirò  agli  agguati  l'esercito,  triplo,  e  lo  svolse  in  isbaratto; 
l  riempi  di  illustri  prigionieri  le  carceri  di  Bassano  ,  e  ottenuti 
}  larghi  patti ,  entrò  in  Vicenza  trionfante  ,  rimettendovi  in  es- 
l         sere  la  sua  fazione. 

(  Quando  poi  il  padre  si  ritirò  quasi  rinunciando  al  mondo, 

f  Ezelino  ed  Alberico  ereditarono  da  lui  vastissimi  possedimenti, 
\  un  nome  illustre  ,  la  capitananza  d'una  fazione,  esempi  di  va- 
^  lore,  di  perfidia  ,  di  vita,  di  generosità,  1'  emulazione  dei  po- 
i  tentati  vicini ,  un  odio  a  morte  contro  i  Camposampiero  e 
\  l'ambizione  di  signoreggiare  estesamente;  e  il  giovane  Ezelino 
)  fu  inteso  esclamare  che  voleva  fare  in  Lombardia  imprese 
i  tali,  da  non  essersene  udite  le  pari  da  Carlomagno  in  poi  ^ 
(  Con  animo  siffatto  non  era  a  credere  potesse  durare  in  con- 
^  cordia  e  in  parità  col  fratello  ;  presto  furono  a  dissensioni,  per 
\  accomodare  le  quali  Ezzelino  il  monaco  ,  padre  di  loro,  uscito 
J  dal  suo  ritiro  spartì  in  due  porzioni  i  beni,  diede  ad  ognuno 
{  quello  che  la  sorte  gli  attribuì,  obbligandoli  assegnare  a  cia- 
'  scuna  delle  figlie  tremila  lire  di  dote,  e  tramandare  quei  beni 
j  in  perpetuo  fedecoraesso  ai  maschi  loro. 
\  Nessuno  di  questi  dovea  goderne. 

/  Così  r  uno  dall'  altro  indipendenti,  cominciarono  a  correre 


^M 


entrambi  una  via,  la  quale  li  menò  ben  altrove  che  là  dove  spe- 
ravano. Tosto  si  avventarono  tra  le  fazioni ,  che  teneano  vivo 
neo-li  Italiani  l'odio  fraterno,  e  negli  stranieri  la  speranza  d'in- 
fiacchirli e  domarli  ,  come  riuscirono.  Il  campo  dove  queste 
allora  si  esercitavano  era  Ferrara.  Copiosa  d'  ogni  bene,  dalle 


2  ROLANDINO,  L.   1,  e.  12. 

3  CORTLSII  JJisloiia  ,  e.  6. 


pi 


Passeggiavano  tutti  insieme  sulla  piazza,  non  ancora  si  stupenda,  di  San  Marco 
quando  alcuni  scherani  gli  assalgono Cap.  I.  Pag.  43. 


FERRARA 


città  vicine  e  dal  mare  traeva  abbondanza  di  vettovaglie;  per 
le  bocche  del  Po  le  arrivavano  navi  (narra  un  cronista)  cariche 
fino  al  sommo  dell'  albero  di  mercanzie  d'  ogni  lido.  Senza  che 
andasse  a  Ravenna  od  a  Venezia  a  cercare  che  le  fosse  me- 
stieri ,  ogni  anno  ,  nel  prato  del  Comune  presso  al  Po,  si  te- 
nevano due  fiere ,  cui  dall'  Italia  e  dalla  Gallia  moltissimi  trae- 
vano ,  e  moltissimi  guadagnavano  mercatando.  Si  lauto  poi  era 
il  fisco  che  ,  soddisfatto  ad  ogni  spesa  del  Comune  ,  rimaneva 
che  spartire  fra  i  cittadini  in  ragione  del  censo. 

Questa  larghezza  andò  guasta  allorché  i  Veneziani ,  con- 
siderandosi padroni  dell'Adriatico  ,  che  il  loro  doge  sposava , 
pretesero  che  tutti  i  legni  dovessero  approdare  ai  porti  ve- 
neti ;  lo  perchè  chiusero  le  foci  del  Po  ,  cagione  di  dissìdi  e 
di  guerre  i. 

Cosi  il  cronista:  cui  vogliamo  accoppiare  un  altro  cittadino 
suo  ,  che  descrive    gli  usi  d' Italia.  «  Ai  tempi  di  Federico  II 
(che  son  pur  quelli  del  nostro  Ezelino)  rozzi  erano  i  costumi; 
gli  uomini  portavano    in    capo  mitre   di  squame    ferree  cucite 
ai  berretti ,  che  chiamavano  inaiate.  A  cena  marito  e    moglie 
mangiavano  dallo  stesso  piattello:  non  usavano  a  mensa    col- 
telli ;  non  più  di  uno  o  due  bicchieri  avevano  in  casa  :  di  notte 
cenando  ,  illuminavano  il  desco  con  lucerne  o  fiaccole  ,  soste- 
nute da  un  ragazzo  ,  non  conoscendo  candele  di  sego  o  di  ce- 
ra. Gli  uomini  vestivano  di  pelliccie  senz'  altro  sopra,  o  di  lana 
senza  peli  ,  con  fascia  di  pignolato  5,  Le  donne ,  tuniche  pure 
di  pignolato,  anche  quando  andavano  a  marito.  E  degli  uni  e 
delle  altre  rozze  erano  le  portature;  oro  ed  argento  nessuno  o 
ben  raro  sulle  vesti  ;  parco  il  vitto  :  i  plebei  tre  volte  la  setti- 
mana mangiavano  carne  fresca  :  a  pranzo  verdure  cotte   colle 
carni;  a  cenai  rilievi  di  carne  rifredda:  non  tutti  bevevano  vino 
l'estate  :  piccole  le  cantine,  né  vasti  i  granai;  con  poco  denaro 
credevansi  ricchi.  Con  iscarsa  dote  si  maritavano  le    ragazze  , 
perché  l'addobbarle  costava  ben  poco:  le  fanciulle  in  casa  erano 
contente  di  una    sottana  di  pignolato  e  d'una    secca   di  lino; 
il  capo  non  ornavano  preziosamente ,  ragazze  fossero  o   mari- 


'*  VJiroiura  parva  fonar irmis  )  Rrrum  hai.  Srrijif.   Vili. 
•■5  Tessuto  (li  lino  e  canapa. 

_G  •  -  "'3  - 

Cantu  —  EzeUnt. 


tate;  ma  le  maritate  bendavano  le  tempie  e  le  guance  con  lar- 
ghe fascinole.  Gli  uomini  non  si  davano  vanto  che  di  armi  e 
di  cavalli  ;  i  nobili  ricchi  dell'  aver  torri  6. 

Dicemmo  come  in  Ferrara  fosse  montato  in  domini  come  Azzo  ') 
d'Este,  il  quale,  oltre  il  marchesato  da  cui  s'intitolava,  possedeva  ) 
ISIontagnana  ,  Badia  ,  Rovigo  ,  il  Polesine  meridionale ,  la  Gar-  ) 
fagnana,  ed  il  favore  di  tutti  i  Guelfi.  Vivo  ed  assennato  ca-  ( 
pitano  di  questi  fu  Azzolino  ,  suo  giovane  figliuolo  e  succes-  / 
sore  ;  ma  il  Salinguerra  ,  capo  de'  Ghibellini ,  gli  fu  addosso  e  ) 
Io  cacciò  di  Ferrara.  Il  marchese ,  per  vendicarsi ,  raccolti  amici  \ 
d'  ogni  parte,  accampò  sotto  la  città  presso  al  Po.  Salinguer-  > 
ra,  non  credendosi  bastevole  per  resistere  ,  si  volse  all'  in-  ( 
ganno ,  e  fece  intendere  al  Marchece  che  esso  poteva  entrar  / 
sicuro  in  città  per  trattare  della  concordia.  Quegli  ,  credente  ) 
come  sogliono  essere  i  giovani ,  venne  con  cento  de'  suoi  più  ( 
fidati  :  ma  1'  astuto  ,  cogliendo  di  que'  pretesti  che  non  man-  ,■ 
(  cano  mai  ,  come  a  dire  prepotenza  nel  togliersi  il  vitto  ,  ar-  ) 
'  roganza  di  risposte ,  disturbo  delle  cavalcature  ,  fece  toccare  ^ 
a  stormo  ,  e  addosso  ai  Guelfi.  De'  quali  i  più  ,  fatto  nodo,  si  / 
camparono  a  viva  forza  ;  altri  restarono  morti  ;  Tisolino  da  ^ 
Camposampiero  ,  arrestato  per  via  da  contadini,  vendette  ca-  \ 
rissimo  la  vita  :  giovine  di  splendide  speranze  ,  compianto  per 
tutta  la  Marca  Veronese  ,  e  dallo  stesso  Salinguerra  onorato 
di  splendide  esequie. 

Ma  un'  esequie  di  stragi  gli  preparava  il  suo  amico  Az- 
zolino d'  Este  ,  che,  a  vendetta  dell'inganno,  tornò  con  grosse 
i22òarmi  sopra  Ferrara,  Eppure  anche  questa  volta  Salinguerra  , 
con  parole  scaltrite,  trasse  in  città  Rizzardo  da  Sambonifazio, 
uno  de'  più  prodi  alleati  del  suo  nemico  e  ve  lo  tenne  prigione. 
Per  lo  che  Azzolino  ,  stremato  di  forze  e  di  coraggio ,  si  tolse 
giù  dall'  impresa,  e  voltosi  contro  il  castello  della  Fratta,  che 
Salinguerra  avea  edificato  sul  confine  dei  domini  estensi ,  usò 
le  peggiori  crudeltà  su  persone  d'  ogni  sesso,  di  ogni  età,  per 
espiazione  dell'  assassinio  commesso.  Così  ,  che  che  delirino  i 
capi  ,  il  popolo  sofl're. 

Ad  Ezelino  ,  cognato    suo  ,     riferi  tutti  questi  casi  Salin- 


L 


6    r.iroi  A    r.n.  Ferra rcsr. 


guerra  ,  e  la  slealtà  del  Marchese  ,  provata  anche  al  giusto 
giudizio  di  Dio  che  lo  rese  perdente  :  il  caso  della  Fratta  e 
r  enorme  uccisione  d'  uomini  ,  donne  ,  fanciulli  inermi  ,  chie- 
denti mercè  ;  crudeltà ,  diceva  ,  quale  non  si  userebbe  con 
Giudei  né  con  Saraceni  ;  e  lo  esortava  a  consigliarlo  su  che  con- 
venisse fare. 

Ezelino  abitava  il  più  a  Bassano,  dove  aveva  eretta  la 
maestosa  torre  che  grandeggia  in  mezzo  alla  città  ,  e  che  al- 
lora restava  presso  una  porta  della  mura  ;  lo  che  aveasi  per 
gran  segno  di  potenza.  Ivi  appunto  ricevette  la  lettera,  e  cosi 
vi  rispose  : 

«  Al  sapiente  uomo  signor  Salinguerra,  padron  suo  reve- 
»  rendo  a  tutti  i  mortali  ,  Ezelino  da  Romano  sommesso  e  fe- 
»  dele  amico  suo  ,  salute  e  gloria  e  trionfo  de'  nemici. 

•<  A  due  cose  deve  sopratutto  intender  ì'  uomo  in  questa 
»  vita  ;  ciò  sono ,  serbar  fede  agli  amici  e  vivere  con  onoran- 
»  za.  Per  queste  cause  appunto  io  mi  sento  indissolubilmente 
»  con  voi  legato  ,  in  modo  da  mettere  agli  affari  vostri  non 
»  minor  premura  che  a'  miei  propri.  Inteso  eh'  ebbi  1'  ecci- 
»  dio  della  Fratta  ,  più  non  provai  bene  ,  né  pace  di  me  ;  < 
»  ed  allegrezza  sincera  non  proverò  fintanto  che  non  mi  venga  ! 
»  fatto  di  toglier  vendetta  del  danno  e  del  sangue.  E  da  pu-  ^ 
»  sili  anime  il  trasmodare  nel  dolore  per  le  avversità:  anzi  il  ( 
»  cuor  vostro  si  conforti,  ed  io  con  voi,  che,  Dio  conceden-  ■ 

j         »  te  ,  non  volgerà  intero  un  anno,  senza  che  facciamo  opera 

»  di  trafiggere  d'  acute    punte    i  nostri  nemici  e  'balzarli  nel         ( 
)         proprio  precipizio.  »  ''. 

)  Spiando  luogo  e  tempo  alla  vendetta  ,  lì  trovarono.  I  Ret- 

l         tori  della  Lega  Lombarda  ,  intesi  a  conciliare  in  pace    quegli  1226   \ 

)  animi  efferati  ,    aveano  indotto  Salinguerra  a  rimettere  in  li-         i 

berta  il  conte  Rizzardo.  Ma  era  appena  tornato  a  Verona,  che         '^ 

(         i  Montecchi  ,  istigati   da  Salinguerra  e  da  Ezelino    stesso,    lo 

S         respinsero  di  città  ,  sacclieggiando  le  case  di  lui  e  de'  suoi.  E         ^ 

^         però  Rizzardo  invocò  l'Estense,  col  quale,  raccozzato  un  grosso         ^ 

di  soldati,  cavalcò  all'improvviso  la  città.- 1  Montecchi   in  di-         5 

ligenza  ne  mandarono  avviso  ad  Ezelino,  il  quale ,  avidamente         ) 


CAPITOLO    II. 

abbracciando  1'  opportunità  di  romperla  col  Sambonifazio,  cavò 
la  spada  e  ne  buttò  via  il  fodero.  Somma  confidenza  riponeva 
egli  nel  valore  de'  Bassanesi,  tanto  che  a  petto  loro  giudicava 
gli  altri  Italiani  poco  meno  che  femminette.  Chiamati  senza  in- 
dugio alle  armi  quanti  potè  ,  per  disastrosissimo  cammino  at- 
traversando la  Yalcamonica,  con  palajuoli  innanzi  che  spianas- 
sero e  colmassero  ,  fra  ghiacci  e  nevi  arrivò  improvvisissimo 
addosso  ai  nemici.  Come  i  Veronesi  lo  videro  comparire , 
forti  d'animo,  gridarono:  — All'armi,  all'armi,  è  qua  il  ca- 
valier  Ezelino  »,  e  gliene  affidarono  il  comando.  Si  fé'  giornata,  e 
dopo  lungo  ondeggiare  ,  la  fortuna  si  pronunziò  per  Ezelino. 
Il  Marchese  ritiratosi ,  e  chiesti  in  aiuto  i  Mantovani ,  tornò  , 
ma  fu  vinto  ancora  :  Verona  tripudiò  per  1'  oppressione  de'  fi- 
gli suoi  ,  e  coir  esaltare  Ezelino  fino  ad  eleggerlo  podestà',  gli 
lastricò  il  cammino  alla  tirannia. 

Queste  ire  si  perpetuavano  nel  nostro  paese  per  ambi- 
zioni personali,  e  per  una  politica  gentilesca,  nutrita  dall'am- 
mirazione della  Roma  antica.  La  feudalità  avea  bensì  miglio- 
rato i  signori ,  ispirando  il  sentimento  della  dignità  personale 
o  della  famiglia  ;  ma  insieme  infondeva  mania  del  primeggiare, 
intolleranza  d'  ogni  freno  ,  assoluta  confidenza  nella  spada. 
Vennero  poi  le  repubbliche,  le  quali  migliorarono  anche  il 
popolo  ,  traendolo  fuor  dei  piccoli  interessi  ,  a  vivere  la  vita 
comune  ,  a  conoscere  delle  leggi  ,  de'  trattati ,  delle  ammini- 
strazioni pubbliche,  ad  allargare  la  propria  esistenza  quanto  il 
circolo  della  patria ,  e  voler  mostrarsi  bene  in  faccia  ai  con- 
cittadini. Mirabile  era  il  disinteresse  ,  tanto  che  que'  Ferraresi 
di  cui  vedemmo  la  rozzezza,  si  lamentavano  di  non  essere  tas- 
sati abbastanza  per  la  patria  ^. 

Quanto  poi  è  spettacolo  inusato  a  noi  cotesto  perpetuo 
movimento  di  ire  e  di  battaglie  ,  altrettanto  è  la  devozione 
che  mitigava  quella  fierezza.  Davanti  agli  eserciti  era  tratto  il 
carroccio  ,  sul  quale  grandeggiava  il  Crocifisso,  nò  si  sarebbe 
rotto  guerra  o  mischiato  battaglia  senza  prima  invocare  lo 
Spirito  Santo  ,  e  celebrare  la  messa  sul  sacro  carro.  Avanti  la 


^1 


^  Chr.  Ferrar. ,  pair.  453.  ? 

Di 


G-  qJil 


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raia— — ™&[E] 

PROSPERAMENTO    DELLE    REPUBBLICHE  ni 

battaglia  «  che  fece    1'  Arbia    colorata   in  rosso  »,  le  città  di 
Lucca  ,  Pisa  ,  Siena  si  consacrarono  alla  Madonna. 

I  micidj  fraterni  erano  dunque  fatti  meno  atroci  pe' senti- 
menti che  vi  si  univano;  meno  penosi  perchè  generati  dapas 
sione  e  da  convinzione  ;  e  perciò  ben  lontani  dall'  uccider  le 
anime  ,  dal  gettare  in  queir  avvilimento  a  cui  ci  ridusse  il 
lungo  riposo  di  secoli  imbelli.  Vorrei  quelli  paragonare  a  una  ) 
bufera  che  devasta  le  campagne  e  schianta  le  case  ,  poi  la-  J 
scia  rifiorire  ogni  cosa;  questo  all'aria  metifica,  che  senza  j 
lamenti ,  quasi  senza  dolore  ,  sfibra  i  corpi ,  e  ad  una  vita  di  j 
ì         marasmo  fa  seguire  una  morte  anticipata.  ) 

}  Anche  dal  poco  che  dicemmo,  quanto  vigore   non  appare        '^ 

(  in  queste  repubblichette  !  Poi  nell'  interno  ciascuna  edificava  / 
mura  ,  un  palazzo  del  Comune,  una  cattedrale;  logge  ove  adu- 
narsi a  discorrere  ,  broletti  ove  il  popolo  tutto  discutesse  gli 
affari  della  patria  ;  canali  che  agevolassero  il  commercio  e 
prosperassero  1'  agricoltura.  In  Milano  nel  1157  si  spesero  in 
fabbriche  50  mila  marche  d'  argento,  che  al  conto  del  Giulini, 
tornerebbero  20  milioni  di  franchi.  Il  naviglio  grande ,  che  per 
30  miglia  conduce  le  acque  del  Ticino  a  irrigare  le  pianure 
ad  occidente  di  quella  città  ,  fu  intrapreso  nel  1179  ,  indi  nel 
1257  ridotto  abbastanza  largo  da  portar  navi  ;  primo  esempio 
in  Europa  di  canali  artefatti,  ^'el  tempo  stesso  cingevasi  alla 
città  una  mura  con  sei  porte  di  marmo,  e  nel  1228  delibera- 
vasi  di  edificare  il  broletto  ,  ove  disporre  tutti  gli  uffizi.  I  Ge- 
novesi nel  1226  al  1285  compirono  le  due  belle  darsene  e  la 
grande  muraglia  molo  ;  nel  95  il  magnifico  acquedotto.  Di  quei 
tempi  i  Modenesi  tolsero  a  rifabbricare  San  Geminiano  (1106); 
scavarono  il  Panarello  nuovo  (1159)  e  il  canal  Chiaro;  eres- 
sero la  torre  della  cattedrale  ,  il  palazzo  del  Comune  ,  la  rin- 
ghiera ;  spaziarono,  selciarono,  fognarono  le  vie  e  i  porticati. 
Lucca  dilatò  la  sua  cerchia  nel  1260.  In  Reggio  dal  1229  al 
1244  si  fece  la  mura  per  3300  braccia  ,  e  uomini  e  donne  , 
piccoli  e  gramU  ,  rustici  e  cittadini  venivano  portando  sassi, 
sabbia  ,  calcina.  Brescia  ampliava  le  mura,  fabbricava  le  chiese, 
e  i  monasteri  di  San  Barnaba ,  San  Francesco ,  San  Domenico , 
San  Giovan  Battista  ;  finiva  il  broletto  ,  dilatava  la  piazza  del 
duomo,  conduceva  tre  canali  dal  ^Niella  e  dal  Chiese  per  gli  opi- 
ficj,  a  cura  del  vescovo  Bernardo  Maggi.  Tutte  le  città  allarga- 


D. 


-H^S 


rrb  CAPITOLO  ir.  ^   ni 

reno  le  mura,  sicché  cinsero  anche  cattedrali,  che  prima  stavano 
fuori;  tutte  si  abbellirono,  massimamente  chiese,  ove  col  pio  zelo 
accordavasi  l'amor  cittadino ,  considerando  il  tempio  come  la  più 
nobile  e  sensibile  immagine  della  patria.  Insomma,  girate  tutta 
Italia  ,  e  domandate  ai  palagi ,  alle  cattedrali,  Chi  vi  ha  eretto? 
e  tutte  risponderanno  ,  La  libertà.  E  ognuna  aveva  alle  porte 
signori  minacciosi,  e  vicino  altre  città  di  egual  floridezza,  ep- 
pure compirono  imprese  quali  neppur  Venezia  e  Firenze  dopa 
che  dominavano  estesissimo  territorio. 

Aggiungete    quelle    splendide    feste ,  di  cui    avemmo  già 
qualche  saggio,  e  che,  anch'  esse  manifestavano  il  sentimento 
del  viver  comune  ,  attesoché  al  riso  e  al  pianto  ,  alle  esequie 
e  alle  nozze  si  volea  partecipassero  tutti,  mentre  oggi  si  rac-    • 
chiudono  nelle  pareti  domestiche  e  le  gioje  e  i  dolori. 

Invece  dunque  di  bestemmiare  la  libertà  d'allora,  ingrati 
ai  beni  ch'essa  ci  trasmise ,  noi  affermiamo  che  i  guai  venissero 
dal  non  esser  ella  compiuta.  Il  popolo  s'accontentò  di  assicu- 
rarsi esistenza  civile  e  cooperazione  ai  pubblici  affari  ;  né  mai 
pensò  (quel  popolo  della  cui  fierezza  non  si  rifina  di  dire)  a 
decollare  i  primitivi  gaudenti  colla  ghigliottina  ,  come  la  filo- 
sofica Francia  nel  1793,  o  a  scannarli  come  la  serva  Gallizia 
nel  1846.  I  precedenti  possessori  erano  chiamati  ad  accasarsi 
in  città  ,  ma  quivi  essi  mal  sofi"rivano  di  trovarsi  spodestati , 
e  fomentavano  passioni  ,  e  consigliavano  secondo  l' interesse 
proprio  ,  non  secondo  il  pubblico  bene.  Il  governo  pertanto  ri- 
maneva un'  oligarchia  ;  univa  cioè  gli  sconci  della  libertà  e 
quelli  della  tirannide,  con  dominanti  superbi  verso  gl'inferiori, 
ligi  al  superiore:  ogni  città  obbediva,  od  almeno  seguitava  un 
signore  ,  il  quale  poteva  tutto;  gli  altri  gentiluomini ,  sprezzando 
il  popolo,  eppure  non  potendo  mostrarsi  vigorosi  in  faccia  a 
questo,  brigavano  il  favore  del  potente  come  riparo,  come  glo- 
ria. Di  qui  moltiplicate  le  fazioni  ,  incerti  i  consigli  ,  deboli  le 
risoluzioni ,  e  il  ben  pubblico  immolato  al  particolare.  Tanto  è 
faticoso  il  rigenerare  una  nazione  !  Che  se  que'  padri  nostri , 
ondeggianti  ancora  fra  un'  antichità  di  odi,  di  contrasti  ,  di 
guerra  ,  e  un  avvenire  di  ordine ,  di  quiete  ,  d'  amore  ;  senza 
pratica  dei  sistemi  fondati  sulla  cospirazione  degli  interessi  e 
dei  poteri;  agognanti  pace  ,  giustizia,  francliigie,  e  non  cono- 
scendone le  vie,  in  una  libertà  senza  guarentigie,  ove  si  spe- 

^ -- ^ 


f° 


I  PAPI  n 

rimeritavano  tutte  le  costituzioni ,  dove  il  popolo ,  volendo  in- 
tervenire personalmente  agli  affari,  portava  nelle  assemblee  le 
avarizie  ,  le  invidie  ,  le  ambizioni  ,  ogni  passione  del  privato  : 
se  ,  dico ,  peccarono  spesso  ,  abbiam  diritto  di  tirar  loro  la 
pietra  noi,  che  finora  e  dopo  sì  gravi  esperienze,  non  cono- 
sciamo i  modi  di  conciliare  l' indipendenza  de'  singoli  colla  forza 
di  tutti  ;  e  sì  spesso  dimentichiamo  che  la  libertà  è  il  diritto 

LIMITATO   DAL   DOVERE  ? 

Ripeteremo  come,  di  sopra  degli  interessi  parziali  e  delle 
ire  dissocianti  ,  si  ergessero  due  podestà  universali  :  1'  impe- 
ratore ,  memore  troppo  della  Roma  antica  ;  il  papa  della  Roma 
moderna  ,  rappresentante  delle  nuove  età. 

Ma  quando  si  parla  dei  papi  d'  allora  ,  non  vogliasi  para- 
gonarli ,  non  dico  a  Leone  XII  o  a  Gregorio  XVI,  ma  né  tam- 
a  Pio  VII,  anzi  neppure  a  Pio  IX,  benché  le  speranze  ch'egli 
eccitò  neir  Europa  sbranata  e  scredente  possano  dare  una  de- 
bole idea  di  quel  che  operavano  i  pontefici  nell'  Europa  catto- 
lica e  piena  di  fede  ;  e  dove  ,  nulla  ancora  essendo  lo  Stato  , 
il  movimento  sociale  era  interamente  diretto  dalla  Chiesa. 

Dapprima  la  Chiesa,  nell'irruzione  dei  Barbari,  non  pensò 
che  a  convertire  questi  ;  al  che  le  giovarono  e  le  austerità  sue 
e  le  abnegazioni  e  le  pompe.  Costituitisi  i  nuovi  poteri  ,  essa 
salvò  il  suo  col  proclamare  la  distinzione  della  podestà  tem- 
porale dalla  spirituale  e  l' indipendenza  reciproca  ,  sicché  la 
forza  non  avesse  effetto  sopra  il  sistema  delle  credenze,  delle 
speranze,  dei  doveri  religiosi.  Molti  secoli  ci  vollero  e  sangui- 
nose lotte  prima  che  le  due  podestà  si  mettessero  in  quel!'  e- 
quilibrio  su  cui  si  fonda  l' idea  dello  Stato.  Ma  fin  da  principio 
i  papi  rappresentavano  il  potere  morale  contro  il  materiale, 
e  r  indipendenza  del  pensiero  ;  e  poiché  violenza  e  iniquità , 
pura  forza  o  sfacciata  rapina  dominavano  la  società  temporale, 
essi  aspiravano  al  primato  onde  poter  reprimerle  ;  e  come  in- 
terpreti della  giustizia  e  della  verità  ,  secondo  queste  voleano 
regolare  anche  le  relazioni  mondane. 

La  Chiesa  prescrive  le  decisioni  individuali  su  punti  di 
fede  ,  ma  lascia  campo  alle  discussioni  ;  e  le  tante  eresie  at- 
testano il  movimento  delle  personali  opinioni,  e  la  persistenza 
della  vita  morale;  nel  governo  ecclesiastico  si  fa  continuo  ap- 
pello alla  ragione  ,  si  pubblica  ogni  cosa  con  lettere,  con  mo- 

—  59  — 


j^;a^ ..-_-.. ^s^ 

rr-b  CAPITOLO  ir.  ni 

nitori  ,  con  encicliche  ,  colle  dispute  de'  Concili  provinciali  ed 
ecumenici  :  pubblicità  regolata ,  ignota  al  mondo  d'  allora.  Era 
cura  de'  pontefici  il  diffondere  la  morale  evangelica  ,  che  por- 
tava il  miglioramento  dei  popoli.  Ai  principi  e  baroni  che  pre- 
tendeano  trattar  la  donna  come  un  trastullo,  imponevano  essi 
di  rispettare  la  sentità  del  matrimonio.  I  mercati  di  schiavi 
proibivano  ,  e  Alessandro  III  ,  nel  1167  ,  in  nome  d'  un  Con- 
cilio, dichiarava  la  naturai  libertà  di  tutti  gli  uomini  ;  mandava 
in  Prussia  un  legato  per  proteggere  i  soggiogati ,  e  la  libertà 
de'  matrimoni  e  delle  successioni  e  i  diritti  d'uomo.  Gregorio  IX 
nel  1229  rimproverava  i  signori  polacchi  che  a  vegliar  tutta 
la  vita  su  falconi  e  uccelli  di  preda  adoperassero  i  servi,  per- 
sone ricompre  col  sangue  di  Cristo.  Alessandro  III  benedisse 
la  Lega  Lombarda  ed  Innocenzo  III  la  Lega  Toscana,  favorendo 
cosi  r  indipendenza  degli  stranieri ,  e  di  dentro  la  costituzione 
de'  Comuni.  Altrettanto  vegliavano  perchè  la  dignità  imperiale 
non  divenisse  ereditaria  in  una  casa ,  ma  si  conservasse  elet- 
tiva; modo  vero  di  serbare  la  libertà,  e  che  non  cessò  finché 
r  Europa  ,  fatalmente  sbranata  da  Lutero  ,  rinnegò  quella  do- 
cilità che  è  insieme  sapienza  e  virtù  ,  e  cessando  di  regolarsi  l 
per  autorità  e  sentimento,  vi  surrogò  i  protocolli  e  gli  eserciti. 

GÌ'  imperatori,  al  contrario ,  adoperavano  senza  riposo  ad 
assorbire  la  Chiesa  nell'  Impero  ;  a  introdurre  cioè  quell'unità 
che  forma  1'  obbrobrio  della  Turchia.  Da  qui  la  lunga  lotta  , 
cominciata  da  Enrico  IV  contro  Gregorio  VII,  seguita  dal  Bar- 
barossa  contro  Alessandro  III  ,  infine  da  Federico  II  e  da'suoi 
contro  Innocenzo  III  e  IV,  come  vedremo;  lotta  ove  il  filosofista 
non  vede  che  arroganza  pretesca  e  futile  quistione  d'  un  rito 
<1'  investitura  ,  mentre  vi  si  disputava  del  diritto  più  prezioso 
e  della  coscienza. 

Abbiamo  nominato  i  due  personaggi  che  raoveano  il  mondo 
nel  tempo  che  noi  descriviamo  ;  Federico  II  e  lanocenzo  III  , 
giganti  fra  una  generazione  di  forti. 

Immaginatevi  un  bellissimo  uomo,  nobilmente  nato,  com- 
plessione robusta,  vasta  memoria:  finamente  educato  a  Roma 
e  Bologna,  parlava  bene  il  francese  ,  e  scriveva  insignemente  il 
latino  ;  conosceva  la  musica  ;  egli  poeta  e  predicatore  ;  egli 
teologo  e  giureconsulto:  ben  presto  primeggia  nel  clero,  e  nella 
vigorosa  età  di  trentasette  anni  sale  a  capo  di  quella    chiesa        ^ 


^ 


I — '□  INNOCENZO    III  D 


eh'  era  da  per  tutto ,  che ,  iniziatrice  del  movimento  civile,  da- 
va al  clero  una  lingua  universale ,  ai  laici  la  vulgare,  ai  prodi 
la  cavalleria ,  ai  Barbari  il  vangelo  ,  a  tutti  la  verità  incon- 
cussa. Era  Innocenzo  III. 

Quanti  non  doveano  essere  i  doveri  d' un  pontefice  !  Dare 
0  rinnovare  privilegi  ad  Ordini  ,  a  conventi  ,  a  chiese ,  o  cas- 
sare i  pregiudicevoli  ;  introdurre  feste,  far  mandamenti  per  la 
purezza  del  costume ,  sentenze  contro  simoniaci  ed  eretici;  con- 
servar integro  il  patrimonio  ecclesiastico  ;  impedire  s' accumu- 
lassero in  un  solo  i  beuefizj  ;  pronunziare  generali  decisioni  di 
fede  e  risolvere  dubbj  particolari  e  casi  di  matrimonio  ;  far  ri- 
spettare i  decreti  de'  suoi  predecessori  ;  revocar  quelli  carpiti 
con  frode  ;  frenare  i  despoti  ;  raccomandare  funzionar]  o  po- 
veri preti;  approvar  convenzioni  fra  ecclesiastici;  proteggere 
i  deboli  contro  i  prelati  e  capitoli  arroganti  ;  confermare  o  ri- 
vedere sentenze  de'  Legati  ;  ribenedire  scomunicati  ;  canoniz- 
zare santi.  Fra  lo  sprezzamento  feudale,  i  papi  aveano  stabi- 
lito la  teorica  del  potere  e  del  diritto  ,  emanati  dall'  intelli- 
genza ;  dato  all'  Europa  il  sentimento  di  sé  stessa  ,  e  resala 
una  e  solidale  ;  piantata  la  prima  scuola  politica,  il  primo  po- 
tere centrale.  Gregorio  VII  posato  i  canoni  della  podestà 
pontifizia  sulle  cose  temporali  :  Innocenzo  III  si  sentì  capace 
di  metterli  ad  effetto ,  e  fare  che  il  pontificato  operasse  non 
soltanto  per  salute  delle  anime  e  conservazione  della  verità 
cattolica,  ma  ben  anco  del  migliore  governo  della  società 
cristiana.  Arbitro  de' troni  e  de'  popoli  in  tutta  Europa,  pro- 
clamò i  dogmi  d'una  giustizia,  troppo  ignota  fra  i  deboli  re 
e  i  prepotenti  signori  del  tempo.  Quindi  a  lui  ricorreasi  da 
tutte  le  parti  :  egli  a  tutte  badava  :  ora  al  doge  di  Venezia 
impone  di  ritirare  un  ordine  troppo  severo  contro  un  privato; 
ora  a  principi  che  vigilino  alla  sicurezza  delle  strade  ;  ad  altri 
f  che  non  adulterino  le  monete,  e  non  esagerino  i  'tril)uti,  o  non 
)  impongano  nuovi  pedaggi  ;  a  lui  i  giuristi  domandano  consulti; 
(  a  lui  aiuto  i  re  ,  a  lui  le  nazioni  trafficanti  rimettono  i  loro 
)  piati  ;  a  lui  il  decidere  sulle  successioni  ai  troni  ;  a  lui  spesso 
)  le  paci  da  combinare.  Vigilava  sugli  orfani  regi  in  Polonia  , 
(  in  Norvegia ,  in  Armenia  ,  in  Portogallo ,  in  Ungheria  :  Cor- 
I  rado  VI  imperatore  ,  rampollo  di  quella  famiglia  di  Svevia  che 
da  un  pezzo  contrariava  i  papi,  muore,  e  tanta  fiducia  aveva 


—  61  — 


CAPITOLO    II. 


in  Innocenzo  III ,  che  alla  tutela  di  questo  affida  suo  figlio  Fe- 
derico, capitano  nato  de'  Ghibellini. 

Per  Innocenzo  ,  tutta  cristianità  forma  un'unità  maestosa, 
senza  distinzione  di  razze.  Nessuna  legge  è  violata  eh'  esso 
r  ignori  ;  nessun  diritto  conculcato  eh'  egli  non  accorra  a  so- 
stenerlo, 0  almeno  a  protestare.  La  libertà  della  Chiesa  pro- 
tesse contro  la  forza ,  nel  quale  intento  difendeva  pure  gli  in- 
teressi dei  popoli  e  vegliava  che  adempissero  i  doveri  loro,  al 
tempo  stesso  che  mantenevano  i  loro  diritti.  Prima  raccoman- 
dazione a' suoi  Legati  era  d' aver  occhio  ai  portamenti  del  clero, 
sostenerne  le  ragioni,  estirpare  gli  abusi ,  comporre  le  diife- 
renze ,  e  per  quanto  i  tempi  lo  comportassero,  frenare  l'amor 
del  guadagno. 

A  Roma  era  allora  recato  il  supremo  appello,  si  può  dire, 
di  tutte  le  cause  importanti  :  onde  pensate  1'  occupato  che  do- 
veva essere  per  darvi  risoluzione  !  Assisteva  sempre  ai  conci- 
stori dove  erano  dibattute  ,  spesso  udiva  le  parti  egli  stesso  in 
secreto  ;  esaminava  gli  atti  ;  addolciva  coi  modi  le  sentenze 
eh'  era  obbligato  portar  contrarie.  Abolì  i  giudizi  di  Dio,  che 
tentavano  1'  Onnipotente  a  far  miracoli  ;  e  volle  che  al  reo  si 
esponessero  le  imputazioni  acciocché  potesse  giustificarsi;  e  non 
solo  le  deposizioni ,  ma  i  nomi  dei  testimoni  e  le  eccezioni  e 
le  repliche  «  affinchè  ,  per  tacere  il  nome  dell'  infamante,  non 
si  desse  audacia  a  deporre  il  falso.  »  Delinquenti  e  assassini  ob- 
bligava venire  scalzi  a  Roma,  andar  pellegrinando  a  Gerusa- 
lemme ,  flagellarsi ,  non  assaggiar  carne  per  tutta  la  vita. 

Eh  ,  comprendo;  le  sono  barbarie  dell'età;  la  nostra  il- 
luminata conosce  a  tutto  ciò  un  rimedio  più  eroico  ;  —  la  forca. 

Queir  autorità  ,  stabilita  nel  cristianesimo  per  unire  tutti 
coloro  che  lo  professano  ,  tutelare  i  diritti  ,  determinare  i  do- 
veri di  tutti  ,  far  rispettare  le  legittimità  dal  suddito  o  dal 
principe  ,  egualmente  servi  a  Dio  per  la  verità  e  la  giustizia , 
era  da  Innoceozo  proclamata  con  intima  parsuasione.  Vi  univa 
costumi  irreprovevoli  ;  una  fervorosa  divozione  nel  celebrare 
gli  uffizi  divini  e  nel  predicare  ;  e  le  sue  omelie  il  mostrano 
versatissimo  nelle  sacre  carte.  Compose  diversi  inni  ,  tuttora 
cantati;  scrisse  un  libro  per  istruzione  dei  principi;  amò  Atene 
per  lo  antiche  glorie,  Parigi  per  l'Università,  alla  quale  diede 
ordinamenti  e  privilegi  ;  favori  gli  scienziati ,  protesse  le  arti, 

—  G2  — 


INNOCENZO   II r. 


(  rifiibbricando  chiese  e  facendole  dipingere  ;  a  Marchione  d'  A- 
)  rezzo  ,  il  primo  scultore  e  architetto  de'  tempi  rinnovati,  diede 
(         commissioni  generose  ;  crebbe  e  ornò  San  Pietro  e  il  Laterano, 

<  e  fece  sulle  piazza  di  Nerva  alzare  la  torre  dei  Conti ,  mera- 
)         viglia  di  quel  tempo. 
j  Mentr'  era  cosi  munifico  ove  il  decoro  lo  richiedesse ,  non 

<  usava  nessun  fasto  nella  propria  persona  ;  vendeva  sin  gli  ar- 
(  redi  più  necessarj  per  far  limosina  ;  destinò  ai  poveri  i  doni 
)  offerti  nella  chiesa  di  San  Pietro  e  la  decima  di  tutti  i  pro- 
\  venti;  i  doni  deposti  ,  secondo  il  costume,  a'  suoi  piedi,  erano 
)  rimessi  al  limosiniere.  Del  tesoro  che  trovò  fé  mettere  in  di- 
{  sparte  una  porzione  pei  casi  impreveduti  ,  il  resto  distribuì  a 
^  conventi  di  Roma,  dotò  tutti  gli  istituti  di  beneficenza;  in  una 
)  carestia  mantenne  ottomila  poveri  al  giorno,  oltre  le  distri- 
\  buzioni  per  le  case;  molti  ricevevano  quindici  libbre  di  pane 
/  per  settimana,  alcuni  presentavansi  allo  sparecchio  per  raccorrò 
)         i  rilievi  della  sua  mensa.  Avendo  i  pescatori  tratto  dal  Tevere 

<  tre  bambini  affogati ,  Innocenzo  ne  fu  sì  tocco  ,  che  stabilì  pro- 
;  vedere  a  questi  infelici  ;  rifabbricò  ed  estese  1'  ospedale  di 
^         Santo  Spirito  in  Saxia,  dotandolo  lautamente,  e  stanziando  che 

in  perpetuo,  1'  ottava  dell'  Epifania,  il  papa  in  solenne  proces- 
sione vi  recasse  il  santo  sudario  ,  ed  esortasse  i  cristiani  alla 
carità  ,  dandone  egli  stesso  esempio  col  distribuir  pane  ,  vino 
e  carne  a  quanti  vi  assistevano.  Mille  cinquecento  malati  vi 
erano  costantemente  raccolti  ,  oltre  d' ogni  condizione  e  paese 
poveri  mantenuti  ;  e  la  spesa  se  ne  calcolò  a  cento  mila  scudi 
r  anno. 

iJa  cos'ha  a  fare  Innocenzo  III  con  Ezelino  ? 

Me  lo  chieda  chi  sa  comprendere  un  uomo  separato  dai 
suoi  contemporanei  ;  chi  per  iscusa  d'Ezelino  addurrà  che  tali 
erano  i  tempi.  Eh  no;  Ezelino  precipitò  al  peggio,  mentre  aveva 
tanti  mezzi  da  fare  il  meglio;  al  contrario  Innocenzo,  così  po- 
tente, non  aveva  armi  proprie:  in  Roma  stessa  era  contrastato 
d<i'  baroni,  che  dovè  sottomettere  un  dopo  l'altro.  Allora  volle 
che  gli  officiali  o  giudici  municipali  a  lui  stesso  giurassero 
fede,  non  al  popolo;  tenne  in  soggezione  molte  altre  città,  e 
per  Italia  diede  favore  ai  Guelfi.  Questi,  principalmente  appog- 
giati dai  Milanesi,  irreconciliabili  colla  casa  Sveva,  voleano 
'portar  al  trono  Ottone  d'Aquitania,  mentre  i   Ghibellini   favo- 

jj  •  -  C3  -  q. 


Q  CAPITOLO   II. 


F^ 


rivano  a  Filippo  di  Svevia;  e  ne'  dieci  anni  che  durò  il  costoro 
contrasto,  gì'  Italiani,  non  riconoscendo  verun  Imperatore,  con- 
solidarono vieppiù  la  propria  indipendenza. 

Abbiamo  la  lettera  ove  Innocenzo  III  discute  il  diritto  dei 
contendenti.  A  Federico  nega  la  coronazione  perchè  fanciullo, 
non  dovendo  l'Impero  reggersi  per  amministratore,  e  la  Chiesa 
richiedendo  un  imperatore  che  la  protegga:  inoltre  è  re  di 
Sicilia,  e  unendo  le  due  dignità,  potrebbe  tiranneggiare  la  Chiesa. 
1218 Ripudia  Filippo,  perchè,  succedendo  al  fratello  Enrico,  potrebbe 
dar  aspetto  di  ereditaria  alla  dignità  imperiale  ^.  Ottone  pre- 
valse; ma  la  brutalità  de' tedeschi  soldati  suoi  concitò  contro 
lui  i  popoli  d' Italia.  Allora  Innocenzo  III  credette  tempo  di 
opporgli  il  suo  pupillo  Federico  II,  che  aveva  allevato  in  ogni 
dottrina,  e  ch'era  pure  favorito  dal  re  di  Francia  e  dai  principi 
di  Germania.  Ottone  adunque  scomunicato,  dovette  reggersi 
colle  armi;  e  sul  fin  di  sua  vita  gran  pentimento  ne  provava, 
come  avremo  a  raccontare. 

Morto  lui,  ottenne  la  corona  imperiale  Federico  II,  che  è 
un  altro  de'  più  grand'uomini  del  suo  tempo,  anzi  della  storia. 
[  Superiore  a  quei  che  chiamava  pregiudizj  del  suo  secolo,  non 
l  si  sentiva  disposto  a  piegar  la  fronte  ai  cenni  del  papa;  e  sì 
/  in  Germania  cbe  in  Puglia  e  in  Lombardia  ingegnavasi  di  con- 
)  solidare  o  rintegrare  la  potenza  imperiale. 
l  II  vicino  pericolo  e  l'odio  contro  il  figlio  dell'antico  tiranno 

}  1226  ridestò  lo  spirito  di  unione,  assopito  nelle  città  lombarde:  sicché 
i  ^"'  convenuti  nella  chiesa  di  San  Zenone  di  Mosio  mantovano,  i  deputati 
(  di  Milano,  Piacenza,  Bologna,  Verona,  Brescia,  Faenza,  INIantova, 
)  Vercelli,  Lodi,  Bergamo,  Torino,  Alessandria,  Vicenza,  Padova, 
^  Treviso,  Crema,  Ferrara  e  quelli  del  marchese  di  Monferrato 
e  dei  conti  di  Biandrate,  rinnovarono  la  Lega  Lombarda  a 
comune  difesa  per  venticinque  anni.  I  rettori  di  questa,  av- 
visando esser  primo  fondamento  della  forza  la  concordia ,  ri- 
misero in  calma  Verona,  repristinandovi  il  conte  Rizzardo  e  i 
suoi.  Ma  le  ire,  quivi  sopite,  più  violente  scoppiavano  in  Vicenza, 
ove  la  parte  di  Ezelino  e  del  fratello  rialzò  il  capo;  e  prese  le 


9  Epistola  XXVI. 


nril!  SECONDA   LEGA   LOMBARDA  LI    1— 

(         armi,  distrusse  ne'  soliti  modi  i  nemici,  elesse  podestà  Alberico,         ) 
;         e  cosi  ridusse  la  città  a  colore  ghibellino.  ) 

)  Eransi  dunque  i  signori  di  Romano  vendicati  del  marchese    '     ) 

di  Este  e  del  conte  Sambonifazio:  restavano  i  Camposarapiero.  ) 
Sul  castello  di  Fonte,  messo  nel  territorio  di  Asolo,  appartenente  1228  ) 
a  questi,  piombò  Ezelino  improvviso,  e  con  lieve  fatica  insigno-  ^ 
ritosene,  non  potè  cogliervi  Jacobo,  come  sperava,  ma  si  Gu- 
j  glielmo,  suo  figlioletto  trienne.  Appena  il  padre  n'ebbe  avviso, 
}  moltiplicò  le  querele,  procurando  che  i  Padovani  volessero 
■■  vendetta  dell'affronto.  Di  fatto,  convocata  l'adunanza,  numerosa 
{  di  nobili,  di  popolani,  di  matrone,  essi  decretarono  guerra  ad 
^  Ezelino:  il  carroccio,  gran  carro  adorno  e  sacro,  intorno  a  cui 
raccoglievasi  il  nerbo  degli  eserciti,  e  che  infamia  stimavasi  il 
perdere,  fu  tratto  dalla  cattedrale,  ove  in  tempo  di  pace  veniva 
,'  guardato,  e  con  quello  messisi  in  cam.po,  mandarono  a  sacco 
;  le  terre  di  Ezelino,  assediarono  lui  stesso  in  Bassano,  vantandosi 
;  risoluti  di  metter  al  nulla  quella  famiglia.  Venezia,  che  dalle 
j  quiete  lagune  volgevasi  pure  alla  Terraferma,  su  cui  doveva 
)  fra  breve  acquistare  dominio  a  mal  suo  costo,  entrò  mediatrice 
)  di  pace,  ed  inviò  ambasciatori  a  Padova,  città,  diceano  questi, 
j  da  non  avere  qual  la  pareggi  oltre  i  monti  e  il  mare  per 
(  vantaggio  di  postura,  abbondanza  di  ricchezze,  intrepidezza  di 
I  valore.  Nulla  profittarono  però  né  coi  Padovani,  né  con  Ezelino, 
il  quale  predicava  di  voler  mostrare  oggimai  quel  che  potessero 
la  famiglia  di  Romano  e  Dio,  giusto  vendicatore  dell' ingiustizia- 
Cosi  è.  I  tiranni  non  sannu  ricordarsi  di  Dio,  se  non  per 
valersene  all'oppressione  dei  popoli. 

Si  allestirono  dunque  armi  tremende:  e  ne  vennero  stragi 
e  guasti:  finché,  0  giovassero  le  pie  e  potenti  persone  intro- 
messesi, 0  la  vista  de' gravi  mali  recati  ed  imminenti  al  Bassanese, 
Ezelino  piegò  l'animo  alla  pace.  Con  grossa  caterva  cavalcò  da 
Bassano  giù  per  l'alveo  del  Brenta:  e  fattosi  a  pochi  passi 
presso  la  riva  su  cui  erano  attendati  i  Padovani,  giurò  restituire 
ai  Camposampiero  il  castello  di  Fonte,  e  obbedienza  e  fedeltà 
al  Comune  di  Padova:  girò  un  tremendo  sguardo  sui  molti 
Trevisani  che  erano  negli  accampamenti  nemici,  e  voltò  indietro 
il  cavallo,  protestando  di  far  su  Treviso  aspra  vendetta  prima 
che  un  anno  intero  volgesse. 

Per  allora  però  gli  fu  forza  dissimulare  e  rodere  il  freno, 

a  '  —  65 

1^ 


CAPITOLO   II. 


cercò  la  cittadinanza  di  questa  città,  ed  acquistatavi  qualche 
potenza,  persuase  si  andasse  a  togliere  Feltre  e  Belluno.  Queste 
sedevano  in  protezione  de'  Padovani:  onde  o  l' impresa  riusciva,  ed 
ecco  venirne  decremento  ai  Padovani:  o  falliva,  e  ad  ogni  modo 
era  gettata  discordia  fra  le  due  città,  con  danno  sicuro  d'en- 
trambe. I  Trevisani  lo  ascoltarono,  e  guidati  da  lui,  furono  in 
campo,  ed  ebbero  le  due  città.  Del  che  corrucciati  i  Padovani, 
ed  uscite  a  vuoto  le  insinuazioni  amichevoli,  presero  le  armi, 
manomisero  i  beni  de' Trevisani  e  di  Ezelino,  distrussero  il 
castello  nobilissimo  di  Godego,  scelto  da  questo  per  sua  resi- 
denza ;  e,  ricacciati  i  Trevisani  entro  le  mura,  tornarono  vitto- 
riosi in  patria.  I  Trevisani,  rifattisi,  corsero  a  guasto  de'  Padovani, 
ma  li  trovarono  pronti  alla  -riscossa:  si  combattè;  e  se  non 
bastarono  le  armi  ordinate,  Padova  fece  uno  statuto  che,  due 
volte  ogni  anno,  si  dovesse  uscire  a  devastar  i  terreni  dei 
Trevisani:  e  questi  pure  concessero  facoltà  a  chiunque  di  dan- 
neggiar il  terreno  padovano,  anzi  si  dessero  premi  proporzionati 
ai  guasti. 

Eccovi  cari  compatrioti,  di  che  materie  furono  formate  le 
catene  che  strinsero  poi  miserabilmente  la  patria  nostra. 

Finalmente  il  papa  ed  i  rettori  della  lega,  con  brevi  e  con 
ragioni  indussero  i  Trevisani  a  cedere  le  due  città  e  pagare 
le  spese  a  Padova;  e.  gran  meraviglia!  per  un  anno  intero, 
dice  Rolandino,  non  vi  fu  ne  depredamento  di  terre,  né  scorreria 
di  nemici  od  insulto;  ma  copia  d'ogni  bene,  e  gaudio  tale  fra 
le  genti,  che  molti  credevano  ormai  non  dover  essere  più  nella 
jMarca  nò  sedizioni,  nò  guerre. 

Tanto  è  facile  il  popolo  a  sperare,  e  perciò  a  trovarsi 
deluso. 


co  — 


sitg 


7 


CAPITOLO     III. 


GUERRE    MU^'ICIPALI. 


I  fratelli  hanno  ucciso  i  fratelli 

questa  orrenda  novella  vi  do... 
Giù  dal  cercliio  dell'Alpi  frattanto 

lo  straniero  gli  sguardi  rivolvé... 
Affrettatevi,  empite  le  schiere... 

lo  straniero  discende  —  egli  è  qui. 
E  voglioso  nei  campi  v'attende 

ove  il  vostro  fratello  peri. 

Manzoni,  Carmagnola. 


#)  a  distinzione  più  iniqua  fra  gli  uomini,  quella  d 
liberi  e  schiavi ,  fu  il  fondamento  del  vivere 
civile  in  tutta  la  vantata  antichità.  Anche  dopo 
bandita  quella  celeste  legge  d'amore  che  dichiara 
tutti  gli  uomini  eguali,  perchè  tutti  figliuoli  d'un 
padre,  tutti  redenti  col  sangue  stesso,  chiamati  tutti  alla  stessa 
sublime  destinazione,  lungo  tempo  sopravisse  la  schiavitù,  come 
avviene  delle  inveterate  iniquità. 

Il  vangelo,  che  non  veniva  a  iinprovisare  rivoluzioni  po- 
litiche, ma  le  preparava  col  riformare  gl'individui,  aveva  in- 
giunto ai  servi  di  rimanere  servi,  ma  intanto  pensò  al  loro 
miglioramento  morale,  li  rese  responsali  de'  propri  atti,  e  attese 
a  far  I)uoni  i  padroni.  Le  sante  massime  dell'eguaglianza  furono 
poi  attuato  ne'  lenti  progressi  della  civiltà;  e  la  ragione  li 
secondò,  quand'anche  non  li  promosse.  Alessandro  III  nel  11G7 


-  07  - 


a  CAPITOLO   III. 


S 


1  III  lina  liolla  di  Alossnndro  IV  nel  1258  è  iloUo:  «  Giacche  gli  uomini, 
eguali  per  naliira,  sono  resi  schiavi  dalla  servid'i  del  peccalo,  sciiii)ra  giusto    che 

ì  quelli  i  (juali  abusano  del  polerc  concesso  da  Colui  da  cui  deriva  ogni  podestà,  siano 

privati  del  loro  potere  sui  servi.  Perchè  dunque  ad  Ezelino  ed  Alberico,  sconinnicali 

)  da  noi,  possa  venire  alcun  danno  dall'averci  disobbedito,  dichiariamo  con  autorità 

apostolica  liberi  i  servi  eie  serve,  co' tìgli  ed  i  nipoti  loro,  che    si   sottraggano 

S  all'obbodicnza  di  que'  due,  in  modo  che  possano  avere  peculio  proprio,  godere  la 

)  libertà,  come  se  fossero  nati  liberi,  ecc.,  ecc. 

^  Lo  concedeva  per  far  danno  ad  un  nemico,  ma  intanto  riconosceva  un  diritto 

V  ,i:    „„ 


di  natura. 

—  68  — 


a  nome  d'un  Concilio,  dichiarò  che  tutti  i  cristiani  dovessero  ) 
aversi  sciolti  da  servitù,  ma  scorre  sempre  buon  tratto  fra  il  ( 
decretare  e  l'effettuare  un  passo  dell'umanità.  Ai  tempi  che  ^ 
noi  consideriamo,  i  grandi  signori  nutrivano  ancora  sui  loro  / 
campi  una  moltitudine  di  servi,  non  più  schiavi  all'antica,  cioè  ) 

senza  personalità  né  responsabilità;  pure  affissi  alla  gleba:  si  '. 
vendevano  insieme  coi  campi,  ed  erano  considerati  non  altri-  > 
menti  che  cose  i.  Altri  n'erano  di  condizione  media  fra  servi  ) 
e  liberi,  chiamati  uomini  di  masnada,  e  destinati  principalmente  l 
alle  armi,  e  ad  accorrere  ogniqualvolta  il  signore  li  richiedesse  ^ 

a  suo  servigio.  Ai  quali,  in  compenso,  il  feudatario  concedeva  ( 
a  livello  alcune  terre;  gente  che,  pel  suo  stesso  mestiero  fa-  ( 
cilmente   inclinava   a  rapine   e  violenze;  onde  il  loro  nome  di  > 

masnadiere  venne  a  sonare  non  altrimenti  che  ladrone. 

Quando  la  Lombardia  levò  il  capo,  e  i  Comuni  si  vendi- 
carono dalla  feudale  sudditanza  in  cittadina  libertà,  alla  propizia 
luce  di  questa  risorsero  i  diritti  conculcati  dell'uomo,  ed  i 
servi  furono  affrancati  non  più  un  per  uno  e  per  solo  merito  '■ 

spirituale,  ma  anche  per  interesse  dei  Comuni  medesimi,    che         ) 
con  ciò  indebolivano  i  baroni.  Ai  campagnuoli  questo  vantaggio         { 
scese  più  tardi,  perchè  disuniti,  ignoranti,  stretti  a  combattere 
dì  per  di  colle  urgenti  necessità  della  vita.  I  signori  e  feudatarj,         ) 
quanto    fu    in  loro,    impedirono   questa  che  avranno  chiamata 
funesta  innovazione  e   pericoloso    comunismo;    gli   ecclesiastici 
pure  nicchiavano  ad  emancipare  i  proprj,  sì    perchè   sapevano 
di    trattarli   bene,    si  perchè  con  ciò  venivano  a  deteriorare  i 
beni,  di  cui  essi  non  sono  che  usufruttuarj,  obbligati  a  migliorarli. 

Ad   Ezelino  ed   al  fratello  molti  servi  obbedivano  e  molti 


Davanti  agli  eserciti  era  tratto  il  Carr:)Ccio   ,sul  (juale  •,'randtì;,'siava    il    Ci.i.'ilisso, 
né  SI  sarebbe  rotto  guerra^o  uiiscliiato2balta£lia_seii2U-i)riiua  invocare  lo  Spirito  Santo- 

Caf   H.  Pa£.  50. 


^° L!!!I'_™  - ^ 

\         masnadieri.  Questi  ultimi,  o  mossi  dall'inestinguibile    desiderio  ^ 

^         di  libertà,  o  dall'esempio  de'  Comuni,  o  dalle  istigazioni  de'  nemici  ; 
;         dei  loro  padroni,  si  sollevarono  in  Bassano,  dichiarandosi  liberi  1-230  j 

1         di  sé,  e  che  ai  signori  di  Romano  nessuna  podestà  competeva  / 

sopra  di  loro.  Al  grido  di  libertà  accorse  Alberico  con  alquanti  ) 

j         suoi    fedeli,   e   sulle  prime   n'andò  rotto:  ma  Ezelino,  sebbene  ì 

ì         avesse    alcuna   ruggine  col  fratello,  inteso  che  si  trattava  dei  / 

>         domestici  diritti  e  della  servitù,  a  conservar  la  quale  i  tiranni  ) 
si  tengono  obbligati  in  solido,  non  tardò  a  venirgli  in  appoggio  ; 
disperse  la  paiate  dei  liberi,  i  quali  si  ricoverarono  sulle  terre 

de'  nemici  del  loro  padrone.  Anche  allora  patimenti,  rotte,  per-  ', 
dite  della  patria  e  della  roba  furono  il  guiderdone  di   chi    ri- 

;         vendicava  i  diritti  dell'umanità.  Credettero  alcuni  potesse  valer  , 
(         la  ragione  dove  la  forza  non  era  bastata;  e  recarono  lor  querele 
/         allo  Zuliani,  podestà  in  Vicenza.  Questi  citò  gli  Ezelini,  ma  poi 

)         sentenziò  in  loro  favore:  tant'è  facile  trovar   la  ragione    dove  { 
\         sta  la  forza,  due  idee  che  gli  uomini  così   diffìcilmente    sanno 

)         separare:  dico  anche  gli  uomini  che  non  vogliono  esser    detti  ' 

\         vulgo.  J 
■'                 Ezelino,  tornato  a  Verona,  pose  l'ingegno    a    soverchiare  1230   \ 

ì         l'emulo    suo    conte    Rizzardo    di  Sambonifazio.    11    Giustiniani ,  ) 

\         entrandovi  podestà,  volle  mandare  a  Venezia  i  più  riottosi  del  ) 

'         paese,  si  per  ostaggi  di  sua  sicurezza,  si  perchè  non  turbassero  \ 

'         la  pace;  rimedio  violento,  eppur   consueto.    I   più   de' trascelti  ) 

I         erano  fautori  di  Ezelino,  0  il  divennero,  come  accade  ai   per-  ^ 

;         seguitati:    onde    s'insospettirono,    0  finsero,  che  il  podestà  se  ì 

\         l'intendesse    coi    Sambonifazio,    e    volesse    toglier    via    i    loro  ; 
nemici,  e  invocato  Ezelino  e  Salinguerra,  gridarono  all'armi,      giugno^ 

')                 Cosi  in  quei  piccoli  Comuni  ogni  forza  era  esterna  ;  esterno  ( 

l         il  papa  e  l'imperatore  per  cui  parteggiavano;  esterni  i  podestà;  / 

}         e  veri  arbitri  del  paese  erano  i  tanti  fuorusciti  che  lo  sommo-  ) 

\         veano  colle  intelligenze  finché  noi  mutassero  coU'armi.  -; 
\                I  Montecchi  guidati  da  Ezelino,  i  Guelfi  col  conte  Rizzardo 
(         fecero  battaglia  sanguinosa  per  le    classiche    vie     di    Verona  ;  1030   ) 

)        il   primo    fu    tanto  fortunato  da  render  prigioniero  l'altro  col  { 

{        fiore  de'  suoi  fazionieri,  espellere  gli  avversi  e  lo  stesso  Giusti-  \ 

\        niani.  (v^uesti  allora  e  Gerardo  Rangone  di  Modena,    prudente  > 

j        uomo    e    valoroso,    postisi    a    capo  dei  fuorusciti,  ricorsero  ai  \ 

^         Padovani.    I    quali    di    fatto,  a  voce  comune    gridata   guerra,  \ 

Un  •  -m-  uM 

CVntù  -  E-.elino.  f,  


-^Q  .         CAPITOLO   III.  L-1 


r^ 


trassero  fuori  il  carroccio,  nel  mentre  stesso  che  i  Mantovani, 
istigati  da  Azzo  d'Este,  venivano  a'  danni  di  Ezelino.  IN'è  questi 
dormiva,  anzi  apparecchiavasi  alla  difesa,  principalmente  col 
iseitem.  mettersi  intorno  i  suoi  prodi  e  fidati  Pedemontani,  cioè  i  Bas- 
sanesi. 

Primo  atto  de'  Guelfi  si  fu   lo    sperperare    la    vendemmia 
■         matura,  poi  assediare  i  castelli:    Porto,    Legnago,    Buonvigo, 
;         Rivalta,  la  Tomba  si  resero  ai  Padovani,  mentre  i  Mantovani 
1231  procedevano    sul    A'eronese,    senza   però   ardirsi  d'assaltare  la 
città.  Il  verno,  facendo  cessare  le  armi,  diede  luogo  alle  trat- 
tative: e  riuscite  sterili,  alla  nuova  stagione  ridecco  Padovani 
e  Mantovani  in  campo  :  poco  profittarono  ;    né    col    miserabile 
sperpero    del    paese    poterono    indurre    Ezelino    a  rilasciare  i 
^         prigionieri. 

\  Alla    fine    s'interposero    i    rettori    della   Lega  Lombarda, 

<  intenti,  quanto  era  da  loro,  a  due  nobili  fini,  di  respingere  ) 
)  l'invasore  forestiero  e  di  serbare  in  concordia  i  nazionali.  A  ( 
\  patti  essi  conseguirono  che  Ezelino  tornasse  in  libertà  il  conte  / 
i  Rizzardo  e  suoi  fautori;  e  che  Brescia,  Mantova,  ^'erona,  Treviso,  ) 
^  Padova,  Ferrara  giurassero  mantenere  la  pace  e  soccorrersi  a  ( 
f  vicenda.  Queste  infatto,  per  quanto  ne  sapesse  lor  male,  rice-  / 
(  vettero  Ezelino  in  alleanza,  e  tolsero  ai  Padovani  le  armi  che  S 
\         contro  di  lui  avevano  brandite  risolutamente,  \ 

\  Le  città  v'erano  state   indotte    dal    timore    che    quel    da 

{  Romano  si  accordasse  con  Federigo  II  imperatore  contro  la 
(  1232 libertà  del  paese:  ed  Ezelino  aveva  aderito  a  quelle  condizioni 
\  soltanto  per  guadagnar  tempo.  Di  fatto,  col  pretesto  che  la 
(  Lega  favorisse  i  Sambonifazio  a  scapito  suo,  non  le  osservò  i 
)  patti,  ricusò  condursi  a  Bologna  per  giurare  fedeltà  cogli  adunati. 
(  Anzi  sin  dal  gennaio,  si  egli  che  Salinguerra  da  Ferrara  erano 
\  stati  a  riverire  in  Ravenna  Federico  imperatore;  e  con  lui 
divisato  ai  modi  di  erigersi  sulle  ruine  della  italica  libertà, 
riducendo  il  paese  a  parte  ghibellina,  cioè  a  soggezione  dei 
Tedeschi. 

Poi  gettata  la  maschera,  Ezelino  ed  Alberico  si  chiarirono 
per  l'imperatore;  Alberico  si  condusse  in  Pordenone  del  Friuli 
per  esibirsegli  ad  ogni  servigio,  e  intanto  dargli  Verona,  chiave 
d'Italia,  che  stava  a  sua  obbedienza.  Federico  rispose  umanis- 
sime   lettere    ai    due    fratelli  «   che  (dice  lo  storico  Maurisio) 


'  I — h  MAURISIO 

lo  ^^^^^ ^_ 

j  impetrai  io  stesso  a  mie  spese,  ma  di  questi  e  d'altri    servigi 

)  molti,  aspetto  ancora  d'essere  riconosciuto  ».  In  queste  lettere 

■ì  Federico  li  saldava  nella  causa  sua;  durassero  contro  gli  av- 

)  versi,  ma  non  essei'e  tempo  ancora  di  venire  ai  ferri,  sintantoché 

j  egli  non  tornasse  con  più  valide  armi.  E  avendo  il  papa  spedito 

}  ambasciatori  a  Ravenna  dov'egli  s'era  posto  per  indurlo  a  pace 

j  coi  Lombardi,  esso  gli  evitò  andando    a    Venezia:    quivi    rag- 

\  giunto  da  loro  passò  in  Aquileja,  donde  per  mare  nella  Puglia. 

"  Di  che  tenendosi  derisi  i  collegati,  senza  più  che  tanto  curare 

j  le  esortazioni  che  di  là  mandava  loro   perchè   stessero    quieti 

né  molestassero  un  tanto  suo  fedele,  corsero  sopra  Ezelino    e 

)  Verona,  onde  trarli  dalla  loro  per  accordo  o  per  forza.  A  ciò 

)  singolarmente  adopravasi  sottomano  il  podestà  di  Verona,  ch'era 

■(  Guido  da  Po:  o  almeno   lo    disse    Ezelino    per    giustificare   la 

/  violenza  con  cui  pose  le  mani  addosso  a  costui,  e  con  tutta  la        ^ 

)  famiglia  lo  cacciò  prigione:  poi  chiamato  da  Ostiglia  un  uffiziale         ( 

;  dell'imperatore,  giurò  in  sua  mano  fedeltà  all'Impero,  e  a  nome         / 

,1  di  questo  prese  possesso  della  città,  sostenuto    dal    conte   del        | 

j  Tirolo  e  da  due  altri  conti  transalpini,  venuti  con  cencinquanta         j 

\  cavalieri  e  cento  balestrieri.  ) 

j  Le  confederate,  inteso  di  ciò,    apersero    la    campagna;    i 

j  Mantovani,  fedeli  ai  Sambonifazio,  tolgono  ai  Veronesi   il    ca- 122.3 

stello  di  ISogarola,  bruciano  Ponte,  Passero,    Fragnano,    Iso- 

)  lotta,    Poverano,    isola    della    Scala,    Nogara;  a  vicenda  Eze- 

(  lino  li  batte  a  Opeano;  quei  di  Padova  distruggono  Bonadigo, 

)  e  così  si  prosegue  con  varia  fortuna  tutto  quell'anno,    poi   al 

(  nuovo  maggio  si  ripigliano  que'  piccoli  fatti  che  mai  non  me- 

(  navano  a  una  decisione.  E  quantunque  Federico,  attesa  la  fede 

\  pura  ed  il  sincero  amore  di  Ezelino  e  di  Alberico,  prendesse 

l  in  protezione  e  difesa  questi  due,  i  servi,  i  castelli,    le    ville, 

5  le  possessioni,  i  beni  loro,  e    guai    a    chi    ardisse   intaccarli; 

'"  quantunque  i  vescovi    di    Padova,    Vicenza,    Treviso,    ligi    al 

)  potente  0  confidando  di  conservar  la  pace,    pubblicassero    fra 

il  popolo  que'  privilegi  e  queste  minacce,  nessuno  vi  die  retta; 

(  le  terre  dei  due  fratelli  furono  messe    a    soqquadro,    e    tutto 

(  quello  «  che  Tagliamento  ed  Adige  racchiude  »  andava  in  dis- 

(  sensioni  e  rabuffe. 

;  Ogni  cosa  terminò  a  vantaggio  degli  Ezelini.  Perocché  Al- 

i  berico,    spalleggiato    dai   Trevisani,  ruppe  in  giusta   battaglia         \ 


CAPITOLO   IH.  D    H 

qj 

quei  di  Padova,  e  de'  loro  prigionieri  stivò  le  carceri  di  Bas-  | 
sano  e  di  Treviso  ;  Ezelino,  inaspettatamente  sortito  di  Ve-  - 
rena  sopra  i  Vicentini ,  e  preso  Castel  Sambonifazio,  li  mandò  ( 
in  piena  rotta. 

Ivi  combatteva    un    tal    Bonifazio    da    Orbana,    indottovi 
dallo  storico  Gerardo  Maurisio  ,  che  gli  dava  del    suo    armi  e         ^' 
cavallo.  Il  campione  colla  lancia  sbarattava  i  nemici  e  ne  fé-         ) 
riva  i  cavalli ,  benché  ciò  fosse  vietato  come  scortesia  dai  leali         ' 
cavalieri  :  indi  gettava  via  la  lancia,  e  sfoderata  la  spada,  gi- 
randola a  tondo  ,  si  cacciò  fra  la  mischia  e  dirizzatosi    ad  un 
nobile  grande  e  forte  cavaliero  samaritano  ,  lo  prese  pel  collo 
e  lo  trasse  a'  suoi,  imperterrito  fra  un  nuvolo  di  dardi,  e  con- 
segnollo  ad  Alberico  ,    che    riconobbe  in  esso  uno  stretto  pa- 
rente. Il  Maurisio  ,  che  prende  molto  a  cuore  la  sorte  dei  ca- 
valli, e  più  deplora  un  di  questi  andato  a  male  che  non  molti 
uomini  ,  segue  raccontando  come  Bonaccursi  di  Falzasse  ,  per 
invidia,  feri  dietro  il  palafreno  del  prigioniero,  sicché ,  mentre 
prima  valeva  oltre  cento  lire  ,  non  ne  meritò  da  poi  che  quin- 
dici :  anche  il  cavallo  dell'  eroe  Bonifazio  rimase  tocco  nel  piede 
destro,  e,  soggiunge  il  Maurisio,  «  non  ne  potei  più  nulla  rica-         l 
')        vare.  Un  altro  egualmente  me  ne  guastò,  cavalcando:  eppure         { 
\         fin  qua  non  ebbi    compenso    veruno  ».  Quel  Bonifazio  poi  ri-         j 
;         nunzio  al  secolo  .  e  servendo  a  Dio  ,  elesse  1'  ottima  parte.  ( 

Battaglie  fraterne,  omaggio  ai  padroni,  rispetti  di  cavai-  ( 
leria,  devozione  ,  eccovi  il  secolo  compendiato.  Quando  ogni  j. 
confine  di  diocesi ,  che  dico  ?  d'  ogni  pieve  era  il  confine  d'uno  ( 
Stato,  ed  ogni  feudatario  era  un  sovrano  indi|)endente  con  di-  j 
ritto  di  spada  e  di  forca,  occasione  di  conflitti  doveano  ripul-  ( 
lulare  ogni  giorno  ,  quante  oggi  occasioni  di  processi  civili;  ; 
istantanee  le  nimicizie,  variabili  le  leghe,  efimeri  gli  accordi,  \ 
frivoli  i  motivi  di  rottura  quanto  in  oggi  quei  dei  duelli,  altro  ( 
genere  di  codardia  ,  che  gh  insani  potrebbero  intitolar  valore  ( 
come  la  guerra  d'  allora.  ( 

Facile  tema  retorico  il  declamare  contro  questi  micidj,  ma 
la  storia  non  dimentica  che  erano  sintomi  della  vita,  rin-  7 
novata  dopo  secoli  d'  oppressione.  E  qual  cosa  più  bella  della  j 
vita?  ma  è  difficile  il  regolarla  ,  e  trovasi  più  comodo  lo  spe-  \ 
gnerla  ,  come  si  fece  poi  ne'  secoli  d'  oro.  Allora  la  pace  fu  j 
recata  da  coloro  che  avevano   fomentato   le    ire;   allora  ogni 


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( 


potenza  e  volontà  individuale  fu  assorbita  nell'accentrameato  : 

allora  raigliaja  d'  uomini  divennero  una  macchina  in   mano   di  > 
un  uomo  ;  una    giornata   sotto  i  Soli  di    Spagna  o  sui  geli  di 

Russia  per  causa  sconosciuta  costò  più  vite  che  non  mille  av-  ì 

visaglie  d'  un    intero    secolo   per  tutta  Italia.  Se  poi    sia  vero  j 

che  i  fraterni  conflitti  tradissero    la  patria  alla    servitù   stra-  j 

niera,  ne  dubiterà  chi  osservi  qual  lunga  opera  dovettero  me-  ) 

nare  codesti  oltramontani    onde    corrompere  la    patria  nostra  j 

prima  d'  assoggettarla  ,  e  scassinare    uno   a  uno    que'  Comuni  i 

che  ne  aveano  formato  1'  agitazione  e  il  vanto  ,  prima  di  pie-  ^ 

garli  alla  neghitosa  agevolezza  del  servire.  ) 

^'essuno  dica  che  vogliamo  giustificare  quegli  eterni  litigi,  '^ 

i  quali  di  fatto  impedirono  di  creare  un'opinione,  di  sviluppare  ' 

il  sentimento  nazionale ,  d'  accordarsi  in  una  federazione  di  uni-  \ 

versale  utilità  e  comune  difesa;  e  attribuendo  importanza  alla  J 
spada,  cioè  al  barone  sovra  il  mercante,  all'uom  d'  armi  sovra 
il  pensatore,  spianarono  la  via  ai  tirannetti.  Che  se  queste  guerre 

possono  preferirsi  a  quella  servitù  taciturna  ,  che  gli  adulatori  j 

dei  re  decorano  col  nome  di  autorità  nazionale:  se  devono  pre-  ( 

ferirsi  alla  pace  qualora  si  volgano  a  rialzare  i  diritti  dell'uma-  <; 

nità,  e  salvare  la  terra  natale,  ad  assicurare  ai  figliuoli    quei  ^ 

che  sono  beni  supremi  per  l'uomo,  la  religione  avita  ,  le  buone  j 

leggi,  la  patria,  la  libertà,  allora  sono  miserabilissime  quando  } 

mettono  fratelli  a  cozzo  con  fratelli ,  senza  che  ne  vantaggi  la  J 

santa  causa  dell'umanità.  Né  tampoco    giovavano  a  diffondere  ( 

lo  spirito  militare  ,  tanto  necessario  a  nazione    che  si  dee  ri-  \ 

generare.  Questo  non  s'  acquista  in  un  giorno  d'  attacco  o  di  (' 

eroica  resistenza,  non  nelle  sommosse  cittadine;  ma    domanda  \ 

gli  oscuri  sacrifizj  della  caserma,  delle  marcie,  delle  veglie,  della  \ 

privazioni,  le  stanchezze,  i  calori,  i  geli,  la  fame,  le  malattie,  j 

lontano  dal  focolajo  domestico  e  da  una  mano  amica.  Solo  a  si  dura  j 

scuola  s'imparano  la  costanza  alle  fatiche,  la  sommessiouo  alla  di-  i 
sciplina,  l'ardore  nell'assalto,  la  pertinacia  nella  difesa,  la  con-  j 
fidenza  nel  capitano,  la  fedeltà  alla  liandiera;  quel  corpo  e  cuore 
di  ferro  che  costituiscono  il  buon  soldato,  capace  di  francheg- 
giare r  indipendenza  e  la  libertà  d'  un  paese ,  o  d'onorare  al- 
meno la  causa  che  non  può  far  trionfare. 


a 


D 


'  i 


CAPITOLO     lY. 


PACE. 


Nulla  serve  a  f.ir  ridere  gli  uomini  di  una 
rosa,  più  che  il  ricordar  loro  che  per  altri 
uomini  quella  cosa  è  seria  ed  importante  ; 
poiché  ad  ognuno  sembra  un  segno  evidente 
della  propria  superiorità  l'esser  divertito  da 
ciò  che  occupa  e  domina  le  menti  altrui... 
Guai  a  noi  se  volessimo  abbandonar  tutto  ciò 
che  ha  potuto  esser  soggetto  di  derisione! 
qual  e  l'idea  seria,  quale  il  nobile  sentimento 
che  abbia  potuto  sfuggirla  ? 

MANZONI. 


Oli  crediate    però    che   (li    guerre    soltanto    si 

vivesse  allora  e  d'oltraggi;  e  noi   di  continuo 

abbiam  poste  a  fronte  due  società;  una  fiera 

ed  armata,  l'altra  benevola  e   sofferente;  una 

che  moltiplica  i  dolori  sulla  terra,  l'altra  che 

li  diminuisce  se    può,  od  almeno   li   mitiga,  e 

li  trasforma  in  occasioni  di  merito.  I.a  religione,  non  operosa  di 

lotte  e  di  martiri ,    siccome   ne' primi  secoli;  non  arredata    di 

novelle  prove  da  tutte  le  scienze,  e  purificata  dai  progressi  della 

civiltà  come  oggi  :  ma  qual  conveniva  a  gente,  zotica  di  mente, 

robusta  di  sensi,'  mescolavasi  a  tutti  gli  atti  della  vita,  alle  visioni 

della  fantasia,  alle  aspirazioni  del  cuore,  ai  barlumi  della  scienza, 

non  meno  che  ai  viluppi    della  politica;  e  prendea  l'uomo   pei 

sensi  e  per  la  fantasia.  Di  qui  i  tanti  miracoli,  che  si  possono 

tua 


75  — 


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□  CAPITOLO    IV.  LJ    L-, 


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compassionare  come  illusioni  dei  ere  luli,  ma  che  tornavano  effica- 
cissimi nelle  vie  della  provvidenza,  e  consolanti  per  gli  uomini  che 
pativano,  cioè  pel  maggior  numero.  Guerre  rinascenti,  spesse  care- 
stie, fiumi  sfrenati,  ricorrenti  epidemie,  ecotestiEzelinieFederichi 
e  Buosi  rendevano  dura  e  mal  assicurata  la  vita  dei  vulghi, 
afi'ollati  attorno  alla  fossa  de'  castelli,  od  aggruppati  al  santuario 
e  al  monastero,  ridotti  men  che  uomini  dalla  forza  e  dalla 
miseria.  In  quale  scoraggiamento  non  sarebbero  essi  caduti  se 
un  raggio  di  cielo,  dilatando  la  prospettiva  delle  loro  immagi- 
nazioni, non  avesse  trasfigurato  quelle  miserie,  e  rialzato  le 
anime  degli  oppressi  al  livello  di  quelle  de' padroni;  se  la  fede, 
o  altri  dica  pure  la  superstizione,  non  avesse  fatto  discendere  ( 
angeli  e  santi  a  udirne  i  lai  e  consolarli;  se  la  natura  selvaggia,  ì 
visitata  cosi  spesso  da  Dio,  dalla  Vergine,  dai  beati,  non  avesse  < 
offerto  armonie  sconosciute  ed  ineffabili  consolazioni,  e  sommi- 
nistrato pane  allo  spirito  quando  ne  mancava  al  corpo! 

Di  mezzo  al  luttuoso  trambusto  della  gente  armata  udivasi 
tratto  tratto  alcuna  voce  intimare  ai  discordanti  che  posassero 
le  ire  e  concedessero  pace,  non  al  concittadino,  non  al  conna- 
zionale, ma  al  cristiano.  Tra  ferree  volontà,  indisciplinate  ma 
d' inconcusse  credenze,  siffattii  voce  non  poteva  proferirsi  che 
dalla  religione,  venerata  dalle  plebi,  riverita  dai  signori,  temuta 
dai  ribaldi;  traviata  è  vero  talvolta  fin  al  punto  di  giustificare 
i  delitti,  ma  che  pure,  allorché  la  fiera  ragione  delle  spade 
imponeva  silenzio  ad  ogni  diritto,  unica  agli  ostinati  e  superbi 
poteva  ragionare  d'altri  interessi  che  non  quelli  della  passione 
e  della  vendetta. 

I  pontefici,  capi  indisputati  di  tutta  la  cristianità  e  rap- 
presentanti del  senso  comune  e  della  giustizia,  mandavano  da 
un  estremo  all'altro  del  mondo  i  loro  decreti,  ai  quali  si  chi- 
navano i  re.  Ministri  loro,  i  frati  spargevano  nel  popolo  un 
elevatissimo  concetto  dell'autorità  pontifizia,  ed  insieme  con 
una  folla  di  ubbie,  di  portenti  non  fìnti  eppure  non  veri,  falsi 
eppure  non  fallaci,  e  creduti  da  quelle  genti  corrive  ed  ingorde 
di  vive  impressioni,  rendevano  venerato  il  ministero  dell'altare 
come  cosa  più  umana.  E  iierchò  la  pace  è  il  primo  bisogno 
d'ogni  società,  intorno  a  questa  s'industriavano  essi  principal- 
mente. La  croce,  che  qualche  eremita  piantava  s'una  crocevia, 
il  tabernacolo  che  un  devoto    facea   rozzamente    dipingere    in 


-|  ,  .  -  "6 


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PACE 


mezzo  ai  campi,  divenivano  il  rifugio  de'  perseguitati,  degli 
oppressi,  non  meno  die  il  sagrato  delle  chiese,  o  la  canonica 
e  il  monastero  ^.  I  frati,  battendo  alla  vegliata  porta  del  ricco 
come  al  tugurio  del  povero,  spargevano  dapertutto  le  idee 
della  misericordia,  del  perdono  ai  nemici,  come  condizione  del 
perdono  che  noi  domandiamo  al  Signore. 

Al  leggere  le  meraviglie  della  costoro  potenza,  non  vi  pare 
essere  trasportati  in  que'  secoli  mitologici,  dove,  al  suono  delle 
cetre,  scendevano  boschi  e  selve  ad  ascoltare  i  primi  dirozzatori 
delle  società,  e  le  pietre  sommosse  coordinavansi  a  formare 
le  mura  di  Tebe?  Mei  fondo  del  medioevo,  in  quel  secolo  del 
mille  che  intitolarono  ferreo,  si  diffusero  pel  mondo  pii  uomini, 
annunziando  che  Dio  li  mandava  intimare  che,  tre  giorni  per 
settimana,  ciascuno  cessasse  dalle  offese.  Oggi  l'impone  la 
giustizia,  lo  comanda  la  legge,  e  per  sempre:  allora  giustizia 
e  legge  non  si  riconosceva  che  sotto  la  forma  religiosa:  e 
quei  mille  regoli  che  non  avrebbero  obbedito  a  minaccia  o  a 
pena,  rispettavano  la  tregua  di  Dio.  Dalla  sera  del  giovedì 
sino  all'alba  del  lunedi  era  dunque  riposo  ai  perseguitati  :  i 
deboli,  i  minacciati  potevano  ritornare  inoffesi  alle  loro  case  , 
alle  dolci  consuetudini  '^. 


1  Pochi  conoscono  una  preziosa  inscrizionf,  infissa  fuor  della  porla  magL^iore, 
(lell'airio  di  Sant'Aniijrogio  a  Milano,  ove  nel  1098  il  vescovo  Anselmo,  d'accordo 
col  concilio  (li  Uitta  la  città  (notate  bene  questo  prezioso  cenno  di  Comune  in 
tanta  altezza  di  tempi)  e  sotto  pena  di  scomunica,  vuol  che  abbia  pace  e  franchezza 
da  ogni  molestia  chi  verrà  alla  festa  dei  ss.  Protaso  e   Gervaso. 

t  IN  NOMINE  SANCTE  TRINITATIS  AD  EJUS  HONOREM  ET  SS.  PROTASII 
ET  GERVASII  M4RTIRUM,  STATUTUM  EST  AB  ARCHIEPISCOPO  ANSELMO  ET 
EJUS  A  POSTER  SUCCESSORrBUS,  SUB  NOMINE  EXCOMMUNICATIONIS,  ET  CO- 
MUNI CONCILIO  TOTI US  CIVITATIS,  VT  ^0>i  LT'JEAT  ALICUI  HOMINUM  IN 
EORVMFESTIVrTATE  PER,  DIES  TRRS  ANTEA  ET  PER  TRES  POSTEA  CUSTODIAM 
TULLERE  ET  IN  JUS  SlUt  PROPRIU.M  USURPARE.  ITERU.\i  CONFIRMAVERUNT 
PER  OCTO  niES  ANTE  FESTUM  ET  PER  OCTO  POST  FESTUM  FIRMAM  PACE.M 
OMNIBUS  HO.MINIBUS  AD  SOLEMNITATEM  VENIENTIBUS  ET  REDEUNTIBUS. 
ADAM  ET  PAGANO  HUIC  BONO  OPEM  DANTIBUS.  ANNO  MIIC. 

■2  Neirarchivio  della  cattcìlrale  d'Aosta,  al  line  d'un  pantilìcale  del  X  secolo, 
è  questo  ricordo:  Breve  recordarionis  de  Iref/ua  Domini,  'quain  inter  se  religiose 
rhrisliani  cuslodlrc  dt'ìwnl  sminduiii  cpisroporuiii  praccejilum  et  bonoruia  laicoruin 
ronsrnsum.  In  primis  tciicnda  est  frcfpia  Dei,  ne  homo  orrida!  hominem,  ri  ne  homo 
(rodai  senior^m  siinm.  Si  rpiis  hor  prrralnn:  frceril  in  Irer/ua  Dei,  profiujus  7Wn 
rrmaneal  in  patria. 


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—  77  — 


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CAPITOLO    IV. 


Le  crociate  valsero  non  poco  alla  pubblica  pace  e  alla 
privata,  giacché  il  primo  mezzo  di  unir  la  cristianità  contro 
gl'infedeli  era  il  sospendere  le  ostilità  private:  poi  chiunque 
avesse  preso  la  croce  restava  sotto  la  salvaguardia  della  Cliiesa, 
che  ne  garantiva  la  persona  e  gli  averi.  San  Bernardo  da 
Chiaravalle,  mentre  predicava  la  crociata,  venne  a  porre  in 
concordia  Milano,  Genova,  Pavia,  Cremona:  e  Dio  lo  prosperò 
con  mirabili  effetti.  Il  beato  Alberto  mise  in  accordo  gli 
abitanti  delle  rive  dell'Adda  fra  Brivio  e  vai  San  Martino, 
quand'erano  già  per  venire  ai  ferri.  Il  qual  beato  Alberto  avea 
fondato  il  convento  di  Pontida,  ove  poi,  ad  insinuazione  di  altri 
frati,  venne  conchiusa  la  Lega  Lombarda,  cioè  alla  guerra  che 
ci  fece  servi  dello  straniero,  surrogata  la  pace  che  ci  redense; 
e  di  là,  alla  guida  d'un  frate  Jacobo,  si  mossero  le  città  lom- 
barde per  ricostruire  Milano  distrutta ,  e  liberare  la  patria 
dal  Barbarossa. 

Nel  Concilio  lateranese  IV,  Innocenzo  III  aveva  deciso  non 
istituissero  più  nuovi  Ordini  religiosi,  acciocché  tanta  varietà 
non  paì'torisse  confusione  nella  Cìiiesa  di  Dio.  Ma  non  guari 
dopo,  esso  papa  vide  in  sogno  la  basilica  di  San  Giovanni 
Laternno  tentennare  e  minacciar  ruina  :  quando  a  sorreggerla 
comparvero  due  uomini.  Poco  andò  da  quel  sogno,  ed  ecco 
vennero  a  chiedergli  licenza  di  fondar  Ordini  nuovi  due  pii 
personaggi,  uno  italiano,  l'altro  spagmiolo,  Francesco  e  Do- 
menico, ne'  quali  il  pontefice  ravvisò  le  sembianze  che  avea 
sognate. 

Un  mercante  d'Assisi,  viaggiando  in  Francia  come  tanti 
Italiani  faceano  allora,  vi  menò  suo  figliuolo,  che  imparò  la 
lingua  di  là  per  modo,  che  nel  suo  paese  fu  nominato  il  Fran- 
cesco. Francesco  attese  al  banco  e  al  braccio,  sinché,  udendo 
quel  detto  di  Cristo,  Chi  vuol  essere  degno  di  me,  getti  ogni 
cosa  e  mi  segna,  lasciò  i  traffici  ed  ogni  bene  terreno  per 
darsi  tutto  all'anima.  Suo  padre,  che,  da  buon  massaio,  credea 
colpa  suprema  di  trascurare  gì'  interessi,  fece  che  il  vescovo 
d'Assisi  lo  chiamasse  per  rimbrottarlo;  ma  Francesco  se  gli 
presentò  ignudo  nato,  protestando  di  rinunziar  a  tutto,  nò 
volere  altro  che  seguire  Cristo.  Il  vescovo  non  osò  stornare 
una  vocazione  tanto  pronunziata,  e  fattolo  vestire  grossolana- 
mente, il  licenziò  colla  sua  beaedizione.  Francesco,    lieto    del- 


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TREGUA    DI   DIO  D 


l'inopia  come  altri  delle  dovizie,  se  ne  partì  accattando,  soc- 
correndo, cantando  laudi,  facendo  discorsi  che  sempre  comin- 
ciavano con  Dio  vi  dia  la  pace. 

E  pace,  amore  erano  il  costui  carattere;  una  benevolenza 
che  abbracciava  anche  le  infime  creature,  e  da  tutte  traeva 
occasione  di  lodar  Dio  e  d' imparare  ad  amarlo.  Le  belle  foreste 
della  vallata  natia  egli  percorre  cantando,  e  facendo  invito 
agli  uccelli,  che  intitola  fratelli  suoi,  perchè  celebrino  seco  il 
Creatore;  prega  le  rondini,  sorelle  sue,  a  cessare  il  pigolio 
mentr'egli  predica:  sorelle  chiama  le  mosche,  sorella  la  cenere: 
la  cicala  che  stride  lo  eccita  a  lodar  Dio:  alle  formicolo  rim- 
provera di  mostrarsi  troppo  sollecite  dell'avvenire:  vede  un 
verme  sulla  strada,  e  lo  devia  perchè  non  rimanga  calpesto; 
alle  api  nell'inverno  procaccia  del  miele;  campa  tortore  e  lepri 
dai  cacciatori;  vende  il  proprio  mantello  per  riscattare  una 
pecora  dal  macellaio;  il  giorno  di  Natale  volea  si  desse  miglior 
prebenda  all'asino  ed  al  bove;  poi  in  quel  sacro  giorno  predicava 
in  una  stalla  veramente,  davanti  a  una  greppia,  e  belava  come 
un  pecorino  nel  proferir  Betlemme;  e  leccavasi  le  labbra  quando 
pronunziava  il  nome  di  Gesù. 

Eh  via  via!  ridete  a  tanta  semplicità.  Eppure  voi,  voi  allievi 
dell'Enciclopedia,  se  questi  atti  li  facesse  un  Ginnosofista  o  un 
Pitagorico  gli  ammirereste;  li  stimereste  se  venissero  da  un 
Quakero,  o  se  Sterne  gli  attribuisse  allo  zio  Tobia.  Io  non  uso 
due  bilancie:  io  povero  narratore  non  so  che  collocare  quel 
viso  ascetico  e  sereno  a  fronte  del  ceffo  di  Ezelino  e  di  Buoso 
da  Dovara  «  che  pur  col  ciglio  minacciano  guai  »;  e  senza 
comandare  alla  vostra,  gli  tributo  la  mia  ammirazione  insieme 
con  Dante;  l'ammirazione  che  si  dee  a  chi  ha  robustezza  per 
opporsi  ai  pregiudizj  e  ai  misfatti  del  proprio  secolo. 

Bernardo,  cittadino  d'Assisi,  interroga  Francesco  se  deva 
abbandonar  il  mondo,  ed  egli.  —  Non  chiederlo  a  me,  ma  a 
Dio  »  E  prende  il  vangelo,  lo  apre  a  caso,  e  la  prima  frase 
che  gli  cade  sott'occhio  è:  Se  vuoi  essere  perfetto,  rendi  quanto 
hai,  e  dallo  ai  poveri.  Lo  riapre  e  trova:  —  Se  vai  in  viaggio, 
non  portar  né  bisaccia,  uè  nulla.  Lo  schiude  una  terza  volta, 
e  legge:  Chi  vuol  venire  dietro  me,  neghi  se  stesso,  prenda 
la  croce,  e  mi  segua.  Francesco  esclama:  —  Ecco  la  regola 
mia  e  di  chi  vorrà  meco  unirsi  ». 


Bernardo  fu  il  primo,  suo  discepolo,  poi  Pietro  da  Catania 
<  ed  Egidio:  boffeggiati  pel  loro  vestire  grossolano,  e  presi  a 
\  sassi  dalla  popolaglia,  che  avrà  fatto  di  cappello  al  marchese 
{  Bonifazio  o  a  re  Federico.  Cresciuti  a  sette  discepoli,  Francesco 
(  propose  mandarli  pel  mondo  a  predicare  alle  creature  tutte 
^  che  amassero  il  Creatore,  e  ne  domandò  licenza  al  papa. 
\  Come  tutti  i  forti,    Francesco  tendeva  a  far   passare   nel 

mondo  esterno  l'intimo  suo  sentimento,  e  ridurre  ad  effetto  il 
proprio  pensiero;  al  qual  fine  volle  istituire  un  Ordine  di  frati, 
con  una  regola,  tutta  in  opposizione  alle  massime  del  mondo. 
Innocenzo  III  sotto  la  semplicità  di  Francesco  ne  conobbe  la 
potenza;  esitò  peraltro  a  confermar  la  regola,  perchè  gli  pareva 
)  1215  superiore  alle  forze  di  uomini.  Approvati,  fra  dodici  si  unirono 
^  presso  una  c.ippelletta,  ottenuta  dai  Benedettini  nel  piano 
■  d'Assisi:  e  a  questa  sua  Porziuncola  Francesco  impetrò  dal 
cielo  e  dal  papa  un'  indulgenza,  a  conseguire  la  quale  non 
occorresse  fare  veruna  offerta. 

Nel  secolo  suo  prevale  la  fierezza,  e  ogni  cosa  va  in  risse, 
micidj,  tirannia?  e  Francesco  si  porge  tutto  soavità  e  pazienza; 
per  le  ingiurie  non  ha  che  perdono  :  alle  parole  oltraggiose 
non  risponde  che  coll'amorevolezza,  e  sgrida  un  suo  frate  che 
ai  masnadieri  capitati  al  loro  convento  avea  dato  rimproveri, 
invece  di  pane.  I  tiranni  uccidono,  straziano,  molestano?  egli  e 
i  frati  che  istituì  prendono  a  cura  i  poveri,  gli  esuli,  i  mendicanti, 
i  lebbrosi,  da  tutti  sfuggiti  per  ischifo.  Il  lusso  delle  corti  dei 
principi  già  varca  alle  chiese,  e  i  prelati  sbizzarrendo  in  pompe, 
sfoggiano  gran  manti  in  via,  gran  tappeti  in  palagio,  grand'ori 
nel  tempio  ?  e  Francesco  vi  mette  a  riscontro  la  mortificazione, 
la  privazione  perfino  del  necessario.  Il  mondo  agogna  alle  ric- 
chezze, perchè  fonte  di  autorità  e  di  agi,  perchè  occasioni  di 
orgoglio  e  di  soperchierie?  Francesco  vuol  la  povertà,  non  solo 
per  sé,  ma  per  tutto  il  suo  Ordine:  nel  quale  introduce  per 
virtù  ed  elezione  quei  sistemi  che  per  comando  vorrebbero  a 
tutti  estendere  i  più  avanzati  socialisti  odierni. 

Lo  svegliantesi  pensiero  e  le  acquistate  libertà  tendono  a 
trascendere,  fino  ad  impugnare    l'autorità    del    senso    comune 
per  dar  ogni  importanza  all'individuo?   e  Francesco   vuol    in- 
terissima  soggezione,  e  comincia:  La  regola  dei  frati  Minori         \ 
è  d' osservare  il  vangelo,  vivendo  in  obbedienza  senza  nulla  di         ^ 

1^ -; j| 


SAN    FRANCESCO  □    '— i 


r 


)         froprio,  e  in  castità.  Frati  Minori  si  chiamano  i  suoi,  perchè 


devono  gareggiare  d'umiltà;  lavavansi  i  piedi  gli  uni  cogli  altri; 
i  superiori  intitolavansi  servi:  e  Beato  il  servo  il  quale  non 
si  tien  migliore  qiiand'è  dagli  uomini  esaltato  che  quando 
vihpcso:  giacché  l'uomo  è  quel  che  è  avanti  a  Dio  e  nulla  piii. 
Siffiitta  sottomissione  non  è  quella  che  dovrebbe  augurare 
chi  volesse  una  repubblica  non  di  solo  nome,  come  queste  odierne 
che  nascono  e  periscono  s'una  carta  ? 

Colà  leggi  ed  uffiziali  erano  fatti  della  comunità;  tutti  i 
membri  concorreano  alla  nomina  del  generale,  che  risedeva  in 
Roma  assistito  da  un  consiglio;  da  lui  dipendeano  i  provinciali 
e  i  priori,  eletti  essi  pure  dalla  provincia  o  dal  convento;  cia- 

j  scuna  comunità  teneva  capitolo  una  volta  l'anno;  i  capi  di 
ciascuna   provincia,   i   priori   e   deputati    di    ciascun    convento 

)         formavano  il  capitolo  generale. 

;  Non  vi  par  questa  una  bell'e  buona  forma  rappresentativa? 

Ed  ha  sei  secoli;  e  voi  credete  che  l'abbiano  inventata    l'al- 

;         tr'  ieri  i  Parigini  in  un  giorno  di  barricate. 

l  Col  rinnovarsi  degli  studj,  entra  la  pompa  dell'erudizione, 

)  lo  sfoggio  di  cognizioni,  le  allusioni  argute,  i  profumi  del  bello 
stile,  cioè  dell'affettato.  Fino  a  questa  seduzione  cosi  lusinghiera 
sa   sottrarsi  Francesco;   parla   e   scrive   la   lingua  vulgare  :   e 

)  primo  0  dei  primi  la  adopera  alla  poesia,  senza  alcuna  remi- 
niscenza (li  antichità  né  lambiccatura  di  frasi  3;  vuol  che  le 
prediche  non  abbiano  formole  e  testura  di  scienza  profana;  né 

/         cosa  che  non  rechi  edificazione,  come  nessuna  ne  respinge  che 

'^         all'edificazione  conduca.  Perciò  non  si  indirizza  egli   ai   ricchi, 

/  ma  cerca  i  poveri  ;  fa  vestire  i  suoi  col  salone  che  usavano  i 
villani:  e  con  quello  non  piantarsi  in  mezzo  alle  capitali,  come 
gli  Ordini  e  le  regole  del    Cinquecento,    ma    diff"on(lersi    nella 


Nullo  dorica  oramai  più  mi  ripronda 
Se  tal  amoro  mi  la  pazzo  •/\ve. 
Già  non  è  core  clic  l'iù  si  direnila . . . 
Amore,  amore,  grida  hiUo  il  mondo 
Amore,  amore,  tanto  preso  m'  liai, 
Amore,  amor,  clic  hen  credo  morire. 
Amore,  amor,  Jesù  son  zonto  a  porlo 
Amore,  amor,  Jesù  dammi  conforto. 


_,_j  -  SI  -  Dj^il 


:i-P 


CAPITOLO   IV.  1-^    "ri 

)  campagna  a  consolare  i  dolori  e  a  sorreggere  la  rassegnazione 
del  povero  con  semplici  parole,  con  santini,  con  mostrare  che 
il  mondo  è  un  viaggio  d'espiazione  verso  la  patria.  Non  avendo 
)  libri  (tanto  erano  poveri)  oravano  mentalmente;  sermonavano 
)  coi  modi  popolari,  anzi  triviali,  con  una  drammatica  che  non 
;         rifuggiva  dalle  buffonerie. 

]  Francesco  passava  di  terra  in  terra,  tanto  venerato    che 

\  si  sonavano  le  campane  e  uscivasi  a  incontrarlo  con  rami  e 
)  fiori.  Quattro  anni  dopo  approvato,  il  Padre  Serafico  (così  lo 
\  chiamarono)  radunava  cinquemila  frati  della  sola  Italia.  E  di- 
(  cevano  :  —  jNoì  siamo  poveri,  e  valutiamo  il  denaro  nulla  meglio 
\  »  che  polvere:  pure  non  condanniamo  né  sprezziamo  quei  che 
(  »  vivono  dilicati  e  sfoggiano  in  abiti.  Nostro  compito  è  soffrire 
»  con  umiltà  e  pazienza;  chi  viene  a  noi  dee  dare  ogni  fatto 
)  »  suo  ai  poveri  ;  chi  sa  un  mestiere  deve  esercitarlo  per  gua- 
/  »  dagnarsi  il  vitto;  chi  no,  vada  alla  busca;  ma  non  di  denaro, 
}  »  che  l'Ordine  non  dee  possedere  altro  che  il  mero  necessario  ». 
ì  In  viaggio  non  portavano  che  il  puro  abito,  e  né  tampoco  il 
}  bastone.  Si;  ma  quando  i  cavalieri  s'armavano  per  la  crociata, 
Francesco  passa  i  mari  tutto  solo,  si  presenta  al  terribile  Melik 
Kamel  in  Egitto,  e  gli  predica  Cristo,  cioè  l'amore  e  la  giustizia. 
Si;  ma  quando  veniva  una  peste,  que' frati  ipocriti  morivano 
a  migliaia  presso  al  poltriccio  de'  soffrenti,  colla  rassegnata 
lor  morte  consolando  ancora,  quando  più  non  aveano  forza  di 
mostrar  l'effigie  di  Quello  che  morì  per  noi.  Il  vulgo  divideva 
con  essi  volentieri  il  pane,  perchè  ne  ricevea  largo  ricambio 
di  pane  dello  spirito:  e  le  astinenze  e  le  abnegazioni  di  loro 
toccavano  gli  uomini,  che  nel  sacrificio  riconoscevano  l'amore, 
e  nell'amore  la  virtù. 

Affine  di  penetrare  vieppiù  nella  società,  Francesco  istituiva 
il  ter z' Ordine,  composto  di  laici  che  viveano  alle  proprie  case 
e  faccende,  legati  coll'ordine  per  vie  di  certe  pratiche  e  per 
la  partecipazione  ai  tesori  delle  preghiere. 

Anche  con  ciò  Francesco  prendeva  di  jiiira  un  male  allora 
cominciato,  la  guerra  che  certi  comunisti  di  allora  vedremo 
muover  contro  la  famiglia;  e  vi  riparava  col  fare  in  questa 
penetrar  la  sua  regola,  cioè  riformarlo  non  con  totale  impasto, 
ma  col  renderla  morale,  imponendo  il  modesto  e  concorde  vi- 
vere, l'evitare  i  litigi,  non  dar  giuramenti  che    leghino   a    un 


^: 


n  -  32 


r— '□  SAN    DOMENICO  LJ    H 

uomo  o  ad  una  fazione,  non  portare  armi  se  non  per  difendere 
la  Chiesa  o  la  "patria  4. 

Contemporaneamente  san  Domenico,  nobilissimo  spagnuolo, 
per  correggere  la  cristianità  traviata  istituiva  i  Predicatori, 
(ardine  di  forme  elettive  pur  esso,  come  furono  sempre  le  cor- 
porazioni ecclesiastiche:  e  anch'egli  in  cinque  anni  avea  sessanta 
case,  poi  ben  presto  era  diffuso  dal  Groenland  a  Samarcanda, 
nella  capanna  del  Samojedo  e  sotto  le  tende  di  Batù  e  di 
Gengis-kan.  Avendo  Domenico  diretto  i  suoi  più  specialmente 
alla  predicazione,  a  convertire  gli  infedeli  e  gli  eretici,  a  scri- 
vere in  difesa  e  schiarimento  della  fede,  i  suoi  erano  persone 
più  còlte,  e  davano  maestri  alle  Università  ^. 

I  due  Ordini  invasero  ben  presto  la  società;  e  persone  di 
gran  casato  e  di  gran  sapere  abbandonavano  la  gloria,  le  lettere, 
le  armi,  fin  le  corone  per  entrarvi.  Frate  Minore  fu  Lodovico, 
figlio  di  Carlo  II  di  Napoli  ;  Dante  volea  cingersi  quel  cordone, 
poi  ne  fece  l'elogio  pomposo  che  ognuno  ricorda  :  Domenico, 
fondato  a  Genova  il  convento  di  S.  Egidio,  v'ebbe  amico  il 
famoso  trovadore  Folchetto  di  Marsiglia;  l'opera  più  bella  che 
ancor  si  fosse  veduta  di  scultura  fu  l'arca  di  san  Domenico, 
fatta  a  Bologna  il  1260  da  Nicolò  di  Pisa;  come  una  delle 
migliori  architetture  gotiche  il  sacro  convento  di  Assisi  ;  a 
Bologna  faceasi  tal  ressa  per  vestirsi  domenicani,  che  l'autorità 
pubblica  intervenne  per  impedirlo  ^.  Il  continuo  meditare  sovra 
sé  stessi,  e  paragonarsi  alle  ineffabili  bellezze,  e  sorprendere 
il  male  in  germe  e  sotto  le  forme  più  fuggevoli,  e  l'aspirar 
veemente  al  bello  sostanziale,  al  bene  infinito,  svolgeva  in  quei 
monaci  delicatezza  di  sentimento  e  acume  di  vista  interna;  dal 
che  la  profonda  conoscenza  dell'uomo  che  appare  ne' moralisti 
e  negli  oratori. 

(v!uesta  milizia  democratica  era  naturale  alleata  del  popolo. 


*  Imjntijnalioìihs  armn  scciim  fralirs  non  (ìcfcraìit,  ìnsi  ]  ro  dcfcnsione  romaiiae 
Ecch'siac,  ihnsiianac  [idei,  vd  liium  terrete  ip^onnn,  e.  VII. 

^  Ma  e  r  Iiiqnisizioiio  ? 

Avremo  a  itailarne  più  avaiiii;  iniaiilo  liasii  avvciiin!  the  san  Domenico  non 
ebbe  nò  mano,  nò  ingciocza  siili' isliluziono  ili  (india  l'ciiizia  de' mezzi  tempi. 


'^  GiiiKAUi'ACCi  al  1211). 


-  83  -  D^ 


|— a  CAPITOLO    IV.  □    *— 1 

del  quale  onorava  la  povertà;  nemica  dei  tiranni,  de' quali  non  ) 
sentiva  né  paura,  né  bisogno  ;  onde  Pier  dalle  Vigne,  segretario 
di  Federico  II,  scriveva:  —  Per  affievolirci  ognor  più,  si  crea- 
»  rono  due  nuove  fraterie,  che  abbracciano  uomini  e  donne  , 
»  tanto  che  appena  uno  o  due  troveresti  ciie  non  vi  siano 
»  aggregati;  e  levatisi  contro  di  noi  in  ira,  pubblicamente 
»  riprovano  la  vita  e  il  parlar  nostro,  spezzano  i  nostri  diritti, 
»  e  ci  riducono  a  nulla  ".  » 

Rosa  da  Viterbo,  fanciulletta,  affrontò  le  persecuzioni  di 
Federico  IL  I  Saraceni,  che  costui  assoldava  a  danno  dell'  i- 
talica  libertà,  irrompono  nella  valle  di  Spoleto;  e  le  monache 
d'Assisi  sgomentate  si  stringono  attorno  a  Chiara,  l'amica  e 
coadiutrice  di  san  Francesco  :  e  questa  che  giacea  mala,ta , 
levasi,  prende  l'ostensorio,  lo  colloca  sulla  porta,  e  inginocchiata 
al  cospetto  de'  Musulmani,  supplica  Dio  a  proteggere  la  città 
dagli  infedeli,  che  disfatti  volgonsi  in  fuga.  Un'altra  volta 
Vitale  di  Aversa,  capitano  di  Federico,  devastava  i  contorni 
d'Assisi;  onde  Chiara  adunate  le  suore,  —  Moi  riceviamo  il 
pane  quotidiano  da  questa  città,  ben  è  giusto  che  la  soccor- 
riamo a  poter  nostro  »;  e  cosperse  di  cenere,  supplicano  e 
supplicano,  finché  Dio  non  salva  la  cara  patria  dagli  stranieri. 

Se  proposito  nostro  è  di  far  conoscere  quel  secolo  sotto 
gli  aspetti  opposti,  bisognerà  bene  ci  si  permetta  di  parlare  di 
pietà,  di  umiltà,  di  miracoli,  di  plebe,  di  frati;  non  sempre  di 
ladronecci,  di  superbie,  di  prelati,  di  principi. 

Coloro  che  della  critica  fanno  una  ciurmerla,  e  al  dissenso 
non  sanno  opporre  che  la  calunnia  o  di  quelle  ingiurie  che  per 
la  loro  indeterminatezza  non  comportano  risposta,  diranno  che 
noi  vogliamo  restaurar  i  frati.  Restaurare  tanti  oziosi  e  celibi 
volontarj,  or  che  all'Europa  bastano  tre  in  quattro  milioni  di 
cehbi,  assoldati  per  forza,  a  tenerla  beata!  Ma  noi  parliamo 
d'allora,  e  chiediamo,  non  ai  dottrinar]  aristocratici,  che  le 
opinioni  imbevute  non  vogliono  discutere  per  non  dover  sur- 
rogare   il    raziocinio    all'autorità    dei    loro  dittatori,    bensì  al 


lì 


'  Ep.  57,  lil).  1,  Duas  novas  frateriiilalcs  creaverunt,  ad  quas  sic  gencraliler 
inairs  el  fceminas  reccperunt,  quod  six  vnus  et  una  remansit  cujtts  nomen  in 
filiera   non  sit  scriptum. 


81  -  D_l 


I    FRANCESCANI  Ci    H 


T 


s 


popolo  chiediamo  da  qual  parte  fosse  il  liberalismo.  Da  quella 
parte  noi  ci  collochiamo  allora  come  adesso,  e  tiriamo  innanzi, 

I  Francescani,  apostoli  della  povertà  e  dell'amore,  men- 
dicando in  nome  di  Cristo,  spargendosi  da  per  tutto,  colle 
dimostrazioni  maravigliose  che  allettano  la  plebe  d'ogni  età, 
d'ogni  nazione,  coll'austerità  d'una  vita  penitente,  col  mace- 
rarsi e  flagellarsi  dinanzi  alle  affollate  udienze,  traevano  dietro 
a  sé  innumerevole  concorso,  su  cui  potevano  quanto  volevano. 
Le  città,  sempre  in  sospetto  delle  mal  assicurate  libertà,  com- 
mettevano ad  essi  i  più  gelosi  uffìzj:  essi  tesorieri,  essi  camer- 
linghi,  essi  archivisti,  anziani,  segretarj  nelle  repubbliche;  le 
consulte  si  tenevano  nei  conventi;  ivi  le  intelligenze  segrete 
e  le  aperte  leghe:  ad  essi  commettevasi  l'eleggere  le  podestà; 
essi  all'uopo  tribuni  del  popolo,  essi  capitani  d'eserciti,  essi 
riformatori  di  statuti;  con  quel  misto  d'uffizj  che  è  proprio  di 
società,  non  cosi  bene  casellate  per  numero  ed  alfabeto  come 
la  odierna.  E  quel  trionfo  era  dovuto  non  a'  politici  raffina-  ) 
menti,  neppure  a  grande  accorgimento,  ma  alla  bontà;  la  bontà  ) 
che  viene  intesa  da  tutti,  anche  quando  più  sono  travisate  le  [ 
idee  del  giusto  e  del  retto:  che  basta  conoscerla  per  averla  ( 
in  pregio;  che  è  amata  perchè  propizia  e  tutelare;  che  si  sot-  ( 
trae  all'invidia  perchè  semplice  e  senza  arroganza.  ; 

Principale  uffizio  di  questi  nuovi  frati  era  il  mettere  pace         J 
fra    tante   riotte:    e    qui    torniamo    verso  il  tema  nostro,  che 
alcun  non  creda  l'abbiamo  interamente  dimenticato.  Tommaso,         J 
arcidiacono  di  Spalatro,  nella  Storia  Saloniana  racconta:  —  Il         ( 
»  dì  dell'Assunta,  anno  1222,  stando  io  agli  studj  a  Bologna,  J 

»  vidi  san  Francesco  predicare  nella  piazza  del  pubbhco  pa-  } 
»  lazzo,  dove  quasi  tutta  la  città  era  raccolta.  E  fu  esordio  l 
»  al  predicar  suo  il  parlare  degli  angeli,  degli  uomini  e  dei  ì 
»  demonj  :  intorno  ai  quali  spiriti  razionali  tanto  bene  propose,  > 
»  che  a  molti  letterati  ivi  presenti  recò  non  poca  meraviglia  ì 
»  un  parlare  si  giusto  di  persona  idiota.  Ma  la  materia  del  ) 
»  suo  ragionare  tendeva  sovratutto  ad  estinguere  le  inimicizie,  ( 
»  e  fare  concordati  di  pace.  Sordido  d'abiti,  spregevole  d'ap-  ( 
»  parenza,  di  faccia  abietta,  pure  Iddio  aggiunse  tanta  efficacia  ; 
»  allo  parole  di  lui,  che  molte  tribù  di  nobili,  fra  cui  inumana  i 
»  rabbia  d'inveterate  nimicizie  aveva  infuriato  con  molta  ef-  ( 
(         »  fusione  di  sangue,  vennero  ridotte  a  consigli  di  pace  ».  ) 

Cantù  —  Ezelino. 


Udito  esser  resia  fra  i  magistrati    e   il   vescovo    d'Assisi, 
Francesco  mandò  suoi  frati  a  cantare  al  vescovado  il  suo  Can-         , 
iico  del  soie,  aggiungendovi  allora  questi  versetti:  Lodato  sia 
il  Signore  in  quelli  che  perdonano  jjer  anwr  di  lui,    e  sop-         < 
portano  patimenti  e  trnbidazioni.  Beati  quelli  che  perseverano        \ 
nella  face,  perchè  saranno  coronati  dall'Altissimo:    e    tanto 
1  astò  per  ispegnere  quegli  sdegni.  E  a'  suoi  frati  raccomandava: 
— ■  Annunziate  la  pace  a  tutti,  ma  abbiatela   nel  cuore    come 
»  nella    bocca,    anzi   più.    ISon  date   occasione  di  collera  o  di         ' 
»  scandalo,    ma    colla    vostra    mansuetudine  fate  che  ognuno 
»  inclini  alla  bontà,  alla  pace,  alla  concordia  ».  ; 

E  a'  suoi,  ed  in  generale  agli  ecclesiastici  va  dato  merito 
se   versavasi    olio    sulle   piaghe   aperte    dai    violenti:    olio  che 
scaturiva  dall'altare.  Sentivi  tu  (caso  quotidiano  a  quei  tempi) 
sentivi  un  ricambiare  di  bestemmie,  di  vituperj,  un  tempestare 
di  colpi?  Eri  sicuro  di  scorgere  ben  tosto  fra  gli  azzuffati  in-         ( 
{         terporsi  il  frate;  col  rozzo  saione,  nudo  il  raso  capo,  tendendo         ) 
<         di  mezzo  ai  colpi  la  croce  di  legno  che  gli  penzolava  pel  rosario         | 
dalla  cintura.  Due  fratelli  si  cercavano  a  morte?  una  famiglia,         \ 
un  corpo  aveva  giurato  vendetta  di  qualche  insulto?  l'oltraggio         ) 
(         avea  aguzzato  il  coltello  sotto  la  casacca  d'un  violento?  Ebbene, 
/         il  frate  s'affacciava  alla  porta  con  un  Deo  g^miias  sommesso;         ( 
{         prendeva  a  ragionar  del  Signore,  d'un  uomo-dio  che  pati  più 
(         di  noi,  per  noi  e  senza  colpa;  dipingeva  l'amarezza  degli   odj, 
/         la  giocondità  dell'abitare  i  fratelli  in    uno;    poi    un    momento 
estremo,  nel  quale  riuscirà  così  dolce  il  ricordarsi  d'ima  buona 
azione;  un  altro  giudizio,   dove    chi    perdonò    sarà  perdonato. 
Quei  cuori  feroci,  cui  non  avrebbe  frenato  impero  di  legge    o 
possanza  di  magistrati,  aprivansi  alla  benevolenza,    fondevansi 
m  lagrime,  e  correvano  ad  abbracciare  il  nemico,  fra    le    be- 
<I         nedizioni  del  frate  paciere.  ( 

)  In  Genova  ferveano  contese  fra' nobili;  e  un  figlio  di  Ro-         ) 

S  landò  Avvocato  era  stato  ucciso  dagli  arcieri  del  Marchese  di  ) 
I  Volta.  Marchese  di  Volta  fu  trucidato  poco  poi;  sangue  per 
)  sangue,  né  fu  il  solo.  Invano  i  consoli  si  adoprarono  per  rim- 
\  paciare  i  feroci;  onde  finsero  volere  risolversi  il  litigio  con 
ì  sei  duelli.  Accorsero  le  madri  e  le  spose  dei  trascelti  per  im- 
\  pedire  quel  sangue;  il  che  già  disponeva  a  una  pace  ch'essi 
('         (Jissiinulavano  di  desiderare.  Perchè  fosse  più  solenne  il  giudizio         \ 

Ìp  -se-  ^  D^l 


I    FRATI    PACIERI  D 


di  Dio,  invitarono  l'arcivescovo;  nel  mezzo  dell' adunanza 
le  reliquie  del  Battista;  attorno  il  clero  in  pontificale:  alle 
porte  le  croci  della  città:  tutto  che  incuteva  un  insolito  ri- 
spetto. Allora  l'arcivescovo  parlò  di  Dio  e  del  precetto  suo 
nuovo;  cavò  le  lagrime;  quei  ch'erano  venuti  per  uccidere,  si 
confusero  in  un  abbraccio*  di  fratellanza:  e  uno  scompanio 
universale  e  un  fragor  di  Te  Deum  annunziò  la  pace.  Alquanti  ii69  / 
anni  più  tardo,  l'abate  del  Tiglietto  coi  consoli  di  Genova  andava  ( 
a  Lérici  per  rimettere  pace  coi  Pisani.  Messer  Baccio  da  Ca-i2i8  ( 
prona  uccise  Farinata  figlio  di  messer  Marzucco  degli  Scorni-  j 
giani.  Questi,  ch'era  frate  Minore,  o  frate  Gaudente,  sopportò  ( 
senza  lascrime  la  morte  del  figlio,  andò  a  baciar  la  mano  ; 
dell'uccisore,  assistette  alle  esequie  cogli  altri  monaci,  e  vi 
tenne  un  discorso,  esortando  la  parentela  a  perdonar  l'ofiesa, 
e  l'uditorio  a  mantenere  la  pace  s. 

I  frati  Minori  indussero  i  nobili  ed  i  plebei  di  Piacenza  a 
compromettere  le  loro  differenze  in  fra  Leone  da  Pérego  in- 
quisitore: Parma  tolse  a  podestà  fra  Gherardo  da  Modena  che 
ne  riformò  gli  statuti;  e  poco  prima  era  stata  calmata  da  fra 
Corneto,  di  cui  tanta  era  la  potenza  che,  per  compiacerlo, 
uomini  e  donne,  nobili  e  plebei,  vecchi  e  fanciulli  recarono 
terra  onde  colmare  una  borra,  ove  l'acqua  impaludava  presso 
alla  chiesa  de'  Domenicani. 

Ugolino  cardinale  d'Ostia  fu  attivissimo  operator  di  pace,  { 
nel  tempo  stesso  che  altri  religiosi  riconciliavano  Milano,  Pia-  ( 
cenza,  Tortona  ed  Alessandria:  nel  1229  il  vescovo  di  Reggio  J 
rimetteva  in  concordia  i  Bolognesi  coi  ?ilodenesi;  il  cardinal  \ 
Giacomo,  vescovo  di  Preneste,  nel  1232  accordava  in  Verona  \ 
i  Montecchi  e  i  Capuleti,  fazioni  assai  note  per  la  compianta  ) 
avventura  di  Giulietta  e  Romeo;  fra  Latino  de' Predicatori  \ 
nel  1278  i  Geremei  co' Lambertazzi  in  ISologna:  in  Faenza  gli  ^ 
Acarizj  coi  Manfredi:  in  Ravenna  i  Polenta  coi  Traversari:  ì 
fra  Guala  Bergamasco,  che  fu  poi  vescovo  di  Brescia,  riamicò  j 
i    Bolognesi  co' Modenesi    nel   1229;   e    nel    1233  i    Trevisani 


8   Lo  accenna  Danio,  A/jy/.,  r.  0.  ì 

Qnol  (la  Pisa  ( 

(III'  fc  parer  Io  lìiion  Marzucco  l'orle.  ) 

\  E  a  lui  diresse  una  opislola  in  versi  Irà  rinillmi  d'Arezzo.  / 


I — Q  CAPITOLO   IV. 

i  co' Bellunesi:  nel  1234  Cremonesi  e  Milanesi  furono  distolti 
dalla  guerra  per  insinuazione  di  frati;  il  Campi  adduce  la 
lettera  che  Onorio  III  scriveva  ai  Cremonesi  per  ridurli  a  star 
in  pace  fra  sé  P;  Clemente  IV  mandò  Bernardo  Castegneto 
vescovo  d'Orleans  e  Bartolomeo  abate  di  San  Teodoro  di  Trevi 
suoi  nunzj  a  rappacificare  la  Lombardia,  e  principalmente 
Cremona,  dove  rimisero  i  fuorusciti  e  ribenedissero  gli  sco- 
municati. Anzi  fra  Bartolomeo  da  ^'icenza  istituì  l' Ordine 
militare  di  santa  Maria  Gloriosa  de'  Gaudenti,  intento  a  man- 
tenere le  città  italiane  in  quell'armonia  che  sola  può  consevare 
la  libertà    a  chi  la  gode,  acquistarla  a  chi  la  rimpiange. 

In  Milano,  quando  nel  1257  cozzavano  nobili  e  popolani, 
vennero  compromesse  le  differenze  in  quattro  frati,  e  tutti 
stettero  al  loro  lodo:  essendo  poi  novamente  scoppiate,  i  discordi 
si  raccolsero  a  Parabiago,  ove  due  frati  dettarono  le  condizioni 
della  pace.  Più  tardi  venne  a  predicarvi  la  legge  d'amore  il 
beato  Amedeo,  cavaliere  portoghese  mutato  in  francescano,  che 
fabbricò  di  limosine  la  chiesa  di  Santa  Maria  della  Pace;  nuovo 
titolo  pietoso,  aggiunto  ai  tanti  onde  il  medioevo  inghirlando 
la  regina  del  dolore  e  dell'amore. 

Molte  risse  contumaci  nel  Milanese,  in  Valtellina,  pel 
Comasco  posò  fra  A'enturino  da  Bergamo,  che  giunse  a  indurre 
oltre  diecimila  Lombardi  a  pellegrinare  fino  a  Roma  per  la 
perdonanza.  Vestiti  in  sottana  bianca  e  mantello  cilestro,  so- 
prasegnato d'una  colomba  bianca  con  tre  foglie  d'ulivo  nel 
becao,  a  schiere  di  venticinque  o  trenta,  colla  croce  innanzi 
procedevano  di  città  in  città,  gridando  ^Mce  e  misericordm, 
e  venuti  nelle  chese,  nudavansi  fin  alla  cintola  e  si  flagellavano. 
Giovanni  A'illani,  il  buon  cronista,  li  vide  arrivare  a  Firenze, 
e  fin  cinquecento  alla  volta  refiziarsi  in  piazza  di  Santa  Maria 
Novella,  provisti  per  carità.  Anche  sull'uscire  di  quel  secolo 
operò  a  quest'intento  la  compagnia  dei  Bianchi  a  Firenze,  a 
Pistoja,  a  Genova,  altrove. 

Ed  avanzi  di  quelle  antiche  istituzioni  avrà  ognuno  di  voi 
potuto  vedere  o  in  Toscana  nella  Compagnia  della  misericordia, 
che  ad  ogni  caso  di  rissa  o  di  pericolo   accorre  per    impedire 


<  9  Storia  (li  Cremona,  1,  II  al  i217.  2 


,^=}-P 


■Q  FRA    SUSSOLARI 


ì 


il  male  o  rimediarvi;  oppure  in  Roma,  ove  pe' trivj  e  per  le 
taverne,  quando  l'uomo  ineducato  tra  il  furor  delle  risse  e 
l'ebrezza  del  giuoco  prorompe  all'orrendo  bestemmiare,  gli  si 
para  dinanzi  un  Saccone,  uomo  ravviluppato  sino  la  faccia 
nella  cocolla,  il  quale,  senza  far  motto,  s' inginocchia  davanti 
al  bestemmiatore,  tendendo  le  mani  giunte.  Il  bestemmiatore 
intende  quel  muto  linguaggio,  cessa  le  imprecazioni,  e  non  di 
rado  caduto  anch'egli  in  ginocchio,  le  converte  in  preghiera 
d'espiazione.  Sotto  quel  cilicio  è  forse  celato  uno  dei  primi 
signori,  un  prelato;  belle  istituzioni  se  non  ne  discordassero 
troppo  le  carabine,  inarcate  al  tempo  stesso  per  punire  il 
bestemmiatore. 

Queste  scene  ora  piaciono  ai  curiosi  pel  pittoresco:  allora 
erano  a  luogo  e  tempo;  e  fra  quel  riurtare  di  parti  faceano 
l'uffìzio  che  la  incivilita  età  nostra  ha  riservato  alla  Polizia 
e  allo  stato  d'assedio. 

Siena  ricorda  sempre  con  pia  tenerezza  la  sua  Caterina,  ; 
la  sposata  da  Cristo,  che  con  questo  divino  nome  cominciava  ) 
e  finiva  tutte  le  lettere  da  essa  dirette  a  re,  a  papi,  a  capitani  ) 
di  ventura;  essa,  povera  fanciulla  del  popolo,  per  ispirare  con-  l 
cordia  e  mitezza.  I  Fiorentini,  cui  un  tratto  era  parsa  più 
preziosa  la  libertà  che  la  religione,  ben  presto  ravveduti  pre- 
garono Caterina  a  riconciliarli  col  pontefice.  E  la  pia,  fattasi  apo- 
stolo di  misericordia,  scriveva  a  Gregorio  IX  :  — •  Pace,  la  pace, 
»  la  pace  per  amor  di  Cristo  crocifisso;  e  non  ponete  mente 
»  all'ignoranza,  all'accecamento,  all'orgoglio  de'  vostri  figliuoli. 
»  La  pace  sospenderà  la  guerra,  distruggerà  l'ira  ne' cuori  e 
»  la  scissura,  riunirà  tutti  gì'  interessi  ». 

E  da  Siena  vennero  nelle  provincie  milanesi  quel  fra  Ber- 
nardino che  veneriamo  sugli  altari,  e  assai  profittò  di  paci;  e 
}HÙ  ancora  fra  Silvestro  Minor  osservante,  dai  magistrati  chia- 
mato perchè  attutisse  i  dissidj  fra' cittadini;  e  principalmente 
memorabile  è  la  pace  a  cui  egli  indusse  i  Comaschi,  andatovi 
all'invito  de' loro  capi,  predicò  con  fervore  e  frutto  grande,  la 
riforma  delle  leggi,  incominciando,  come  ognora  si  dovrebbe, 
dalla  riforma  dei  costumi.  Ijidi  piovendo  sugli  animi  preparati 
la  parola  del  Vangelo  cioè  della  carità,  fece  abolire  i  maledetti 
nomi  di  Guelfi  e  Ghibellini,  che  si  lungamente  fecero  dimen- 
ticare quelli  di  Cristiani  e  di  Italiani:  poi  ad  un  giorno  deter- 

i_a  •  —  89  - 


r— □  CAPITOLO    IV, 


minato  impose  che  tutti,  dalla  città  e  dai  contorni,  convenissero 
sullo  spazzo  che  si  dilata  dinanzi  alla  porta  Torre.  Ivi  con 
parole  piene  di  spirito  e  di  carità  infervorò  gli  animi  così,  che 
fra  tutta  la  folla  accorsa  era  un  piangere,  un  singhiozzare,  un 
picchiar  di  petti,  e  deporre  i  rancori  in  fratelleyoli  abbraccia- 
menti. I  nomi  di  tutti  vennero  registati  sul  libro  della  Santa 
Unione,  e  pronunziato  1'  anatema  del  cielo  ed .  il  castigo  degli 
uomini  a  chi  violasse  le  pacifiche  promesse. 

Per  quei  capricci  della  fama,  che  cessano  di  parere  strani 
perchè  così  frequenti ,  è  maggiormente  noto  fra  Giacomo  de' 
Bussolari  di  Pavia,  Savonarola  anticipato.  Al  superiore  comando 
uscito  fuor  del  romitaggio  che  s'era  eletto  per  servire  a  Dio, 
e  condottosi  in  patria  a  predicare  la  pace,  cominciò  ad  inveire 
contro  i  vizj  onde  erano  lordi  i  suoi  compatrioti  e  più  i  più  ric- 
chi ;i  quali,  per  quel  fiacco  sentimento  che  sovente  si  onesta  col 
nome  di  amor  dell'  ordine,  scoraggiati  porgevano  il  collo  al 
giogo  de' Visconti.  ÌNIa  il  frate  con  impetuosa  eloquenza,  li  scosse 
e  ne  ravvivò  1'  amor  di  patria  sopito.  Ponendosi  egli  medesimo 
a  capo  dei  cittadini ,  li  condusse  a  rompere  gli  avversarj ,  che, 
invano  forti  del  numero,  cessero  al  valore  inspirato  dei  Pavesi. 
Né  ristette:  ma  in  cuore  de' suoi  ridestava  l'odio  ai  tiranni, 
cioè  all'  ingiustizia;  fé  cacciare  anche  i  Beccaria,  signorotti  del 
paese;  avvezzò  all'  armi  il  popolo,  indusse  i  cittadini  a  frenare 
il  lusso,  e  col  superfluo  risanguare  il  pubblico  erario.  Le  donne, 
prime  sempre  negli  eserapj  di  disinteresse  e  di  sagrifizio ,  reca- 
rono gli  abiti  loro  di  maggior  valuta  ed  i  gioielli,  restando 
contente  a  poco  più  che  un  mantello  nero  ed  uno  zendado.  Gli 
uomini  esultanti  avventaronsi  fra' pericoli ,  a  cui  era  proposto 
per  guiderdone  il  cielo  e  la  libertà  della  patria. 

Ma  anche  allora  la  forza  materiale  prevalse;  e  il  frate, 
scorgendo  il  precipizio  delle  patrie  fortune,  entrò  mediatore 
d'  una  capitolazione.  ÒSella  quale  onorate  condizioni  ottenne  per 
la  sua  Pavia;  nulla  a  proprio  vantaggio  stipulò,  neppur  la 
vita.  I  Visconti  giurarono  i  patti,  e  appena  ottenuto  il  fine  li 
violarono;  il  frate,  mandato  a  Vercelli,  fu  sepolto  \\e\  vade  in 
pace  di  un  convento,  ove  terminò  la  vita.  j 

Gran  peccato  non  ci  sia  rimasto  qualche  brano  di  quelle  ) 
prediche  sociali!  però  abbiamo  un  bel  discorso  di  papa  Gre-  \ 
gorio  X  ai  Fiorentini  perchè  ricevessero  gli  scacciati  Ghibellini.  ■ 


_P 


-  90  -  D^ 


FRA    GUITTONE  CjE^T 

—  Ghibellino  è,  ma  cristiano,  ma  cittadino,  ma  prossimo  tuo. 
»  Tanti  e  cosi  robusti  titoli  d'  unione  soccomberanno  a  quel 
»  Ghibellino?  e  questo  nome  vano  senza  soggetto,  che  nessuno 
»  intende  cosa  significhi ,  varrà  più  all'  odio  che  non  alla  ca- 
»  rità  tutti  codesti  così  chiari  e  solidamente  espressi  ?  Ma  poiché 
»  dite  questi  partiti  aver  assunto  a  prò'  de'  romani  pontefici 
»  contro  i  loro  nemici,  io,  pontefice  romano ,  questi  vostri  cit- 
»  tadini,  comunque  sinora  abbiano  peccato,  raccolsi  pentiti,  e 
»  perdonate  le  ingiurie,  gli  ho  per  figliuoli.  »  E  in  un  discorso 
più  antico  che  si  conserva  manoscritto  nella  Biblioteca  Ambro- 
siana ,  un  ecclesiastico  diceva  al  popolo  di  fidano: —  Tu  cerchi 
»  soppiantar  il  Cremonese ,  sovvertire  il  Pavese ,  distrug- 
»  gere  il  Novarese  :  le  tue  mani  contro  tutti,  e  le  mani  di  tutti 
»  contro  te.  Oh  quando  fia  quel  giorno  che  il  Pavese  dica  al 
»  ]Milanese,  Il  popolo  tuo  è  iwpolo  7nio\  il  Cremasco  al  Cre- 
»  monese.  La  citta  tua  è  mia  città?  » 

E    voi,     miserabili    retori,   che,  mentre  offuscate    il  buon 
senso  popolare,  vi  piacete    attizzare  gli  sdegni  da  provincia  a 
provincia,  da  uomo  a  uomo  in    questa  sciagurata    Italia,  che 
rovinaste  qual  volta  a  voi  cieca  s'abbandonò:  voi  che,  quando 
i  potenti   ebbero  spezzato  nelle  mani  nostre  le    spade  ,    vi  ar- 
maste   di   penne,  attossicate    colla    vostra    bava   giornaliera   o 
settimanale  ,  per  contaminare  chi  non  è  fango  come  voi;  ver- 
gogna vi  prenda  almeno  al  pensare  che  questa  letteratura,  da 
voi  ridotta  saminatrice  di  odj  e  di  scandali,  cominciò   col  dif- 
fonder la  pace,  predicar  l'amore,  riconciliare  fratelli.  E  prima 
che  Dante  si  lamentasse  perchè  non  si   stavano   senza   guerra 
quelli  che  un  muro  ed  una  fossa    serrava  ;    prima  che  il  Pe- 
trarca ,  per  mettere  fra  noi  e  la  tedesca  rabbia   uno  schermo 
migliore  delle   Alpi ,  andasse    gridando  Pace,  pace,  [pace  ;  un 
frate,  strapazzato  come  il  pessimo  degli    scrittori  da  un  bur- 
banzoso retore  nostro  contemporaneo,  adoperava  i  primi  suoni 
della  lingua  italiana  a  rimi)roverar  le  fraterne  discordie  ,    con 
un  modo  che  panni  ritrarre  delle    prediche    de'  paceri.    E  di- 
ceva :  —  Infatuati  miseri  Fiorentini ,  la  pietosa  voce  della  pe- 
»  rigliosa  vostra  o  grave  infermità  per    tutta  terra  corre  la- 
»   mentando  la  malizia  sua  grande  ,  onde    ogni  cuore  benigno 
»  tiede  e  fa  languire  di  pietà.  Carissimi    ed    amatissimi  molto 
»  miei  ,  ben  credo  sapete  che  da  fera  a  uomo  non  è  di U'erenza 

|=jr:  .  -01-  D^ 


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I^ra- ^ ^ ^^ — ^ —^^]^ 

jTra  CAPITOLO  IV.  d~tir 


»  che  la  ragione  ìq  conoscere  ed  amare  bene.  Onde  vedete  voi 

>  se  vostra  terra  è  città ,  e  se  voi   cittadini  uomini  siete.  Non 

»  fan  palagi,  né  rughe  ^^  belle;  né  uomo,  persona   bella  ,  né 

•»  drappi  ricci,  ma  legge    naturale,    ordinata  giustizia   pace  e 

»  gaudio  fa  città;  e  uomo,  ragione  e  sapienza  e  costumi  onesti  e 

»  retti  bene.  Oh  che  non  più  sembrasse  vostra  terra    deserto 

»  che  città,  e  voi  dragoni  e  orsi  che  cittadini!  0  reina  delle  città, 

»  corte  di  drittura,  scuola  di  sapienza,  specchio  di  vita,  li  cui 

»  figliuoli  erano  regi  ,  divenuta  non  già  reina  ma  ancilla  con- 

»  culcata  e  sottoposta  a  tributo  ;  non  corte  di  dirittura ,    ma 

»  di  latrocinio  ;  spelonca  di  mattezza  tutta,  e  di  rabbia  scuola. 

»  Oh  che  temejiza  ha  ora  il  Perugino  non  gli  togliate  il  lago  ! 

»  e  Bologna  clie  non  l'Alpe  passiate  !  e  Pisa  del  porto  e  delle 

»  mura!  0  miseri  disfiorati,    ov' è  1'  orgoglio    e  la  grandezza 

»  vostra,  che  quasi  sembrate  novella  Roma  ?  0  disfiorati,  a  che 

»  siete  venuti,  e  chi  v'ha  fatto  ciò  se  non  voi  stessi?    Ucci- 

»  dere  sé  stesso  l'uomo,  è  peccato  che  passa  ogni  altro  quasi. 

»  E  disnore    quale    è    maggiore  a  esto  mondo  che    arrabbire 

»  l'uomo  in  sé  stesso,  mordendo  e  divorando  sé  i  suoi  propri 

»  di  volontà  ?  Oh  forsennati  e  rabbiosi  venuti  come  cani,  mor- 

»  dendo  r  uno  e  divorando  l'altro,  acciocch'egli  poi  lui  morda 

»  e  divori  !  Oh  che  peccato  grande,  e  disnaturata  e  laida  cosa 

»  ofiendere  uomo  a  uomo,    e    spezialmente  al  domestico  suo  ! 

»  Che  non  Dio  fece   uomo  in  dannagio  d'  uomo,  ma  in  aiuto  , 

»  e  però  non  cadauno  vale  per  sé,  ma  congregati  a  uno.  Non 

»  unghie  né  denti  grandi  diede  natura  all'uomo;  ma  membra 

»  soavi  e  lievi,  e  figura  benigna  e  mansueta  mostrano  che  non 

»  feroce  e  nocente  esser  deve,  ma  pacifico  e  dolce,  utilità  pre- 

■  stando:  e  Dio  chiuse  solo  in  caritade  le  profezie  e  la  legge; 

»  e  chi  carità  empie,  empie  ogni  giustizia  e  ogni  bene.  E   no- 

»  stro  Signore  in  nella  sua  salute  non  porse  altro  giù  che  pace; 

»  e  in  r  ultima  veglia  sua  alli  suoi  pace  lasciò  in  eredità,  mo- 

»  strando  che  nulla  cosa  utile  è  fuor  pace.  0  miseri,  come 
»  dunque  la  odiate  tanto?  Alla  gran  mattezza  de' cittadini,  alpe 
»  son  fatte  le  città  ,  e  le  città  alpe.  Oh  che  dolci  e  favorevoli 


10  Strado.  Abbinino  di  poco  svoccbialo  il  tosto,  ino  raccorcio  assai,    che    la 
(,  prolissità,  0  retori,  fu  sonipri'  la  colpa  de'  nostri  scriltoi'i. 


,-^ 


U  -«2-  D 


.  .,  .giurò  restituire  ai  Caraposampicro  il  C  stello  di    Fonte,   e   o)j]jeJ.:e:iza   e  fedeltà 
al  Comune  di  Padova  ....  rag    65 


»  frutti  gustati  avete  già  nel  giardino  di  pace ,  e  che  crudeli  ed 
»  amarissimi  nel  deserto  di  guerra  !  Oh  che  vi  muove  a  cosa  tanto 
»  diversa?  ditelmi  se  vi  piace  in  vostra  iscusa,  che  natura,  né 
»  legge,  né  alcuno  uso  buono ,  né  ragione,  né  cagione,  nò  prò, 
»  né  onore  vostro,  né  gaudio  vedere  ci  so.  Non  onore,  non  prode, 
»  non  onta  né  danno   alcuno  hanno   i   vostri    vicini ,   che  voi 
»  in  comune  non    abbiatene    parte.  Chi   son  vostri  vicini?  non 
»  son  nati  di  voi,  e  voi  di  loro,  perché  d'  un  sangue  e  d'una 
»   carne  siete?  Se  non  timore  e  amore  del  Signore  nostro,  né 
A  sangue  umano  e  dimestico  tien  voi,    tegnavi  almeno  timore 
»  e  amore  di  voi  stessi  e  di  vostra  famiglia:    che   gli    antichi 
»  padri  e  madri  vostre,  che   di    travaglio  in  sicurtà,  in    pace 
»  e  gaudio  posar  vorriano  ,  languire  e  penare  gli   avete   fatti 
»  in  guerra,  in  dolore  ,  in  paura,  e  correre  za  e  là  di  terra 
»  in  terra.  E  le  mogliere  vostre  ,   che  morbide  sono,  posando 
»  e  pascendo  bene  doveano  dimorare  in  nelle  sale  e  in  le  ca~ 
»  mere  vostre  tra  i  domestichi  loro,  è  grave  che,  pasciute  e 
V  vestite  male,  e  solo    come  anelile  e  male    accompagnate   di 
»  loco  in  loco  andate    tribolando.  E  a'  figliuoli  a  cui,  il  padre 
»  (leve  magione    edificare  ,     acquistare    podere  e    procacciare 
»  amore  con  pace  loro,   1'  altrui    magione  strugge,    acciocché 
»  uomo  la  loro  strugga.  Podere  spendete  e  consumate  in  guer- 
»  ra  ,  e  uccidete  altrui ,  che  quasi  pegno  è  loro  d'  essere  uc- 
»  cisi.  Ahi  che  pessima  eredità  lasciate  loro!  Certo  non  padri 
;         »  già  ma  nimici  tener  possono  voi,  che  struggimento  e  morte 
'         »  l'or  procacciate.  Vinca  ,  vinca  ormai  il  saver  la  mattezza;  o 
)         »  se  non  pietade  ha  1'  un  di  voi  del  male  grave  dell'altro,  ag- 
(         »  gialo  alinen  del  suo,  e  per  amor  di  sé  parlasi  da  male  »  n. 
[  Anche  Dino    Compagni,    cronista  semplice  e  virtuoso,    e 

collega  di  Dante  nelle  magistrature  ,  si  recava  in  mezzo  ai  cit- 
i        tadini  ,  che  nelle  loro  discordie  ,  come  avviene,  invocavano  la 
forza  e  lo  straniero  e,   —  Signori ,  perchè  volete   voi  confon- 
»  dere  e  disfare  una  così  buona  città  ?  Contro  a  chi  volete  pu- 
i         »  gnare?  contro  ai    vostri    fratelli?  che  vittoria  avrete?  non 
i         »  altro  che  pianto.    Cari  e  valenti    cittadini  i    quali  comune- 
»  mente  tutti  prendeste  il  sacro  battesimo  di  questa  fonte  i-, 


lìj 


11  Loilcrc  di  IVà  Giiillon  d'Arezzo. 

12  K  nolo  clic  a  Firenze  è  unico  il  ballisloro  di  San  Giovanni. 


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—  93  — 


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In  □                                                                        CAPITOLO    IV.  D    '— I 

lo ^_-__^ ^_^  ^' 

»  la  ragione  vi  sforza  e  stringe  ad  amarvi  come  fratelli  ;  e  an-  ) 
»  Cora  perchè  possedete  la  più  nobile  città  del  mondo.  Levate  ^ 
»  via  i  vostri  sdegni  ,  e  fate  pace  tra  voi ,  acciocché  lo  stra- 
»  niero  non  vi  trovi  divisi  :  tutte  le  offese  e  ree  volontà  state 
»  tra  voi  di  qui  addietro,  siano  perdoaate  e  dimesse;  per  amore 
»  e  bene  della  vostra  città.  E  sopra  questo  sacrato  fonte , 
»  onde  traeste  il  santo  battesimo,  giurate  tra  voi  buona  e 
»  perpetua  pace,  acciocché  lo  straniero  trovi  i  cittadini  tutti 
uniti»., 

E  poiché  non  vedeasi  ascoltato, —  Levatevi  (prorompeva), 
»  o  malvagi  cittadini  ,  e  pigliate  il  ferro  e  il  fuoco  dalle  vo- 
»  stre  mani  ,  e  distendete  le  vostre  malizie.  Andate  ,  e  met- 
»  tete  in  ruina  le  bellezze  della  vostra  città:  spandete  il  san- 
»  gue  de'  vostri  fratelli  ,  spogliatevi  della  fede  e  dell'  amore  , 
»  nieghi  r  uno  all'  altro  aiuto  e  servigio  ;  seminate  le  vostre 
»  menzogne  ,  le  quali  empieranno  i  granai  dei  vostri  tìgliuoli. 
»  Credete  voi  che  la  giustizia  di  Dio  sia  venuta  meno  ?  Pur 
»  quella  del  mondo  rende  uno  per  uno.  Non  v'  indugiate,  rai- 
»  seri;  che  più  si  consuma  un  dì  nella  guerra ,  che  molti  anni 
»  non  si  guadagna  in  pace  ,  e  piccola  favilla  a  distruzione 
»  mena  un  gran  regno  ». 

Zitti!  ascoltiamo  se  dai  giornali,  dalle  camere,  dalle  ac- 
cademie risuona  oggi  alcun  che  di  somigliante.  Oh,  troppo 
scarsi  son  quelli  cui  basti]  il  coraggio  della  moderazione;  e 
per  dire  la  verità  e  insinuare  la  calma,  vogliano  esporsi  alla 
taccia  di  retrogradi,  di  spegnitoi,  persino  di  clericali.  Confes- 
siamo che  men  coraggio  si  richiedeva,  e  più  erano  quelli  che 
l'avessero  per  affrontare  Ezelino  ed  Alljerico. 

ISelle  cose  della  INIarca  Trevisana  e  Veronese  moltissimo 
travagliò  il  beato  Giordano,  della  illustre  famiglia  padovana 
dei  Forzate  e  Capodilista,  la  quale  dominava  sulla  Pieve  di 
Sacco,  Montemerlo,  la  Mandria.  Erasi  egli  in  gioventù  me- 
scolato alle  fazioni  di  Padova,  e  avuto  gravi  inimicizie  con 
Losco  Transalgardino,  uomo  rotto  nell'armi  e  nelle  sedizioni, 
che  raccoglieva  intorno  a  sé  quanti  v'avea  uomini  di  peggiore 
affare.  Giordano  s'opponeva  con  parole  e  con  atti  alle  costoro 
ribalderie;  di  che  essi  gli  presero  tanto  malanimo,  che  una 
volta  gettarono  il  fuoco  alle  case  di  lui  e  de'  suoi  amici.  In 
fabljriche  la  più  parte  di  legno,  l' incendio  si  estese  per  modo. 


91  — 


-'-&r[5] 


s         zioni. 


che  duemila  secenquattordici  abitazioni  consumarono  is^  e 
insieme  le  carte  e  memorie  de' tempi  anteriori.  ]Xe  fu  tocco 
Giordano,  e  poiché  il  caso  aveagli  rapito  le  ricchezze  terrene, 
si  dedicò  tutto  a  Dio.  Già  era  priore  de'  Benedettini  (come 
allora  si  abusava)  per  solo  titolo  e  per  godere  i  frutti;  ma 
allora  entrò  veramente  nel  chiostro,  e  vesti  l'abito.  I  parenti, 
andati  per  cavamelo,  n'ebbero  in  risposta  non  li  vedrebbe  che 
dopo  dieci  giorni,  volendo  in  questi  darsi  tutto  allo  studio  e 
all'orazione  per  rendersi  degno  della  nuova  sua  vita.  E  quando 
li  rivide,  parlò  loro  con  tanta  unzione  e  fermezza,  che  non 
seppero  se  non  dirgli,  li  tenesse  raccomandati   nelle   sue   ora- 


Ingrandi  allora  nella  scienza  di  Dio  e  nella  perfezione  dello 
spirito,  predicando,  convertendo,  consigliando,  dirigendo  monache 
e  frati;  e  meritò  d'essere  assunto  maestro  generale  dei  Bene- 
dettini. Tu  o  lettore,  che  già  senti  questa  mia  filatera  puzzar 
troppo  di  legendario,  mi  manderesti  frate  se  entrassi  nelle 
monastiche  sue  virtù;  onde  mi  accontenterò  di  riferire  come 
nelle  vicende  pubbliche  si  travagliasse.  Nel  1184  esortò  i  cittadini 
di  Padova  ad  abolire  l'uffizio  dei  consoli,  seme  di  dissidi  e  d'annuali 
ambizioni,  e  chiamare  un  podestà  d'altra  terra,  il  quale  fu  Pagano 
della  Torre  nobile  milanese.  In  Giordano  fu  compromessa  la 
nomina  del  vescovo;  a  lui  più  volte  chiesti  consigli  per  le 
comuni  faccende:  si  volle  anche  entrasse  a  far  parte  del  consiglio; 
gli  affari  gravi  deferinvasi  a  lui;  a  lui  dirigevansi  gli  amba- 
sciatori, ivè  a  suo  arbitrio  stava  Padova  soltanto,  ma  anche 
Vicenza:  dove  nel  1217  fu  nominato  giudice  delle  contese  con 
Ezelino  il  Monaco;  e  i  consoli,  gli  uffiziali,  infiniti  cittadini 
congregati  a  suon  di  squille,  giurarono  star  al  suo  lodo.  Già 
vecchio    di   74    anni ,    vedendo    sovrastare    la    tirannide    degli 


^^   Del  fallo  soi'liò  licortlo  una  pirUa  clic  diceva,  secondo  lo  Scardcoiio 
Marchia  plorarli  Vaduaìii,  )juum  jìaniiìta  creinuvit 
L'rhis  majores  trcs  parles  ri  iiwliorcs 
Anno  milleao  cenlcno  srpluaijrno 
iVfC  non  ci  quarto:  nQnns  niarlis  quoque  quarto. 
Quot  fuerant  teda  sub  certa  collifje  meta 
Scxcentae  vere  bis  mille  flonius  ceciilere 
Bis  scpteni  pone,  tot  colliijc  cuni  ratione. 


ni 


j^ra^. — ^ ,_„ — _ _  .^s^ 

nrb  CAPITOLO  IV.  □  •— I 

Ezelini,  si  rese  più  assiduo  alle  assemblee  per  sostenere  la  parte 
guelfa:  e  parendo  che  il  voto  universale  diretto  porterebbe  a 
sicura  ruina  la  libertà,  convenne  col  podestà  si  affidasse  il 
governo  ad  un  consiglio  di  sedici  decurioni,  compreso  un  podestà. 
Pure  non  potè  impedire  che  i  fautori  della  parte  ghibeUina 
affidassero  la  città  ad  Ezolino;  e  quali  persecuzioni  gliene 
toccassero,  lo  vedremo. 

Un  altro  fra  Giordano,  maestro  generale  de'  predicatori, 
una  volta  si  presentò  all'  imperatore  Federico,  gli  stette  buona 
pezza  davanti  senza  far  motto  indi  proruppe:  —  Sire,  io  giro 
»  delle  contrade  assai,  siccome  vuole  l'uffizio  mio:  or  come 
»  voi  non  mi  chiedete  qual  fama  corra  di  voi  ? 

—  Io  tengo  messi  e  ambasciadori  alle  varie  Corti  (rispose 
»  Federico),  e  so  quanto  bolle  in  tutto  il  mondo. 

—  Gesù  sapeva  tutto  (ripigliò  il  frate),  eppure  domandava 
»  ni  discepoli  quel  che  di  lui  si  parlasse.  Voi  siete  uomo  e 
»  ignorante  assai  cose,  le  quali  saria  bene  vi  fossero  conte.  Si 
»  dice  che  opprimete  le  chiese,  sprezzate  le  censure,  date 
»  credenza  agli  auguri,  favorite  Ebrei  e  Saracini,  non  onorate 
»  il  papa  vicario  di  Gesù  Cristo.  Queste  cose  sono  elle  degne 
»  di  voi?  l4  ». 

E  della  più  popolare  celebrità  Antonio  di  Lisbona,  che  noi 
veneriamo  col  nome  del  Santo  di  Padova.  Nato  a  Lisbona 
nel  1195,  entrato  francescano,  volle  recarsi  in  terra  d'infedeli 
per  convertirli  ed  acquistare  la  palma  del  martirio:  ma  un 
affanno  di  salute  lo  costrinse  a  ritornare.  Dalla  procella  spinto 
in  Sicilia,  va  al  capitolo  generale  de'  suoi  frati  che  allora 
tenevasi  in  Assisi,  e  talmente  dissimula  il  suo  sapere,  che 
^  sa)i  Francesco  e  gli  altri  lo  credono  uno  zotico  e  da  nulla. 
)  Fra  Grazino  il  condusse  nella  Romagnola,  ove  al  Monte  Paolo 
)  visse  nella  meditazione  e  nel  silenzio.  Cominciò  poi  a  predicare, 
>         non  dirò  con  gran  sapere  ed  eloquenza  l'\  ma  con  tanto  frutto. 


{  ^*  lloLLAMiO,  png.  752.   Vilop  Potrum  Pmedic,  p.  ì)\. 

ì  ^^   Antonio  diceva:  —  Un  l)iion  pi-ediciitorc  è  lijlio  ili  Zaccaria,  cioè   dalla 

\  »  nioinoria    dei    Siirnore;   sempre    deve    averò   nello    spirilo   un  memoriale  della 

)  »  passione  di  Gesù  Cristo.  Nella  notte   della   sciagura   lui  deve   sognare  ,    in  lui  S 

(  T)  svegliarsi  alla  mattino  della  prosperità;  e  allora  il  Verbo  di  Dio  discenderà    in  ( 

'.  »  esso,  Verbo  della  pace,  e  della  vita,  Verbo  della  grazia  e  della  verità.  0  parola,  ) 

aia ^ ^) 


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che  il  papa  lo  denominava  Arca  del  testamento:  e  tanto  era 
l'accalcarsegli  intorno,  che  giovani  robusti  erano  costretti  fargli 
strada  a  spalle,  affinchè,  pingue  com'era,  non  rimanesse  sof- 
focato. De'  miracoli  suoi  potrebbero  farsi,  anzi  si  sono  fatti 
grossi  volumi  16,  perchè  il  suo  secolo  vi  prendeva  interesse, 
quanto  il  nostro  alle  vicende  di  un'  avvelenatrice  o  di  un  uxo- 
ricida 0  d'un  filibustiere.  Sul  cadavere  di  un  usuraio  egli  proferi  : 
■ —  Dove  è  il  tuo  tesoro,  ivi  è  il  cuor  tuo  »:  e  il  cuore  di  fatta 
se  ne  rinvenne,  caldo  ancora,  fra  i  mucchi  del  denaro. 

Ad  un  giovane  che  gli  confessava  d'aver  ferito  con  un 
calcio  la  madre  sua,  avendo  detto,  —  il  piede  che  percuote 
padre  e  madre  merita  d'esser  tagliato  »;  quegli,  preso  alla 
lettera  il  dettato,  andò  e  si  recise  il  piede:  ma  il  santo  glielo 
rappiccò. 

Avvenendosi  in  un  notajo  di  lubrica  vita,  se  gì'  inchinava 
ogni  volta  profondamente,    scoprendosi    il    capo:    onde    quegH 


»   elio  non  spezza  i  ciioi'i,  ma  gì' iiienria;  o  parola  piena  di  dolcezza,  che  (JilTonde  !> 

»  la  l)eaia  speranza  in  fondo  alle  anime  solTrenti;  o  parola  rinfrescante  le  animo  ( 

»   assetate!  »  Sermones  s.  Antoni i.  Parigi  1641,  pag.  103.  v 

E  altrove,  raffigurando  in  Elia  il  predicatore:  —  Egli  è  l'Elia  che  dee  montar  ( 

»  sul  vertice  del  Carmelo,  cioè  al  sommo  della  santa  conversazione,  dove  ac([uisia 
»  la  scienza  di  recidere  con  mistica  circoncisione  ogni  vano  e  siiperiliio.  In  segno 
:)  di  umiltà  e  di  ricordarsi  delle  proprie  miserie,  si  prostra  sulla  terra,  posa  la 
»  faccia  fra  le  ginocchia,  onde  attestare  profonda  afflizione  delle  antiche  sue  iniquità. 
»  Elia  dice  al  servo.  Va  e  r/uanìa  verso  il  mare:  questo  servo  è  il  corpo  del 
»  predicatore,  che  dev'essere  puro  e  continui  guardare  verso  il  mondo  sommerso 
«  nel  peccato  per  combaiierlo  colle  parole;  guardar  sette  volte,  (jioè  meditare 
»  sempre  i  seUe  primari  articoli  di  nostra  fede,  creazione,  incarnazione,  battesimo, 
»  passione,  resurrezione,  vimuta  dello  Spirito  Santo  e  il  giù  iizio  linaio  clie  manderà 
»  i  reprobi  al  fuoco  eterno.  Ma  la  settima  volta  il  pre{licatore  vedrà  elevarsi  d'in 
»  fondo  al  mare  una  nuvolella,  d'in  fondo  all'anima  de' peccatori  un  moto  di 
»  compunzio.ie  e  di  pentimento:  ([uesto  vestigio  della  grazia  di  Dio  nel  cuor 
»  dell'uomo  ascenderà,  diverrà  una  grande  nube  che  dell'ombra  sua  veli  l'amor 
»  delle  cose  terrene;  poi  sofiìerà  il  vento  della  confessione,  che  svellerà  lino  lo 
»  ultime  radici  del  peccato-,  e  in  line  la  gran  pioggia  della  soddislazione  irrorerà 
»  e  feconderà  la  Terra.  Cosi  opera  il  buon  predicatire  ...  Ma  sciagurato  (piello  la 
>  cui  predicazione  è  risplendente  di  gloria,  mentre  nelle  .opere  sue  porta  la  ver- 
»  gogna  !  1)  Ibidem,  pag.  335,  336. 

16  Si  conoscono  più  di  cento  sue  \ii(\  fra  le  stoi'iclie  e  le  asceiiclie.  Na- 
poleone non  n'ha  tante,  eppure  in  dieci  anni  ammazzò  più  gente  che  non  ne 
guarisse  sant'Antonio  in  sci  secoli. 


U  CAPITOLO    IV. 


^ 


credendosi  celiato,  ne  montò  in  collera  e,  —  Se  non  fosse  per 
timor  di  Dio,  v'ammazzerei  ».  Al  che  placidamente  il  santo: 
—  Lo  volesse  il  cielo  !  Ma  io  so  da  Dio  che  voi  diverrete  un 
martire;  e  deh!  allora  vi  ricordi  di  me  ».  Il  notajo  per  allora 
si  rise  di  lui  e  del  vaticinio,  ma  poco  poh:^onvertito,  andò  in 
Terrasanta,  ove  incontrò  il  martirio. 

Questi  miracoli  erano  creduti;  e  della  loro  efficacia  argo- 
menti chi  oggi  pensa  muover  il  mondo  col  dargli  a  intendere 
le  fole  di  cui  empie  i  circoli  magnanimi  e  le  intrepide  gazzette. 
La  bontà  di  lui  non  veniva  meno  davanti  a  qualsifosse  colpa. 
Uno  rifiuta  di  riconoscere  il  figlio   di   sua   moglie,    credendolo 
adulterino,  e  il  bambino  parla  e  lo  chiama  babbo.  A  carcerati 
per  debiti  impetra  misericordia,  e  dal  consiglio   di   Padova    fa 
decretare  che  un  oberato,  se  in  presenza  di  testimonj  rassegni 
i  suoi  beni,  vada  franco  da  ogni    molestia  :    del    qual    decreto 
rimane  ancora  la  pietra  nel  salone  della  città.   Intanto   aveva 
così  profondo  il  sentimento  dell'autorità,  che.  anche  dopo  glo- 
rificato di  tanti  doni  celesti,  obl^edi   a   san    Francesco    che    lo 
mandava  a  A'ercelli  a  scuola  di  teologia  mistica.  Antonio  ado- 
prava    senza    posa    onde    convertire    gli  eretici  in   ^Milano,   in 
Tolosa,  in  Rimini;  e  li  convinceva  non  solo    colle  ragioni,  ma 
con    evidenti   miracoli.    Tal  fu  quando  fece  che  un  giumento, 
sbiadato  da  più  giorni,  abbandonasse  la   mangiatoia   otìertagli, 
per  inchinarsi  al  Sacramento.  Tale  e  più  clamoroso  il  caso  di 
Rimini.  La  città  era  ingombra  di  eresie,  sicché  nessuno  traeva 
ad  ascoltarlo;  onde  Antonio,  voltosi  alle  acque  della  Marecchia, 
invitò  i  pesci  a  udirlo;  ed  ecco  dal  fiume,  dal  mare  rimontare 
a  frotte  i  muti  abitatori,  come  sogliono  i  pellegrini  che  vanno 
alla  perdonanza,  e  collocarsi  in  bell'ordine  prima   i   pesciolini, 
indi    i    più    rilevati,    e    cosi   via     sino   ngli   enormi:  e  stivati, 
sporgendo  le  teste,  rimanere  intenti  alle  parole  del  santo  ;  anzi 
col  boccheggiare  mostrar  desiderio  di  volere  esprimersi,  finché 
questi  li  congedò,  ed  essi  con  or(hne  ritornarono  ai  loro  recessi, 
lasciando,  pensate  qual  meraviglia  negli  spettatori. 

Dar  intendere  simili  baje  all'età  della  radomanzia ,  della 
divinazione  magnetica,  degli  spiriti  battenti  e  delle  tavole 
jìarlanti  I  Però  ,  se  ammiriamo  Cicerone  faticante  in  quistioni 
private  e  in  infelice  lotta  contro  l'ambizione  d'Antonio  ;  o  De- 
mostene,  che    a    stento  spingeva  gii  Ateniesi  fuor  delle  mura 

—  93  — 


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contro  Filippo  aggressore  ,  confessiamo  clie  ben  altra  potenza 
)  d'  emozione  era  in  costoro  ,  i  quali ,  credendo  profondamente , 
{  operavano  sopra  credenti.  A  udire  Antonio  accorreva  infinito 
)  popolo;  e  quando  predicò  la  quaresima  del  31  a  Padova,  girava 
j)  le  diverse  chiese  ,  ma  dovea  star  di  fuori  a  cielo  aperto,  per- 
J  che  fino  trentamila  uditori  s'  accoglievano  ,  preparandosi  già 
)  durante  la  notte;  e  chiudeansi  le  botteghe  e  i  tribunali;  non 
i  v'  erano  borsaiuoli ,  non  licenziosità.  Ed  egli  predicava  fran- 
/  camente  in  italiano,  come  fosse  lingua  sua  H;  un  silenzio  uni- 
i  versale  regnava,  sicché  né  tampoco  i  bambini  vagivano:  e  gli 
]  ascoltanti  dicevansi  1'  un  1'  altro  :  —  Oh  poveretto  me  !  non 
avrei  mai  creduto  che  questa  cosa  fosse  peccato  »  e  ciascuno 
credeva  parlasse  di  lui  proprio  ;  altri  il  vedeano  la  notte  ap- 
parir loro  e  dire,  —  Alzati  ,  o  Lorenzo,  o  Agnese,  e  va  e 
confessa  il  peccato  che  festi  in  tal  giorno  ,  nel  tal  luogo  ». 
Una  donna,  costretta  ad  assistere  il  marito  infermo,  non  sa- 
peasi  consolare  del  non  poter  assistere  alla  predica  del  santo, 
lontan  due  miglia.  Per  farsi  illusione ,  s'  affacciò  alla  finestra 
che  dava  verso  quel  lato ,  ed  ecco  ella  intende  le  parole  del 
predicatore,  chiama  il  marito,  ed  egli  pure  le  ode:  e  ai  com- 
paesani ,  quando  furono  di  ritorno  ,  seppero  ridire  la  predica 
tutta. 

Per  la  Marca  Trevisana  moltiplicò  egli  prodigi  di  pacifi- 
cazioni; altrettanti  in  Verona:  poi,  quantunque  soffrente  d'  i- 
drope  ,  andò  a  nome  dei  Padovani  ad  Ezelino  (ah,  perdóno  , 
se  dimentico  il  principe  pel  santo  !  ) ,  acciocché  volesse  rendere 
in  libertà  il  conte  Rizzardo,  tenuto  prigioniero.  Giuntogli  di- 
nanzi in  Verona  ,  i  biografi  (che  pur  non  aveano  letto  le  de- 
clamazioni che  Alfieri  fa  gettare  in  faccia  ai  tiranni ,  cosi  buoni 
da  tollerarle)  dicono  esclamasse  :  — 0  Ezehno  ,  nemico  di  Dio; 


\  •17    SuRio  e  Annaka  N\'adingi.  llaìico  vliomaln  adfo  polite  poluif  quna  voJin't 

/  prnnnnliare,  ac  si  e.rlra  Ifaìia  nunquam  posuissrt  prdem.  Non  posso  tacerò  che   un 

l  liHlf  coinpalriotla  di  s.  Antonio  io  scontrai  nella  incoinparalìile  Certosa  di  Napoli 

')  rilnifgitovi  (piando  il  Porto!j;allo  cacciò  via  i  frati.  Eirli  si  puntava  di  pos'-edero  la 

"^  lingua  nostra  non  altrimenti  clic  un  italiano,  o  per  prova  compose  il  pane<:irice  di 

'  san   r.rnnoiie,    senza   la   lettera    a   A.   È  alle  stampe,  o  l'unico  A  è  nella  parola 

)  Nnpnli,  data  della  slanipeiia.  Sant'Antonio  esercitava  la  sua  pazienza   a   (pialcosa 

(  di  più  umano. 

L|_r]  •  -  99  -  Cj- 


J 


'  CAPITOI-0    IV 


W 


h 


»  e  crudelissimo  dei  tiranni;  o  can  rabbioso,  e  quando  cesserai 
»  tu  di  versare  sangue  ?»  E  continuava  tale  tempesta  d' in- 
giurie ,  che  i  satelliti  del  tiranno  aspettavano  ad  or  ad  ora  il 
cenno  di  farlo  a  pezzi.  Ma  ben  al  contrario  (e  soggiungono  i 
biografi,  fu  prodigio  maggiore  che  il  farsi  ascoltare  dai  pesci) 
Ezelino  se  gli  prostrò  ai  piedi,  con  una  corda  al  collo,  vene- 
randolo, e  gridando  sua  colpa.  Di  che  meravigliandosi  i  se- 
o-uaci  di  lui  ,  Ezelino  disse  :  —  Che  volete?  ÌNIentre  il  frate  mi 
»  parlava,  vedevo  dal  suo  volto  uscir  una  luce  che  m'empiva 
»  di  terrore  e  venerazione;  e  avrei  fatto  qualunque  cosa  mi 
»  avess'  egli  comandato,  tanto  mi  sentivo  compreso  ».  E  fin- 
ché il  santo  visse,  operò  meno  crudele.  Gli  spedi  anche  un  dono, 
che  Antonio  gli  rinviò,  dicendo  non  volere  roba  distillata 
dal    sangue    d'  innocenti    che    gridano    vendetta  al   trono    del 

Signore. 

Avesse  veramente  Ezelino  risparmiato  il  pianto  d'un  solo 
uomo,  già  sarebbe  a  noi  venerabile  e  benedetta  la  potenza  del 
taumaturgo. 

Tornato  poi  sul  Padovano,  Antonio  viveva  solingo  in  un 
tugurio  presso  Camposampiero,  ove  sotto  un  gran  noce  scrisse  le 
Coyicordanze  della  Bibbia ,  finché  il  Signore  lo  chiamò  a  sé,  sul 
verde  dei  trentasei  anni  il  13  giugno  1231.  La  morte  di  quel 
pacifico  diviene  attizzatoio  di  risse;  i  nobili  di  Capodimonte  lo 
custodiscono  in  armi ,  perché  rimanga  dov'  era  morto  ,  cioè  al- 
l' Arcella ,  doppio  convento  suburbano  fondato  da  san  Fran- 
cesco all'estremo  della  strada  antica  di  Porcilia;  i  frati  lo  vo- 
gliono a  Padova;  il  popolo  irrompe  ed  abbatte  le  barriere;  ma 
Iddio  lo  fa  rimanere  istupidito,  senza  osare  d'entrar  colla  vio- 
lenza. Alfine  il  podestà  viene  cogli  armati  ,  e  porta  a  Padova 
il  cadavere ,  con  un  solennissimo  trionfo  che  oggi  non  si  per- 
metterebbe, e  si  permetteva  ai  tempi  d'  Ezelino  ;  vi  è  deposto 
in  un'  arca  antica  ,  e  la  memoria  delle  virtù  e  i  numerosi  mi- 
racoli gli  acquistarono  tosto  quella  venerazione,  che  sempre  andò 
crescendo  quanto  ognuno  può  vedere.  Già  nel  32  si  cominciò  a 
raccorre  limosine  e  materiali  por  edificargli  una  ciiiesa;  Ales- 
sandro IV  v'invitò  tutta  la  cristianità  ,  e  sebbene  la  tirannide 
di  Ezelino  la  ritardasse  ,  prima  che  finissero  i  tempi  compresi 
in  questo  racconto  Mcola  Pisano  gli  ergeva  quella  vasta  basi- 
lica ,  di  stile  cristiano  non  ancora  svigorito  dall'imitazione,  a         > 

;_,  n  -  100  -  DpJ 

gjls. . -„™™ ^eiH 


Kcii  cliiedei'lo  n  me,  ma  a  Lio  :  e  prende  il  vangelo  lo  oiire  a  caso  e 

Cai>.  IV.  rar.  79 


[ '□  FRA    GIOVANNI    DA    SCHIO  D    "— i 

cui  oggi  ancora  traggono  in  folla  devoti  curiosi  i^ ,  e  la  piazza  fu  ( 

adorna  di  monumenti  alla  sapienza,  alla  ricchezza,  al  valore  ;  | 

glorie  peribili  accanto  a  quella  immortale.  ^ 

Antonio  fu  santificato    l'anno    stesso  di  sua  morte,  mal-  ) 

grado  la  cautela  che  la  Chiesa  mette  in  siffatti  giudizj  i9,  e  fr  i  ì 

)         i  tre  cui  fu  affidato  il  suo    processo,  appare  uno  ,    che    nell.i  ) 

)         storia  nostra  è  sovra  tutti  memorabile  ,  fra  Giovanni  da  Schio.  \ 

)         Donde  costui  fosse,  è  ignoto  ;  chi  lo  fa    padovano,    chi    vero-  ) 

nese  o  bresciano  ,  mantovano  o  bolognese ,    più   probabilmente  ) 

vicentino;  tante  città  si  disputano  la  culla  d'un  frate  !  Di  ricca  ) 

casa  lo  vogliono  i  biografi  ,  perchè  la    venerazione  dei    natali  ) 

sarà  trovata  ridicola  e  irragionevole  ,  eppur  rimarrà  nella  na-  ( 

tura  umana  finche  uno  desideri  meglio  dirsi  figlio  di  Franklin  ) 

che  di  Marat.  Suo  padre  era  stato  podestà  di  Belluno  ;  ed  egli  i 

poteva  aspirare  ad  onori,  ma  vi  preferi  il  chiostro,  e  in  quello  ) 

di  Sant'Agostino  a  Padova  ebbe  l'abito  da  san  Domenico  stesso  ) 

e  r  uffizio  del  predicare.  ( 

Primieramente  il  papa  lo    indirizza    a  Bologna ,    ove    san  ) 

'!  ) 


18  Tre  incendi  la  guastarono:  nel  1394  per  fulmine;  nel  1367  per  la  In- 
niinara;  nel  1749  per  caso,  e  sempre  fu  riparata.  Le  pitture  nei  Santo  e  nella 
vicina  scuola  e  i  bassorilievi  di  Tiziano  Minio  e  d'altri  migliori  nella  cappella 
architettata  da  Jacobo  Sansovino,  ripetono  i  portenti  da  noi  qui  accennati.  Nella 
cappella  del  beato  Luca  P.elludi  suo  discepolo,  nella  stessa  basilica,  è  dipinto  es«;o 
Luca  (juando  dal  santo  gli  è  rivelata  la  vicina  liberazione  di  Padova  da  Ezelino.  Uno 
de'  più  antichi  musaici  delle  arti  risorgenti  è  quello  fatto  ivi  in  Santa  Maria  Maggioro 
da  Giacomo  Torre  nel  1259,  rappresentante  sant'Antonio  e  san  Francesco.  Sant'An- 
tonio era  grasso,  rosso  in  volto  e  con  occhi  vivaci.  Sull'arca  della  porla  maggiore 
del  Santo  è  questa  iscrizione  : 

-)-  Mille  dvcentenis  vno  cvrrcnte  trigenis 
Antonivs  frater  venit  ad  alta  pater. 
Nvnc  regnai  plenvs  qvi  \ixit  pavper  egcnvs. 
Yspanvs  gente  Padve  tvlit  esse  colonvs. 
Cvjvs  ad  exemplvm  sacratvm  visite  templvni. 
Et  pia  nvnc  vola   fominu  vin[ue  nota.  Àmen. 

Vedasi  la  Basilica  di  S.  Anlonio,  Padova,  tip.  Liviana  1846. 

13  lùsi  romana  Ecclesia  in  tain  sanclo  iicfjotio  >inn  sic  suI)ilo,  scJ  cnw  qvavila'.e 
et  maluritnte  pltirima  constterit  procedere^  dice  la  bolla  del  1'  giugno  1232- 


^-|^ _  -'''-  _  _^^^^ 

Cantò  —  Ezeliao.  7 


rJ 


\  Domenico  aveva  passato  gli  ultimi  suoi  anni ,  e  donde    si  dif-         \ 

\  fondeano  suoi  apostoli  a  tutta  la  terra.  11  32  era    stato   anno         ( 

i  (li  gravissimi  disastri  ,  tremuoti,  peste  ,  locuste;  gelato  il   Po         | 

(  (la  Cremona    in    giù  ;     tanta  difficoltà    di  viveri  che   perfin  le         ( 

\  nozze  si  celebrarono  senza  vino.  Bologna  vie  più  pativa  per  le         ) 

{  guerre  sue,  appena  cessate  con  Modena  in  grazia  della  famosa         \ 

(  secchia  rapita;  e  per  1'  interdetto  con  che  Gregorio  IX  l'avea         ( 

]^  punita  di  avere  impedito  al  vescovo  di  raccój*  la  decima  in  al-         ^ 

i  cune  terre.  Per  questo  il  Comune  toglieva  i  castelli  al  vescovo,         | 

(  e  v'  impacciava  la    giurisdizione    de'  magistrati  da  lui   spediti.         ) 

^  Furono  dunque  sospesi  i  divini  uffizj  ,  scomunicato  il  podestà,         ( 

i  comandato  agli  scolari  partissero    dall'  Università.  Ma  il  papa         1^ 

(  alfine  lasciossi  mitigare  ,  e  consenti  la  celebrazione  dei    divini 

J  riti  ,  però  a  porte  chiuse,  voce  bassa,  senza  suon  di  campane; 

{  vi  mandò  fra  Giovanni  ;  e  quella  città  ,  avvezza  gli  anni  avanti 

\  a  sentire    Domenico  ,     Francesco  ,  Antonio  ,    già  tutti    santi  , 

^  corse  dietro  al  Vicentino  in  devota   compunzione,  compromet-         \ 
•'    1233  tendo  in  esso  le  liti.  Ed  egli,  annuenti*  i  magistrati  ed  i  ere-         i 

}  ditori  stessi,  scarcerò    gì' imprigionati    per    debiti;    fra    altre         ) 

i  pie  pratiche  introdusse  di  salutarsi  col  Sia  lodalo  Gesù  Cristo;         S 

(  indusse  le  donne  a  non  portar    al    capo  frangie   e  ghirlande  ,         ( 

)  ma  un  modesto  velo;  riformò  a  suo  senno  gli    statuti;    poi  il         ) 

S  15  marzo  1232  menò  una  solenne  processione,  traendosi  dietro         ) 

)  tutta  la  città  ,  a  piedi  scalzi  come  lui.  Un  altro  giorno  predicò         j 

;  contro  gli  usuraj  ,  in  modo  che  il  popolo,  il  quale  è  pronto  a 

(  tradurre  i  ragionamenti  in  fatti,  corse  a  saccheggiar  la    casa 

)  d'  un  Landolfo  che  n'  era  difi"amato.  Restava  ancora  la  contro- 
)   1^,  versia  della  giurisdizione    tra  il   vescovo  ed  il    Comune  ,   e  fu 

(aprile  .        „  . 

(  compromessa  in  Ira  Giovanni ,  concedendogli  assoluto    arbitrio 

;  non  solo  di  decidere  sul  passato,  ma  di  stabilir  sull'avvenire.         !* 

)  Giovanni  ,  con  licenza  del  maestro  dell'  ordine  ,    ])ronunziò  ,  e         [, 

(j  il  suo  lodo  attesta  come  fossero  continui  gli  attentati  alla  vita, 

/  falsate  le  monete  ,  ogni  sorta  di  delitti. 

^  A  Milancio  ,  cavalier  bolognese  gran  prepotente,  aveva  il 

l  papa  conceduto  assoluzione  dalle  censure  ,  purché  restasse  ol-         ' 

\  tre  mare  tutta  la  vita  a  servizio  di  Gesù  Cristo.  Ambasciatori         ■ 

l  di  tutta  la  Lombardia  s'  interposero  per  mitigare  la  penitenza, 

)  ma  al  solo  fra  Giovanni  il  pontefice  volle  assentirlo    «  perchè         ; 

(j  si  conoscesse  a  prova  di  quanta  grazia  e  favore    godesse  egli         ; 


[glra-^ 


presso  di  lui  »  :  e  s'  accontentò  che  Milancio  giurasse  rifare 
dei  danni  i  cittadini  di  Viterbo  ,  e  alla  prima  crociata  passare 
anch'  egli  in  Terrasanta  per  due  o  tre  anni. 

Una  volta,  mentre  il  frate  predicava,  Giovanni  Boncambio, 
dicitore  si  famoso  che  ad  ascoltarlo  traea  la  gente  da  lonta- 
nissimo, passa  su  brioso  cavallo  bianco  ,  vestito  alla  ricca  e  con 
aurea  collana.  Indotto  dalla  curiosità,  si  ferma,  ascolta,  n' è 
commosso  ,  e  lasciato  lo  sfarzo  ,  corre  alla  chiesa  di  San  Mi- 
chele ,  prende  1'  abito  di  domenicano,  e  ben  tosto  coli'  elo- 
quenza e  r  erudizione  acquista  tal  fama  ,  che  è  fatto  vescovo 
di  Bologna. 

Tante  si  moltiplicarono  le  processioni  e  le  prediche  ,  che 
queir  anno  fu  detto  dell'  alleluja  :  e  in  segno  di  santità,  una 
croce  apparve  sulla  fronte  di  fra  Giovanni.  E  volendo  Giordano 
Forzate,  suo  maestro  generale,  dirigerlo  altrove,  i  Bolognesi 
mandarono  una  deputazione  de'  loro  principali  a  supplicare  noi 
togliesse  dal  campo  ,  dove  aveva  seminato  si  bene.  Giordano 
rispose:  —  Chi  semina  non  pianta  il  letto  nel  campo  onde  co- 
»  ricarsi  finché  ~  abbia  fruttato,  ma  lo  raccomanda  a  Dio,  e  va 
»  a  seminar  altrove  ,  e  il  Salvatore  dicea:  Covien  di' io  vada 
»  a  'predicare  in  altre  città  ». 

Papa  Gregorio  scrisse  a  fra  Giovanni  congratulandosi  dei 
frutto,  incoraggiandolo,  consolandolo  delle  calunnie  sparse  con- 
tro di  lui  20^  —  A  te  nelle  opere  di  pietà  non  f;i  mestieri  d'ec- 1233 
>  citamento  ,  poiché  di  ogni  cosa  per  1'  unzione  dello    Spirito 
»  Santo  sei  addottrinato.  Intuona  dunque  il  lagrimevole  gemito 
»  d'  innumerevoli  prigioni     fiorentini  e  sanesi ,    e  l'ululato    di 
»  quei  che  languiscono  fra  le  catene  ,  e  lo  squallor  delle  car- 
»  ceri  tra  la  fame  e  la  sete;  intuona  il  sangue  dei  piangenti, 
»  effuso  e  vicino  ad  effondersi  in  copia  maggiore  ,   se  la  pace 
»  non  si  frapponga.  Kon    vogliamo    comandare  a  te,    che  sei 
»  guidato  dallo  spirito  di  Dio  ,  ma  supplichiamo  che  da  Colui 
'  nel  quale  per  tuo  ministero  si  conforta  la  moltitudine  degli         \ 
»  afflitti,  tu  sia  condotto  prestar  aiuto  a  queste  due  città,  vicine         ) 
»  alla    distruzione   »;    e    dipinta    la    desolazione    di    Siena  e         J 

\ 


20  VII,  cp.  XLVIII,  np.  r.AiNAi.Di,  1235,  p.  5(),  ól,  58.  —  Yilac  I>1>.  /V, 
(ìiraiorum,  parie  IV,  e.  4:),  p.  Uo. 


,0 


-  103  - 


^^^ ^ 

U  CAPITOLO    IV.  LJ 


¥' 


<  >  Firenze,  —  Tutti  hanno  fiducia,  e  ripetono  che,  se  il  diletto  ( 
)  »  figlio  Giovanni ,  in  cui  il  Signore  degnò  fra  voi  operare  opere  / 
\  >  eccellenti  a  gloria  del  suo  nome  e  confusione  dell'  eretica  pra- 

(  »  vita,  visiti  le  due  città  scompigliate  ,  il   Dio  della   pace  per  ; 

i  »  mezzo  di  lui  darà  fine  a'  guai  ed  alle  perversità  ».  / 

^  Convien  pensare  che  anche  allora  le  turbe  obbedissero  al  ) 

(  papa  sol  quando  egli  faceva  quel  eh'  esse  volevano  ;  ond'  egli,  ; 

)  disobbedito  ,  iterò  istanze    lamentandosi  perchè   fra   Giovanni,  ì 

S  €  mandato  da  Dio  affinchè  indicasse  ai  ciechi  la  via  ,  agli  in-  ) 

(  creduli  la  verità  ,  ai  morti  sia  resa  la  vita  »,  venisse  ancora 
■giugno  a  forza  trattenuto  dalla  fervente  pietà,  e  minacciò  perfln  di  sco- 

{  munica  chi  a  questo  suo  desiderio  si  opponesse.  Giovanni  fuggi  ') 

j  notturno  da  Bologna,  e  ridottosi  a  Modena,  con  quel  vescovo  J 

\  venne  a  Ferrara  ;  donde  segretamente  tragittatosi  sulla  sinistra  (^ 

\  del  Po,  mosse  a  Padova  per  iscongiurare,  ivi  pure  il  demone  della  > 

J  discordia.  Incontro  a  lui  usci  tutto  il  Comune  col  carroccio  fino  \ 

\  a  Monselice  ,  e  fattolo  montare  su  quello  ,  quasi   trionfante  il  ) 

ì  condusse  in  città.  Colà  nel  Prato  della  Valle  cominciò  le  pre-  ^ 

{  diche  sue  con  tanto  frutto  ,  che  tutti  i  discordanti  rimisero  in  ( 

j  lui  le  proprie  dissensioni.  Altrettanto  ottenne  a  Treviso,  a  Fel-  / 

5  tre ,  a  Belluno,  a  Conegliano:  vicentini,  veronesi,  mantovani,  j 

)  bresciani,    il  conte  Sambonifazio,  i  signori  di  Camino,  quei  di  ( 

\  Romano  ,    furono    da  lui    ridotti  a  miti  consigli  ;   i  prigionieri  j 

delle   ultime  guerre    fece   rendere  in  libertà  ;    dai  Comuni  ot-  \ 

;  tenne  autorità  senza  limiti,  fino  di  potere  riformare  a  talento  ) 

l  gli  statuti:    tanto    valeva  1'  opinione    di  zelo  e  di   santità.    E  ) 

'  quando  fra  Giovanni  predicava  dal  carroccio,  circondato  dai  car-  j 

)  rocci  delle  altre  città,  dai  cuori  prorompeva  1'  evangelico  So7i  } 

l  pur  beili  i  passi  di  dà  annuncia  la  pace!  Con  lettera  del  12  \ 

j  luglio  il  papa  concede  quaranta  giorni  d' indulgenza    a  tutti  i  j 

\  fedeli  che  tre  giorni  in  una  settimana  avessero  udito  o  devo-  J 

j  tamente    seguissero  per    città  e  ville  il  frate  ,  per    cui  mezzo  ì 

\  Iddio  operava  meraviglie.  Esso  papa  scriveva  a  fra   Giovanni:  ) 

<  —  Consentiamo  tu  possa  ,  secondo  il  rito  della  Chiesa,  conce-  ^ 
/  »  der  l'assoluzione  al  nobile  Ezelino  ed  a'  fautori  suoi,  scomu-  ) 
'  »  nicati  da  personaggi  da  noi  spediti  a  sedar  la  discordia ,  che  j 
(  »  fin  qui  miseramete  lacerò  il  paese;  patto  ti  diano  sufficienti 

)  »  cauzioni  di  mantener  la  pace,  e  obbedire    ai  nostri    coman-  j 

r  »  damenti  ».  / 


FRA    GIOVANNI    DA    SCHIO  ^^^ 

Noi  ,  che  crediamo  acquistato  al  nostro  felice  secolo  il  pri- 
vilegio esclusivo  di  ragionare  sui  fatti  e  d'  impicciolire  col  riso 
se  qualche  cosa  appare  di  grande,  e  levar  i  calcinacci  dal  pie- 
destallo dei  migliori  per  buttarli  loro  in  faccia  ,  noi  ci   darem- 
mo ad  intendere  che  allora  nessuno  revocasse  m  dubbio  quelle 
virtù  e  quegli  effetti?  Tutt' altro,  e  Guido  Bonatto,  gran  maestro 
in  astrologia  come  vedremo  ,  tenea  fra  Giovanni  per    un   ipo- 
crita. —  Spacciasi  d'  aver  risuscitato    diciotto   morti ,  guanto 
»  d'ogni    maniera  infermità,  cacciato  demoni:  ma  io    non  ho         } 
^>  mai  potuto    vederne    uno.    Un  nugolo  di  popolo  gli    teneva         \ 
»  dietro  ,  e  beato  chi  avesse  un  filo  di  sua  tonica.  I  lìolognesi,         j 
»  a  nome  del  Comune,  armati  lo  seguitavano,   e   dovunque  si 
»  fermasse   gli    facevano   attorno    uno    steccato,  •  perche  altri 
»  non  se   gli   accostasse:   e   se   alcuno  lo    ardisse,    il   malme-         / 
»  navano,  e  fin  1'  uccidevano;    del  che  egli   godeva:   né   mai         < 
»  risanò   alcuno  come   Cristo   fece   con  ^lalco.    Pubblicamente         \ 
»  diceva  d'avere  colloquj  con  Gesù    Cristo,   la  Beata  Vergine 
»    e    gli   angeli.    Il  frutto  fu  che  i  frati  suo  raggruzzolarono 
»  da    ventimila    marche    d'  argento  ;    ed    io  ,    che  non   volevo         j 
{         »   dare   ascolto  alle  sue  ciurmerle,  era   dal  popolo  tenuto  per 

(         »  eretico  ».  i  +  <) 

Cosi  l'astrologo,  e  non  senza  ragione  stava  mal  vòlto  contro 

fra  Giovanni,  il  quale  sparlava    dell'  astrologia  ,   asserendo  la  > 

'  non  fosse  né  arte  .  né  scienza.  Con  fra  Giovanni  aveano  pure  j 

mal  sangue  i  frati  Minori,  per  gelosia  di  Ordine:  non  mostra  l 

(         prestargli  fede  lo  storico  Maurisio;  fra  Salimbene  lo  dico  scarso  ( 

'^         di  lettere  e  che  s'  impacciava  di  far  miracoli  ,  e  smaniava    di  ( 

passar    per  santo  ,  farnetico    comune  a  questi    Francescani,    i 

\         quali  talvolta    s'  accontavano    di  predicar  fra  molti  in   diversi  ( 

luoghi  s'  una  data  materia;  e  un  di  loro    fermandosi  a  mezzo  ,; 

del  discorso,  mostravasi  assorto,  poi  ripigliando  i  sensi,  al  pò-  ) 

polo  attonito  diceva  :  —  Ho  sentito  fra  Girolamo  che   predica 
]         »  in  quest'  ora  a  Bologna,  sul  renaio  del   Ueno,  e   ha  profe- 

\         »  rito  cosi  e  cosi  :  ho  sentito  fra  .Tacobino  che  predica   a  Mo-  j 

)         »   dena  sul  tal  testo  »  ;  e  quando  verificavasi,    crescevano    lo  < 

{         stupore  e  la  venerazione.  ( 

j  Esso  Salimbene    soggiunge  come  di    fra  (uovanni   aperta-  ) 

mente  sparlasse  Buoncoinpagno,  famoso  profossore  in  Bologna,  ( 

•         un  cui  libro  di    grammatica  fu  coronato  d"  alloro.    E   giacché  S 


CAPITOLO    IV.  On-T. 


mi  casca  sotto  la  penna  questo  nome  ,  permettete  mi  badi  un  e 
tratto  sul  costui  lepido  umore,  e  sulla  burla  che  una  volta  ) 
fece  ai  Bolognesi.  Quando  alcun  letterato  di  polso  arrivasse  [ 
nella  dotta  città  ,  soleva  mandare  innanzi  una  lettera ,  scritta  { 
quel  più  squisito  che  sapesse.  Buoncompagno  ne  inviò  una  ,  > 
fìngendo  che  un  tal  Roberto  sfidasse  lui  Buoncompagno  per  un  \ 
determinato  giorno,  provocandolo  con  villanie:  perocché  il  gè-  ) 
nio  battagliero  del  secolo  non  solo  sul  campo  e  colle  armi,  ma  ^ 
sfogavasi  ancora  nelle  scuole  e  sui  libri.  Dal  primo  cessarono  ( 
gli  Italiani  quando  si  trovarono  strappate  1'  armi  di  pugno  :  ) 
neir  altro  si  fa  tuttora  prova  scandalosa  e  codarda  ,  prendendo  S 
la  grossolanità  per  indipendenza.  ^ 

Gli  avversar]  di  Buoncompagno  ,    che  erano  molti  e  pro- 
vocati anche  dagli  acri  frizzi  di  esso  ,  non  rifinivano  d'  ammi- 
rare una  lettera  si  bella  e  compitamente  scritta,  e  cuculiavano         ) 
il  grammatico;  tanto  più  che  questi,  senza  mostrarsi  avvilito,         ) 
aveva  accettata  la  sfida.  ^ 

Il  dì  prefisso  ,  scolari  e  professori  accolgonsi  in  gran  fre-  ì 
quenza  nel  duomo  di  Bologna  :  aspetta  un  poco,  aspetta  molto,  \ 
e  Roberto  non  arriva.  E  1'  aspetterebbero  ancora  ,  se  Buon-  \ 
compagno  ,  tratto  alquanto  in  lungo  il  giuoco  ,  non  avesse  \ 
rivelata  la  burla  :  di  che  rimasero  non  vi  so  dire  quanto  scor-  \ 
nati  i  nemici ,  ed  esso  ,  a  braccia  degli  ammiratori  suoi  ,  fu 
portato  a  casa. 

Né,  perchè  una  volta  burlati ,  fecero  senno  i  Bolognesi. 
Che  anzi,  poiché  li  vedeva  corrivi  a'  miracoli  di  fra  Giovanni, 
Buoncompagno  mandò  voce  che ,  il  tal  giorno ,  accorres- 
sero tutti  sul  delizioso  monte  dov'  è  la  Madonna ,  e  di  là 
esso  spiccherebbe  un  volo.  Gli  annunzj  sogliono  essere  più 
creduti  quanto  meno  verosimili,  onde  una  folla  qual  potete  im- 
maginare ;  e  il  grammatico  comparve  con  due  ale  sterminate. 
Ma  come  fu  in  vista  del  popolo  ,  —  Tornatevene  (disse)  in 
pace,  che  è  molto  per  voi  1'  avermi  veduto  in  viso  ».  Cosi  si 
ciurmava  il  popolo  :  zimbello  de'  ciarlatani  allora  e  adesso,  ed 
avvezzo  applaudire  a  chi  lo  opprime  e  travia,  e  saper  male  a 
chi  lo  illumina  e  corregge. 

Ma  lo  sparlare  di  pochi  non  iscreditava  presso  al  popolo 
la  santità  di  fra  Giovanni  da  Schio.  Il  quale,  come  gli  parvero 
dalle  sue  predicazioni  ben  disposti  gli  animi  ,  ordinò  che  tutti 


—  106  — 


PACE   DI    PAQUÀRA  q] 

convenissero  a  giurare  la  pace  ...  Il  28  agosto  1233,  a  un  tre         > 
miglia  sotto  Verona  presso  l'Adige  ,  ove  si  diceva  la  Paqua.a  i-' 
^1  cenno  di  un  frate    da  tutta  Lombardia  e  dalla  Marca  tanta         ) 
folla  si  raccolse  ,U  popolo ,  che  alla  --a-g'' ^f  ^  Vi'lT 
bastano  parole.  Verona,  Mantova,  ^'■^^'^'^  '  ^''^':  ^^: 
eran  venute    coi    carrocci  ,   vale  a  dire  con  tutti    i  u  tad  n 
trevisani,  teltrini ,  bellunesi,  veneziani,    bolog.ieM ,  con   mo. 
tZ  paesani  e  nobili ,    sotto  ai  proprj  stendardi    a  pie  nud,, 
cantando  laudi  e  ripetendosi  a  vicenda  non  insulti  di  guerra  , 
In  saluto  di  v-Jsìa  lodato  GesU  Cristo.  Uno  ^ton^o  U  s  - 
ma  a  quattrocento  mila  :  un  altro  asserisce  clie ,  .lai  Redentore         , 
Tnoi    non  s'era  veduta  udienza  si  numerosa:  non  manco  chi 
"    paragonasse  quella  futura  in  vai  di  Giosatat.  Con  loro  v   avea 
nÙind  ci  vescovi  in  apparato    pontificale,  e  tutti  i  baroni  della 
vtónanza    Erano  vecchi  induritisi    nello  spettacolo   de  m.cidj . 
èrano  fanciulli,  recati  in  braccio  dalle  madri  perchè  le   prime         , 
loro  idee  non  fossero  tutte  di  sangue  e  di  sterminio:  erano  ri-         ■ 
vali  usiti  a  non  trovarsi  che  collo  scherno  sul  labbro,  col  pugno 
sul  brando:  erano  popolazioni  avvezze  a  '^f'S^^^^^^^l'^ 
nomi  di   scherno.    Soverchiatori  e  soverchiati  ;    oltraggiati  ed 
offensori  ;  emuli  di  nimicizie  ereditarie;  molti  che  teneano  an- 
cora a  la  0  la  spada,  tinta  d'un  sangue  di  cui  avevano  giurata 
vendetta  a  morte;  qui  si  scontravano,    come  chi    riunisse  in 
uno  le  Aere  più  mostruose  della  Libia  :  i  Bentivoglio  coi  Pepoli, 
i  Laml^ertazz  coi    Geremei  di  Bologna,  i  Rossi  coi   Corregge- 
ch    di    P-ma  ,   gli    Scotti  coi  Laudi  di  P'-enza    gU   Aigcn. 
coiGrisolfl  di   Modena,  i  Montecclu    coi  Capuleti    di  Verona, 
Ezelino  e  .Uberico  da  Romano  coi  Camposampiero  e  cog  i    b- 
stensi;  e  tutti,  alla  voce  d'  nn  frate,  venivano  qui  ad  ablirac- 
ciarsi,    a  chiedersi  e  concedersi  perdono. 


il  i;anlica  cronaca  veronese  dello  Zagau,  .lice-.  -  L'anno  1235  inisser 
Irà  Znanc  da  Viceno  dell'ordine  de'  l'redicalori  .e  parie  da  Manina  e  venne  a 
slbonifacio  sul  Veronese;  el  ì  Veronesi  glie  andè  Incon.ra  e  s,  aecella  Ho  ,• 
!    ,  ente,  e  si  ghe  tè  nn  pergole  sulla  piazza  del  n.erca  e  I,  predico. .  e  s,  gin 

nne  Manlovan',.  Bressani,  Padoani,  Trevisani  e  Veneziani  co,,  i  sol  carrozzi, 
èa  lue   e  molli  al„i  della  .erra  ci,cu,„,.an,e,  zoé  ,la  Kernra    da    lìologn      <la  \ 

MoTena.  da  Logo,  da  Var ;  e  f,-à  /.nane  p,on,n,l,ò  la  pavé  che  I  liavia   faUo  . .     ^  ^ 

1^  ■        --~~~r- M 


rrt]  CAPITOLO    IV.  '-'    "l 


d 


/  Salito  sovra  un  pergamo  ,  alto  sessanta  braccia  ,    comin- 

(  ciancio  dall'  evangelico  La  pace  mia  vi  do ,  la  pace  mia  vi 
(  lascio,  fra  Giovanni  fece  un'esortazione  a  quella  moltitudine 
/  perchè  tornasse  in  pace  e  in  accordo.  Meraviglia  !  in  cosi  va- 
^  stissima  spianata,  fra  tanto  popolo  congregato,  che  mormo- 
(  rava  come  un  mare  estuante,  il  predicatore  era  udito  da  tutti, 
)  L'  asseriscono  i  cronisti:  ma  qual  uopo  del  miracolo?  Se  pure 
{  vi  fosse  udito ,  poteano  le  incolte  parole  d'  un  monaco  avere 
(  per  sé  tanta  efficacia  su  animi  siffatti  da  commovere  al  pian- 
\  to?  Ma  quel  popolo  veniva  per  essere  commosso:  un  gesto  che 
di  lui  vedevasi ,  era  da  ognuno  interpretato  alla  guisa;  ognuno 
1233  credeva  udirvi  il  proprio  nome,  l'esortazione  personalmente  a 
sé  indirizzata  ,  il  vizio  a  sé  rimproverato  :  —  no  quelle  scene 
non  può  rappresentarsele  al  vero  se  non  chi  si  trasporti  a 
que' secoli,  tutto  sensi,  tutto  credenza:  oggi  l'entusiasmo 
è  perito  d'  un  colpo  di  compasso  che  il  calcolo  gli  ficcò  in 
mezzo  al  cuore  :  e  quand'anche  il  quadriduano  sorge  un  tratto 
per  guizzo  galvanico ,  viene  risepolto  sotto  la  sfiducia  ed  il 
sogghigno. 

(  Indi,  perchè  la  cosa  non  restasse  in  sole  parole,  fra  Gio- 

vanni espose  per  iscritto  le  condizioni  delle  singole  paci  ,  e  , 
quel  che  fa  per  noi,  volle  che  Alberico  da  Romano  desse  la 
figliuola  Adelaide  in  isposa  a  Rinaldo  d'Este;  e  che  egli  e  il 
fratello  cedessero  al  Comune  di  Padova  quanto  possedevano 
sul  territorio  di  questa  ,  ricevendone  per  quietanza  quindici- 
mila lire  ed  il  diritto  di  rittadinanza. 

Il  frate  poso  suggello  a  quei  patti  coli'  autorità  senza  li- 
mite che  gli  aveva  a  tal  fine  conceduta  il  supremo  pontefice. 
Indi  elevata  la  croce  ,  esclamava:  —  Oh,  benedetto  nel  nome 
di  Cristo  e  del  suo  vicario  santissimo  papa,  colui  che  perdo- 
nerà »;  e  migliaja,  migliajadi  voci  rispondevano,  —  Benedetto!» 
E  proseguiva:  —  Benedetto  chi  osserverà  o  farà  osservare 
»  questa  pace.  Benedetto  chi  amerà  da  fratello  il  prossimo  suo  », 
tì  a-l  ogni  volta  seutivasi  lungo  lo  spazio  sconfinato  echeggiare, 
—  Benedetto  ». 

S  Poi  ripigli;iva:    —    Maledetto  e  rubello    a  Cristo    ed  alla 

(  Chiesa  chi  commetterà  discordia  fra  gli  amici  ». 

\  —  Maledetto  chi  primo  infrangerà  i  patti  oggi   giurati  ! 

—  r^Ialedetto  chi  primo  trarrà  la  spada  contro    i  fratelli! 


—  li.S 


■hjieI 


- — '->  FRA    GIOVANNI    DA    SCHIO  Q^l— . 


\n° 


l  —  Maledetto    chi  in  opera  o    in    parole  favorirà  1'  impe- 

(  ratore  :  chi  inviterà  le  armi  straniere  negli  affari  della  patria!» 
J  E  migliaja  ,    inigliaja  di  voci  replicavano,   —   Maledetto, 

(  maledetto!  » 

)  Tale  dovette  apparire    la  vallea  fìlistina  tra   1'  Ebal  ed  il 

\  Garizim  ,  quando  a  tutto  Israele  raccolto  vi  fu  promulgata  la 

\  legge  :  e  un  alterno  coro  di  sacerdoti  dalle  due  opposte  mon- 

/  tagne  acclamava  benedetto  chi  ne  adempisse  i  precetti,  male- 

'  detto   chi  vi    fallisse;    ed    un    mondo     di    popolo    rispondeva. 

;  —  Cosi  sia  ». 

)  Fra  que'  gridi  ,  fra  le  lagrime  ,  si  correvano  al  collo  1'  un 

{  dell'altro;  baciavansi:  confondevano  i  palpiti  due  cuori  che  si 

)  erano  odiati  a  morte.  Il  popolo  ,    vedendo  i    magnati  abbrac- 

)  ciarsi ,  e  dimenticando  che  è  proprietà  dell'  uomo  poter  ammol- 

]  lire  gli  occhi  pur  conservando  di  pietra  il  cuore  ,  comporre  al 

)  bacio  le  labbra  mentre  il  pensiero  matura  il  tradimento,  il  po- 

\  polo  credeva,  sperava;  —    vicenda  del  popolo,    credere,  spe-i23:5 

l  rare  ,  trovarsi  deluso  '^^. 

Perocché,  non    appena    sciolta   l'assemblea,    gli   scontenti 

(  cominciarono  a  mormorare;  cavillarono  i  capitoli  degli  accordi: 

^  le  cause  della  discordia  essendo  coperte,  non  tolte,  ripullulavano 

\  al  posare  di   quell'istantanea    commozione;  non    era    corso  un 

)  mese  da  cosi  solenne  giornata,  e  tutti  erano  rimessi  sugli  odii 
primieri.  L'amor  di  Dio  e  del  prossimo,  ragioni  con  cui  più 
solitamente  i  buoni  frati  conciliavano  quelle  concordie,  poteano 

/  bastare  contro  l'urto  dell'  interesse,  dell'ambizione  in  quei    si- 

)  gnori    efferati?    Che   più,    se    all'interesse,    all'ambizione    non 


; 

~)  22   Verso  il  1823    il  cardinal  Rivarola,  legalo  ponlificio,  cercò  riconciliare 

Carbonari  e  Sanfedisti  nel  Ravennate  e  specialmente  a  Faenza,  coniliinando  molli 
)  malrimonii,  che  riuscirono  come  Dio  vel  dica.  Ouakosa  somiglia  a    li'à    Giovanni 

)  il  sig.  day  negli  Slati  Uniti.  Quando  gravissimi  dissensi  slavano  per  rompere  quella 

;  pace  che  l'Europa  invidiava  all'America,  egli  correva,  adoperavasi,  e,  so'^lenulo  da 

)  un  immenso  favor  pofiolaie,  molte  volte  ehbe  efficacia  di  ripristinar  la  concordia. 

^  Al  pnnci|)io  del  1850  maggiori  molivi  di  dissensioni  laccano  temere  un    conllitto, 

e    il    popolo    non    avea   fiducia    che   nel  signor  Clay,  e  quando  egli  arrivò  come 
ì  deputato  a  Washington,  tutta  la  città  stette  più  giorni  ad  aspettarlo,  poi  con   un 

)  tripudio  inesprimibile  l'accompagnò  al  suo  alloggio,  accogliendo  con  devozione  ogni 

\  parola  di  Ini,  e  ad  un  semplice  suo  cenno  disperdendosi.  Gli  avvenimenti  del  1847 

e  48  ci  danno  mitili  riscontri  ai  fatti  esposi!  nel  testo. 


—  109  — 


---HTC^] 


CAPITOLO    IV. 


sapevano  resistere  né  quelli  pure,  il  cui  uffizio  era  di  svellerle 
dall'altrui  cuore?  Povera  umanità! 

Fra  Giovanni,  in  quel  giorno  gridato  il  santo,  l'apostolo 
della  pace,  cominciò  ad  essere  appuntato  da  coloro,  a'  cui 
disegni  nocevano  le  opere  di  lui  :  e  lo  chiamavano  uomo  di 
parti,  che  favoreggiasse  uno  a  scapito  degli  altri,  abbassasse 
tutti  per  elevare  se  stesso;  fosse  satellite  del  papa  nel  depri- 
mere i  Ghibellini  e  Federico  IL  Gran  nemici  poi  gli  attirò 
l'inesorabile  suo  rigore  verso  gli  eretici;  e  a  ragione,  se  è  vero 
che  in  tre  giorni  sulla  piazza  di  Verona  ben  sessanta  ragguar- 
devoli cittadini  mandò  alle  fiamme. 

Lasciossi  anche  pigliare  dalle  vertigini,  che  facilmente 
ingombrano  chi  sale  in  alto;  ed  entrato  in  Vicenza,  dichiarò 
nel  consiglio  volerne  essere  signore  e  conte,  e  disporre  d'ogni 
cosa  a  suo  talento.  Il  popoletto  lo  sosteneva,  sperando  dal  santo 
quel  bene  che  non  aveva  dai  grandi;  i  signori  non  seppero 
far  niego;  e  si  promise  starne  affatto  a  lui:  sicché,  divenuto 
donno  e  padrone,  volle  in  mano  propria  i  castelli,  distribuì  a 
suo  senno  le  magistrature  e  gli  uffizj,  mutò  gli  statuti,  ne 
fece  dei  nuovi.  Indi  condottosi  a  Verona,  colà  pure  si  fece 
eleggere  signore;  ottenne  per  sicurezza  ostaggi  e  i  castelli 
principali,  e  così  due  bellissime  città  stettero  a  soggezione  d'un 
frate  inerme. 
1233  I  Padovani  mal  compatirono  che  altri,    da   loro   in   fuori, 

avesse  signoria  in  -Vicenza  :  onde  diedero  mano  al  podestà 
perchè  rivoltasse  il  popolo  contro  del  nuovo  conte.  Cosi  avvenne. 
Al  rumore  della  ribellione  accorso  fra  Giovanni,  ed  accolto 
dalla  plebe  a  calca,  credeva  guidarla  a  sicura  vittoria  ,  quasi 
a  vincere  basti  l'entusiasmo.  Ben  sulle  prime,  entrato  in  città, 
ebbe  tutti  i  fortilizj  e  le  torri,  prese  il  podestà,  e  laceratine 
gli  statuti,  lo  cacciò  colle  suona  dietro.  Ma  sopraggiunsero  i 
Padovani,  che,  dopo  breve  ed  incomposta  avvisaglia,  sparpa- 
gliarono i  partigiani  del  frate,  e  lui  stesso  imprigionarono.  Questo 
accadeva  pochi  giorni  dopo  il  trionfo  di  Paquàra:  —  tanto  il 
Campidoglio  é  vicino  alla  rupe  Tarpea. 

Per  ordine  del  papa  egli  fu  rimesso  ben  tosto  in  libertà: 
ma  condottosi  a  Verona,  ove  pure  sperava  resuscitare  la  for- 
tuna propria,  si  accorse  come  l'autorità  sua  fosse  ita  in  dileguo; 
non  più  obìtedienza,  non  più  stima:  onde,  sentendo  cosa  sia  il 


) 


—  no 


r—G  FRA    GIOVANNI   DA    SCHIO 

non  aver  dietro  a  sé  il  popolo,  per  lo  meglio  cedette  ogni 
potere.  Cosi  dalla  strepitosa  sua  predicazione  non  altro  derivò 
che  vergogna  per  lui,  pel  paese  discordie  e  battaglie,  forse 
peggiori  che  prima. 

Ma  tutto  ciò  è  vero? 

Questa  domanda  il  buon  tono  non  permette   mai  di   fare 
quando  si  tratti  di  maldicenza.  Il  fatto  raccontasi  dal  Maurisio,  \ 

ghibellino  accannito,  da  cui  lo  ricopiò  il  Godi,  e  da  questo  gli  \ 
storici,  che  «  dove  l'uno  va  e  gli  altri  vanno  ».  Rolandino 
neppur  ne  tocca;  e  per  quanto  il  nostro  secolo  positivo  ci 
abbia  avvezzati  a  cotesti  improvvisi  trabalzi  degli  idoli  del  pò-  ( 
polo  dall'altare  alla  cloaca,  il  buon  senso  ricusa  di  credere  che 
tanti  avvenimenti  si  compissero  in  sei  soli  giorni ,  foss'  anche 
in  una  tragedia  dell'Alfieri.  Aggiungerò  che,  ai  22  settembre, 
il  papa  da  Anagni  scriveva  a  fra  Giovanni  riconfortandolo  a 
non  sentir  vergogna  del  glorioso  disonore  del  Golgota:  a  Cristo 
pure  il  trionfo  fu  susseguito  dall'obbobrio  e  dalla  morte  :  la 
provvidenza  divina  aver  permesso  queste  vicende  a  sperimento 
\  delle  virtù  di  lui;  del  resto  egli  papa  aver  commesso  al  vescovo 
\  di  Vicenza  un'indagine  sull' avvenuto,  per  potere  secondo  giu- 
\         stizia  procedere  contro  gli  offensori.  ^ 

Che  ne  seguisse  non  sappiamo;  e  se  il  Ginguené  non  ap-  ( 
partenesse  a  quella  scuola  filosofica  che  asserisce,  nega,  inventa  ( 
i  fatti  secondo  ne  ha  bisogno,  vorremmo  chiedergli  donde  ^ 
togliesse  che  fra  Giovanni  scornato  si  ritirò  a  morire    oscuro  ( 

a  Bologna.  Tutt'al  contrario,  a]  17  dicembre  il  papa  domandava  > 
ai  vescovi  di  Feltro  e  di  Treviso  esaminassero  la  sentenza  prò-  ( 
ferita  da  fra  Giovanni,  suo  diletto  figliuolo,  tra  que'  di  Treviso  \ 
\  e  di  Conegliano;  poi  il  13  giugno  del  47,  lodandone  lo  zelo,  ( 
)  lo  deputa  sovra  i  processi  degli  eretici  in  Lombardia:  —  Avendo  ( 
)  »  tu  spregiato  gli  applausi  del  mondo  lusinghiero,  ed  eletto  ) 
\  »  di  servir  Dio  in  volontaria  povertà  nei  rigori  d'austera  re-  < 
»  ligione,  insieme  coll'amnegata  volontà  dello  spirito  castigando  ) 
»  la  carne  coirastinenza,  speriamo  che  tu  risorga  a  sostener  ) 
»  animoso  la  fede.  E  perciò  eccitiamo  il  tuo  zelo,  già  coi  fatti 
»  sperimentato,  e  ti  ordiniamo  che,  a  svellere  l'ereticale  pravità 
»  delle  terre  di  Lombardia,  tu  adoperi  tutta  la  tua  vigilanza 
»  e  sollecitude,  e  ne  facci  ricerca  per  procedere  secondo  le  forme 
»  canoniche  contro  i  rei,  se  non  vogUano  uniformarsi  alle  leggi 


-11   -  D^ 


A 


( 


'P-Jq  capitolo    IV.  □    L-| 

>  della  Chiesa:  assolverli  se  tornino  all'unità  della  fede  ».  E  ( 
conchiude  graziando  di  venti  giorni  d'  indulgenza  quei  che  ) 
abbiano  ascoltato  una  predica  di  fra  Giovanni. 

Che  che  dunque  ne  dicessero  i  gazzettieri  d'allora,  leali  co- 
me i  gazzettieri  d'  adesso  ,  non  pare  che  questi  perdesse  la  fi- 
ducia popolare  ,  più  tardi  il  vedremo  ricomparire  nella  crociata 
contro  Ezelino.  Qual  fine  poi  facesse,  nessuno  storico  il  dice; 
ma  la  tradizione  supplì  col  farlo  morire  nelle  carceri  di  Eze- 
lino ,  0  in  una  crociata  per  l' Italia  o  per  Ungheria.  Noi  non 
ripeteremo  le  avventure  che  altri  gli  applicò  :  non  staremo  col 
(/iinguené,  che,  esagerando  nel  bene  e  nel  male  a  modo  dei  re- 
tori, gli  dà  vanto  di  avere  strigate  le  confuse  legislazioni  d'al- 
lora; non  col  Tiraboschi .  che  altrettanto  gratuitamente  sen- 
tenzia di  poco  opportuna  1'  opera  di  lui;  e  volendo  esser  eco  ^ 
di  quei  tempi ,  più  che  ludibrio  alle  passioni  o  ai  ragionamenti  ( 
de' letterati,  concliiuderemo  colle  parole  di  Rolandino  ~^:  —Dio  \ 
»  era  con  esso  ,  e  in  tutte  le  azioni  stava  attaccato  albi  Yer-         { 

>  gine;  esaltava  la    croce;  benediva   la  magnificenza  di  Gesù 
»  Cristo;  sempre  ebbe  davanti  agli  occhi  quelle  parole,  Beaii 
»  /'  jjì'erJi  fli  chi  porta  laimce:  e  coli' autorità  di  Dio  volle  sta-         ) 
-»  bilirla  fra  i  popoli  ». 

Giovanni  da  Schio  è  detto  beato  nella  famiglia  domenicana, 
la  quale  si  appoggia  a  Benedetto  XIV,  che  ,  difendendo  Gio- 
vanni XXII  dalla  taccia  di  troppo  corrente  nel  santificare  per 
aver  offerto  tale  onore  a  qualunque  domenicano  i  superiori 
scegliessero,  soggiunge  che  «  molti  erano  i  beati  di  quell'Ordine 
»  insigni  per  meriti,  dei  quali  poteasi  trattare  la  causa,  quali 
»  Reginaldo  da  Sant'  Egidio  ,  Giovanni  da  Vicenza  ed  altri  »  '^i.         ^ 

Le  arti  ,  non  stipendiate  dai  principi,  ma  allogate  alla  de-  ) 
vota  plebe,  e  che  parvero  risorgere  per  onorare  i  frati  ,  er-  < 
gendo  allora  il  sacro  convento  di  Assisi ,  San  Domenico  e  San  ? 
Francesco  in  l'ologna,  Sant'Anastasia  in  Verona,  San  Lorenzo  j 
in  Napoli  .  San  Nicolò  a  Treviso  ,  a  Firenze  Santa  Croce  o  \ 
Santa  Maria  Novella  ,  aA'enezia  i  Frari  e  San  Giovanni  e  Paolo,         / 

( 
( 


•^^  Lib.  III.  e.  17. 

-i  Fh  cauoniiatione  sanclorum,  L.  1.  e.  ^l,  n,  11,   1- 


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rais-- 

rinil  FRA    GIOVANNI    DA    SCHIO  —        , 

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le  arti ,  dico  ,  predilessero  questo  giusto  ,  sicché  la  sua  effigie  ^ 

è  ripetuta  in  moltissimi  conventi.  ) 

In  quello  di  Sant'Agostino  a  Padova    era    rapppresentata  s 

la  vestizione  di  lui  per  mano  di  san  Domenico,  colla  scritta,  ( 

Quiquis  es,  acclinis  scledum  venerare  Joanncm ,  ( 
Queni  donius  haec  gaudet  progenerasse  sihi : 

a  Bologna    nel  nuovo  tempio  di  San  Domenico    fu  conservata  ) 

memoria  della  riforma  da  lui  fatta  ,  scrivendovi ,    Bononiensis  ( 

magisiratus  B.  Joanni  a  Schio    civitatis  siatuta  emendanda  \ 

tradii.  Un  fresco  del  1352  ne'  Domenicani  a  San  Nicolò  di  Tre-  ) 

viso,  mostra  il  beato  coi  raggi  alla   fronte,    appoggiato  a   un  \ 

tavolino  in  atto  di  contemplare  il  Crocifìsso;  Giovanni  Speranza  ( 

lo  ritrasse  nella  cappella  Sarego  in  Santa  Corona  di  Vicenza,  > 

in  atto  di  predicare ,  e  colla  colomba  radiante  sul  capo.  Fra  Ba-  ) 

silio  da  Schio,  camaldolese  e  suo  discendente,  adoprò  a  raccorne  ì 

-         e    inventarne  notizie,  e    cercò    ottenergli  la  santificazione  nel  ^ 

)         1667;  e  fin  dal  50  ne  avea   collocato  un  busto  nell'uffizio  del-  ( 

(         r  Inquisizione  con  epigrafe  che  il  proclamava  D.  Bominici  vir-  ) 

)         tutum  haeres  et  fdius,  Gallice  Cisalpince  apostolus,  angelus  pa-  ') 

[         cis  niincius,  tyrannorum  gladiiis ,  hcereticorum  malleus  ^''.  ■ 

■  ■  i 

i  ! 


25  Le  modaglio  in  memoria  (lolla  pace  ili  Paquar;'.,  riporlaie  nel  museo 
Mazzucchelli,  Tav.  VI,  N.  1,  col  rovescio  d"un  elmo  che  coi)rc  In  lìamnia  e  il  mollo 
Paccm  relinquo  vohis,  o  d'una  donna  colla  face  i  ovesciala  clic  iniìtte  luoco  ad  arnesi 
di  guerra  e  calpesia  la  Discordia,  paiono  false  ed  invenzioni  di  Valerio  Belli. 
V.  Antonio  Maghim,  i\oti:/r  di  fra  (ìiovanni  da  Schio.  Padova  18'il. 


n  -  113  - 


^ 


nra 


CAPITOLO     V 


I     TIRANNI. 


Clie  le  città  d'Italia  tutte  piene 
Son  di  tiranni,  ed  un  Marcel  diventa 
Ogni  villan  che  parteggiando  viene. 
Da>te. 


mai  respiri  il  lettore,  che,  uscendo  da  questi 
nojosi  frati  e  dalla  pace  e  dalla  carità,  la  storia 
nostra  rannobilisce,  e  «  batte  a  voi  più  sublime 
aura  sicura  »  per  ragionare  di  politica,  di  prin- 
cipi, d'assassini. 
Quel  che  della  confederazione  dorica  ebbe  a 
dire  Platone,  essere  finita  per  difetto  non  di  coraggio,  ma 
di  temperanza,  s'avverò  delle  repubbliche  italiane  del  medioevo, 
e  s'avvererà  anche  delle  moderne,  ogni  qualvolta  i  popoli  sap- 
piano tentarle.  Temperanza  mancava  agli  individui,  sicché,  paghi 
al  posto  loro,  ognuno  vi  s'adoprasse  al  bene  comune,  senza  troppo 
agognare  l'altrui:  temperanza  mancava  alle  diverse  città, 
sicché  pensassero  a  saldare  il  franco  loro  stato  colla  magna- 
nima concordia,  col  sacrificare,  per  l'utilità  generale,  una 
parte  del  ben  proprio  o  di  quello  che  avesse-  aspetto  di  bene,  col 
non  compromettere  i  reali  acquisti  nella  fiducia  di  immaginar): 
temperanza  alle  fraternite  ed  agli  ordini  fra  cui  era  spartita 
la  società,  per  contenersi  in  quella  subordinazione,  dalla  quale 
risulta  il  felice  ordinamento  civile. 


^  a 


—  115  — 


[HLr^ 


iJ  CAPITOLO    V. 


Che  le  repubbliche  siano  un  governo  ove  tutti  obbediscono, 
non  eccettuato  neppur  il  primo  magistrato;  e  che  solo  con 
questa    docilità    universale  possa    ottenersi   quella  domesticità 


)         che  è  espressa  dal  nome  di  repubblica,    non    se    lo    sono    an- 
\         Cora   saputo    persuadere    i    moderni,    con    tanta    esperienza   e 

:         con  tanto  presumere  di  sapere:  come  pretenderlo  da  quei  robusti  ^ 

che  erano  ai  primi  tentativi?  Ogni  poter    sociale,    ogni  unità  ') 

di  nazione,  ogni  autorità  centrale  che  rappresentasse  la  società  l 

e  potesse  farla  rispettare,  era  scomparso;    solo   il    diritto    del  ? 

forte  esercitavasi  localmente,  senza  accordo  né  solida  gerarchia.  ^ 

Persone,  corporazioni,  città  non  guardavano  che  ciascuna  a  se  ( 

'         stessa;  anziché  coordinare  gli  intenti  ad  un  sistema  generale,  } 
pretendevano  farsi  centri  indipendenti;  dal  che  venivano  infinite 
suddivisioni;  e  da  esse  debolezza,  e  facilità  d'essere  poi  tiran- 
neggiate. I  tumulti   e   le   prepotenze   faceano    guardare    come 
necessità  un  robusto  potere,  onde  comprimere  le  emule  passioni 

(         che  non  sapevano  da  sé  moderarsi  ;  e  si  bramava  restringersi  ) 

)         intorno  a  chi  prepollesse  alla  cozzante  moltitudine  e  alla  tra-  ■ 

{         potente  ohgarchia.  A  ciò  chi  presceglieva  il  papa,  chi  l'impe-  l 

'         ratore;    ma    la  disociabilità  degli  individui  la  vinceva;    i    due  ( 

)         poteri  si  bilanciavano,  non  per  coordinarsi  ma  per  contrastarsi;  ^ 

)         e  invece  di  effettuare  l'ambita  unità,    mezze    le    forze    sociali  \ 

\         erano  adoperate  a  elidere  le  altre.  >;ol   vediamo   farsi    tuttodì  ( 

ne'  paesi  a  governo  parlamentare  ?  ^ 

<[                 Che  se  oggi    ancora    é    problema   sociale    agitatissimo  ed  v 
>         incertissimo  il  concordare  la  libertà  di  tutti  colla  indipendenza 

dei  singoli,  assicurare  l'esercizio   dei    diritti    individuali,    pure  ^ 

"'         stabilendo  un  governo  che  imbrigli  le  singolari  passioni,    non  ) 

per  ispegnerle,  ma  per  dirigerle   al    vantaggio    comune,    qual  > 

i         meraviglia    se,    in    simile  ricerca,  delirava  l'inesperta  attività  l 

/         di  quei  tempi  ?  Intanto  del  vacillare  dei  vulghi  facevano    loro  ì 

)         prò  i  castellani,  che,  intenti  a  recuperare  il  dominio   sminuito  > 
ì         dai  Comuni,  appoggiati  su  armi    proprie  e   sull'assistenza   del- 
l'        r  imperatore ,    riuscivano    a    sedersi    tiranni    nelle   città,  vi  si 

)         conservavano    colle    armi,   legittimità  cercando  solo  dal  fatto,  ) 

dalla  forza,  non  da  veruna  idea  morale,  se    non    fosse    quella  ) 

necessità  di  mantener  l'ordine,  che    i    popoli,    ricalcitranti    ai  ) 

l         freni  tutorj,  accettano  per  pretesto  e  violenze  brutali.    E    poi  ( 
(^         nella  natura  umana  una  fatale  attrattiva  per  la  forza;  sicché 

1  „  ,.,  oli 


n  -  116  — 


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a  I    TIRANNI  Q 


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uno  che  si  mostri  robusto,  per  quanto  imperversi,  sarà  disap- 
provato, ma  ottiene  ammirazione,  e  l'ammirazione  riesce  a 
simpatia. 

Appena  diede  luogo  uno  dei  più  rigidi  inverni  che  la  storia  1232 
ricordi,  tale  che  morirono  bestie  ed  uomini,  le  viti,  i  noci,  gli 
)  ulivi,  e  il  Po  gelato  da  Cremona  fino  al  mare  bastava  a  so- 
j  stenere  carri,  i  ringhiosi  Lombardi  furono  di  nuovo  in  campo. 
}  La  sacra  lor  lega  avrìa  potuto  renderli  terribili  al  nemico, 
^  fiorenti  nell'interno:  no;  preferirono  l'eccidio,  e  prepararono 
l         la  servitù, 

;  Ezelino,  snudato  il  ferro,  caccia  di  Verona  il  conte  Rizzardo 

s  di  Sambonifacio:  questi,  appoggiato  da  Mantovani  e  Bresciani 
\  e  dal  marchese  d'Este,  pone  a  guasto  il  territorio:  castelli  presi 
)  e  ripresi,  ville  bruciate,  campi  stramenati:  dapertutto  devasta- 
'-.  zione  e  crudeltà.  Questo  a  Verona.  ÌNella  Marca  Trevisana 
<'  Alberico  molestava  i  signori  di  Camino  ;  ma  questi ,  sostenuti 
^  da  Padovani  e  Vicentini,  lo  ridussero  alle  strette,  decretarono 
e  sbanditi  gli  E/elini,  e  ne  sperperarono  i  possedimenti.  Né  in 
f  minori  travagli  versava  Vicenza.  Ivi  gli  usurai  (la  più  parte 
\  fiorentini)  erano  cresciuti  in  potenza  e  in  pretensioni  a  misura 
^  de'  bisogni  del  paese:  ed  Alberico  (che  non  pu.-siamo  pretendere 
\  più  scaltrito  de'  moderni  legislatori,  i  quali  vogliono  saperne  più 
)  che  l'oculatezza  del  privato  interesse)  avendo  voluto  por  freno 
}  all'esorbitante  canone  che  esigevano  pei  prestiti,  gli  emuli  i£35 
)  suoi  tolsero  occasione  di  farsegli  grossi  addosso,  e  per  suo 
i         dispetto  elessero  podestà  il  suo  gran  nemico  A  zzo  d'Este. 


Abbiamo  già  indicato  gli  Estensi  come  caldissimi  dell'im- 
peratore Ottone;  e  Aldrovandino,  per  ottenere  denaro  a  questo, 
diede  in  pegno  il  proprio  fratello  ancor  bambino  ai  prestatori 
fiorentini,  e  menò  viva  guerra  ai  ribelli  della  Chiesa  nella 
Puglia  e  nella  Marca  d'Ancona.  Azzo  ebbe  l'investitura  di 
questa  Marca,  e  pose  a  governarla  Tisone  da  Camposampiero: 
grandi  favori  ottenne  da  Innocenzo  III,  e  non  minori  da.  Fe- 
derico 11;  ma  come  questi  si  guastò  colla  Chiesa,  Azzo  si 
costituì  caporione  de'  Guelfi. 

Al  solito,  la  voce  del  papa,  dei  frati,  de'  Veneziani,  de'  pru- 
denti s'intromise  di  pace.  In  Verona  riuscirono,  e  il  conte  Sam- 
bonifazio  fu  reso  alla  patria  co'suoi,  tra  baci  di  amicizia.  Ma  in 
Vicenza  imperversavasi,  e  la  città  dove  tutto  è   gentile    come 


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Y2  -'17-  D|_ 

Cantù  —  Ezelino.  8 


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j — 'q  capitolo  V.  lj 

la  sua  architettura,  ne  andò  deserta,  sicché  a  fra  Giordano  ed 
agli  ambasciatori  veneti  non  venne  fatto  di  ridurla  a  trattato 
co'  signori  di  Romano,  al  tempo  stesso  che  Padova  si  riconci- 
liava con  Treviso.  Allora  soltanto  ebbe  effetto  il  matrimonio, 
già  proposto  da  fra  Giovanni  sul  campo  di  Paquara,  tra  Adelaide 
figliuola  di  Alberico  e  Rinaldo  figlio  del  marchese  d'Este,  una 
cui  nipote  quell'anno  era  andata  sposa  aire  di  Ungheria.  Agli 
usurai  fu  prefisso  un  limite,  che  sarà  stato  osservato  come 
sogliono  tutte  le  prammatiche  e  le  mete  ;  ed  Ezelino  fu  ricevuto 
nella  cittadinanza  di  Padova. 

Quivi  era    morto    Tisone  da  Camposampiero  ,    1'  amico  di 
sant'  Antonio  ,    al   quale  nella  casa  di  lui  a  Ponte   Molino  era 
apparso  il  Bambino  ;  ed  egli  pure  fu  assunto  agli  altari  col  ti- 
tolo di  venerabile.  Mancato  questo  suo  capitale  avversario,  Eze- 
lino poteva  confidarsi  di  riuscir  signore  di  Padova  o  colle  lu- 
singhe o  per  viva  forza  :  ina  non  sapeva  acconciar  l'animo  ai 
danni  recatigli    dai    Trevisani  ,  e  d'  altra  parte    grand'  ombra 
prendea  dell'incremento  che  alla  fazione  guelfa  recava  la  rin- 
novatasi Lega  Lombarda.  ÌSiun  mezzo  più  atto   a   disturbarla  , 
che  sollecitare  1'  imperatore  Federico  II  a  scendere  novamente 
in  Italia.  Is'on  contento  di  messaggi  e  di  lettere,  Ezelino  stesso 
passò  i  monti  ,  si  condusse  alla  dieta  generale  di    jNIagonza,  e 
a  nome  di  quanti    pendevano  in  animo   ghibellino  ,   impromise         ( 
ajuti  a  Federico  ,  qualora  volesse  venire  a  domare  gli   avver-         ') 
sarj    suoi  :    non   desse    ascolto    a    belanti    esortazioni    di    papi,         ' 
non  agli  accordi  proposti  dal  congresso  radunato  in  Mantova  , 
\         giacché  diplomatici  viluppi  possono  ritardare,  non  impedire  le 
(         guerre:  ricordasse  piuttosto  che  i  collegati    lombardi   s'erano 
)         t^pinti  fino  a  ribellargli  Enrico  figliuol  suo  ,    venisse  dunque  a         \ 
)         spegnere  quel  fuoco:  certo  che  in  breve  si  vedrebbe  assogget-         ( 
!         tata  tutta  la  Lombardia,  la  Marca,  la  Romagna.  / 

)  Il  tempo  pareva   a  disegno  ;  avvegnaché  papa    Gregorio ,         ( 

{  concepita  gelosia  degli  spiriti  di  libertà  più  sempre  estenden-  (. 
)  tisi  in  Italia  e  nei  Romani  suoi,  erasi  avvicinato  alla  podestà 
)  imperiale  ,  di  cui  era  stato  fin  là  antagonista.  Federico  avea 
(  dato  al  papa  soldati,  coi  quali  tenesse  in  l)riglia  i  Romani  :  il 
/  pontefice,  in  ricambio,  scrisse  ai  popoli  tetloschi  esortandoli 
;  alla  soggezione  ,  ed  alle  città  lombarde  persuadendole  a  non 
/         avversare  i  Tedeschi. 

^  -ns-  cJ 


r—'O  -  I-'^  LEGA  LOMBARDA  ^^H 

,j                  Trista  r  autorità  sacerdotale    quando  è   costretta   surreg-  l 

(         gersi  non  sulle  braccia  del  popolo  ,  ma  sulle  labarde   dei    re  !  / 

)                 I  Lombardi  erano  abbastanza  avveduti  de'  loro    interessi ,  ^ 

j         e  conoscevano  quanto  Federico  aborrisse  la  lega  loro,    e   ten-  ( 

)         tasse  contrariarla  in  ogni  modo  ,  giacché  impedirla  legalmente  ( 

y         non  poteva  perchè  stipulata  nella  pace  di  Costanza.  Tutti  dun-  ( 

j         que  ,  e  più  di  tutti  il  marchese    d'  Este  ,    tra  per  amor  della  { 

sua  parte  ,  tra  per  gelosia  di  Ezelino  ,  teneva  gli  occhi  aperti  \ 

sui  maneggi  di  questo:  e  quando  l'imperatore  mandò  per  let-  ( 

tere    alle    città  sue  fedeli ,  qualmente  egli  s'  accingesse    a  di-  / 

scendere  in  Italia,  e  scrisse    pure  al  Comune  di   Vicenza  con  i 

tutta  la  cortesia  di  chi  ha  bisogno.  11  Marchese  ,  da  quell'anno  < 

era  podestà,  appena  s'  indusse  ad  accogliere  gli  ambasciatori;  > 

e  tosto  abbassata  la  buffa  contro  i  fautori  degli  Ezelini,  parte  l 

ne  relegò  a  Venezia  ,    parte  confinò  in  città  ,    parte    sbandì ,  / 

rovinandone  le  case  e  i  poderi.  E  mandò  un  bando  che,  chiun-  ) 

que  osasse  favoreggiare  l'imperatore  o,  eh' è  tampoco,  nomi-  ( 

narlo  ,  sarebbe  la  sua  testa  destinata  al  patibolo  ,    anzi  a  chi  / 
primo  gliela  potesse  recidere.  Eccessivi  provvedimenti  che,  spa- 123R   ^ 

lancando  il  campo  alle  passioni,  empivano  di  vendette,  di  ra-  (• 
pine,  d'  assassini  il  paese,   e,   come  avviene    delle  esuberanze, 

crescevano  nemici  alla  causa  ,  cui  erasi  voluto  con   quelli   fa-  -^ 

vorire.  ( 

Ezelino  stava  sempre  in  cozzo  cogli  ecclesiastici;  tantoché 
avendo  alcuni  degli  Avvocati  assassinato  Guidotto  da  Correggio 
vescovo  di  Mantova  nel  monastero    di  Sant'  Andrea  il    giorno  ( 
delle  rogazioni  del  1235,  esso  diede  ricetto  agli  assassini,   men- 
tre il  popolo  ne  diroccava  le  case.  In    quel  tempo  egli    aveva  ' 
tolto  Verona  al  conte  Sambonifacio  :  ma    il    marchese    d'  Este  ( 
coi  Mantovani  e  Padovani  facea  trama  per  cacciamelo.  La  mina 
era  sullo  scoppiare,  quando  accorgersene   Ezelino,   volar    c(>là 
da  Bassano ,  benché  in  freddissima  e    nevicosa    stagione  ,  dis- 
perdere   gli    avversari  coli'  aiuto  dei  Montecchi,  costringere  il 
.Marchese  a  voltar  indietro  scornato,  fu  tutt'  uno.  Treviso,  1  Pa- 
dova ,  Vicenza    ne    giurarono    vendetta,  cominciarono  i    soliti 
guasti  alle  terre  di  que'  da  Romano,  ma  s'approssimava  chi  li  ^ 
rimetterebbe  in  cervello.  ( 
Federico  ,  trattenuto  in  Germania  dalle  inimicizie  del  duca 
(          d'Austria,  come  ebbe  vinto  questo  e  dichiarata  città  libera  Vienna,  ^ 

fu            •  m 


16 


CAPITOLO    V.  LJL-l' 

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volse  gli  sguardi  a  quest'Italia,  alla  quale  il  traeva  una  funesta 
predilezione.  Mandò  innanzi  il  conte  Gaboardo  di  Svevia  con 
cinquecento  cavalli  e  cento  balestrieri  ,  che  1'  aspettassero  in 
Verona,  e  intanto  obbedissero  ad  ogni  cenno  di  Ezelino.  Di 
questa  forza,  scarsa  ma  macchinalmente  devota,  profittò  Kze- 
lino  per  cacciare  e  punire  quanti  aveano  avuto  mano  nella 
sventata  congiura  ,  e  una  dopo  una  togliere  le  ròcche  dei  ne- 
mici. Udito  poi  che  1'  imperatore  s'  avvicinava  ,  gli  mosse  in- 
contro col  fratello  Alberico  sino  a  Trento,  e  ricevutone  a  gran- 
d'  onore,  lo  accompagnò  a  Verona, 
agosto  II  papa  inviò  Jacopo  vescovo  di  Palestrina  ,  per  insinuare 

pace,  ma  nulla  profittò:  giacché  l'imperatore,  accortosi  che 
i  pontefici  possono  ricorrere  ai  tiranni  in  qualche  loro  bisogno, 
ma  convien  pure  ritornino  sempre  ai  popoli  ,  lo  querelava  di 
favorire  la  Lega  Lombarda  e  i  Milanesi;  col  vescovo  poi  nu- 
triva rancore  particolare  perchè  aveva  messo  pace  in  Piacenza 
sua  patria  i,  onde  il  caricò  d'  ingiurie  e  minacce.  Il  papa  gli 
rispondeva:  —  Per  imitare  il  Salvatore,  spedj  in  Lombardia, 
»  il  legato  onde  riconciliare:  è  persona  tranquilla  e  religiosa,  i 
»  ma  se  avete  a  lagnarvi  di  lui ,  ve  ne  daremo  ragione  »  2.  ^ 
230  Che  ragioni,  quando  Federico  non  voleva  voci  pacifiche  ?  e  ) 
da  Verona  intimò  ai  Vicentini  si  sottomettessero;  ma  il  Marchese  | 
non  volle  tampoco  riceverne  i  messi,  e  guai  a  chi  ardisse  con  ; 
loro  affiatarsi.  Federico  dunque ,  radunate  le  masnade  di  Eze- 
lino le  genti  di  Verona  e  quelle  di  Cremona,  Parma,  Reggio  ,  , 
Modena,  sue  fedeli  ,  mosse  a  danno  di  Vicenza  e  de'  col-  ( 
legati  Lombardi.  Disastrato  il  Mantovano  e  il  Bresciano,  re-  ) 
spinse  Padovani ,  Trevisani  e  Vicentini ,  che  coi  Caminesi  e  gli  } 
Estensi  moveano  contro  di  Ezelino  e  del  veronese:  e  con  ra-  j 
pidità  condottosi  sotto  Vicenza,  fece  l'intimata.  Ricusato, 
diede  1'  assalto  e  la  bella  città  si  difese  coli'  intrepidezza  di 
tempi  a  noi  più  vicini  ,  ma  colla  stessa  fortuna  ;  poiché  1'  ini-  l 
peratore  coli'  autorità  che  gli  eserciti  regolari  han  sempre  so-  [ 
vra  i  colletizj  ,  la  prese  e  abbandonò  alle  lascivie,  all'avarizia,  > 
alle  vendette  dei  pessimi  Tedeschi,  e  degli  Italiani  forse  ancora         V 


'  Matteo  Pakis,  p.  576. 
2  L.  X,  ep.  253. 


b  FEDERICO    IN    ITALIA  Q    U 

peggiori  :  tanto  le  ire  spingono  quel  sentimento  di  bene- 
volenza che  natura  radicò  in  cuore  a  tutti,  e  forse  più  a  noi 
Italiani. 

Maurisio ,  storico,  o  (quel  che  sovente  consuona)  panegi- 
rista degli  Ezelini,  stava  ,  allora  di  casa  in  Vicenza.  I  Tedeschi,  ) 
0  noi  conoscessero  o  noi  curassero,  benché  imperatoris  fede-  ) 
ìissimus,  benché  apertamente  fosse  opposto  alla  Lega  Lombarda,  ( 
il  presero  e  snudarono,  e  (dice  egli),  come  Gesù  tradito  da'Giudei,  / 
fu  costretto,  in  si  miserabile  stato,  andare  per  tre  giorni  ra-  |, 
mingo  e  vergognoso  per  la  città  ,  accattando  un  cencio  onde 
coprirsi.  Infine  qualche  pietoso  lo  soccorse  di  panni,  senza  però 
che  gliene  dessero  o  l'imperatore,  di  cui  sino  all'  imprudenza 
era  stato  partigiano  ,  od  Ezelino  ,  di  cui  non  solo  esaltava,  ma 
inventava  le  virtù. 

Mandata  Vicenza  a  tale  sperpero  ,  il  clemente  imperatore 
le  perdonò,  rimise  in  libertà  i  prigionieri,  eia  lasciò  raccoman- 
data alla  conosciuta  umanità  del  conte  Gaboardo  e  di  Ezelino,  ' 
dichiarato  luog/)tenente  dell'  impero  in  tutti  i  paesi  sottomessi.  • 
Passeggiando  un  giorno  con  Federico  nel  giardino  del  vescovo  / 
di  Vicenza,  e  trattando  del  come  meglio  imbrighare  il  paese  ,  s 
ì'  imperatore  gli  disse  :  —  Io  te  ne  mostrerò  la  maniera  »  ;  e  ) 
si  diede  e  decapitare  i  fiori  più  alti.  l 

Ed  Ezelino:  —  Sire  ,  non  lascerommi  cader   di  mente  il  vo-  / 

stro  ammaestramento  »  3.  ^ 

Apologo  antico,  eppure  si  spesso  richiamato  in  pratica,  non  ) 

solo  dai  tiranni  delle  spade,  ma  anche  dai  tirannelli  delle  penne.  ^ 

Coi  medesimi  guasti  1'  imperatore  attraversò  il   Padovano  ,  < 

struggendo  anche  terre  d'amici  ;  e  difìlò  sopra  Treviso,  sperando  \ 

che  la  città,  atterrita  dagli  esempi,  se  gli  renderebbe  vinta.  Ma  S 

nella  citta  «  dove  Silo  e  Cagnan  s'  accompagna  »  siccome  lo  in-  ( 

dico  Dante  che  vi  stette  ospite  del  buon  Gherardo  da  Camino  4,  { 

durava   la   concordia,    prima    e   sola    nemica    della   tirannide  :  S 

sicché  vana  fu  la  lusinga  di  Federico:  il  quale  dovette  senz'altro  \ 


3  Antonio  CiOdi.  "  \ 

'»  Veccllo  0  Gabi'iolc  da  Camino  si  ornilo  falli  ciltailini  di  Treviso  nel    1183  s 

Nel  1190  Matteo  vescovo  di  Cèiieda  stipulò  la  cilladiiianza  di  Tr.jviso,  cedendo   a  ) 

r  (juesto  la  giurisdizione  di  intle  le  sue  terre,  ì 

Èn  - ...  -  qi 

^=^ .  : ^ .eJlll 


proseguire  il  cammino  verso  le  Germania  ,  ove  importanti  casi 
e  decisivi  lo  chiamavano  :  lasciando  ad  Ezelino  estesissimi  poteri, 
e,  ciò  die  importava,  due  schiere  di  Tedechi,  Pugliesi,  e  Lom- 
bardi assoldati,  e  comandate  dal  conte  Gaboardo,  perchè  di 
conserva  custodissero  Vicenza  e  Verona.  Questi  furono  i  ferri 
con  cui  Ezelino  fabbricò  catene  alla  Marca  Trevisana. 

L'imperatore,  che,  dovendo  uscir  di  qua,  bramava  vi  si 
conservasse  l'ordine,  cioè  la  servitù,  scrisse  al  papa  perchè 
rimettesse  pace  in  Lombardia,  e  il  papa  mandò  legati  Rinaldo  ) 
vescovo  d'Ostia  e  il  cardinale  Tommaso,  che  adoprarono  ogni 
lor  meglio.  Ma  al  partire  dell'imperatore  era  tornato  il  fiato  ai 
Guelfi,  che  vendicarono  i  patiti  oltraggi  con  oltraggi  nuovi.  Però 
Ezelino  ed  il  conte  svevo  dirigevano  continuo  la  mira  a  sotto- 
mettere Padova,  con  gran  dovizia  discaltrimenti  scavando  la  brec- 
cia, da  invader  poi  coU'armi.  Si  accorgevano  i  Padovani  dell'  im- 
minente pericolo;  e  attenti  a  divisare  i  ripari,  a  sedici  de' più 
creduti  e  sufficienti  cittadini  connnisero  il  governo,  radunarono 
forze,  al  marchese  d'Este  affidarono  in  pien  consiglio  il  gon-  ) 
falonfe  della  città;  egli  lo  difendesse  in  tanto  frangente.  ) 

Ma  e  nel  fisico  e  nel  morale  il  nemico  peggiore  è  sempre  ì 
l'interno.  Fra  gli  stessi  sedici  del  governo  alcuni  se  l' inten-  ) 
devano  con  Ezelino,  e  quando  si  conobbero  scoperti  dal  podestà,  l 
fuggirono.  Altri  ardirono  correre  le  strade  gridando,  Viva  ) 
r ùnperature.  Viva  Ezelino;  poi  ricorsi  all'artifizio,  ottennero  ) 
fosse  dato  lo  scambio  al  podestà,  conosciuto  inaccessibile  alla  \ 
corruzione.  Ma  il  successore  di  lui  Marin  Badoero,  nobile  ve-  ) 
neziano,  si  scopri  non  meno  onesto  e  meglio  esperto  in  atti  \ 
da  guerra;  tutto  fu  a  saldare  i  presidj  e  le  ròcche,  mentre  \ 
i  prudenti  e  fra  Giordano  non  desistevano  d'animare  alla  gè-  ) 
nerosa  concordia:  stessero  uniti  alla  patria,  non  .disperassero  \.' 
di  lei  nell'ora  dei  pericolo  e  della  sventura,  preferissero  ogni  r 
patimento  alla  servitù,  della  quale  vivamente  ritraevano  gl'i-  ) 
netìabili  mali.  Ma  quando  la  voce  dei  savj  è  intercalata  a  gridi  'y, 
di  turba  sconsigliata  e  di  fazionieri  ambiziosi,  forza  e  che  / 
rimanga  soffocata.  ) 

In  questo  modo  alle  città  italiane  si  veniva  preparando  y' 
la  servitù  dalla  oligarchia  interna  e  dall'esterno  nemico.  L'o-  ) 
rigine  comune,  il  comune  linguaggio,  la  vicinanza,  non  che  ) 
farle  amorevoli,  partorivano  ire  e  gelosie:  nelle  mura  stesse  le  >, 

ni 


I — h  ORIGINE    DEI    TIRANNI  D^lZT 


fazioni  rendevano  uno  avverso  all'altro,  e  così  prorompeva  un 
tumulto.  Allo  scoppio  di  qualunque  rivoluzione  lottano  dapprima 
i  novatori  coi  conservatori.  Trionfano  i  primi,  ma  subito  si 
spartono  in  moderati  ed  esaltati:  e  la  loro  divisione  lascia 
campo  al  partito  vinto  di  riordinarsi  e  ripigliare  il  sopravento. 
Ai  pochi  ambiziosi,  protetti  non  dalla  libertà  comunale,  ma  dal 
non  essere  mai  essa  stata  compita  coll'abolire  la  nobiltà  ca- 
stellana, tenea  dietro  la  gran  turba  di  quelli  che  amano 
sottomettersi  a  un  capo  nuovo,  sol  per  sottrarsi  all'  autorità 
del  vecchio.  In  ciascuna  terra  prevaleva  alcuno  per  ricchezza, 
per  credito,  per  forza ,  e  di  solito  era  un  nobile  che  sotto  aria 
di  generoso  e  popolano,  copriva  ambizione  ed  egoismo:  a  lui 
si  concedeva  autorità  smisurata  perchè  domasse  i  nemici  e  . 
ricomponesse  l'ordine. 

Tristo  andare  alla  libertà  per  mezzo  della  tirannia  !   Alla  ) 

inclinazione  troppo  consueta  di  soverchiare  gli  eguali,   davano  ( 

ansa  nel  prescelto  quel  potere  consentitogli  senza  misura,  gli         / 
omaggi  prestatigli  dalla  fazione,  che  vedevasi  in  lui  personificata,  ) 

la  compiacenza  delle  vittorie    sopra    i    nemici.   Adulatori    non         < 
mancano  mai,  non  mancano  mai  i  codardi,  i  quali  amano  stri-         ) 
sciare  a  pie  d'un  pomposo  tiranno,   anziché  indistinti   faticare         \ 
con  tutti  a  prò  di  tutti,  e  cosi,  per  ingordigia    di    sormontare 
agli  emuli,  si  veniva  all'ultima  consolazione    degli   sconsigliati 
il  servire  tutti.  Le  comunità,  da  quegli   interminabili    parteg- 
giamenti    stancate,    agnognavano  un  riposo,  e  lusingavansi  di 
trovarlo  nella  tirannide.  Gl'imperatori  poi  amavano  assai  meglio 
il  governo  d'un  solo  che   dei  più:  si  perchè  di  mal  occhio  ve- 
devano le  città  godersi  alla  sicura  le  franchigie  indarno   con- 
trastate: sì  perchè    quei   tirannelli,    e   per  la  somiglianza    del 
dominio,  e  per  ottener  lustro  maggiore,   e    dare    apparenza   di         ) 
legittimità  alle  loro  usurpazioni  con  titoli  imperiali,  si  mettevano 
ai  loro  ginocchi;  sì  finalmente  perchè,  nel  perpetuo  intento  di 
ritornare  l'Italia  in  soggezione,  ravvisavano  più  agevole  l'im- 
porre il  giogo  ad  una  città,  già  avvezzatavi  da  un  tiranno,  che 
non  ad  una  imbaldanzita  dal  franco  stato. 

Con  tal  mezzo  anche  Ezelino  almanaccava  un  esteso  dominio  1237 
nella  Marca;  e  per  acquisto  sì  importante  quanto  era  Padova,  . 

apparecchiavasi  di  guerrieri  e  d'armi,  e  coi  fuorusciti,  che  gli  ^ 

erano  sproni  al  fianco,  s'accordò,  jior  ([uanto  asjìi-a  corresse  la  r^bb.    ■ 


n  -  1-3  -  .  n. 


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tj  CAPITOLO    V 


vernata,  di  assalirla  prima  che  s'allestisse  al  riparo  o  scoprisse 
l'ordita.  Mosso  coi  Lombardi  e  Tedeschi  lasciatigli  dall'  impe- 
ratore, e  coi  prodi  pedemontani,  cioè  i  Bassanesi,  scorti  da 
Alberico,  disperse  qualche  resistenza  incontrata  per  via,  e 
piantò  il  campo  sotto  Monsélice,  terra  che  aveva  primeggiato 
un  tempo  sulle  vicine,  sinché  non  decadde  al  risorgere  di  Este, 
Monsélice  fu  reso  ben  tosto  per  certi  malvagi  che  erano  nel 
tradimento:  del  che  mostrò  giubilo.  Ezelino  con  fuochi  di  festa 
e  suoni  e  imbandigioni  a  tutti  gli  uffiziali.  Unico  propugnacolo 
di  Padova  e  della  parte  guelfa  restava  il  marchese  d'Este;  ed 
Ezelino,  al  domani  della  presa  di  Monsélice,  gli  mandò  intimare, 
fra  due  giorni  si  chiarisse  qual  voleva  essere,  amico  o  nemico 
di  Cesare.  Il  marchese,  al  trovarsi  addosso  un  esercito  forte  e 
baldanzoso  di  ben  riuscite  imprese,  chinò  la  fronte,  e  si  promise 
ai  servigi  dell'imperatore. 

Tutto  dunque  congiurava  a  danno  di  Padova.  All'intendere 
come  Monsélice,  chiave  della  città,  fosse  caduta  ai  nemici,  si 
die  tosto  nel  campanone,  e  il  popolo  ben  animato  corse  al 
podestà,  chiedendo  d'essere  condotto  diviato  contro  il  nemico. 
Uscirono,  si  schierarono  tremendi  a  fronte  d'Ezelino,  comincia- 
rono alcune  avvisaglie;  ma  Ezelino  schivò  d'attaccare  giusta 
battnglia,  persuaso  che  al  domani  arriverebbe  agl'intenti  suoi 
per  le  insidie  preparate  colà  dentro,  e  si  ritrasse. 

I  Padova  nicontarono  come  una  sconfitta  quel  volontario  re- 
cedere di  esercito  agguerrito  dinanzi  a  un  popolo  insorgente, 
e  ne  esultarono:  ma  ecco  di  subito  prorompere  le  fazioni  in 
città,  cosi  foribonde,  che  il  podestà,  non  sentendosi  in  grado 
di  frenarle,  tornossene  a  Venezia.  Congregatosi  il  popolo  nel 
gran  salone  per  deliberare,  varj  i  pareri,  tempestoso  il  dibat- 
timento: finalmente  Artuso  dei  Delesmanini,  o  cosi  credesse 
spediente  alla  patria,  o  fosse  compro  dai  nemici,  propose  di 
rassegnarsi  alla  necessità  delle  cose,  e  capitolare. 

Non  mancano  mai  sostegni  a  partito  che  ha  l'aria  di 
prudenza  ;  non  manca  mai  chi,  o  per  paura,  o  per  ambizione, 
o  por  l'accidia  di  un  cauto  egoismo,  rifugge  alla  clemenza 
del  vincitore,  con  titolo  di  salvare  la  patria  da  un  disastro. 
Ma  gli  umili  e  i  dolci  hanno  un  vigor  singolare  per  andar 
dritto  quando  difendano  la  verità,  somiglianti  alla  paglia,  che 
cosi    debole,    pur    contiene    della   selce.  Fra  Giordano  Forzate 


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Sire,  10  giro  per  delle  contrade  assai,  siccome  vuole  r«nizio  mi)  :  or  cotiie  voi 
non  mi  chiedete  quale  fama  corra  di  voi  ?.. .  rag.  96. 


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rr-b  PRESA    DI    PADOVA 


perseverò  nel  dissuadere  la  città  dal  sottomettersi  ad  Ezelino, 
minacciandola  colle  parole  con  cui  Samuele  stornava  gli  Ebrei         { 
dall'eleggersi  un  re:  —  Vi  siete  sazj  della  libertà  e  della   fé-         ( 
»  licita;  vi  stomacate  del  governo  di    voi    stessi:    miseri   voi!         \ 
»  non  più  parenti  vostri  vi  reggeranno,  né  i  padri  vostri  mi-         i 
»  nistreranvi  la  giustizia,  né  voi  medesimi  sederete  a  decidere         ì 
»  degli  interessi  degli  amici  del  popolo  e  di  tanti    orfani    che         ^ 
»  l'abbondanza  comune  faceva  star  pinguemente.    E    chi    sarà         f 
»  il  capo  che  dalla  parte  imperiale  vi  sarà  dato  ?,  un  Ezelino,         } 
»  col  qual  già  notturnamente    alcuni    dei    vostri    andarono    a         S 
»  parlottare,  e  che  ben  presto  vi  avrà  messo  un  giogo  insop-         f 
»  portabile  ».  Descrivendo  i  mali  che  la  prudenza  o  l'ispirazione 
gli  faceva  prevedere,  commosse  al  pianto  i  più  savj,  ma  nulla 
fruttò:  e  poiché  la  divisa  di  quei  demagoghi  cristiani   era  il  non 
operare  mai  per  utile  di  se  stessi,  fu  egli  medesimo    mandato 
/         a  portare  ad  Ezelino  le  chiavi  della  città.    Un   miglio  lontano 
^         uscirono    incontro    al    vincitore  i  principali  cittadini,  gridando 
\         viva  a  colui,   al   quale   testé   gridavano   mille   inferni.    Ezelino 
]         col  conte  Gaboardo  e  coi  nobili  fuorusciti,  e  tra  un  grosso  di 
{         soldati    tedeschi,  entrò    in   Padova  per  la  porta  di  Torreselle. 
)         Alla  quale  arrivato,  gettò  indietro  la  celata;  e  chinatosi    sul- 
l'arcione, impresse  un  bacio  sugli  stipiti  di  essa.  Bacio  di  Giuda. 
Cosi  Ezelino  s' insignori  di  Padova.    Se    allora    vi    fossero 
state  le  gazzette,  avrebbero  mostrato  in  quegli  applausi  frenetici 
una    prova   indubitata    del   pubblico  affetto  per  Ezelino,   senza 
{         rammentare  che  la  paura  fa  gridar  forte  quanto  l'entusiasmo, 
''         e  che  la  popolaglia  accorre  allo  spettacolo  d'un   trionfo    come 

a  quello  d'un  supplizio.  Se  allora  vi  fossero  state  le  gazzette,  ( 
avrebbero  proclamato  che  finalmente  in  Padova  erano  rimessi  ( 
l'ordine  e  la  quiete. 


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CAPITOLO     VI. 


PADOVA. 


In  sul  paese  ch'Adige  e  Po  riga 
solea  valore  e  cortesia  trovarsi 
prima  che  Federigo  avesse  Ijriga. 
Dante,  Purgat.,  Kj. 


Ija  libertà  di  Padova,  come  quella  delle  altre  città 
lombarde,  era  incominciata  dalle  immunità  che  i 
vescovi  ne  ottennero,  cioè  d'averne  essi  medesimi 
la  giurisdizione,  invece  dei  conti  di  prima;  avendo 
l'imperatore  Enrico  III  conceduto  a  Bernardo 
Maltraverso,  vescovo,  di  batter  moneta,  edificare  torri,  piantare 
mulini:  poi  Enrico  IV,  il  quale  avea  dato  quel  governo  al 
vescovo  intruso  Pietro  Cisarella,  in  appresso  confermò  le  fran- 
chigie de' cittadini;  e,  ad  istanza  di  sua  moglie  Perta  e  del 
vescovo  Milone  suo  parente,  largì  molte  prerogative  e  il  car- 
roccio, lo  elle  equivaleva  al  diritto  di  guerra;  prerogative  che 
ebbero  poi  e  conferma  e  sviluppo  nella  Lega  Lombarda. 

La  prima  cura  dei  redenti  Padovani  dovette  essere  di 
snidare  i  signori,  accovacciati  nei  loro  contorni  e  specialmente 
sui  colU  Euganei,  ed  obbligarli  a  giurare  il  Comune,  vale  a 
dire  sottoporsi  ai  magistrati  cittadini,  e  perciò  dimorare  almeno 
alcuni  mesi  in  città.  Nel  1220  Bertoldo,  patriarca  d'Aquileja, 
aggregavasi    alla    loro    cittadinanza ,  e  in  segno  vi  fabbricava 


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''q  capitolo  vi. 


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palazzo,  facevasi  iscrivere  nel  catasto  dei  dazj  e  delle  imposte, 
e  ogn'anno  mandava  dodici  cavalieri  che  al  nuovo  podestà 
giurassero  obbedienza.  Sull'esempio  suo  fecero  altrettanto  i 
vescovi  di  Feltro  e  di  Belluno  ^.  Anche  Bernardo,  abate  di 
Vangadizza,  sottomise  a  quel  Comune  le  terre  e  castella  del  suo 
monastero,  obbligandole  ad  osservarne  gli  statuti.  Ai  signori 
d'Este  fu  imposto  di  murare  le  porte  della  loro  rócca,  che 
restò  disabitata  fin  quando  essi  non  ricorsero  all'imperatore, 
il  quale  obbligò  i  Padovani  a  rilasciarla.  Al  Comune  fu  pure 
ridotto  il  castello  di  ÌNIontagnana,  appartenente  ad  una  famiglia 
di  Padova  che  pretendevasi  derivata  da  una  tal  Berta,  la  quale 
all'altra  Berta  suddetta,  moglie  d'Enrico  IV,  presentò  gran 
quantità  di  lino,  filato  coll'abilità  che  è  antica  nelle  Padovane; 
e  in  premio  n'ebbe  tanti  terreni,  quanti  quel  filo  ne  poteva 
ricingere:  e  di  qua  il  noto  proverbio  del  tempo  che  Berta  filava. 
Questa  tradizione  ripeteano  gli  abitanti  insieme  coi  miracoli 
che  accompagnarono  il  trovamento  a  Polverara  del  corpo  di 
san  Fidenzio  vescovo,  eletto  a  loro  padrono. 

Il  castello  di  Agno  rimaneva  ancora  ai  signori  di  Carrara: 
^lontemerlo  ai  Forzate:  Camposampiero  e  Treville  ai  Campo- 
sampiero;  ad  altri  la  Fratta  e  la  Ròcca  di  Pendice. 

Legati  in  un  comune  e  nobili  e  popolani,  cioè  la  razza 
conquistatrice  e  la  conquistata,  si  pensò  a  darvi  un  governo. 
Nel  consiglio  raaggiore  entravano  nobili,  plebei  ed  ecclesiastici, 
sicché  ogni  classe  v'era  rappresentata.  Il  consiglio  di  credenza 
componevasi  di  dodici  savi,  i  quali  mutavansi  ogni  quindici 
giorni;  tanto  si  era  gelosi  del  potere  esecutivo.  Ogni  anno 
sceglievansi  due  consoli:  ma  non  parendo  al  popolo  abbastanza 
.•issicurate  le  sue  franchigie,  amò  meglio  si  eleggesse  un  podestà 
(l'altro  paese,  capo  di  tutte  le  magistrature  e  degli  eserciti  ;  e 
consoli  non  v'ebbe  più  che  nei  comuni  della  campagna,  di 
giurisdizione  limitata  e  soggetti  all'appello  e  ai  castighi  del 
podestà  2.  Prevalendo  i  plebei,  si  adoprava  ogni  modo  per 
deprimere  i  nobili,  secondo  l'indole  delle  repubbliche  guelfe. 


1  ROLANDIM,    ClìTon.  L.  II.  e.  I. 

2  Già  noi  1170  si  trovano  consoli  Uq;o  de' Carnovali  p  Azino  de' Transelgardi. 
I  diciaseUe  consoli  duna  caria  del  1138  equivalgono  a  giudici. 


[ '□  GOVERNO    PADOVANO 

Per  insegna  militare  Padova  portava  un  drago  a  due  teste: 
il  suo  sigillo  determinava  i  confini  territoriali  col  motto 

MUSON  MOi\S  ATHESIS  MARE  CERTOS   DANT  MIHI  FLNES: 

che  potremmo  tradurre, 

Confini  Ilo  il  mar,  Miison,  Adige,  il  monte. 

Col  favore  della  libertà  si  diede  opera  a  migliorare  la 
campagna,  avviando  le  acque,  guadagnando  selve  e  sterilumi: 
pei  numerosi  majali  si  mantenevano  selve  di  roveri;  si  accu- 
ravano  le  razze  di  cavalli  e  le  greggie:  a  qualunque  venisse 
di  fuori  per  lavorare  terra  davasi  immunità  per  cinque  anni. 
Pieve  di  Sacco  coltivava  moltissimo  il  Imo,  giovandosi  delle 
acque  salse,  e  ne  Iacea  libero  traffico  per  l'Adriatico,  solo  al 
doge  tributandone  ducento  libbre,  ed  era  severissimo  divieto 
di  asportarne  i  semi  3.  I  traffici  erano  agevolati  da  un  pub- 
blico banco;  di  tempo  in  tempo  mercati  e  fiere  in  prato  della 
Valle  adunavano  i  mercadanti  ai  baratti  opportuni.  Sola  moneta 
padovana  si  voleva,  tenendo  l'altre  per  adulterate. 

I  diversi  artieri  teneansi  fra  loro  legati  in  fraglie  o  fralee, 
ciascuna  con  gonfalone  portante  le  insegne  del  Comune  e  del- 
l'arte, e  con  trombetti  che  lo  precedevano  nelle  comparse. 
Sedici  di  esse  fragili,  per  mezzo  de'  loro  gastaldi,  ogni  anno 
eleggevano  gli  Anziani;  e  quel  giorno  tenevasi  feriato;  chiuse 
le  botteghe,  sospesi  persino  i  mulini.  Tale  carica  era  ambita 
anche  da  nobili,  benché  si  preferissero  i  borghesi,  onde  con- 
trapporli all'aristocrazia.  Essi  anziani  dovevano  esser  consultati 
su  tutti  gli  afi"ari  prima  di  proporli  ai  consigli;  ricevevano  le 
lettere  spedite  al  Comune  sia  dai  magistrati  di  fuori,  sia  da 
altri  Stati;  rispondevano  agli  ambasciatori;  e  col  podestà  rap- 
presentavano la  repubblica. 

Degli  Statuti  della  città  una  copia  doveva  conservarsi    in 


">  Pieve  (il  Siicco  era  stala  (Kmala  dall'  imperatore  Reren;,'ario  ai  vescovi  di 
Padova.  Nel  1053  i;li  abitanti  ricoisero  contro  di  ([iiesti,  e  riiiiiieraìore  Enrico  li 
dichiarò  tulli  armanni,  cioè  indipundenli,  e  come  tali  doveaiio  inlervenire  ai  piacili 
del  conte,  e  daie  il  baniio  e  laUbergaria. 

]   a  '  -  129  - 


(I]J^  ^ ^ 

r-^Q  CAPITOLO    VI.  IliK 


ciascuno  dei  quattro  conventi  di  San  Benedetto,  San  Giovan  in 
Verdara,  Santa  Maria  in  Vanzo,  Santa  Maria  in  Porciglia. 
Alla  sicurezza  provvedevasi  col  ben  munire  la   città  e   le 


borgate;  qualche  volta,  per  lasciare  agio  agli  studi  pacifici,  si  > 
stipendiavano  truppe  forestiere:  però  al  bisogno  ogni  cittadino 
dai  diciotto  ai  settant'anni  correva  all'armi  sotto  al  gonfalone 
del  proprio  quartiere.  Pur  troppo  l'armi  di  difesa  furono  con-  / 
vertite  a  offesa,  e  presto  Padova  esercitò  nemicizie  colle  città  l 
vicine,  e  massime  con  Treviso.  Vedemmo  la  lepida  origine  della  ( 
guerra  con  Venezia,  nella  quale,  istigati  dai  patriarchi  d'Aquileia,  S 
i  Padovani  accamparono  sai  margine  della  laguna,  ma  avendo  ( 

un  ostinato  scirocco  elevata  la  marea  sì  clie  il  terreno  paludoso 
era  tutto  inondato,  i  Veneziani  ne  profittarono  per  spingere 
una  flottiglia  contro  cavalli  e  cavalieri;  battaglia  strana  dm^e 
San  Marco  prevalse;  e  i  Padovani  dovettero  consegnare  quel 
Jacobo  da  Sant'Andrea,  che  poi  Dante  incontrava    all'inferno. 

I    Padovani    solcano    alla  primavera  andar  al  confine  de'  ^ 

Vicentini,  e  con  questi  far  un  badalucco  da  giuoco.  Uno  volta         i 
la  baja  finì  seria,  e  i  Padovani,  tolto  il  gonfalone  de'  Vicentini,  / 

su  cui  era  effigiato  un  asino,  lo  sospesero  alle   forche,    donde         i 
un  proverbio  I  Padovani  impiccano  l'asino.  Ma  altra  volta  i         ì 
'^         Padovani  n'andarono  colla  testa  rotta,  e  fin  oggi  a  Vicenza  se  / 

{         ne  fa  commemorazione  il  giorno  del  Corpus  Domini,  trascinando         ( 
\         per  la  città  un  altissimo  carro,  che  dicono   La  Rua,-  tutto  a         ( 
simboli  e  banderuole,  e  uno  schiamazzo  da  baccanale.  ^ 

Quando  i  Padovani  campeggiarono  Este,  perchè  i  sudditi  ( 
del  Marchese  avevano  molestato  quelli  diMontagnana  che  por-  ( 
tavano  derrate  alla  città,  i  popolani  del  quartiere  di  Sant'Andrea  ) 

si    segnalarono    per   coraggio,  e   da   Este  tolsero  un  leone    di 
sasso,  che  piantarono  s'una  colonna  davanti   alla   loro    chiesa, 
coir  iscrizione    mccix    magister    Daniel    fecit.    I    democratici         \ 
del   1797,  nemici  di  tutto   ciò  che  fosse  antico,  lo  credettero         ( 
simbolo  di  Venezia,  allora  detestata  quanto  ora   compianta,    e         / 
lo  distrussero.  Altri  ricordi  furono  abbattuti  per  quel  vandalismo 
moderno  che  s'intitola  far  bello:  ma  delle  ire   municipali   re- 
stano monumento  il  robusto  Castelfranco,  eretto  dai  Trevisani, 
e  Cittadella  dai  Padovani  nel  1208,  ove  s'incrociano  le  vie  \)QV 
Bassano,  Vicenza,  Padova  e  Treviso;  munita  di  trentadue  torri 
a  circola,  con  qu  ittro  maggiori  alle  quattro  pjrte,  e  mura  con 


—  130  —  Q 


^ 


rp-Q  L    UNIVERSITÀ  □    "-T 

fossa  e  merli  e  feritoie,  e  tutto  il  corredo  dell'offesa  e  della 
difesa. 

Mura  vecchie  chiamano  ancora  a  Padova  quelle  che  lun- 
gheggiano  i  due  rami  del  Bacchiglione,  or  rovinose,  allora 
altissime,  robuste,  merlate,  e  interrotte  da  torricelle.  Dentro 
di  esse  in  larghissimo  spazio  distendevansi  le  abitazioni,  le  più 
di  legno,  coperte  di  paglia,  interrotte  da  amplissimi  orti,  e 
comunicanti  per  viuzze  strette  e  fangose,  giacché  il  selciato 
non  fu  intrapreso  che  nel  1359  sotto  la  signoria  di  Ubertino 
Carrara.  Delle  piazze  era  principale  quella  della  Signoria,  indi 
quella  del  Castello:  in  un'altra  vastissima  era,  nel  1172,  stato 
interrato  un  ramo  del  fiume,  e  sovr'esso  gettate  le  fondamenta 
del  palazzo  comunale,  a  cui  nel  1205  fu  sovraposto  un  tetto 
di  legname.  La  magnifica  sala  della  Ragione,  che  è  la  piii 
gran  sala  pensile  che  si  conosca,  fatta  nel  1219,  era  divisa  in 
tre  parti:  nella  media  sedevano  i  tribunali;  verso  levante  la 
chiesuola  di  San  Prosdocimo,  ove  diceasi  la  messa  pel  po- 
destà, l'occidentale  serviva  di  prigione.  E  noto,  che  nel  1306 
fra  Giovanni  eremitano,  reduce  da  lontanissimi  pellegrinaggi,  offri 
al  Com.une  di  Padova  di  sovraporre  a  quel  fabbricato  un  gran 
coperto,  simile  ad  uno  che  aveva  visto  nell'India,  per  unica 
mercede  chiedendo  gli  fossero  ceduti  il  soffitto  vecchio  e  le 
tegole,  con  cui  intendeva  coprire  la  chiesa  de'  suoi  confratelli 
Eremitani.  Il  patto  fu  ben  accolto,  e  quel  tetto  vedesi  ancora, 
mentre  al  salone  si  pose  il  coperto  di  piombo.  Ciò  posterior- 
mente ai  tempi  del  nostro  racconto;  ma  fin  da  questi  s'andava 
estendendo  l'edifìzio  dell'Università;  l'Arena  co'  suoi  portici  era 
frequentata,  e  i  Dalesmannini  l'avevano  munita  a  guisa  di 
fortezza,  là  dove  poi  sorse  la  cappellina  degli  Scrovegni,  dipinta 
da  Giotto  e  illustrata  da  Pietro  Selvatico;  il  prato  della  Valle, 
ove  la  tradizione  asseriva  sorgesse  anticamente  il  tempio  della 
Concordia,  e  Tito  Livio  ne  fosse  sacerdote,  rimaneva  in  gran 
parte  paludoso,  mostrava  avanzi  dell'antico  teatro  Zarco,  nò 
ancora  lo  aveano  consacrato  le  statue  degli   illustri   Patavini. 

Una  gratitudine  che  venerava,  non  ragionava,  pose  di  quei 
giorni  in  onoranza  un  avello  del  medioevo,  quasi  avesse  rinchiuso 
le  ceneri  del  trojano  Ant('nore,  favoloso  fondatore  della  città.  I 
Camposampiero  si  fortificarono  presso  Porta  Molina,  dove  ancora 
un  robusto  muro  sopravanza  della  ruina    del    1251 ,    e    la    lor 


i 


CAPITOLO    VI.  Ù 


casa  divenne  poi  palazzo  degli  Anziani  e  la  torre  bianca  cam- 
panile della  podesteria,  e  pel  peso  strapiombò,  siccome  si  vede. 
Antico  culto  si  prestava  a  santa  Giustina,  che  la  favola  facea 
nascere  da  una  casa  principesca  de'  Borromei  Vitaliani  ;  e  nella 
)  sua  chiesa,  dopo  il  mille,  si  trovarono  per  rivelazione  moltis- 
sime reliquie,  sicché  crebbe  in  venerazione.  La  chiesa  di  Santa 

Maria  Maggiore,  edificata  intorno  al  1110,  poi  di  nuovo  dopo  il  > 

tremuoto  del    1117  'i,    doveva  presto   cedere    il    primato    alla  ì 

basilica  del  Santo,  mirabile  monumento  dell'arte,  la  quale  non  ) 

credeva  ancora  che,  per  riuscire  grande,  convenisse  farsi  imi-  ) 

tatrice.  ; 

E  voi,  frequentatori  del  Bo  5,  assidui   agli   studj,   tipo    di  / 

creanze,  speme  d'Italia  quali  si  ben  vi  dipinge  un  lepido  e  non  ) 

maligno  satirico,  ben  vi  ricorda   che  sin   dal   1222   il    vescovo  ì 

Giordano  apriva  l'Università,  alla  quale  chiamò  il  famosissimo  ) 

Alberto  Magno,  che  quivi  prese  la  tonaca   di   domenicano  ;    vi  > 

spiegò  legge  l'altro  famoso    Gosia    bolognese,   copia  legum,  e  | 

altre  glorie,  che  può  chi  le  voglia,  leggere  nel  Facciolati.    Io  ) 

\         vo'  solo  rammentare  come  nel  1229,  per  sopragiunte  turbolenze,  ] 

\         Padova  esibì  l'Università  sua  alla  città  di  Vercelli  per  otto  anni,  ^ 

)         con  un  professore  di  teologia,  tre  di  legge,  due  delle  decretali,  ( 

)         due  di  medicina,  due  di  dialettica,  due  di  grammatica;  e  tanti  [ 

^         scolari  quanti  empissero  cinquecento  alloggi.  ) 

'  Valent'uomini  non  mancavano  a  Padova,  come  Montanaro  l 

che  fece  un  poema  latino  De  luna  cleri,  cioè  sui  cherici    che  ( 

cantan  in  coro  disposti  a  mezzaluna;  viveva  già  Marchetto  da  j 

Padova,  un  de'  primi  che  abbiano  scritto  di  musica:  e  nel  1227  ( 

vi  fu  coronato  un  libro  di  quel  famoso  grammatico  Buoncom-  \ 

pagno,  presenti  il  vescovo,  i  magistrati,  i  professori,  gli  scolari.  \ 

E  noi  che  vedemmo  in  esercizio  di  notaro  un  dei  migliori  poeti  ( 

italiani,  non  vogliamo  dimenticare  un  poeta  notaro  Giona  d'in-  ( 

{ 

(■ 

( 

e 

*  Un'iscrizione  conserva  il  nome  d'^H'archiletlo  Madie: 

Me  terre  primo  motus  subverlit  ob  imo 

sed  macìlr  limo  pulchre  me  slruxit  ab  imo.  MCXXIV. 

^  Cosi  cliiamuno  il  palaiizo  deirUniversilà:  e  il  satirico  è  Arnaldo  Fiisinato. 

—  132  — 


^,^_C3 


□i 


Ma  sopraggiunsero  i  Padovani,  che,  dopo  brere  ed  incomposta  avvisaglia,  sparpa- 
gliarono i  partigiani  del  frate,  e  lui  stesso  imprigionarono.  Gap.  IV,  Pag.  liO. 


rT-Ll  UOMINI    ILLUSTRI  D"^ 

)         torno  al  1130,  che  i  suoi  rogiti  autenticava  con  qualche  verso, 
\        come  sarebbe: 

! 

^  Jonas  causidicus,  nec  nonque  tabellio  dictus, 

hujus  contrae tus  conscripsi  pacta  rogatus; 


ovvero 


ovvero 


Haec  digito  sc.ripsi  proprio  ceu  lumine  vidi; 


Causidicus,  sacri  tahularius  atque  palaci; 
qui  solco  pidchre  nomen  g estare  columbe, 
literulis  fixi  Jonas  ceu  lumiìie  vidi 
que  presid  monuit,  seu  qiie  mihi  scribere  jussit. 

Lo  imitò  un  altro,  che  nel  1137  rogava: 

Banc  scripsi  cartam  firmaiam  tesiibus  Adam 
qua  stai  coniractus,  ceu  vidi,  sumque  rogatus  ». 

E  poiché  sì  scarse  sono  le  ricordanze  di  artisti  in  quel 
tempo,  accennerò  un  Calojanni  pittore,  testimonio  a  un  istru- 
mento  del  1143  riferibile  al  monastero  di  San  Cipriano:  e  il 
nome  lo  fa  supporre  greco.  Nel  duomo  si  conserva  un  evan- 
gelario  storiato  e  minato  nel  1170,  coli' iscrizione  : 

Si  vis  scripiuras,  quis  fecit  scire  figuras, 
Isidorus  fìnxit  doctor  Bonus  aurea  piìiwit: 

e  il  canonico  Giovanni  Gaibana  arricchivasi  miniando  codici,  e 
nel  1259  finiva  il  bell'Epistolario.  Tommaso  Giustinian,  podestcà 


)  6  Vedi  Gennari,  Annali  della    ciltd  di  Padova.    Anche   Taddeo  da  Vicenza 

(  nnlfio  fece  versi  in  lode  di  Ezelino,  riferili  dal  Maurisio.  Il  Gennari,   nel    1797, 

)  \cdondo  i  falli  d'allora  somigliarsi  mollo  ai  vecchi,  scrisse  la  storia  dei  Carraresi, 

^  e  l'iirelibc  seguilo  a  quella  che  già  aveva  liraia  dall'origine  di  Padova  sin  al  1173: 

(^  cioè  vi  mancano  i  lempi  dei  nostro  racconto.  /> 

[l^  £=-.-     ,  -.:       -  ^    -^.  -^ ,  - ^er@ 

C-\NTU  —    Lzelinc.  9 


j— 'a  CAPITOLO    VI.  D    H 

j  nel  1271,  ordinò  si  desse  di  bianco  alle  pitture  che  erano  nella 
I  sala  della  Ragione,  e  sopra  il  banco  dei  segretarj  si  dipinges- 
(  sero  altre  figure.  Rolandino  dice  che,  al  suo  tempo,  nell'altar 
maggiore  della  cattedrale  vedeansi  con  molto  artifizio  il  re 
Corrado  e  la  regina  Berta  e  il  vescovo  Milone.  Nel  1286  Vin-  { 
cenzo  quondam  Bartoloto  della  villa  di  Cambroso,  in  testamento  ) 
ordinava  fossero  pagati  i  pittori  che,  nelle  chiese  di  Rosara  e  ) 
di  Cambroso,  aveano  dipinto  i  santi  Daniele  e  Benedetto.  Andate  ( 
a  dirlo  al  Vasari,  che  fa  nascere  la  pittura  con  Cimabue. 

Il  racconto  di  queste  particolarità  si  addice    appena    alle 
storie  municipali;  ma,  di  tante  che  in  Italia  se  ne  fecero,  perchè 
sì  poche  sono  che  s'addentrino  nella  vita  individuale  de'  Comuni         ) 
e,  invece  di  divagare  sui  fatti  generali  d'Italia,  accompagnino         ) 
il  nascere,  progredire,  trasformarsi,  decadere  degli  ordini  mu-         \ 
nicipali,  che  pur  sono  veramente  la  storia  di  noi  popolo?  \ 

Via  da  noi  la  presunzione  d'insegnare  agli  altri;    ma  in-         ( 
tanto  aggiungeremo  come  Padova  possa  offrire,  ciò   che  pochi 
municipj,  una  composizione  nel  patrio  dialetto,  che  trovossi  à 
tergo  d'un  atto  notarile  del  23  dicembre  1277.  Sono  centotto  versi         v 
rimati  a  coppia,  dove  una  donna  deplora  la  lontananza  di  suo         / 
marito,  passato  alla  crociata  bandita  da  Urbano  IV.  '^  \ 

Cosi  Padova  avea  nominanza  per  felicità  di  posto,    bontà         ( 
di  fabbriche,  fortezza  secondo  quel  guerreggiare,  coltura,  spi- 


'  Respomlcr  voi  (vorjlio)  a  donna  Fi'ixa 

ke  me  conseja  cn  la  soa  guisa, 
e  (lis  k'eo  lasse  ogni  grameza 
vczendo  me  senza  alegreza 
se  me  mario  se  n'è  andao 
k'el  me  cor  cum  lui  a  porlao,  ) 

et  eo  cum  ti  me  dco  confortare  \ 

lin  k'el  starà  de  là  de  mare,  ecc.  ) 

Vedi  Brunacci.  Sulle  auliche   orif/ini  della  lin/jua  rohjarr  de'  Padovani.   Ve-  { 

nezia  1759.  { 

11  più  antico  libro  che  si  cono.sca  in  maccaronico  fu  d'un  padovano,  che  con  ( 

beffe  anche  oscene  racconta  avventure  d'alcuni  padovani,  delusi  colla    magia.  Ila  i 
per  titolo   Tiplnjs  Oda.vii  pnlilanni  carncm  ìnacaroìtinim  de  Vatavinis  qìùbusdam 
artemarjica  delusis,ò  rarissimo,  od  è  desolino  dal  Morelli,  DUI.  pinell.  T.  II,  p.  456. 


—  131  — 


^^ja^ ^LpJ 


rC-lQTTTMT     'P.J7T     TDAnriT-A'VT  , . 


-□  COSTUMI    TEI    PADOVANI  ^^Tl 


gliatezza    degli    abitanti,    solleciti  e  procaccianti  in  arti  ed  in 
industria,  e  al  tempo  stesso  lieti  e  compagnevoli. 

Un  anonimo,  fiorito  però  un  secolo  più  tardi,  ci  dipinge  i 
costumi  di  essa  ne'  tempi  appunto  che  descriviamo.  «  Prima 
die  Ezelino  se  ne  rendesse  padrone  (così  egli)  e  qualche  tempo 
dappoi,  i  Padovani,  finché  non  compissero  i  vent'anni,  usci- 
vano a  testa  scoverta.  Cominciarono  poi  a  portare  in  capo 
lìerrette  foggiate  a  mitra  con  bende,  cappelli  alla  furlana,  o 
cappucci  col  becchetto  volto  piuttosto  in  su  che  in  giù:  e  indosso 
camicie  aperte  ne' fianchi,  e  sopravesti  sparate  sul  petto:  sot- 
tane aperte  ai  lati  e  davanti,  e  al  disopra  una  zimarra  :  le 
stcfie  di  cui  vestivano  pagavansi  al  braccio  venti  soldi.  Le 
donne  portavano  le  camicie  coi  flabalà;  gli  abiti  di  esse,  come  pure 
quei  degli  uomini,  erano  tutti  arricciati  sulle  spalle,  ed  avanti 
e  dietro  ornati  di  flabalà,  i  quali  pure  ponevano  sulle  zimarre 
<linanzi  alla  cintura  e  dietro.  ^Maritate  e  vedove  indossavano 
un  manto  affisso  alle  spalle,  con  crespe  lunghe  mezzo  piede, 
clie  si  chiamavano  grosse;  e  lo  portavano  anche  gli  uomini 
in  sull'età.  Le  dame,  in  luogo  della  sopraveste  di  pignolato, 
fatta  di  lana  o  di  lino,  avevano  introdotta  una  cotta  di  tela 
finissima  a  crespe  ed  a  festoni,  nella  quale,  secondo  la  condi- 
zione loro,  impiegavano  sino  a  cinquanta  o  sessanta  braccia 
di  stoffa.  Il  lusso  consisteva  nel  tenere  servi  molti,  arme, 
cavalli.  A  certe  feste  si  univano  in  brigate  numerose,  per 
banchettare  le  loro  dame  splendidamente:  ove  ognuno  sedeva 
a  fianco  alla  sua.  servendole  i  cibi.  Questi  conviti  s'imbandi- 
vano in  casa  d'alcun  di  loro,  e  finito  il  mangiare,  ballavasi  od 
armeggiavasi.  Prima  che  Ezelino  s' impadronisse  della  città, 
quando  si  congregavano  le  donne  a  festa,  guai  (die  alcun  po- 
})olano  osasse  mettervi  piede  !  ne  sarebbe  stato  cacciato  a 
schiaffi  da'  cavalieri.  E  se  anche  un  nobile  amoreggiava  qualche 
popolana,  non  ve  l'avrebbe  condotta  senza  prima  ottenerne 
licenza.  Magnificamente  si  trattavano  pure  i  cavalieri  padovani 
nelle  loro  villeggiature,  convitando  chiunque  andasse  a  trovarli. 
E  ne' giorni  festivi  era  un'allegria  il  veder  due  o  trecento 
nobili  cavalcare  insieme  a  furia  fuor  delle  mura.  Per  l'abbon- 
danza dei  luoghi  di  delizia,  il  paese  intorno  chiamavasi  la  Marca 
(Camore. 

«  Ricchi  popolani  furono  i  Cavaci,  che  al  tempo  d'Ezelino 


L^o 


—  135  — 


r-^Q  CAPITOLO    VI.  D^ 

abitavano  in  via  Sant'Urbano.  Per  l'addietro  erano  stati  cam- 
pioni di  battaglie;  perocché  quando  due  nobili  o  potenti  uomini 
venissero  a  briga,  una  parte  e  l'altra  sceglievasi  un  campione 
a  prezzo;  il  giorno  prefìsso  scendevano  nello  steccato  i  due 
campioni,  là  presso  la  porta  del  Bassanello,  armati  di  scudo, 
bastone  e  visiera  di  legno,  e  combattevano.  La  parte  il  cui 
campione  soccombesse,  veniva  multata  in  denaro  da  pagarsi 
al  Comune  di  Padova  ». 

Sin  qui  il  cronista  ^,  da  cui  poteste  intendere  il  misto  di 


8  È  manuscrilto  col  titolo  De  generatione  aliquoriim  civium  urbis  Paduae  'am 
nobilium  quam  Hjnobilium. 

L'artista  inglese  Gardiner  pubblicò  testé  Sit/lit  in  IlaUj  wilh  sòme  account  on 
the  present  stale  of  music  and  the  sisler  aris;  e  una  parte  fu  tradotta  in  francese 
da  M.  Mix.  Parlando  di  Padova  dice  :  «  La  catliédrale  est  un  immense  édilìce 
gothiqup,  surmonté  de  sept  dòmes  superbes,  construits  par  le  célèbre  architecte 
Palladio  ;  et  dont  les  matériaux  ont  été  transportés  de  Constantinople,  il  y  a  seize 
cent  ans  :  il  est  dédié  à  S.  Anioine,  qui  fut  si  charitable  envers  les  animaux.  C'est 
le  patron  de  la  ville  et  il  y  est  plus  honoré  que  tous  les  autres  saints  du  calen- 
dbrier....  Saint  Justinien  est  une  église  moderne,  qui  ressemble  à  saint  Paul  de 
Londres.  C'est  la  seule  église  que  j'aie  vu  en  Italie  dans  ce  genre  d'arcbitecture. 
L'hotel  de  ville...  sa  voùle  qui  est  en  bois,  frappi;  les  yeux  quand  on  approchc 
de  la  ville.  La  fondation  de  cette  ville  est  altribuée  aux  Troyens,  et  en  commé- 
moralion  de  cette  origine,  on  a  place  un  cheval  de  bois  colossal  sous  la  voùte  de 
la  grande  salle:  il  est  crcnx,  et  lei  ((ue  les  ancéires  des  Padouans  auraient  pii  y 
renfermer  une  petite  troupe  de  soldats.  L'universiié  est  fré(|uentée  par  4000  étu- 
dianls.  C'est  dans  la  ville  de  Padouc  que  nacipiit  et  niorut  Tartini. 

Nola  bene.  —  1.  Sant'Antonio  degli  animali  non  è  quel  di  Padova.  2.  La  chiesa 
del  Santo  non  è  la  cattedrale.  3.  Non  fu  fabbricata  da  Palladio,  ma  assai  prima 
e  in  tult'aliro  stile.  4.  Se  S.  Giustina  (non  S.  Giustiniano)  somigliasse  a  S,  Paolo 
di  Londra,  il  quale  somiglia  al  S.  Pietro  in  Vaticano,  l'autore  dovrebbe  averii'; 
viste  molte  altre  simili  in  Italia,  o.  Dovrebbe  poi  aver  viste  in  Venezia  le  tanl'allre 
chiese  di  Palladio  somiglianti  a  questa,  che  però  realmente  non  ci  ha  che  l'are. 
6.  La  sala  della  Ragione  é  coperta  di  piombo.  7.  Il  cavallo  è  quel  di  Donatello , 
che  servi  per  una  giostra  dei  Capodilisti.  8.  Il  Tartini  é  da  Pirano  in  Istria.  I  ma- 
teriali del  Santo,  portati  sedici  secoli  fa  da  Costantinopoli,  il  cavallo  capace 
di  contener  una  truppa  di  soldati,  li  metteremo  col  poulc  sulla  laguna,  de  la  lomjueur 
prodif/euse  de  plusieurs  milles. 

Non  è  lecito  rider  degli  svarioni  degli  stranieri,  quando  tanti  ne  commettiamo 
noi  nelle  cose  domestiche.  Ma  poiché  si  traduce  e  si  copia  tutto  ciò  che  di  fuori 
viene,  negligendo  (piel  che  si  dice  entro,  vogliasi  almanco  correggerne  gli  errori,  ( 

/  di  cui  questo  non  é  che  un  lieve  assaggio.  ) 

gn  -  .s.  -  ai 


EZELINO   PEGGIORA  LJ    L-, 

aristocrazia,  di  festività,  di  valenteria  d'allora.  Vi  si  davano 
frequenti  rappresentazioni  sacre,  a  cielo  scoperto,  nel  prato 
della  Valle,  e  nominatamente  il  1208,  1238,  1243  ». 

Città  così  bella,  non  è  meraviglia  se  fece  gola  ad  Ezelino  : 
ma  gli  stessi  che  fino  a  questo  tempo  lo  lodarono  o  scusa- 
rono ^Oj  sono  ridotti  a  confessare  che  da  quell'ora  si  rivelò 
pel  mostro  ch'egli  era.  I  Trevisani,  disperando  della  libertà, 
si  erano  dati  spontanei  all'imperatore:  talché  quei  da  Romano 
avevano  obbedienti  a  sé  le  floridissime  città  di  Verona,  Treviso, 
Padova,  Bassano,  Vicenza;  cui  s'aggiunga  Ferrara,  tornata  a 
parte  ghibellina  pei  maneggi  del  loro  cognato  Salinguerra. 
Questi  paesi  reggeva  Ezelino  col  titolo  di  luogotenente  impe- 
riale; ma  non  s'intenda  già  che  vi  adempisse  le  veci  dell'im- 
peratore, da  esso  dipendendo.  Papi  e  Cesari,  che  gli  uni  e  gli 
altri  in  teoria  si  credevano  padroni  di  tutta  Italia,  ma  in  effetto 
vedeano  il  dominio  esercitato  da  signori  prevalenti  in  ciascun 
paese,  amavano  conferire  a  questi  il  titolo  di  loro  vicarj,  tanto 
per  conservare  l'apparenza  della  sovrana  autorità.  Ai  signorotti 
piaceva  quel  titolo,  che,  comprato  con  qualche  denaro  e  pochi 
omaggi,  dava  loro  ragioni  contro  le  libertà  de'  Comuni,  appoggio 
nella  parte  ghibellina  o  nella  guelfa,  e  talora  anche  nelle  armi 
imperiali  o  pontifizie. 

Ridotta  Padova  a  mercè  degli  Imperiali,  si  trattò  d'eleg- 
gere  un   nuovo    podestà  in  luogo  del  fuggito:  e  vedendo  non 


9  Zeno,  Annotazioni  alla  Dihl.  Uni.  del  Fonlanini.  T.  I.  p.  487. 

^0  Fra  i  primi  va  capo  il  Maurisio,  col  dono  della  perseveranza  finale;  e  qui 
ci  abbandona.  Quasi  è  da  acconipagnarsegli  il  Verci,  fin  a  chiamare  Ezelino  per- 
sona(/f/io  senza  pararjone,  maggiore  d'ogni  eccezione.  Lib.  VII.  N.  32.  S'egli  fosse 
rimasto  vincitore,  la  di  lui  memoria  sarebbe  nell'opinione  di  tutte  le  genti  celebra- 
tissima.  —  Il  popolo  di  Verona  amava  ed  adorava  Ezelino...  che  lo  proclamò  signore. 
l.  VI,  N.  10.  Parlando  del  viaggio  di  esso  per  la  Valcamonica,  dice  che  //  passaggio 
d'Annibale  in  Italia  sarebbe  stato  meno  memorando,  se  meno  illustri  fossero  state 
le  conseguenze.  L.  XVI,  N.  8.  Che  cosa  facesse  Ezelino  (nei  1244)  '"  storico  noi 
dice:  ma  è  cosa  probabile  che  fosse  applicato  alla  buoiia  direzione  della  città  e  al 
e  al  bene  de' suoi  sudditi  L.  XX,  N.  50.  Ezelino  mentre  soggiornava  in  Padova,  si 
pose  con  lutto  l'impegno  a  regolare  il  governo  politico  di  quella  città  per  renderla 
felice  e  fortunata.  L.  XXI,  N.  1.  Ezelino  verso  i  Dassanesi  si  mostrò  sempre  il  principe 
il  più  benigno  e  il  più  mansueto.  L.  XXI,  N.  26. 


^^ ^ 

rr-b  CAPITOLO  VI.  Li   H 

(  potere  altrimenti,  il  suffragio  universale  accennava  Ezelino.  Lo 
I  scaltrito  mostravasi  turbato  di  tale  proposizione,  fino  a  mostrar 
\  d'uscire  dall'assemblea;  onde  si  prese  il  ripiego  di  pregar  lui 
(  ad  eleggere  chi  volesse:  ed  egli  designò  Simone  Tiatino  pu- 
gliese, sua  creatura,  qui  lasciato  da  Federico ,  e  che  teneva 
trecento  oltramontani  al  proprio  soldo. 

All'assoluto  dominare  gli  poneva  però  qualche  ritegno  il 
conte  Gabordo:  onde  fattosi  da  questo  dichiarare  luogotenente 
imperiale  per  tutta  la  Marca,  lo  indusse  ad  andar  a  informare 
l'imperatore  de'  prosperi  successi.  Parti  in  fatto  lo  Svevo,  e 
cosi  restarono  ai  couiandi  d'Ezelino  cento  Tedeschi  e  trecento 
Saracini  imperiali,  ai  quali  commise  la  guardia  della  città. 

Signore  allora  senza  compagnia.  Ezelino  gettò  la  maschera. 
Già  al  primo  entrar  suo  in  Padova,  per  quanto  si  facessero 
apparenze  di  festa  universale  e  concorde,  moltissimi,  non  fi- 
dandosi, abbandonarono  la  patria;  e  quali  alla  libera  Venezia 
ripararono,  quali  a  Bologna  richiesero  di  soccorso  e  di  vendetta 
il  legato  pontifizio;  altri  in  armi  ricoverarono  al  castello  di 
Montagnana.  Contro  costoro  deliberò  Ezelino  fare  impresa,  così 
per  tòrsi  quello  stecco  dagli  occhi,  come  per  non  lasciare  ai 
Padovani  quiete  da  macchinare  novità.  Arrolati  coloro  che  gli 
parevano  di  spiriti  più  vivi,  assalse  il  castello;  ma  rispintone, 

10  circondò  d'assedio,  e  rivenne  a  Padova.  Qui  per  sospetti 
cominciò  ad  incrudelire.  Da  prima  volle  ostaggi  assai  delle 
prime  famiglie,  che  disperse  in  lontane  terre,  fino  nella  Puglia: 
chiamati  quindi  alcuni  de'  più  ragguardevoli  cittadini,  palesò 
loro  come  venissero  accusati  d'intelligenze  co' fuorusciti  e  col 
marchese  d'Este  a  danno  di  lui;  potrebbe  punirli,  ma  voleva 
usar  clemenza:  uscissero  di  città,  dando  voce  di  andare  ciascuno 
a  sciorinarsi  nei  feudi  proprj:  fra  breve,  racchete  le  cose,  li 
richiamerebbe.  Voglia  o  no,  essi  dovettero  villeggiare;  ma  il 
tiranno  aveva  disposto  agguati,  dove  prendere  divisi  quei  che 
non  avrebbe  osato  uniti;  li  cacciò  prigione  come  ribelli  al- 
l'impero, confiscò  i  beni,  demoli  dalle  fondamenta  i  palagi; 
palagi  grandiosi,  merlati,  torreggianti,  sicché  Padova,  oltre  il 
pianto,  rimase  deformata  dalle  ruine. 

Ad  Ezelino  dava  grand'ombra  —  chi?  un  frate:  Giordano. 

11  pio,  devotissimo  alla  patria  ed  alla  libertà,  come  vide  perduta 
questa,    quella    tiranneggiata,    fuggi    l'aspetto   de' mali,   e   si  ì 


k 


-13S-  D^ 


r—Q  FRA    GIORDANO  '-^^H 

\  ricoverò  nel  domestico  castello  di  Montemerlo  fra  i  colli  Euganei,  \ 
dove  molti  perseguitati  o  soffrenti  a  lui  ricorreano.  Se  pensiamo  j 
alla  generosità  del  frate,  e  all'odio  in  che  per  religione  e  per  ( 
amore  di  patria  doveva  avere  il  tiranno  e  lo  scomunicato,  non  \ 
ripugneremo  dal  creilere  entrasse  in  una  cospirazione  per  re-  \ 
dimere  Padova.  Ora  un  giorno  se  gli  presenta  Bonaccorso  di  ì 
Fonzae,  che,  riverendolo  a  nome  di  Ezelino,  lo  invita  a  venire  ) 
a  questo  per  trattar  d'importanti  negozj ,  e  gli  presenta  un  ( 
cavallo  perchè  viaggi  a  minor  disagio.  Conobbe  il  frate  a  che  ) 
ciò  intendesse:  onde,  come  fosse  l'estremo,  dato  l'addio  ai  suoi,  \ 
che  piangenti  lo  vedevano  partirsi,  rassegnato  a  che  fosse  per  l 
avvenirgli,  drizzò  al  palazzo  d'Ezelino.  Questi  incontratolo,  il  } 
rimbrottò  severamente  perchè  proteggesse  e  favorisse  i  nemici  ) 
dell'impero  e  i  suoi;  né  ascoltando  alle  discolpe  dignitose  del-  ^ 
l'altro,  comandò  fosse  tradotto  al  castello  di  San  Zenone  nel-  ) 
l'Asolano.  ) 

Cosi  narrano  alcuni:  secondo  altri.  Ezelino,    come    intese         ) 
che  fra  Giordano  arrivava,  da  tale  brivido  agghiadò  che,  non 
reggendo  a  vederlo,  comandò  lo  portassero  senz'altro  al  carcere  1237 
destinatogli.  Tant'era  sacra  la  persona  dei  ministri  del  Signore,         <' 
che  teneasi  imperdonabile  in  faccia  ai  tribunali  ed  alla  terribile 
opinione  dei  popoli  l'usar  loro  scortesia  0  violenza.  Ora  poi  che 
l'oltraggiato  era,  oltre  che  frate,  in  odore  di  santità,   pensate         { 
qual  dire  ne  fu  tra  i  Padovani!  Tutta  la    città    in    pianti:    le         : 
monache  che  quel  beato  dirigeva,  adoperarono  e  le  orazioni  e         ( 
l'interposizione    de' loro    parenti;    dai    cenobj   che  coronano  le         ) 
pittoresche  vette  di  Monselice,  di  Venda,  di  Rua,  di  Solarola,         ; 
di  Montericco,  di  Gemmola,  e  dai  tanti  della  città,  uscirono  i         ( 
frati,  e  col  clero  si  poser  attorno  al  vescovo,  il  quale  si  con- 
dusse ad  Ezelino,  e  collo  zelo  di  un  profeta  gli  rinfacciò  l'in- 
degno attentato  contro  l'unto  di  Dio.  Ma  il  cuor    di    Faraone 
era  indurato;  Ezelino  interruppe  que' rimproveri  con  altri  più 
sonanti:  immediatamente  gli  si  togliesse  dinanzi:  in  pena   pa- 
gasse duemila  marcile  d'argento,  e  guai  se  ardisse  far    motto 
di    ciò,    non    essendo    disposto  a  patire  che  dagli  ecclesiastici 
venisse  onta  a  sé  ed  alla  imperiale  maestà. 

Si  partirono  più  mesti  che  atterriti;  molti  abbati   e   reli- 
giosi abbandonarono  la  città;  né  ad  Ezelino  ne  sarà  rincresciuto:         f 
erano  tanti  nemici  di  meno.  Scelse  poi  fra  i  cavalieri  ducento 


4 


CAPITOLO    VI.  ili 


w° 


che  parevano  meno  a  lui  devoti,  e  li  mandò  a  Oste  in  aiuto 
de' Ghibellini  di  Ravenna.  Poscia,  messosi  anch'egh  in  campagna, 
fu  ad  assediare  Sambonifazio:  ma  lo  trovò  difeso  intrepidamente 
dal  giovinetto  Leonisio,  figliuolo  del  conte  Rizzardo  e  d' una 
sorella  d'Ezelino. 

L'imperatore  in  questo  mezzo  tornava  in  Italia:  ed  i  più 
acerbi  avversarj  di  Ezelino  accorrevano  a  portargli  querela  delle 
costui  iniquità.  Anche  Ezelino  v'andò:  e  l'imperatore,  il  quale 
aveva  bisogno  del  valore  e  dell'accortezza  di  lui,  che  che  gliene 
fosse  detto,  lo  ricevè  con  ogni  segno  d'amore  e  d'amicizia:  poi 
con  esso  e  coi  soccorsi  delle  città  ghibelline  procedette  a  sot- 
tomettere Mantova,  saccheggiare  il  Bresciano,  prendere  il  forte 
castello  di  Montechiaro  ed  altri  di  quel  bel  paese,  in  fine  as- 
sediar Brescia,  che  sembra  predestinata  a  feroci  attacchi  e 
risolute  resistenze,  per  salvar  almeno  l'onore  quando  non  può 
la  libertà. 

A  Bergamo  era  sempre  stato  in  fiore  il  governo  de'  nobili, 
e  questi  riuscirono  a  staccarla  dalla  Lega  Lombarda:  onde  il 
papa  la  pose  all'interdetto,  nel  quale  durò  venti  anni.  In  con- 
seguenza i  Milanesi,  caporioni  della  parte  guelfa,  la  assalirono 
colle  armi,  e  indussero  i  conti  di  Cortenova  a  ceder  loro  il 
castello  di  questo  nome  nel  Cremasco,  dal  quale  potevano  as- 
sicurarsi ad  ogni  uopo  il  passaggio  dell'Oglio.  Vi  accorse  Fe- 
derico, e  non  potendo  sloggiarli,  rifuggì  all'astuzia  fìngendo 
1237  difilarsi  per  isvernare  a  Cremona.  I  Milanesi  gli  tenner  dietro 
su  l'altra  riva  del  fiume:  poi,  credendosi  sicuri,  si  volsero  a 
Milano  disordinati. 

Milizie  com'erano  le  lombarde,  tutte  d'artieri  e  villani,  era 
impossibile  resistessero  a  truppe  disciplinate  e  alla  cavalleria: 
onde  evitavano  gli  scontri  in  campagna  rasa,  preferendo  chiu- 
dersi nelle  fortezze,  difficilmente  espugnabili  prima  dei  cannoni; 
sicché  gli  imperatori  dovevano  consumar  dei  mesi  avanti  a 
bicocche  come  Carcano,  Roncarello,  Crevalcuore.  Federico  fu 
dunque  ben  lieto  d'aver  tratti  i  Milanesi  in  un'imboscata;  e 
assaliti,  li  volse  in  iscompiglio.  Solo  intorno  al  carroccio  fecero 
resistenza  Arrigo  di  Giussano,  con  un  corpo  franco  chiamato 
de'  Gagliardi.  La  notte  li  divise:  ma  i  Milanesi,  visto  clie  non 
potrebbero  condurre  quel  carro  pesante  traverso  al  suolo  pa- 
ludoso, lo  sguarnirono  e  lasciarono  fra  il  treno,  salvati  la  croce 


i 


a  - 140  -  n_ 


l^is- 


BATTAGLIA   DI   CORTENOVA 


e  gli  stendardi.  Federico,  trovatolo,  rassettollo,  v'alzò  un'altra 
croce,  fingendo  fosse  la  milanese  raccolta  di  terra  :  poi,  espugnato 
il  castello  di  Cortenova,  vi  fece  prigione  Pietro  Tiepolo,  figlio 
di  Jacopo  doge  di  Venezia,  suo  capital  nemico  e  podestà  di 
Milano,  e  voltosi  a  Cremona,  v'entrò  trionfando. 

In  ricordo  del  pellegrinaggio  in  Oriente,  Federico  menava 
seco  elefanti  e  camelli  ;  e  da  un  elefante  appunto  fece  trascinare 
il  carroccio  coi  trombetti  e  le  insegne,  e  sovr'esso  il  Tiepolo 
con  un  braccio  legato  alto  all'antenna,  e  col  laccio  al  collo, 
da  cui  poi  lo  fece  strozzare.  Seguivano  i  prigioni,  tutti  col 
capestro,  e  le  bandiere  de'  vinti  strascicate  per  terra:  poi  fra 
cavalieri,  l'imperatore  a  cavallo  in  saio  di  velluto  cremisino,  a 
oro  e  gemme,  foderato  di  pelle  di  vaio,  la  corona  in  capo, 
seguito  da  molta  baronia,  fra  cui  Ezelino.  Gran  folla,  grandi 
applausi,  che  il  vulgo  mai  non  nega  a  chi  trionfa;  e  Federico 
die  relazione  della  vittoria  agli  alleati  in  due  lettere,  stese  da 
Pier  dalle  Vigne,  ove,  colla  verità  d'un  bullettino  e  colla  gon- 
fiezza d'un  retore,  si  gloriava  d'aver  ucciso  diecimila  Lombardi: 
il  carroccio  poi  spedi  traverso  tutta  Italia  a  Roma,  allora  ri- 
bellata contro  il  papa,  e  che  decretò  fosse  riposto  in  Campi- 
doglio quasi  opima  spoglia,  con  una  fastosa  iscrizione  che  ancora 
vi  sta,  più  a  testimonio  della  paura  che  a  gloria  del  suo  trionfo. 
Perocché  egli  non  aveva  troppo  di  che  compiacersi;  e  ben 
presto  i  collegati  lombardi  ricomparvero  in  armi,  cosi  forti  e 
risoluti,  che  esso,  per  allora,  dorette  tornare  in  Germania  a  1233 
rifarsi  di  gente,  sentendo  come  feriscano  le  armi  della  insidiata 
libertà.  L'imperatore  avea  dato  grande  argomento  d'amicizia  22 
ad  Ezelino  collo  sposargli  Selvaggia,  natagli  di  non  giusto  ma-  mag. 
ritaggio.  Splendidissima  festa  se  ne  fece  a  Verona,    spontanea 

^         e  di  cuore  come  sogliono  essere  quelle  che  i  tiranni  comandano; 

^         corte  bandita,  con  musici,  trovadori,  buffoni  e  mense   disposte 

)         a  chiunque  voleva,  alle  quali,  è  scritto    intervenissero    diciot- 

)         tomila  persone. 

Ma  a  Padova  si  macchinava  per  liberare  fra  Giordano  di 
carcere,  e  tutto  il  Comune  di  servitù.  Gli  scontenti  avevano 
fatto  capo  al  marchese  Azzo,  il  quale,  al  giorno  prefisso,  com- 
parve  con  una  smannata  di  truppe  nel  prato  della  Valle,  la  luglio 
cui  porta  e  quella  di  Torreselle  dovevano  essergli  tradite. 
EzeUno  però  n'aveva  avuta  spia,  e  subito  fé'  dare  colle  campane 

—  m  -  n 


CAPITOLO    VI.  D 

all'armi;  pochi  accorsero  in  ajuto  del  tiranno,  ma  nessuno  osò 
muoversi  contro;  ed  egli,  mutate  le  sentinelle  e  date  le  porte 
a' suoi  fedeli  Tedeschi  e  Saracini,  sventò  la  macchinazione. 
Sortito  poi  con  buone  armi,  volse  in  fuga  i  nemici,  com'è  facile 

quando  uno  stratagemma  è  prevenuto:    l'Estense   campò;    ma  ( 

Giacomo    da  'Carrara,    principale    in    quell'esercito,    essendosi  { 

gettato  nel  suo  castello  di  Agno,  vi  rimase  assediato  e   preso  ^ 

da  Ezelino.  Tutti  davano  il  Carrarese  per  morto,  quando  invece  { 

Ezelino  lo  ripose  in  libertà,  a  patto  venisse  nella  sua   fazione  ( 

e  consegnasse  il  castello  di  Carrara  ai  Padovani;  lo    che   esso  1> 

promise  e  non  attenne.  Per  gastigare  poi  il  Marchese,  Ezelino,  ( 

fattosi  sopra  Este,  senza  difficoltà  la  prese:  ma  a  Montagnana  f 

trovò  ancora  duro  cozzo,  tanto  che  pericolò  della    vita;    e    se  - 

ne  tolse  via,  giurando  distruggerla  a  suo  tempo.    Vero  è  che  (, 

poco  dopo  il  Marchese  ripigliò  Este,    ed  occupato   Monterosso,  / 

pose  mano  a  fortificarlo;  ma  Alberico  ne  lo  cacciò,  e  condusse  i 

{         a  termine  le  fortificazioni,  riducendo  cosi  quel  monte  a  castello  ; 

}         per  antiguardia  di  Padova.  ; 

^                 Dai  prosperi  successi  talmente  rimasero  sgomenti  i  Pado-  ') 
vani,  che,  quando  Ezelino  tornò  trionfante,    più    non    osavano 

designarlo  che  col  nome  di  Signore.  Ma  riflette  il  Verci,  e  la  ( 

riflessione  non  è  fina  ma  eternamente  vera,  che  più  un  signore  ) 

adopera  severità,  e  più  cresce  ne'  popoli  l'amore  della  libertà.  ( 

Fermossi  poi  Ezelino  in  Verona,  divisando  le  guise   d'im-  ' 

padronirsene;  al  che  gli  giovò  l'arte  di  quei  lupi   che  seppero  > 

indurre    le    agnelle    a   disfarsi   dei   cani.    Nei   disegni  suoi  era  ( 

sempre  stato  impedito  dagli    ottanta   nobili   che   governavano,  } 
col  nome    di    Quattroventi    Rettori  l^    11   farsi  apertamente  a 

l 
i 

.      .  i 

11  Quallroventi  per  ottanta  è  \inn  delle  moltissimo  voci  che  in  ([uei  primi  tempi  i 

(Iella  liniiiiia  scontriamo,  e  che  poi,  disusate  nella  nostra,  rimasero  nella  francese.  ' 

Soni    di   (pieslo    stamiio  bornio,   anneri,    chillnir,   btisrionr,  convoifosn,   controvarp,  ( 

invironato,  farlo,  r/iurffjinre,  rcnr/iarr',  plusovi,  hriUire,  fmciano...  che  si  trovano  tnlte  ) 
registrale  nel  Dizionario  della  Crusca,  e  che  oggi  chi  le  usasse  verrebbe  tacciato 
di  barbarismo:  a  lacere  il  rnloilair,  forfalli^  aver  la  Ipsta  troncata...  e  altre  che, 
ben  collocate,  non  si  sdegnano  neppure  al  presente.  Al  vederle,  alcuni  esclamano 
col  Cesarotti  :  t  Ecco  siccome  la  lingua  nostra  lin  dai  primordi  suoi  si  arricchisse 
colle  spoglie  della  francese  »;  e  con  ciò  vorrebbero  giustilicati  quelli  che  tuttodì 
traggono  di  là  novelli  imbratti  che  intitolano  ricchezze.  Neppure  crediamo   a   chi 


à^ 


—  112 


distruggerli  non  era  da  accorto  politico;  ed  egli  incominciò  a 
cattivarsi  i  plebei,  coi  calappj  ne'  quali  costoro  dan  si  facil- 
mente: essere  ingiustizia  che  a  nobili  soli  toccassero  gli  uffizj 
della  repubblica:  o  che?  non  erano  forse  eguali  ad  essi  anche 
i  popolani  ?  non  servivano  del  pari  al  pubblico  interesse  coi 
denari  e  col  braccio?  non  anche  fra  loro  v'avea  cuori  volen- 
terosi e  menti  capaci  ?  Così  egli  lo  potesse,  come  vorrebbe 
fare  che  i  popolani  partecipassero  del  potere.  Fu  creduto:  e, 
portato  a  spalle  de'  plebei,  rovesciò  quell'ordine  di  cose,  crebbe 
i  governanti  sino  a  cinquecento,  che,  uniti  ai  gastaldi  e  priori 
delle  arti,  reggessero  la  pubblica  cosa. 

Il  crescere  il  numero  di  coloro  che  han  mano  nel  governo, 
ai  dabbene  sembra  acquisto  di  libertà;  agli  scaltri  offre  più 
lato  campo  alle  brighe,  scemando  la  responsabilità  di  ciascuno 
quand'è  divisa  su  tanti,  e  dove,  interrogati  su  materie  che 
non  conoscono,  esprimono  non  l'opinione  propria,  ma  l'altrui. 
Coloro,  per  riconoscenza  favorendo  al  loro  creatore,  fecero 
ogni  volontà  di  esso,  che  stabili  una  piena  democrazia,  riformò 
gli  uffizj,  e  creò  sé  stesso  capitano  generale  della  repubblica 
veronese. 


(seguendo  il  Raynouard)  suppone  dalla  Ialina  derivasse  un'altra  lingua  romanza, 
comune  a  quanti  avevano  parlato  latino,  e  di  quel  fondo  venissero  tutte  le  somi- 
glianze fra  le  lingue  moderne.  Che  ne  fosse  del  parlare  non  è  facile  precisarlo; 
nello  scrivere  certamente  non  ora  ancora  ben  determinata  l'indole  delle  lingue 
affini,  e  l'una  rifaceasi  dell'altra.  Chi  cerchi  le  cronache  francesi  antiche  lo  trova 
pienissime  di  parole  e  di  modi  alfaUo  italiani,  anzi  di  quei  che  si  guardano  veri 
idiotismi.  Direte  per  questo  che  essi  le  rubarono  dai  nostri?  non  già:  ma  si  essi, 
si  i  nostri  le  deducevano  legittimamente  dal  parlare  d'allora;  il  che  non  giustifica 
punto  coloro  che,  dopo  segnati  precisi  confini,  vogliono  ancora  confondere  le 
proprietà,  non  arricchendo,  ma  adulterando.  Ed  io  penso  non  sia  su  questo  punto 
mai  bastante  il  rigore,  atteso  che,  tanto  per  la  vicinanza  e  per  la  estesissima 
divulgazione  del  francese,  già  sono  inclinati  a  riempirne  il  parlare  e  gli  scritti 
gli  Italiani  d'oggidi.  Una  legge  delle  XII  tavole  volea  che,  per  non  confondere  i 
limiti  dei  campi,  corresse  tra  un  fondo  e  l'altro  il  sentiero  di  cinque  piedi .  Fac- 
ciamo allretlanlo  noi,  e  (\m\Vilcr  inililare  sia  la  via  degli  zelatori  della  gloria  ^ 
patria  che  non  temono  di  sentirsi  gridare  pedanti. 


,_j  •  -  1 13  -  Dp 


n 


CAPITOLO   VII. 


L'IMPERATORE. 


...  la  Lombardia,  dall'odio  antico 
e  dal  nuovo  pericolo  connmossa, 
sorgea  contro  il  secondo  Federico 
nipote  del  respinto  Barbarossa. 

Grossi,  Ildegonda. 


J)  a  taccia  che  ai  pontefici  del  medioevo  suol  oggi 
darsi  più  iracondamente  è  d'essersi  eretti  cam- 
pioni della  nazionalità  italiana,  impedendo  la 
penisola  cadesse  tutta  sotto  il  dominio  straniero. 
Il  qual  dominio  (asseriscono  costoro)  avria  pro- 
dotto quell'unità  che  sempre  ^le  mancò;  onde  non  sarebbe 
rimasta  trastullo  de' forestieri,  che  le  turbarono  prima,  le 
tolsero  poi  la  nazionalità. 

Codesto  parmi  "an  circolo  vizioso,  come  quel  della,  carne 
salata  che  spegne  la  sete,  o  come  quello  con  cui  il  Gioja  prova 
che  il  lusso  favorisce  il  buon  costume  i.    La  storia  però    non 


^ 


1  Questo  sofista  a  cifre  dice  che  il  lusso  induce  le  donne  a  vendersi  :  gli  uomini 
per  comprarle  lavorano,  e  così  diventano  morali:  onde  il  lusso  è  causa  di  moralità. 


) 


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—  1 15  — 


^13 __ . ^ ^ 

r—'Q  CAPITOLO   VII.  Li    '-| 

S  si  inorgoglia  di  profezie;  e  invece  d'un  calcolo  di  falsa  posi-  \ 
{  zione,  accetta  e  prova  il  fatto  reale  della  costante  opposizione  \ 
'  dei  papi  alla  signoria  straniera  ;  sebbene  perciò  abbiano  ricorso         ( 

ad    altri    stranieri,    come   sempre   e   pur   troppo    s'è  fatto  da         ( 
Narsete  fino  a  Cavour.  ' 

(  A  questo  fine  i  papi  aveano  rinnovato  l'impero  occidentale         < 

(  in  Carlomagno;  ma  poi  gl'imperatori  parvero  non  appagarsi  ' 
j  dell'alto  dominio  che  ad  essi  veniva  attribuito,  e  vollero  tra- 
(  durlo  in  signoria.  Allora  i  papi  vi  opposero  i  Normanni,  ai 
(  quali  investirono  il  rr-gno  di  1  uglia  e  Sicilia;  i  paesi  che  sempre  ^ 
^  faranno  il  maggior  contrappeso  agli  stranieri  in  Italia.  Ben  sei  l 
videro  i  più  accorti  fra  gl'imperatori  di  Germania,  e  quel  { 
Barbarossa  che  chiameremmo  grande  se  noi  dovessimo  ripro-  ( 
vare  come  micidiale  alle  lombarde  libertà.  Costui  cura  fu  di  ( 
sposare  a  suo  figlio  Enrico  la  erede  di  quel  regno.  Sul  qual  ( 
regno  i  papi  aveano  titoli  di  sovranità,  che  non  vanno  misurati  [ 
colle  idee  d'oggi  e  col  diritto  calinone;  e  che  potranno  ben  \ 
dirsi  strani  e  inopportuni  adesso,  ma  allora  erano  normali,  ^ 
incontestati,  sì  perchè  conformi  alle  idee  del  tempo,  si  perchè 
venuti  da  stipulazioni  libere,  chiare,  precise.  Quanto  dunque 
gl'imperatori  ambivano  di  aggregare  al  regno  d'Italia  quella 
corona,  tanto  i  papi  erano  risoluti  d'impedire  tenesse  per  si- 
gnoria il  mezzodì  dell'Italia  quel  desso  che  sul  settentrione 
aveva  l'alto  dominio  feudale. 

Di  qui  originò  la  seconda  guerra  del  pastorale  colla  spada, 
cioè  del  pensiero  colla  violenza,  del  principio  italiano  coll'am- 
bizione  forestiera,  guerra  di  cui  sono  espressione  i  varj  fatti 
del  tempo  sul  quale  noi  chiacchieriamo.  Innocenzo  III  favorì 
Ottone  imperatore  quale  capo  dei  guelfi;  e  Ottone  gli  giurò  la 
più  intera  obbedienza  e  sommessione  come  a  sovrano:  ma 
quando  si  trovò  assicurato  in  trono,  attentò  ai  possessi  della 
santa  sede,  e  seguì  egli  pure  i  due  intenti  degli  imperatori 
germanici,  di  ridurre  ereditaria  la  corona  e  di  possedere  l'Italia 
come  conquista.  Allora  Innocenzo  gli  si  pose  contrario;  e  fu 
veduto  il  capo  della  parte  guelfa  combattuto  colle  scomuniche 
e  colle  armi  del  pontefice,  divenuto  protettore  dell'erede  della 
casa  ghibellina.  Lunga  lotta,  ove  Ottone  soccombette  alla  propria 
irriflessione  e  allo  sdegno  de'  Germani,  a'  quali  pareva  avesse 
compromesso  la  nazionale  dignità  col  farsi  vassallo  al  pontefice 

—  iir,  — 


(  Non  è  punto  estraneo  all'assunto  del  nostro    libro   il   de- 

scrivere la  morte  di  ottone,  quale  ci  è  narrata  da  un  testimonio 
oculare  2.  Come  scomunicato,    nessun    vescovo    rimaneva    alla 
Corte  di  lui;  onde  mandò  per  un    certosino    che    ricevesse  la 
)         sua   confessione.    Fé'  portare    da   Brunswick    le  ossa  de'  santi 
(         Simone  e  Guida,  e  su  quelle  giurò,  se  il  Signore  lo  conservasse, 
conformarsi  interamente  ai  voleri  del  papa;  allora  gli  fu   am- 
)         ministrato  il  viatico,  e  da  quel  punto   parve    calmarsi    la  sua 
(         indomita  agitazione.  Convocata  la  famiglia,  alquanti  nol)ili,  dieci 
ecclesiastici,  il  vescovo  d'Hildesheim,  Ottone  s'inginocchiò  se- 
ininudo  s'un  tappeto,  e  rinnovò  la  confessione  de'  falli,  soggiun- 
gendo che  dal  vescovo  di  Camerino  si  era  fatto  dare  una  croce, 
)         e  sempre  l'avea  portata  nascosta   sul   petto,    finché  venisse  il 
iiiomento  di  compier  il  voto  che  con  quella  avea  fatto  di  cro- 
ciarsi; ma  il  demonio  si  era  sempre    attraversato.    La    regina 
gliela  staccò,  e  l'ahate  di   Winkelried  gli  comandò  la  tornasse 
;         a  prendere,  e  la  mettesse  sopra  gli  abiti,  in  segno    di   essersi 
)         riconciliato  colla  Chiesa.  Allora  si  sdrajò  boccone,  nudò  le  spalle, 
(         e  volle  che  tutti  gli  astanti,  i  servi  e  fino  i  cuochi  lo  battes- 
'         sero    a    verghe    e   lo    calpestassero,   recitando   il  Miserere  ;  e 

l'imperatore  colla  morente  voce  andava  ripetendo:  Battete  imi         ( 
i        furie  questo  miserabile  peccatore.  ^ 

)  Cosi  moriva  l'antecessore  ed  emulo   di    Federico  II,    dopo         e 

(  venti  anni  di  regno:  e  ben  dee  farne  beffe  l'età  nostra,  ove  / 
)  gl'imperatori  morendo  non  chiedono  perdono  ai  popoli,  ma  \ 
I         lasciano  il  loro  cuore  all'esercito  ^  ,' 

^  Federico,  allevato  dalla  Chiesa,  talché  per  baja  era  intito- 

\  lato  il  re  de' preti,  fece  egli  pure  ogni  sorta  di  promesse  al  ( 
j  papa,  e  singolarmente  solenne  e  ripetuta  quella  di  cedere  la  J 
(         Siciha    a    suo    figlio,  appena  fatto  imperatore  4,  e  di  andar  a 


/ 


2  Rifcriia  da  Martenne  e  Diinuid  nel  Thes.  Nov.  Anocdol.  T.  HI,  pag.  i573. 

^  S'allude  al  testamento  di  Francesco  I  imperatore  d'Ansiria. 

*  Anche  l'Austria  e  la  Svevia  e  i  maggiori  feudi  imperiali  non  polcano  esser 
tenuti  direttamente  dall'  imperatore,  atteso  che  egli  non  poteva  dar  a  sé  stesso 
i  r  investitura,  né  divenir  ligio  di  se  medesimo.  Olire  le    tante   opere   relative   agli 

\  Ilohcnstauicn,  vedasi:  liisloria    diplomatica  Federici  Jl^  sire  constilulions, privilefjia, 

(  mandala,  inslrumenta  qiiae  supersunl  islius  impcratoris  et  fdiortim  rjus:  acccdunt 

{  epislolac  paparum  el  documenta  varia;  colkf/il,   ad  (idem  chartarum  et  codicum  rc- 

)  censuile,  juxta  sericm  nnnorum  dispasuit  ci  nolis  illustravit,   J.   L.   A.  Uuillakd 

IÌREHOLLES.  Parigi,  1852. 

iiJ 


J 


l3\^^— ^ ^ — e]m] 

rr-n  CAPITOLO  VII.  \ 

liberare  ^a  Palestina  ;  ma  quanto  lungo  in  promettere,  tanto  fu 
corto  in  attendere. 

Federico,  nato  in  Italia,  di  padre  svevo  e  di  madre  nor- 
manna, è  uno  de'  caratteri  più  grandi  de' mezzi  tempi.  Nel  regno 
delle  due  Sicilie,  ben  ordinato  dai  Normanni,  attese  a  dotar 
la  corona  a  spese  de' feudatarj  ;  impedire  si  formassero  grandi 
Comuni,  come  quelli  che  s'erano  levati  a  repubblica  in  Lom- 
bardia; infine  a  non  lasciare  fra  re  e  popolo  altro  intermedio 
che  i  magistrati  e  le  leggi.  Insomma  volea  creare  lo  Stato 
quale  oggi  l' intendiamo,  in  tempo  che  non  v'avea  se  non  feudi 
0  municipj.  E  per  verità  gli  ordinamenti  che  diede  alla  Sicilia 
attestano  grand'elevatezza  di  spirito,  quantunque  disgustino  le 
atroci  pene  prodigate. 

Prima  cura  di  chiunque  vuol  esser  despota  è  il  procurarsi 
un  buon  esercito,  e  già  sappiamo  come  allora  non  ve  n'avesse 
di  stabili,  ma  solo  milizie  di  Comune  o  sergenti  feudali.  Anche 
la  Sicilia  era  divisa  in  feudi,  e  quel  che  rendesse  venti  once 
d'oro  l'anno  (lire  seicento)  era  obbligato  dar  un  uomo,  accom- 
pagnato da  due  scudieri  e  tre  cavalli,  e  mantenerli  per  tre 
mesi;  il  feudatario  era  tenuto  condurli  in  persona,  o  per  un 
cavaliere  accetto  al  re.  I  feudi  che  rendesser  meno  di  venti 
once  univansi  tra  molti  per  somministrare  un  uomo.  Il  signore 
che  non  potesse  spedire  il  suo  contingente  pagava  al  re  tre 
once  d'oro  per  ogni  uomo  mancante  ^. 

Chi  non  sa  che  i  Saracini  tennero  lunghissimo  tempo  a 
dominio  la  Sicilia,  finché  i  Normanni  gliela  ritolsero?  Tollerati 
e  industri  sopraviveano  nelle  valli  del  centro:  il  popolo  li 
guardava  fra  odio  e  paura,  si  perchè  il  tollerare  gli  infedeli 
era  virtù  allora  sconosciuta,  si  perchè  ricordava  gli  immensi 
guasti  recati  da  loro  al  paese  ^. 

Né  al  sentimento  religioso  né  al  patriottico  avendo  rispetto. 
Federico  sessantamila  di  costoro  trasferi  nella  Capitanata, 
dando  loro  la  città  di  Lucerà.  Cosi  aveva  sempre  alla  mano 
un  esercito,  che  lo  seguirebbe  dove  e  quanto    volesse;   e    che 


5  AisDBEA  d'Iserina,  De  consuet.  feud. 

^  Placido  Troilo,  nella  Storia  r/enerak  del  regno  di  Napoli,  nomina  trecenses- 
sanladue  città  niarittinie  e  veniicin(iuc  niediterranec,  distrutte  dai  Saracini. 


-jj  PIER   DALLE   VIGNE  D 


7  Ce/ito  novelle  antiche. 

8  Ricordano  Malaspini.  Si.  Fior.,  e.  i07. 

9  Noi  clic  impariamo  la  sloiia  delle  arti  dal  Vasari,  sappiamo:  1.  che  non 
si  dipinse  avanti  Cimabue;  2.  clic  il  ridevolc  Bufalmacco  invernò  di  nietlcr  dei 
carlellini  alla  bocca  de'  personaggi  per  esprimere  (pici  clic  dovcano  dire.  Ebbene 
fin  dal  tempo  di  Fedeiico  fu  dipinto  in  Napoli  questo  imperatore  in  trono  ;  a  fianco 


sopratutto  non  poteva  né  esser  affetto  dal  pericoloso  contagio         { 
della  libertà,  né  sgomentato  da  maledizioni  di  papi.  ì 

Al  nome  di  Federico  suole  associarsi  il  risorgimento  della  / 
letteratura  italiana,  almen  da  coloro  che  ogni  bene  fan  venire  ) 
dai  re,  ogni  miglioramento  dall'imitazione.  Nella  Sicilia,  ove  da  ) 
prima  non  era  quasi  verun  letterato,  egli  mise  in  fiore  la  poesia  \ 
e  la  filosofia,  stabili  scuole  di  scienze  e  d'arti ,  chiamò  e  sti-  ( 
pendio  i  professori  più  valenti;  fondò  l'Università  di  Napoli,  / 
sollevò  la  scuola  medica  di  Salerno,  saviamente  provvedendo  ( 
all'esercizio  della  medicina,  facendo  voltare  dal  greco  e  dal-  ! 
l'arabo  i  libri  a  quella  opportuni:  a  Palermo  ordinò  un'acca-  j 
demia  poetica,  ove  egli  stesso,  ed  Enzo  e  Manfredi  suoi  figliuoli 
furono  aggregati,  e  vi  si  affinò  il  linguaggio  poetico  italiano. 
—  La  gente  che  avea  bontade  veniva  a  lui  da  tutte  le  parti, 
»  perché  l'uomo  donava  molto  volentieri,  e  mostrava  belli 
»  sembianti  a  chi  avesse  alcuna  speziale  bontà;  a  lui  veniano 
»  trovatori,  sonatori  e  belli  favellatori,  uomini  d'arte,  giostra- 
»  tori  schermitori  e  d'ogni  maniera  gente  ^  ».  Federico  stesso 
sonava  e  componeva;  e  —  di  scritture  e  di  senno  naturale  fu 
»  saviissimo,  e  seppe  la  lingua  nostra  latina  e  '1  nostro  vulgare, 
»  e  francese,  greco,  tedesco,  Saracino,  e  di  tutte  virtudi  co- 
»  pioso,  largo,  cortese  ^  »  e  oltre  qualche  poesia  italiana, 
scrisse  sulla  caccia  al  f  ilcone  e  sopra  la  natura  del  cavallo  ;  e 
di  levante  avea  menato  un  serraglio  di  rare  belve. 

Ebbe  segretario  e  amico  Pier  dalle  Vigne,  che,  nato  bas- 
samente a  Capua,  mendicando  andò  a  Bologna,  e  messo  in 
quello  studio,  accattava  per  mantenere  la  vita,  e  intanto  si 
primeggiava  tra'  condiscepoli.  Colà  vedutolo,  Federico  innarao- 
rossi  della  vivacità  del  giovinetto  e  dell'elegante  scrivere,  e  se 
lo  tolse  a  protonotaro  e  confidente  intimo  ^,  nelle  più  gravi 
occorrenze    lo    eleggeva    a  rappresentarlo,   ed  a  piacer  di  lui 


Cantò  —  F  zelino 


raj^-^-  -     -  ^ -G^g 

r— 'a  CAPITOLO    VII.  U    --j 

)  [ 

)         faceva  o  no  le  imprese.  Pietro  poetò  come  il  signor  suo;    sei 
(         libri  di  sue  lettere  latine  in  nome  proprio  o   di   Federico   im- 
portano supremamente  a  conoscere  gli  affari  d'allora;  spertissimo 
delle  leggi  romane,  diede  opera  a  richiamarle  in  vigore:  distese 
pure  le  costituzioni  della  Sicilia,  e  una  dissertazione  della  podestà 
:         dell'imperatore   e   del  papa,    contro   della  quale  Innocenzo  IV 
)         pubblicò  una  Agiologia. 

A  noi,  che  ricordiamo  la  benedizione  data  al  servo  buono 
;  perchè  era  stato  fedele  sopra  le  piccole  cose,  piacque  grande- 
mente lo  scorrere  le  lettere  di  Federico  del  1239  e  40  ^^  per 
(  vedere  come,  di  mezzo  a  tante  guerre  e  ad  affari  rilevantis- 
(  simi,  non  trascurasse  certe  particolarità,  che  vorranno  dirsi 
'  da  massaia  da  coloro  che  ignorano  come  Carlomagno  si  occu- 
passe del  vender  le  uova  del  suo  pollajo.  Cosi  Federico  racco- 
\  manda  di  vender  certi  alberi  che  un  turbine  schiantò;  si  fab- 
)  brichi  un  mulino,  m.a  dopo  accertato  che  deve  riuscir  fruttifero 
i  al  fìsco  ;  raccomanda  di  dar  a  soccida  le  pecore;  fa  spedire 
)  mille  bovi  ai  Saracini  di  Lucerà:  non  vuole  si  affittino  le  vigne 
)  di  Siracusa,  perchè  non  se  ne  sfruttino  le  viti  col  farle  produr 
\  troppo  ;  dà  i  campi  di  Favara  presso  Palermo  ad  Ebrei  perchè  i 
}  provino  a  naturalizzare  l'indaco  e  l'alcana  che  tinge  in  rosa;  '. 
J         altri  incoraggia  a  coltivar  il  dattero;  trae  dalla    Siria    operaj         l 


suo  Pier  dalle  Vigne  in  calledra,  e  a  lor  davanti  il  popolo,  che  chiedeva  giustizia 
con  questi  versi: 

Caesar  amor  ìrr/um,  Federice  piissime  rer/uin 
Causanim  lelas  voslras  resoìve  qtterclas. 

E  Federico  additando  Pietro,  rispondeva: 

Pro  reulra  lile  ccnsorcin  jun's  adite: 

Hic  est;  jiira  dabit,  vd  per  me  danda  rofjabit. 

E  a  Pietro  usciva  pure  di  hocca  : 

Vinea  coffuomen,  Petrus  judex  est  milii  immen. 

1"  Oltre  quelle  di  Pier  dalle  Vigne,. ci  ha  neirarchivio  di  Napoli  mille  e  otto 
lettere  dal  1  maggio  1239  ni  3  maggio  1240. 


—  150  —  D 


•ET® 


Li  FINANZE  D" 


per  coltivar  lo  zuccaro  ;  presso  al  suo  palazzo  di  Palermo  fa  { 
costruire  un  vasto  colombajo,  e  ne  dà  egli  stesso  il  disegno;  ) 
raccomanda  all'intendente  di  Messina  di  non  lasciar  mangiare  ) 
il  pane  ozioso  alle  serve  in  palazzo,  ma  filino  e  faccian  altri  ; 
servigi. 

Ben  v'è  da  riderne  per  tempi  quando  un  Governo   è    più 

■  ^      lodato  quanto  meglio  sa  consumare  tutto,  e  anticipare  smisu- 

\         ratamente    sull'avvenire.    Noi    ci    affretteremo   a  dire  come  a         \ 
;         Federico  sono  dovuti  il  ponte  sul  Volturno,  le  torri  di  Monte- 
cassino,  i  castelli  di  Gaeta,  di  Capua,  di  Sant'Erasmo,  la  città 
di  ÌNIonteleone  ed  altri  forti  e  villaggi  ;  di  là  dal  Faro  r istaurò 
,         Antea,  Eraclia,  fondò  i  forti  di  Lilibeo,  di  ìXicosia,  di  Girgenti. 
Tante  belle  qualità  non  seppe  Federico  conciliare  coll'opi- 
nione  dei  tempi,  conforme  ai  quali  non  ebbe  né  i    vizj    né    le 
virtù.  La  sua  Corte  somigliava  a  un  harem;  eunuchi  negri    e 
nostrali  custodivano   sua  moglie;   egli    «    teneva    concubine    e 
mamelucchi,  a  sfogo  di  lussuria  ed  onta  della  religione,  menava 
vita  epicurea,  non  facendo  conto  mai  altra  vita  fosse  ».  Abul- 
feda  dice  che  inclinava  all'islamismo,  perchè  educato  in  Sicilia; 
}         e  avremo  a  ricordare  certi  suoi  frizzi  di  sapore  volteriano.  Con 
)         entusiasmo  misto  d'ironia,  criticò  tutte  le  religioni  quando   si 
(         solea  credervi:  nello  scorgere  i  difetti  del  suo  tempo,  sentivasi 
stizza  per  beffarli,  non  amore  per  compatirli  o  correggerli;  né 
l         sapeva  piegarsi  alle  convenienze,  per  modo  che,  tanto  eroe  che 
\         era,  in  cinquantatre  anni  che  fu  re  di  Sicilia,  e  trentacinque  che 
)         imperò,  non  compi  nulla  di  grande,  ma,  come  dicea  san  Luigi, 
V         fé  guerra  a  Dio  coi  doni  suoi  proprj  H.  Lnperatore  di  Germania, 

■  eppur  non  tedesco;  italiano  di  nascita  e  d'educazione,  eppure 
)  formidabile  alla  libertà  italiana  ;  cristiano,  ma  in  bilico  fra  il 
{  Corano  e  il  Vangelo,  visitò  il  sepolcro  di  Cristo  come  alleato 
(  dei  ^Mussulmani;  a  fianco  al  patrimonio  di  San  Pietro  collocò 
;         colonie  islamitiche  ;  in  un  mondo  che  ancora  operava  per  fede, 

\         volle  trapiantar  la  politica  materialista,  facendo  dichiarare  da         '.' 

■  Pier  dalle  Vigne  che  l'Impero  può  disporre  delle  cose  umane         ; 
)         e  delle  divine.  ( 

\  ■  i 

)        .  ( 


11  Più  cnidamenle  il  famoso  giiireconsullo  Andrea  d'Isornia  dice  che  Federico  II 
rei]uipscìl  in  pice^  et  non  in  pare. 


G  '  -  151  -  oJL\ 


CAPITOLO  TU.  LJ    L-, 

Per  queste  idee  mescolatosi  improvvidamente   agli    affari  (, 

dell'Alta  Italia,  non  riusci  a  frenare  il  movimento  liberale  delle  ( 

città,  né  il  guerresco  dei  castellani;  li  fece  anzi  accorgere    di  i 

quel  che  loro  mancava  per  sostenersi.  I  Siciliani,  che  pur  aveano  ( 

adottato  la  dominazione  normanna,  mai  non  aggradirono   (ec-  ^ 

cetto  alcuni  baroni)  la  tedesca;  e  de' benefizj  a  Federico    non  ( 

ebber  riconoscenza,  tenendoli  come  da  mano  forestiera.  Anche  ; 

in  Germania  voleva  egli  al  diritto  storico  locale  far  prevalere  ( 

il  romano,  cioè  la  legge  d'eguaglianza  nella  successione,  il  che  ( 

avrebbe  spezzato  le  grandi  famiglie,  e  cercò  render  ereditaria  ^ 

la    corona    imperiale.    Di    tali    tentativi   vorranno  lodarlo  una  ( 

filosofia  e  una  politica  che  guardano  ai  principj,  anziché    agli  J 

uomini  ;  ma  non  chi  sa  quanto  costi  alle  nazioni  il  distorsi  dalle  ( 

proprie  usanze  e  dall'avito  retaggio  di  leggi,  di    consuetudini,  ( 

di  nazionalità,  di  credenze;  non  chi  pensi  quale    strana  unità  J 

sarebbe  stata  questa  d'Italiani,  Svevi,  Saracini,    in  tempo  che  ( 

le  nazioni   erano  separate  per  caratteri    cosi    decisi.    Intanto,  ) 

per  soggettar  l'Italia,  trascurò  la  Germania  quasi  una  provincia:  \ 

e  mentre  avrebbe  potuto  unire  all'  Impero  tutto  il  settentrione  e  ( 

l'oriente  dell'Europa,  diffondendo  l' incivilimento  sopra  la  razza  |' 

slava,  cui  dappertutto  veniva  a  prevalere  allora  la  germanica,  ( 

per  capriccio  di  soverchiare  i  papi,  o  per  costituire  un   regno  l 

alla  sua  famiglia  lasciò  si  eclissasse   lo  splendore    dell'impero,  { 

che  più  non  si  rinnovò.  ( 

Alcuni,  attraverso  a'  suoi   delitti,    vi   vedono    qualcosa    di  ^ 

ardito,  di  grande,  non  foss'altro  il  pensiero  di  abbatter  il  papa  ( 

e  di  unir  tutta  Italia.  E  un  concetto  e  l'altro,  se  l'ebbe,  nascea  ( 

da  spirito  tirannico.  Carlomagno  avea  lasciata  metà  della  pò-  ^ 

tenza  imperiale  ai  papi,  quella  che  riguarda  gli  spiriti  e  le  ere-  ( 

denze  ;  Federico  volea  ritorla  ,  ma  in  nome  d'un  razionalism:)  | 

afi'atto  estraneo  all'età  sua,  umiliando  i  papi  e  imbarazzando  ) 

i  cadi  mussulmani,   confondendo,    nello  stesso  disprezzo  Mosè  ,  ( 

Cristo  e  Maometto ,  eppure  ferocemente  perseguitando  gli  ere-  J 
tici,  perché  disobbedienti;  e  ignorando  che  un  re,  per  lottare 
a  vantaggio  coi  pontefici,  deve  mostrarsi  più  religioso  di  que- 
sti,  imporre  la  fede,  l'obbedienza,  la  moralità  a  un  vulgo  che 
n'ha  bisogno.  Come  re,  il  sottentrar  egli  unico  podestà  ai  po- 
destà dei  cento  Comuni  italiani  era  un'  usurpazione  moltipli- 
cata, che  provocava  moltiplicate    resistenze   quante    erano   lo 

-  152  -  D, 


n 


'□  FEDERICO   II  UT 

repubbliche  di  cui  toglieva  l'indipendenza,  impediva  l'azione 
spontanea.  Per  ottenerlo  fu  costretto  allearsi  alle  fazioni  più 
malevoli ,  ai  tiranni  più  atroci ,  alle  passioni  più  brutali,  e  con 
esse  osteggiar  i  frati,  i  cardinali  ,  i  santi. 

Realmente,  l'impronta  caratteristica  di  Federico  II  fu  l'av- 
versione ,  talor  dissimulata  ,  non  mai  deposta  ,  contro  la  santa 
sede,  la  cui  supremazia  considerava  fondata  sulla  credulità  dei 
popoli  e  suir  astuzia  dei  papi  ;  e  che  per  lui  era  una  tutrice 
incomoda,  una  potenza  rivale ,  una  superiorità  umiliante. 
L'  Itaha  credeva  egli  retaggio  proprio,  e  ad  un  principe  ita- 
liano scriveva ,  ogni  suo  sforzo  esser  diretto  a  sottomettere  la 
penisola,  rinserrata  fra' dominj  suoi,  e  renderla  parte  inte- 
grante dell'Impero,  come  il  regno  di  Gerusalemme,  eredità 
di  suo  figlio  Corrado  ,  come  la  Sicilia  eredità  di  sua  madre  ^K 
Non  dunque  la  Lombardia  soltanto  voleva  egli  sottomettere  , 
ma  anche  lo  Stato  della  Chiesa  ;  onde  al  papa  non  restava  che  o 
rifuggirsi  fra  stranieri,  o  piegarsi  ciecamente  agli  arbitrii  di 
un  padrone  che,  fatta  R,oma  sua  capitale,  renderebbe  il  papa 
suo  cappellano.  Se  una  potenza  debole,  ridotta  a  questi  estre- 
mi, ricorre  a  mezzi  d'  ogni  sorta,  cerca  armi  da  ogni  arse- 
nale, anche  quelle  che  lei  stessa  feriranno,  si  può  chieder- 
gliene conto  colle  regole  della  calma  prudenza  e  della  stretta 
giustizia  ? 

1  papi  volevano  costituirsi  vicarj  universali  della  potenza  di- 
vina non  meno  pel  temporale  che  per  lo  spirituale:  lo  vedem- 
mo. Ma  da  ciò  era  aliena  ogni  idea  di  governo  diretto  o  di 
possesso  materiale  ;  lasciavano  integro  ai  re  1'  esercizio  della 
loro  potenza;  solo  al  modo  feudale  se  ne  facevano  alti  signori, 
e  stabilivano  un  censo  a  prò  della  Chiesa,  dando  l'investitura, 


12  SiGOMO.  De  Rpfjno  llal.  I.  p.  8().  Nel  congresso  di  Piacenza,  Federico 
dicliiarò  voler  sollomellere  il  mezzo  dell' Ilalia.  Nec  enim  oh  alimi  crcdiinus  quod 
proriiJenlia  Salvaloris  sic  mafjnifice,  imo  miri/ice,  dirifjit  fjressus  noslros,  dum  ab 
orirntali  zona  refjnum  Ilirrosolì/mitanum ,  Conradi  clarissinii  nati  nostri  materna 
succcssio;  ac  deinde  regnimi  Siciliar^  praeclara  materna  nostrae  successionis  haereditas, 
et  praepotens  Germaniae  principatus  sic  nutu  coekslis  arbitrii ,  pacalis  undiquc  po- 
pulis,  sid)  devolione  nostri  nominis  perseverata  nisi  ut  illud  Ilaliac  medium ,  quod 
nostris  undiquc  tiribus  circumdatur^  ad  nostrae  serenitatis  obsequia  redeat,  et  im- 
perii unilatem. 


U 


—  153  — 


fe^ 


□  CAPITOLO    VII,  Q 


f 


13  Ep.  i(ii)  ap.  Haynaldi,  30. 


ricevendo  1'  omaggio ,  e  con    ciò    mettendo  freni  alle   violenze  / 

militari  :  volevano  francar  1'  Italia  dal  dominio  tedesco,  e  sta-  ( 

bilire  a  Roma  il  centro  d'una  potenza  moderatrice,  universale  ( 

quanto  la  Chiesa,  fonda,ta  sulla  pace,  sul  progresso,  sull'in- 
telligenza, esclusa  la  forza  brutale,  che  dominato  avea  final- 
lora il  mondo. 

Come  Innocenzo  III  volesse  attuare  questo  concetto  lo  in-  l 

dicammo  ;  né  intendiam  porci  con  coloro  i  quali ,  solo    perchè  | 

papa,  vogliono  giustificare  tutti  gli  atti  di  lui,  anche  quelli  a  \ 

cui  fu  trascinato  da  avvenimenti  più  forti  di  lui:  né    con  co-  { 

loro  i  quali  non  sanno  vedervi  se  non  ambizione  e  trascendenze  ^' 

di  potere,  nulla  tenendo  conto  dello  stato  della  societcà  e   del-  v 

r  opinion  pubblica.  Persone  zelatrici  del  potere  pontifizio  sep-  ( 
pero  disapprovarne  alcun  che;  la  Chiesa  non  lo  eresse  ail'onor  ^. 
degli  altari ,  come  tanti  suoi  predecessori  :  e  leggende  popo- 
lari raccontavano  che  santa  Lutgarda  in  visione  scòrse  l'anima  ^ 
di  lui  flagellata  da  un  demonio  finché  si  ricoverò  ai  piedi  di  ' 
una  croce,  ove  gridava  ai  fedeli  che  con  suffragi  gli  abbrevias- 
sero il  purgatorio. 

La  politica  di  esso  fu  seguita  da'  suoi  successori,  Ono- 
rio III,  regnato  dal  1216  al  1227,  mite  fra  due  papi  robusti , 
ai  principi  raccomandava  la  mansuetudine  sua  stessa:  e  scri- 
vendogli il  suo  nunzio  a  Costantinopoli  non  si  potrebbe  ricom- 
porre lo  scisma  greco  se  non  col  rigore  ,  esso  gli  proibì  d'  u- 
sarne  mai ,  non  dovendosi  tutelar  la  fede  che  colle  preghiere, 
r  istruzione,  il  buon  esempio  e  la  pazienza.  Eppure  esercitava 
estesissima  autorità;  riceveva  dalla  regina  Georgia  domande 
di  soccorsi  ed  informazioni  ;  intimò  ai  re  di  Francia  e  d'  In- 
ghilterra si  compromettessero  in  lui  per  le  loro  differenze  ; 
credeva  che  i  principi  non  dovessero  far  guerra  se  il  papa 
non  avesse  (hchiarato  poterlo  essi  senza  colpa  ;  udendo  che  in 
Prussia  e  in  Livonia  i  pagani  maltrattavano  gli  schiavi  e  le 
donne ,  scrisse  loro ,  e  spedi  raissionarj  proclamando  che  a  lui 
spettava  la  correzione  d'  ogni  peccato  ^^.  Sempre  sostenne  la 
elezione  dell'  impero  ;  e  ottenne  che    l' imperatore   e  i    confe- 


<  ^^   E-p.    H);>    ap.    HAYNALDI,    bO.  > 

[^  n  -  ...  -  dJ 

Eia ^. ^^^ 


i— b  GREGORIO   IX  U    '-j 

;         derati  Lombardi,  invece  di  venire  alle  armi,  compromettessero         ) 
j         in  esso  i  loro  litigi.  ) 

Gregorio  IX  succedutogli  si  fa  coronare  con  gran  suntuo- 1272  ì 
sita  d'oro  e  di  gemme;  il  giorno  di  Pasqua,  cantata  Messa  in  > 
Santa  Maria  ÌNlaggiore  ,  ne  ritornò  colla  corona  in  capo  ;  al  ^ 
lunedi  celebrò  in  San  Pietro  ,  e  ne  tornò  con  due  corone  ,  e 
a  cavallo  riccamente  bardato,  fra  splendilo  corteo  di  cardinali 
e  d'  innumerevole  clero,  per  le  vie  tappezzate  de'  più  ricchi 
l  tessuti  d'  Egitto,  de' più  gai  colori  delle  Indie,  e  tra  i  profumi 
/  d'Arabia.  Il  senatore  e  il  prefetto  di  Roma  reggeangli  alla  briglia 
{  il  cavallo;  giudici  e  uffiziali  procedevano  in  vesti  dorate  e  cappe  ^ 
di  seta;  Greci  ed  Ebrei  cantavangli  lodi  in  loro  favella;  un 
mondo  di  popolo  seguiva  con  palme  e  fiori ,  e  alternando  il  , 
Kirie  eleison:  e  tanto  fu  il  giubilo  dei  Romani,  che  tutti  crede-  | 
vano  dovessero  per  sempre  amarlo  e  riverirlo.  Pochi  mesi ,  e  ) 
l'avevano  cacciato  di  città.  ) 

Scrisse  egli  a  Federico  per  distorlo  dalla  guerra  di  Lom-  \ 
bardia  ;  rimettesse  in  lui  le  sue  ragioni ,  come  già  i  Lombardi  • 
aveano  fatto ,  indi  passasse  a  ricuperare  Gerusalemme ,  che  ) 
allora  era  ricaduta  agli  infedeli  *^  per  opera  del  gran  Sala-  ^ 
dino.  Federico  gli  rispose  difi"ondendosi  in  lamenti  contro  i  Lom-  (^ 
bardi;  lo  aiutasse  a  reprimere  quei  riottosi,  e  massime  i  Mila-  > 
nesi,  ridondanti  di  eretici,  contro  dei  quali  credeva  egli  espediente  ) 
il  crociarsi,  anziché  contro  gli  infedeli  15.  Contemporaneamente 
annunziava  ai  principi  di  Germania,  voler  lui  ricondurre  l'Italia 
air  unità  dell'  impero;  entrare  in  Lombardia  per  isradicarne 
r  eresia,  assodarvi  i  diritti  imperiali  ,  ristabilire  la  pace,  ren- 
der giustizia  a  tutti ,  perchè  tutti  potessero  passar  insieme  alla 
crociata  i6. 

La  crociata  dunque  era  per  lui  un  pretesto,  e  se  ne  va- 
leva principalmente  onde  rincarire  le  imposte  ;  e  poiché  il  papa 
insisteva  serianiente ,  egli  dovette  dargliene  nuova  promessa. 
Ma  del  risolversi  era  nulla;  onde,  vistolo  divagarsi  in  varie 
scuse  e  cercar  tempo  al  tempo,  il  papa  lo  pose  all'interdetto. 


^*  X.  Cji.  1,  ap.  Haynai-di,  30. 

1*  Matt.  Paris,  ad  123(}. 

^^  I'ktKI  de   VlNElS,  lilj.  cp.    I. 


nj 


1^. --^^^ 

rpj-'a  CAPITOLO  VII.  ^^n 

\         Allora  non  più  indugi,  non  più  ostacoli;    l'imperatore    fretta 
e  furia  aduna  un  piccolo  armamento;  va,  non  a   combattere, 
ma  a  trattare  coi  figli  di  Saladino  ,  osteggiantisi  fra  loro;  ot- 
tiene il  territorio  fra  Betlem  e  Geusalemme  ;  e  riceve  e  manda 
(         ricchi  doni  e  ripetute  ambasciate.  Il  patteggiare  coi  circoncisi 
\         parea  gran  colpa  quando  ancora  non  erasi  proclamato  1'  ateismo 
\         dello  Stato  ;  sicché  il  papa  lo  denunziò  a  tutta  cristianità  d"es- 
l         ser  andato  in  Palestina  malgrado  l' interdetto  ;  derogava  i  trat- 
^         tati  da  esso  conchiusi;  imponeva  ai  credenti  di  Terrasanta  non 
(         gli  obbedissero  e  schivassero   il    suo  consorzio:  intanto    gli  ri 
;         bellava  i  regni  in  Europa. 

(  Federico  in  una  circolare  ai  potentati  annoverava  le   arti 

i  con  cui  i  papi  avevano  cercato  sottomettere  alla  loro  supre- 
mi ,  mazia  l'Inghilterra,  il  contado  di  Tolosa,  altri  Stati:  e 
<  —  "Siedete  la  simonia ,  le  estorsioni ,  1'  usura  onde  impestano 
;  »  r  universo:  sanguisughe  insaziabili,  di  parola  dolce  come  il 
V  »  miele,  scorrevole  come  l'olio;  lupi  sotto  la  pelle  di  agnelli, 
l  »  I  loro  legati ,  investiti  della  podestà  di  scomunicare,  non  che 
I  »  di  spargere  la  divina  parola  e  farla  fruttificare,  cercano  solo 

(  »  rimpinzarsi  d'  oro  e  mietere  dove  non  seminato.  E  cotesti 
}  »  uomini  spregevoli,  imbastarditi,  gonfi  di  vana  scienza,  osano 
(  »  aspirare  a  posseder  regni  ed  imperi?  Quando  la  Chiesa  pri- 
»  mitiva  contava  ogni  giorno  qualche  nuovo  santo,  sua  gloria 
»  erano  le  semplicità  e  lo  spregio  delle  grandezze.  Oggi ,  ve- 
»  dendo  i  sacerdoti  insaziabili  di  ricchezze  ,  è  a  temere  che  le 
»  mura  del  tempio,  posate  su  tristi  fondamenti,  non  crollino. 
»  Tocca  ai  principi  della  terra  a  resistere  ad  attentati  ingiu- 
»  sti  quanto  pericolosi;  a  premunirsi  contro  tanta  avarizia  ed 
»  iniquità  ». 

Quella  lettera ,  non  indegna  di  Lutero  ,  fu  letta  dal  Cam- 
pidoglio al  popolo  romano  ,  sempre  gongolante  degli  schiaffi 
che  si  danno  ai  suoi  papi.  Federico  comprò  i  Frangipani  ed 
altri  gran  signori  di  Roma,  talché  il  popolo  susurrò,  poi  urlò, 
poi  corse  adosso  al  papa,  e  fra  ingiurie  lo  rincacciò  fino  a 
Viterbo;  ivi  pure  1' assalse  e  disertò  il  contorno;  e  a  faticali 
nonagenario  pontefice  potè  aver  un  ricovero  in  Perugia. 

Intanto  ,  mentre  il  re  di  Tunisi  ,  convertito  dai  Domeni- 
cani,  andava  a  Roma  per  farsi  battezzare.  Federico  lo  arre- 
sta ,  allegando  non    fosse    lecito  trarlo  al  cristianesimo    senza 

—  156  — 


Io  te  ne  mostrerò  la  maniera  »    e  si  diede  a  decapitare  i  Cori  più  alti. 

Cap.  V.  Pag  121, 


FEDERICO   SCOMUNICATO  D^T 

permissione  dello  zio;  dalle  chiese  dell'Italia  meridionale  sban- 
disce i  migliori  prelati  o  gli  uccide ,  e  non  soffre  si  nominino 
i  successori;  i  Saraceni  lascia  che  dirocchino  chiese,  e  coi  ma- 
teriali se  ne  fabbrichino  moschee  ;  per  Enzo  suo  figlio  pretende 
la  Sardegna  ,  dicendo  averla  perduta  1'  Imperio  in  tempi  sca- 
brosi,  ma  egli  aver  giurato  ritorla  dalla  supremazia  papale; 
ordina  supplizj  feroci  contro  i  frati ,  esosi  a  lui  come  ad  altri 
regnanti  i  Giacobini ,  poi  i  Liberali ,  poi  i  Socialisti. 

Lottando  con  una  potenza  che  non  può  colpirsi  colle  spade, 
si  lagnava,  come  poi  fece  Napoleone,  che  costoro  traessero 
a  sé  gli  spiriti ,  a  lui  abbandonando  i  corpi  ;  e  alle  stizze  dei 
S  deboli  associava  crudeltà  repugnanti  al  suo  carattere  ,  ma  col 
(  freddo  raziocinio  con  cui  i  robespieriani  mandavano  alla  ghi- 
/  gliottina  tante  migliaia  d'uomini  ,  rei  di  non  pensar  come  loro; 
i  e  ipocrita  e  sfacciato  a  vicenda  ,  minaccioso  e  sommesso  escla- 
)  mava  :  —  Pur  beati  gli  asiatici  potenti ,  che  non  lianno  a  te- 
)  »  mere  sollevazioni  di  sudditi ,  né  opposizioni  di  pontefici  !  i"^  » 
l  Tanto  r  amor  del  despotismo  lo  faceva  acuto  a  compren- 

ì         dere  qued  che,  sei  secoli     più  tardi,  alcuni,  non  innamorati, 
;         ma  drudi  della    libertà,    si  ostinano  a  non  capire;    il  divario 
)         fra  la  civiltà    antica  e  la  nuova  ,  1'  europea  e   1'  asiatica  ;  di- 
ì      ,  ciamolo  chiaro  ,  la  gentilesca  e  la  cristiana. 
j  Tsel  concetto  d'  allora  (serve  ancora  ripeterlo?)   e  papa  e 

j  imperatore  credeansi  necessari  all'  equilibrio  e  alla  libertà  ;  i 
Guelfi  stipulavano  le  loro  leghe  ,  salva  sempre  la  fedeltà  al- 
l' imperatore  ;  i  Ghibellini  cercavano  ogni  via  di  riconcihare 
colla  Chiesa  Federico.  Ma  questi  ,  rinnegata  l'opinione  comune 
ed  entrato  franco  nella  via  che  mena  o  a  ruina  la  libertà  dei 
popoli ,  0  alla  caduta  i  re  ,  sul  mare  sconfinato  delle  violenze 
dovette  appoggiarsi  ai  tiranni  e  ai  ribaldi,  in  capo  ai  quali 
mettiamo  Ezelino. 

Per  meglio  intendersi  con  questo  ,  Federico  venne   a  Pa- 1239 
dova  ,  traendo  Tedeschi,  Pugliesi,  Saraceni ,  l'arbareschi,  Greci, 
gran  corteo  di  nobili  cremonesi  e  gli  ambasciadori  di  tutte  le 


^7  È  nella  hibliotcca  di  Vienna  una  lettera  di  lui  a  suo  genero  Vatacc  inipe- 
rator  greco,  ove  dice:  0  felix  Asia!  0  felices  ovicntalium  potcstafes,  quae  subdilorum 
arma  non  metuni,  et  ad  imrnliones  ponfificum  non  acrentur!  ) 


U  CAPITOLO    "VII. 


1239 città,  sovra  superbe  cavalcature.  E  fu  ricevuto  con  solennis-  ' 
;genn.  sime  dimostrazioni  ;  Ezeliao  col  fior  de'  nobili  e  de'  cavalieri 
r  incontrò  :  echeggiavano  d'  ogni  parte  concerti  d'  istrumenti , 
graziose  donne  sovra  palafreni  a  pompa  bardati  facevano  mo- 
stra di  loro  bellezza  e  di  preziosi  ornamenti:  talché  l'impera- 
tore esclamò  che ,  quantunque  avesse  corso  il  mondo  la  parte 
sua ,  cosi  fiorente  ,  cosi  gentile  e  ben  costumata  nobiltà  non 
aveva  in  altra  regione  veduto.  Il  carroccio  addobbato  suntuo- 
samente  portava  sull'  antenna  la  bandiera  del  Comune,  croce 
rossa  in  campo  d'  argento  ,  la  quale  fu  presentata  a  Federico , 
dicendogli  :  — ■  Invittissimo  imperatore  ,  a  voi  il  suo  vessillo 
»  commette  la  fedelissima  vostra  comunità  di  Padova  ,  accioc- 
»  che  la  preserviate  in  giusto  e  pacifico  stato.  » 

Lungo  tempo  Federico  colla  donna  sua  rimase  in  Padova, 
alloggiati  nel  monastero  di  Santa  Giustina,  attendendo  a  darsi 
bel  tempo.  Raccoglieva  gente  a  splendidi  balli  o  a  caccie  rumo- 
rose ,  per  le  quali  ,  oltre  le  mude  de'  cani  e  dei  falconi  suoi,  < 
aveva  fatto  venire  dai  serragli  di  Lucerà  dei  Leopardi  ,  edu-  < 
cati  a  star  in  groppa  al  cacciatore,  che  al  momento  oppor- 
tuno li  lanciava  sopra  la  selvaggina  i^. 

La  cortesia  naturale  dell'imperatore,  la  sua  liberalità, 
r  aver  sospeso  colla  sola  presenza  le  immanità  di  Ezelino,  lo 
faceano  caro  ai  Padovani  ,  che  in  ogni  miglior  modo  lo  festeg- 
giavano. Singolarmente  la  domenica  delle  palme  soleva  ogni 
anno  radunarsi  in  tripudio  sul  prato  della  Valle;  e  Federico 
v'  intervenne  ;  Pier  dalle  Vigne  recitò  un'  orazione  ,  ove  (so- 
liti argomenti)  lodava  la  ì)ontà  dell'  Imperatore  e  la  fedeltà 
dei  Padovani  ,  e  gli  esortava  a  serbarla;  non  verrebbero  loro 
meno  le  grazie  di  lui.  ■ 

Il  giorno  di  Pasqua  ,    nel  duomo  (fabbrica  da  poco   inco-         ) 
minciata) ,  Federico  assistette  alla  messa  solenne  col   diadema         : 
in  capo  ;    atti    piacenti    al  popolo  ,  ingordo  di  spettacoli   e  di 
poter  dire  lo  vidi.  \ 

Fra  ciò  non  si  trascuravano  gli  affari.  E  un  giorno   Eze-         l 
lino  il  condusse  alla  ròcca  di  ÌMonselice,  cosi  detta  dalle  pietre 
onde  fu  fal)bricata    sin    prima  dei   Longobardi,   al   cui  furore         v 


18  RoL.\NDiNo,  I.  IV,  e.  9   Questo  genere  di  caccia  e  tiiltora  usato  in  Porsia. 


-  158  -  D^ 


FEDERICO    SCOMUNICATO  U    1—, 


ì 


il  gran  cancelliere  spiegò  le  lodi  di  Federico,  signor  cortese, 


ristette,  e  dove  i  Padovani  avevano  contro  questi  invasori  cer-  ( 
cato  riparo.  Da  quella  deliziosa  altura  Ezelino  mostrava  al-  j 
r  imperatore  la  bellezza  dei  colli  digradanti  e  dei  piani  sotto-  j 
posti ,  dov'  erano  i  tenimenti  e  i  castelli  del  marchese  d'Este,  ^ 
e  —  Finché  quelli  stiano  in  potere  di  si  gran  nemico  vostro ,  ) 
»  mai  non  si  speri  pace  nella  Marca  ».  ) 

j  Questa  palla  Ezelino  batteva  ogni  qualvolta  gli  venisse  al         J 

balzo  ,  insinuando  all'  imperatore  che  deve  colpire  il   capo  chi 
voglia  vincere  agevolmente  il  corpo.  Ma  allo  Svevo  ,    comun- 
]         que  avversissimo  agli  Estensi,  d'un  ceppo  coi  Guelfi  suoi  emuli 
)         in  Germania,  non  ancora  sembrava  tempo  a  un  colpo  si  grave  ;  ; 

(  che  anzi  con  salvacondotto  chiamò  Azzo  d'  Este  alla  corte,  e 
(  umanamente  lo  trattò  ,  come  pure  richiamò  in  patria  alcuni , 
j  fuggiti  per  ispavento  d'  Ezelino  ,  sei)bene  non  desse  ascolto  ai 
s         costoro  richiami  contro  il  tiranno. 

Azzo  d'Este  giovavasi  di  quel  soggiorno  per  saldar  nella  ' 

fede  i  suoi  devoti;  Ezelino,  messe  buone  spie,  teneva  nota  di 
{         coloro  che  bazzicassero  il  Marchese;  vittime  designate. 
/  Ma  nel  meglio  delle  feste,  ecco  arriva  che  il  santo  padre,         ( 

j         nel  giovedì  santo  ,  in  quel  giorno  ove  la  Chiesa   rammenta    il         ) 
l         perdono  concesso  da  Cristo  a'  suoi  traditori ,  avea  pronunciato 
j         la  grande   scomunica    contro    Federico;  lui  scaduto  al  trono;         ^ 
)         assolti  i  sudditi  dal  giuramento,  e  incorati  a  ribellarsi  contro 
/         il  ribelle  del  Signore  ,  e  condannati  con    esso  quanti   gli  pre- 
j         stassero  servigio. 

(  Se  Federico  poco  temeva  le  maledizioni  del  papa,  temeva 

;         le  conseguenze  di  esse  sovra  i   popoli    credenti;    e    presentiva 
\         come  guastassero  i  suoi  divisamenti  sull'acquistar  tutta  Italia 
)         e  sul  rendere  ereditario  l' Impero.  Fece  dunque    da  Pier  dalle 
Vigne  stendere  un  memoriale  di  giustificazioni,  le  quali  doveano 
(         essere  di  gran  peso  per  coloro  che  voleano  trovarlo  innocente, 
e  lo  spedi  a  tutte  le  Corti  d'Europa:  indi  a  Padova,  congregato  ' 
il  popolo  nel  pubblico  palazzo,  lece  da  esso  Pier  recitare  un'o- 
razione. Mella  quale,  presi  por  testo  que'  versi  d'Ovidio, 

Leniter  ex  merito  quidqiiid  jmiiare  ferenduni  est: 
quae  venit  immeriio  poma  dolenda  venit. 


(-  11  gran  cancelliere  spiego  m  locii  (ii  r euuiiuu ,   siguui    ujritsso  ,  . 

%u             ■                  '       -  ■^»  -  ni 

[3]l=K- -„— .  ^^^j|€] 


CAPITOLO   VII. 


f° 


amatore  della  giustizia,  più  grande  di  quanti  imperarono  da 
Carlomagno  in  poi;  troppo  avere  di  che  lamentarsi  dell'esor- 
bitanze della  Chiesa  verso  di  lui:  i  rigori  della  quale  avrebbe 
di  buon  cuore  sostenuti  se  meritati  fossero,  siccome  invece 
erano  tirannici  ed  iniqui.  Oh  come  mai  il  papa  osava  senten- 
ziare un  sì  gran  principe,  né  convinto,  né  confesso  !  Eppure 
fedelmente  egli  militò  per  Cristo  Gesìi,  avventurando  il  capo 
a  tanti  pericoli  in  Asia,  mentre  il  papa  a  lui  assente  scavava 
il  precipizio.  Or  mostri  il  pontefice  d'aver  mai  operato  altret- 
tanto a  prò  della  religione,  o  d'essere  stato  a  così  iniqua  misura 
rimeritato.  Del  resto  l'Imperatore  essere  leale  cristiano,  pronto 
di  cuore  a  sottoporsi  ai  decreti  della  giustizia  divina,  ma  non 
al  capriccio  d'un  uomo. 

Il  popolo  ascoltò  la  diceria  in  quel  silenzio  ch'è  la  lezione 
dei  re;  i  signori  mostravano  vacillare:  onde  Federico  raddoppiò 
di  zelo  per  assicurarsi  le  piazze  forti  tra  l'Adige  e  il  Taglia- 
mente  ;  moltiplicò  di  cortesie,  e  girando  per  la  Marca,  rassettò 
discordie,  rimise  in  libertà  alcuni  imprigionati  da  Ezelino,  e  il 
famoso  fra  Giordano,  patto  non  mettesse  piede  in  Padova, 
talmente  ne  era  paventata  l'inerme  potenza.  Nei  castelli  del- 
l'Estense pose  guarnigione  di  suoi,  e  volle  che  in  ostaggio  gli 
desse  il  fìgliuol  suo  principe  Rinaldo,  che  inviò  nella  Puglia. 
Era  questi  sposato  con  Adelaide  figlia  di  Alberico  da  Romano: 
la  quale  non  volle  abbandonare  il  marito,  ma  dividerne  l'esilio, 
per  far  vergogna  a  qualche  moderna  ^^. 

L'affronto  spiacque  al  Marchese:  spiacquegli  il  vedere  tutti 
i  campioni  di  sua  parte  qua  e  là  sparpagliati,  e  il  dover  cam- 
peggiare a  guasto  della  libertà  italiana  e  della  propria  fazione, 
sicché  spiava  il  destro  di  abbassare  la  visiera  contro  gì'  im- 
periali. Mentre,  in  adempimento  dell'obbligo  feudale,  veniva 
con  cento  cavalli  al  campo,  scontrò  per  via  Ezelino,  che  con 
una  ventina  di  cavalli  moveva  a  Cittadella;  ambedue  preceduti 
dall'aquila  sulle  bandiere.  Tutti  prevedevano  un' abbaruffata, 
ma  avendo  il  signor  Azzo  mandato  pregar  Ezelino  che    si  ri- 


19  Adelaide,  nella  fortezza  di  Gifon,  era  servila  da  un  eunuco  e  da  alquante 
donne;  ma  le  si  lasciaTano  mancare  i  denari  e  fin  il  vestito.  Intellcximus  quod 
non  recepii  expensas,  et  eliam  indir/el  indumenti!!.  —  Rerjestum  Frid.  p.  275. 


—  ICO  — 


-Q  FEDERICO    SCOMUNICATO 


r 


traesse  a  destra  od  a  sinistra,  questi  lo  fece,  e  cosi  nulla  seguì. 
Azzo  si  congiunse  all'  imperatore,  ma  sempre  in  occhio.  Or, 
mentre  facevano  marcia  sopra  Sambonifazio,  un  cortigiano,  per 
cenni,  gli  fece  intendere  si  trattasse  di  tagliargli  la  testa.  Vero 
0  no  la  cosa  e  il  segno,  questi,  senza  farselo  dir  due  volte, 
die  di  sprone,  e  co'  suoi  riparossi  nel  castello  di  Sambonifazio; 
né  per  promettere,  volle  più  uscirne  o  seguitare  l'imperatore. 
Diserzione  importante  era  stata  pure  quella  d'Alberico  da 
Romano.  Ne  fu  veduto  come  stesse  costui  in  broncio  col  fra- 
tello, e  ne  temesse  ogni  male.  Or  vedendo  il  genero  e  la  figlia 
sua  mandati  ostaggi  fin  nella  Puglia,  sospettò  che  da  Ezelino 
venisse  tale  consiglio,  per  ferir  lui  nella  parte  più  delicata  del 
cuore;  onde,  voltata  bandiera,  si  dichiarò  contro  l'imperatore 
e,  unito  ai  signori  di  Camino,  occupò  Treviso  prendendo  la 
guarnigione  imperiale;  e  da  quel  punto  per  diciasette  anni 
avversò  costantemente  ad  Ezelino  e  alla  divisa  ghibellina. 
L' imperatore,  mosso  a  castigare  i  due  ribelli ,  sulle  terre 
d'Alberico  portò  il  guasto  e  l'incendio:  fé  prigioni  quanti 
fautori  del  marchese  aveva  nell'esercito,  fortificò  Verona,  alla 
città  di  Padova  fé  rilasciare  un  documento  in  tutte  le  forme 
ove  le  donava  Treviso  con  tutto  il  territorio  alla  destra  del 
Sile,  documento  valevole  come  le  investiture  dei  beni  d'Arcadia 
che  sogliono  darsi  a  noi  poeti|;  e  in  un  severissimo  bando 
diceva  : 

• — •  Ambi  i  diritti  confessano  ed  approvano  che  ogni  uomo 
>■>  deve  sottostare  all'imperatore  dei  Romani,  il  quale  colla 
»  spada  temporale  meritò  la  monarchia  del  mondo  :  e  come  le 
»  membra  al  capo,  i  figliuoli  al  padre,  gli  umili  servi  al  padrone, 
»  ragion  vuole  che  gli  si  obbedisca  in  ogni  cosa  devotamente 
»  e  fedelmente.  Onde  chi,  scosso  il  giogo  della  devozione  e 
»  dell'obbedienza,  presume  alzare  orgogliosa  la  cervice,  cospi- 
»  rando  a  danno  della  corona,  provi  il  rigore  della  sentenza 
»  e  gli  effetti,  talché  della  scellerata  presunzione  con  perenne 
»  penitenza  colga  dolor  sommo,  ed  agli  altri  sia  di  terrore. 
Perciò  l'imperatore  Federico,  ecc.,  radunata  a  suon  di 
»  campane  e  a  voce  di  banditore  l'adunanza,  da  Pier  dalle 
»  Vigne  suo  giudice,  stante  a  cavallo,  fé  citare  uno  ad  uno 
»  tutti  i  ribelli  (qui  sono  nominati);  e  non  essendo  comparsi 
»  all'intimata,  ordina  che  ogni  loro  vassallo  e  servo  rimanga 

—  161  — 


» 


Li  CAPITOLO    YII. 


»  sciolto  dal  dovere  di  obbedienza,  dichiara  traditori  i  figli 
»  loTo  e  seguaci,  li  priva  d'ogni  onore,  dominio,  giurisdizione, 
;>    »  e  ne  chiama  al  fìsco  i  beni  feudali  20  », 

giugno  Mentre  Federico  seguitava  desolando  il  territorio ,  per 
tre  ore  oscurò  il  sole  in  guisa  da  vedersi  le  stelle:  eclissi 
famoso,  veduto  anche  in  Asia  e  in  Africa  -1.  I  vulgari  lo  giu- 
dicarono gran  pronostico  di  novità  imminenti  ;  e  l' imperatore 
istesso,  molto  corrivo  nell'astrologia,  si  distolse  dall'  impresa. 
Ma  più  che  l'eclissi  ne  l'avrà  distolto  lo  scorgere  come,  dietro 
all'esempio  del  Marchese  e  d'Alberico,  ogni  di  gli  crescessero 
ribelH,  e  come  la  scomunica  papale  avesse  prodotto  l'effetto 
di  sollevargli  contro  Bolognesi  e  Parmigiani,  che  coi  Veneziani 
entrarono  in  Ravenna,  il  che  dava  grande  appoggio  alla  in- 
surrezione della  Romagna,  e  metteva  in  pericolo  fin  la  Sicilia. 
Fermò  dunque  di  voltarsi  in  Lombardia,  dopo  munite  le  chiuse 
dell'Adige  per  assicurarsi  i  rinforzi  di  Germania,  lasciando  da 
quelle  parti  signore  e  despota  Ezelino.  E  in  Lombardia  pose  a 
prova  la  costanza  della  rinnovata  Lega  Lombarda  con  una  di 

/         quelle  guerre  che  la  libertà  può  registrare  tra  i  suoi  fasti. 

[  Al  partire  di  lui,  risórse  il  cuore  ai   Guelfi   della   Marca: 

e  Azzo  marchese  ricuperò  Este  ed  altri  luoghi,  e  tornò  in  fiore 


20  Codice  Eccliiiinno.  N.  152. 

^1  Fra  i  mollissinii  ricordi  di  tale  eclissi  leviamo  questi  versi   dairobiliiario 
della  chiesa  di  Siena. 

Anni  lerdeni  bis  ccntnm  millo  noveni 
Clirisli  currebant,  qui  tempora  lassa  gerebaiif, 
quando  pallescit  sol  aurcus  ulque  nigrescit,  . 
in  medio  Phoebus  fil  pallidus  undiqne  rebus, 
in  umbra  tolus  stai  sol  a  luce  remotus. 
Res  obfnscanlur,  stellac  coelo  numeranUir. 
Fulmina  manscre,  rivi  cursum  lenuere, 
ut,  numero  multi  firmarent  roi)ore  fulti, 
lil  genus  Immanum  re  mira  si  bene  sanuni. 
Junius  intrabal  qui  terlia  luce  im'cabat; 
sexta  die  data  sunt  baee  lam  mira  parata: 
Roniae  miratus  stat  Gregorius  calliedratus. 
Ensem  vibrabat,  Lombardis  bella  parabat 
Pallade  rolaius  Federicus  sorte  beatus, 
dogmate  luslratus  jìnnceps,  probilate  probatiis. 

Il 


fEnj^-. 


U  FEDERICO   SCOMUNICATO  □    ' 

il 


^ 


la  parte  sua.  0  veramente  alcuni,  incorati  dai  prosperi  suc- 
cessi, macchinassero  a  salvamento  della  patria,  oppure  volesse 
Ezelino  il  solito  pretesto  di  vendicarsi  del  marchese  coll'ofFen- 
derne  i  favoriti,  diede  voce  d'avere  scoperto  in  Padova  una 
congiura  per  ammazzare  lui  e  dare  la  città  ai  Guelfi.  Padova 
fu  orrida  di  patiboli  :  signori  dei  primi,  donne,  sacerdoti,  ven- 
nero decollati,  impresi,  arsi  vivi. 

Intanto  i  nemici  dell'  imperatore,  molti  e  rigogliosi,  volendo 
fare  una  diversione  a  lui  che  minacciava   Roma,  e  per  mezzo 
del  Po  ristabilir  le  relazioni  di  commercio   e  di  corrispondenza 
fra  la  Marca  e  la  Romagna,  avevano  posto  assedio  a  Ferrara, 
città  tiranneggiata  da  SalingueiTa  Torello  cognato  di  Ezelino, 
intrepido  ottagenario,  che  munivasi    di    ottocento    Tedeschi    e 
molti  assoldati.  Contro    lui    accamparono    i   Lombardi,    nemici 
)         al  nemico  di  loro  franchigie,  i  Bolognesi,  i  Mantovani  guidati 
)         dal  conte  Rizzardo  di  Sambonifazio:  v'erano- il  Marchese,  v'era 
;'         Alberico,    e    i    signori  di   Camino  e   Pregorio   di    JMontelungo, 
)         legato  del  papa.  I  ^'eneziani.  irritati    co'ìitro    l'imperatore    da 
(         che  questi,  preso  alla  battaglia  di  Cortenova  un   loro    concit-  1240 
tadino  Pietro  Ti  epolo  podestà  di  Milano,  l'aveva  mandato  alle 
forche,  venivano  anch'essi  in  arme    guidati    dal    doge    Jacopo    2 
Tiepolo,  padre  dello  ucciso,  ed  aiutarono  efficacemente  l'impresa  f<^^^i*- 
con  grosse  torri  condotte  pel  Po. 

Per  profittare  della  lontananza  de'  capi,  0  constringerli  a 
torsi  giù  dall'impresa.  Ezelino  guastò  le  terre  del  fratello, 
prese  anche  Passano,  corse  fin  oltre  il  Piave,  distrusse  Nar- 
vesa,  nel  mentre  che  Padovani  e  Veronesi  malmenavano  le 
terre  del  marchese:  ma  non  per  questo  ritrasse  i  collegati. 
Che  anzi  Salinguerra,  malgrado  l'estremo  valore,  dovette  ca-  > 
pitolare,  e  avuta  sicurezza  della  persona,  entrò  nel  campo  ( 
nemico.  Qui  ben  tosto  venne  messo  in  ferri,  e  il  legato  pon-  ) 
tifizio  tolse  gli  scrupoli,  persuadendo  al  marchese  che,  «  calcato 
»  l'onesto  ed  il  giuramento,  abbracciasse  quel  che  meglio 
»  tornava  a  suo  conto  »,  cioè,  s'impadronisse  della  città,  esclu- 
dendone l'altro  ■'^2.    Il  vecchio   guerriero  fu  dunque  portato    a 


'^-  lìicii.  nAi.iHS  in  Siniimar.  llcntm  Ilal.  Sriipl.  T.  IX. 


Venezia,  ove  sopravisse  quattro  anni  in  carcere;  Giacomo  To- 
rello fìgliuol  suo,  riavuta  la  libertà,  ricoverò  alla  corte  di  Ezelino, 
e  da  una  guerra  in  nome  della  libertà,  Ferrara  non  vide  che 
consolidata  la  dominazione  principesca. 

Il  marchese,  mentre  avea  l'aura  destra,  credette  fare  buon 
colpo  sopra  il  Padovano,  ma  n'ebbe  gran  mercè  a  campare 
salvo  dalle  armi  d'Ezelino  e  dei  Saraceni.  Ezelino  poi,  infellonito 
dal  prosperar  dei  nemici,  cresce  in  crudeltà;  tenta  levare  di 
mezzo  il  nipote  Guglielmo  da  Camposampiero,  quel  desso  che, 
fanciullo  ancora,  era  stato  preso  nel  castello  di  Fonte,  e  che 
mostrava  non  avere  dimentico  lo  sterminio  de'  suoi:  e  fallitogli 
il  tentativo,  fa  coglierne  i  parenti,  e  chiusili  in  una  torre  e 
chiavatone  l'uscio,  ivi  li  lascia  morir  di  fame,  dopo  che  per 
trenta  giorni  ebbero  gridato.  Altri  fa  scannare  in  Vicenza  come 
{  rei  d'intelligenze  a  favor  d'Alberico:  altri  in  Verona  per  avere 
(  tramato  col  vescovo.  Zugno  campione  virtuoso  esclamò  :  —  Perdio, 
l  »  noi  dovremmo  avventarci  all'armi,  né  lasciare  cosi  vilmente 
{  »  incarcerare  i  nostri  magnati  »  :  inteso  fu  arrestato  ed  ucciso , 
)         esempio  ai  prfeidi  di  fare,  non  dire. 

agosto  Restava  Giacomo  da  Carrara,  quello  che  dicemmo  rimesso 

(  in  libertà  sotto  promessa  di  star  fedele,  e  che  poi  era  sfuggito 
^  alle  insidie  di  Federico.  Aveva  esso  munito  il  suo  castello 
(  d'Agno;  ma  per  ordine  d'Ezelino  assalito  dal  podestà  di  Padova, 
l  benché  opponesse  il  coraggio  della  disperazione,  fu  ridotto  alle 
(  1240 strette;  né  guari  poi  in  una  sortita  valorosissimamente  com- 
'  battendo,  circondato  dai  nemici,  cadde  in  loro  potere.  Dall'alto 
/  della  torre  vedono  l'orribile  caso  le  signore  carraresi;  e  per 
{  sottrarsi  al  furore  de'  nemici,  risolvono  tentare  la  fuga.  Rac- 
ì  colti  in  una  navicella  gli  arredi  più  preziosi  e  cari,  esse  pure 
i  vi  si  riducono,  e  vogano  sul  laghetto  eh' è  là  dietro  il  castello. 
]  Ma  il  legno  non  regge  al  soverchio  peso:  e  tutte  miseramente 
affogano.  Il  lago  è  detto  ancora  delle  cloìme.  Giacomo,  imba- 
vagliato in  una  cappa  nera,  come  solevansi  i  nobili  ribelli, 
perde  la  testa  in  Padova,  ed  Ezelino  respira  del  vedersi  tolto 
un  nemico,  del  quale  aveva  tanto  odio  o  paura  che  poco  prima 
aveva  fatto  appiccare  diciotto  persone  solo  per  averle  vedute  ) 
favellare  con  esso.  ( 

La  medesima  cappa,  il  medesimo  supplizio  tocca    ad    Av-         ^ 
veduto    degli    Avvocati ,    cugino    di    Giacomo.    Assediato  nel 


-  ifii  _  q. 


É 


AppogiaraBsi  grinqrntjitori  a  àtcrrìi  no^  dei  fili-  ma  di  imperatori. 

Cap.  vii.  rag.  i9o. 


CRUDELTÀ   DI   EZELINO 


r 


castello  di  Brenta,  ridotto  agli  estremi,  abbandonato  da  ognuno, 
in  tutto  punto  d'armi  si  scaglia  per  perduto  tra  le  file:  le  pone 
a  scompiglio,  sbaratta  venticinque  Tedeschi  serratisigli  alle 
spalle:  infine  cascatogli  morto  il  cavallo,  egli  rimane  prigioniero. 
Altri  castelli  cedono  ad  Ezelino,  che  segnala  le  vittorie  con 
sempre  nuove  crudeltà. 

In  questo  mezzo  Federico,  non  essendo  riuscito  a  prender 
Milano,  come  gliene  davano  lusinga  le  intelligenze  coi  Ghibellini, 
e  trovando  fra  sé  e  quella  città  le  diffuse  acque  dei  prati  e  il 
petto  de'  risoluti,  difìlavasi  sopra  a  Roma  per  rimettere  senno 
al  santo  padre,  che  v'era  stato  ricondotto  dal  popolo.  Il  papa, 
intima  pubbliche  supplicazioni;  e  un  giorno  prefisso  reca  in 
processione  per  Roma  le  teste  dei  santi  Apostoli.  Accorreva 
il  popolo  devoto,  commosso;  esagerava  la  gravezza  del  pericolo, 
e  ne  traeva  entusiasmo  per  avventarsi  nelle  armi,  con  tal 
risoluta  bravura  che  Federico  stimò  conveniente  il  dar  volta; 
e  per  vendetta  bersagliava  principalmente  monasteri  e  chiese. 
Ordinò  pene  severissime  contro  i  monaci  che  eccitavano  il 
popolo  contro  di  lui:  —  Tu  c'informi  (scriveva  al  giustiziere 
dell'Abruzzo)  che,  per  castigare  la  perfidia  degli  abitanti  di 
»  Sant'Angelo,  ne  festi  distrugger  le  mura,  bruciare  le  case  ; 
»  e  dopo  condannati  i  principali  alla  forca  o  alla  mutilazione 
»  delle  mani,  gli  altri  disperdesti.  Ben  fatto!  è  nostra  volontà 
»  che  questo  focolajo  di  discordia  rimanga  per  sempre  de- 
»  serto  23  » ,  Scoperta  o  inventata  una  trama  de'  signori  prin- 
cipali, li  mutilò  atrocemente  e  li  pose  ai  supplizj  più  raffinati, 
tra  cui  son  noti,  pel  verso  di  Dante,  le  cappe  di  piombo  in- 
focate. A  chiunque  fosse  còlto  col  segno  della  croce,  era  fatta  1240 
una  croce  sul  capo  col  ferro  rovente;  tronche  le  mani  a  chiunque 
portasse  lettera  ai  papalini;  cosi  egli  esponeva  a  spettacolo  al 
popolo,  e  anche  proponevasi  di  mandarli  alle  principali  corti, 
marchiati  dell'impronta  pontifizia,  volendo  far  credere  che 
tutto  venisse  da  istigazione  del  papa.  Di  rimpatto  il  papa  fé 
torturare  e  convincer  due  uomini  spediti  da  Federico  per  as- 


(  23  Lettera  del  14  dicembre  1259.  Pur  troppo  negli  anni   correnti  ci  tocca 

'  udire  e  vedere,  non  solo  rerocic  simili,  ma  l'approvazione  datavi  dalle  autorità  e 

\  dai  pretesi  organi  delfopinione.  > 

|^__: — ^ 

Cantù  —  Lzelino.  11 


sassinarlo,  poi  due  cavalieri  deposero    che   quaranta    lor    pari 
aveauo  giurato  la  morte  di  esso. 

De' misfatti    più    orrendi    come    de' più  incredibili  soleano" 
dunque,  allora  come  adesso,  incriminarsi  a  vicenda  i  partiti. 

Agli  storici  sentimentalisti  che  accusano  il  papa  di  non 
aver  lasciato  Federico  conquistare  tutta  l' Italia  (quegli  storici 
forse  che  a  sazietà  declamano  contro  la  dominazione  forestiera 
e  inneggiano  la  Lega  Lombarda)  noi  ricorderemo  questi  fatti, 
e  una  lettera  di  Federico  al  re  d'Inghilterra,  ove  vantavasi 
di  tener  in  carcere  diecimila  ribelli  ^4. 

Per  tornare  a  soggezione  la  Romagna,  pose  assedio  a 
Faenza,  una  delle  imprese  più  ricordate  di  quei  di;  e  vi  si 
ostinò  sino  ad  impegnare  per  far  denaro  le  gioie,  i  vasellami, 
gli  argenti,  e  battere  moneta  di  cuoio  25,  più  di  tutti  Ezelino 


24  Ultra  deccm  milia  mptos,  Tetri  de  Vineis,  1.  XI,  ep.  10. 
21*  Non  è  superfluo  l'esaminare  di  che  fornimenti  s'appareccliiasse  quella  cfucrra, 
in  tempo  die  scarsissimo  era  il  contante.  I  Milanesi  misero  fuori  cedole  di  banco 
con  cui  poteasi  pagar  le  multe  ;  nessuno  creditore  era  obbligato  riceverle  in  pa- 
gamento, ma  il  debitore  non  andava  soggetto  a  sequestro  se  n'avesse  tante  da 
soddisfarlo.  Per  ritirarle  poi  di  corso,  si  catastarono  le  rendite,  sulle  quali  si  stabili 
una  tassa  che  in  otto  anni  rimborsò  quel  debito. 
S  Un  bel  sisteraa  d'imposte  aveva  introdotto  Federico  nella  Sicilia,   ma  le  in- 

\  cessanti  guerre  lo  obbligarono  a  spedienti  rovinosi,  quali  appaiono  dalle  sue  lettere 

di  questi  due  anni,  esistenti  nell'archivio  di  Napoli.  Ordinò  una  colletta  generale; 
pose  gravi  contribuzioni  sui  beni  degli  ecclesiastici  ;  fece  amministrare  da  economi 
/  regj  le  badie  e  i  vescovadi  vacanti  ;  chiedeva  ogni  tratto  tutto  il  denaro  che  fosse 

<  entrato  nelle  casse  regie,  lasciando  cosi  a  scoperto  le  spese  cui  era  destinato,   e 

\  persino  il  vestir  e  nutrire   Rinaldo  d'Este  e  re  Enrico.   Una  volta  comandò  a! 

^  giustiziere  di  Terra  di  Bari  di  portargli  tutto  il  denaro  dell'  imposta.  Questi  venne 

(J  con  sole  onzi^  500,  che  sarebliero   jtoco   più  di  51,500  lire.   Federico  sdegnato 

\  volea  farlo  precipilar  dalle  nuira,  poi  s'acconleniò  di  destituirlo,   surrogandogli   il 

j  Saracino  Raalcli;  e  ai  tassati  ordinò  fi'a   ipiindici    giorni   soddisfacessero,   pena  la 

'  galera  (Matteo  di  Giovenazzo,   Diurnali^  §  44).  Cogli  assurdi  provedimenti  che 

ancor  non  si  sono  disimparati,  uvea  proibito  dar  a  prestito,  esclusi  gli  Ebrei,  e 
^  limitato  l' interesse  al  dieci  per  cento.  Or  egli  tolse  a  prestanza  fin  al  tre  per  cento 

-;  al    mese:  poi  mancandogli  i  fondi  alla  scadenza,    pagava  il  quarto  e  il  quinto 

\  d'aggiunta.  Avendo  preso  per  tre  mesi  da  diversi   mercanti    7863   onze  d'oro   al 

;  tre  e  fin  al  cinque  per  cento,  e  non  avendo  come  restituirli,  l' interesse  fu  capi- 

(  talizzato,  crescendo  cosi  a  11,605  onze,  che  sarebbero   734,000  franchi.   Queste 

somme  erano  contate  in  valuta  di  Venezia,  sulla  quale  i   mercanti   guadagnavano 
/  ancora    pel    giro   del    cambio.   All'assedio   di    Faenza  non  solo  fuse  tutto  il  suo 

(  vasellame,  e  impegnò  le  gioie,  ma  battè  una  moneta  di  cuoio,  avente  da  una  parte 

':  un  chiodetto  d'argento,  dall'altra  l'elììgic,  dell'  imperatore,  e  dovea  valere  un  ago- 

\  staro  d'oro,  colla  promessa  di  cambiarla  in  moneta  buona,  come  fece. 

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CATTURA    DE    CARDINALI 


stava  intentissimo  al  fine  di  essa  guerra,  allorché  dall' impera- 
dore  ricevette  una  lettera  cosi  concepita  : 

—  Benché,  diffidando  per  la  coscienza  de' proprj  torti, 
»  Faenza  avesse  differito  a  sottomettersi  ai  nostri  ordini  ed 
»  opposta  si  fosse  alle  forze  nostre,  giovata  dal  rigore  della 
»  vernata,  ora  essendo  rimprimaverato  e  scassinate  le  mura 
»  e  le  difese  della  città,  aperte  mine  sotterranee,  avendo  guerra 
»  dentro  e  di  fuori,  talché  i  cittadini  dovevano  opporre  i  corpi 
»  innanzi  alle  mura  tempestate  dalle  nostre  macchine;  cono- 
»  scendo  imminente  lo  sterminio,  tutta  la  città  si  converse  ad 
»  implorare  la  nostra  benignità.  Ai  gemiti  loro  si  piegò  l'animo 
»  nostro  e  fu  indotto  a  misericordia:  poiché  rassegnarono  alla 
»  nostra  discrezione  i  beni  e  le  persone,  giurando  fedeltà  ed 
»  abiurando  il  mal  operato,  noi  li  ricevemmo  benignamente 
»  nella  grazia  nostra.  Gloriosa  vendetta  reputiamo  il  perdonare 
»  quando  si  potrebbe  punire;  e  scriviamo  come  vittoria  il  fare 
X»  che  i  sudditi  nulla  trovino  più  soave,  più  giusto  che  l'aver 
»  ripreso  il  giogo  dell'impero.  Né  l'impero  é  amico  della  strage 
»  od  aspira  a  versare  sangue;   anzi  cingono   il   trono    miseri- 


Per  regola  le  truppe  non  avevano  soldo,  onde  quello  variavasi  a  nornaa  delle 
circostanze.  Federico  II  dava  da  tre  a  cinque  tari  il  mese  ai  pedoni  e  il  vivere:  un 
cavaliere  riceveva  tre  once  d'oro,  coll'obbligo  di  provvedersi  uno  scudiere,  un 
valletto,  cavalli  ed  armi  {Ilef/esiuin  Fridcrici  cditum  a  Carcani;  p.  312  e  4t)9). 
1/onza  d'oro  allora  dividevasi  in  trenta  tari;  quella  valeva  L.  63.50,  questi  L.  2.11: 
onde  il  medio  d'ini  pedone  ora  L.  8.  44,  d'un  cavaliere  L.  190,  e  il  valore  sta 
al  quintuplo  dell'odierno. 

Le  rendite  del  papa  consistevano  nelle  regalie,  e  in  un  tanto  per  fuoco  che 
pngavasi  dai  Comuni  di  dominio  diretto.  Questo  era  di  nove  denari  ogni  Cumante, 
eccettuati  ecclesiastici,  miliii,  giudici,  avvocali,  notai  e  chi  non  avesse  alcuna 
liroprietà  tassabili'.  I  Comuni  però  solcano  ridurla  a  un  tanto  fìsso,  che  era  per 
Fermo,  Pesaro,  Camerino  di  cinquanta  libbre  d'argento  ciascuna,  cioè  L.  5000; 
di  40  per  Iesi,  ecc.  L'imperatore  poi  occupava  la  maggior  parte  del  lerriiorio, 
sicché  ben  poco  se  ne  potea  ricavare.  Suppliva  la  decima  del  cinque,  del  dieci, 
liu  del  venti  per  cento  sulle  rendile  ecclesiastiche  di  tulio  il  mondo  cattolico,  oltre 
le  collette  a  titolo  di  crociata. 

Quando  il  papa  noleggiò  le  navi  di  Genova  per  trasportar  i  cardinali  al 
concilio,  tolse  a  prestanza  mille  marchi,  ipotecati  sui-  beni  del  clero,  e  pagò 
(lucento  libbre  di  Genova  per  un  mese  d' interesse,  li  totale  armamenlo  costò 
noOO  marchi,  cioè  L.  2o0,00()  che  alcuni  mercanti  si  obbligarono  di  far  pagare 
a    Genova    a   trenta   giorni,   mediante   lo    sconto  di  57  marchi,  cioè   L.  2850  ) 

\l\<^gcxl.  Gm/orii,  1.  XIV.  3,  4).   Gregorio  IX  lasciò  un  debito  di    40,000  marchi, 
cioè  L.  220,000,  del  (piale  i  mercanti  molestarono  assai  il  suo  successore. 


-  107  -  n 


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CAPITOLO   VII. 


»  cordia  e  verità,  s'abbracciano  giustizia  e  pace:  ondechè 
»  riceviamo  la  conversione  de'  fedeli  quanto  insistiamo  a  domare 
»  la  pertinacia  dei  ribelli.  Tu,  che  lo  zelo  della  fede  nostra 
»  rende  partecipe  alle  fatiche  e  ai  pesi:  tu  che,  per  confusione 
»  dei  nostri  ribelli  e  per  aumento  della  giustizia  e  della  pace, 
»  comporti  con  noi  stenti,  spese,  pericoli,  esulta  con  noi  per 
»  la  dedizione  di  Faenza  ^*^.  » 

Ho  voluto  qui  compendiare  questa  lettera,  men  tosto  per 
far  chiaro  quel  che  i  re  d'  allora  chiamassero  dovere,  clemen- 
za ,  giustizia  ,  che  per  dar  un  saggio  del  gonfio  scriver  di  Pier 
dalle  Vigne,  che  la  formolava  a  nome  del  suo  signore  e  della 
molta  famigliarità  che  correva  tra  Federico  ed  Ezelino.  Della 
quale  sono  argomento  anche  molt' altre:  in  una  delle  quali 
scrive  che  «  nella  presa  di  Faenza  1'  aveva  voluto  primo  al- 
»  l'esultanza,  come  era  stato  primo  ai  preparativi  della  festa; 
»  sicché  per  mare  e  per  terra  glien'  aveva  spacciati  annunzj. 
»  Ed  oh  (soggiunge)  quanto  avrei  desiderato  tu  fossi  al  fianco 
»  mio  per  esultare  con  me  siccome  un  paraninfo:  ovvero  che 
»  natura  avesse  dato  ai  corrieri  le  ale,  perchè  più  presto  ar- 
»  rivassero,  né  fossero  dalla  fama  precorsi!  » 

Dall'  estremità  poi  dell'  Italia  un'altra  volta  gli  scriveva: 
—  So  da  lunga  esperienza  che  la  devozione  tua  non  può,  per 
»  lasso  di  tempo,  venir  meno;  so  che  invecchiando  1'  autorità 
»  tua  nel  corpo  ,  ringiovanisce  nella  mente  ;  so  che  1'  ardore 
»  di  tua  fede  non  iscema  per  volgere  d'  anni ,  anzi  piìi  miti 
»  frutti  produce  :  so  che,  quantunque  lontano  di  corpo,  sei 
»  però  a  noi  presente  d'  animo  e  di  cuore.  Onde  per  nunzj  ne 
»  chiedi  novelle  ,  che  prospere  ti  mandiamo ,  perchè  il  corpo 
»  nostro,  affaticato  da  guerreschi  travagli,  si  ristora  nella  deli- 
»  ziosa  dolcezza  di  questo  regno  nostro.  » 

Lo  teneva  insomma  via  via  informato  di  quanto  ben  gli 
accadesse ,  né  per  allora  gliene  mancava  materia.  Perocché , 
avendo  Gregorio  papa  intimato  un  concilio  generale  in  Roma, 
invitandovi  i  prelati  e  i  principi  affinchè  il  consenso  della  cri- 
stianità intera  decidesse  se  giusta  la  scomunica  contro  Fede- 
rico ,  questi  fece  da'  Pisani  appostare  i  cardinali  ivi  diretti,  e 
còltili  sulla  flotta  genovese,  li  fé  legare  con  catene  d'argento  e 
tenere  a  cortese  prigione  nel  capitolo  della  cattedrale  di  Pisa.  Da 


20  Lctlerc  di  Pior  dalle  Vigne,  aprile  1211.  &ì 

-jij  -  ICS  -  'l^ 


□  PROSPERITÀ   D  EZELINO 


questo  sinistro,  e  dai  cento  anni  che  aveva  vissuti,  Gregorio  IX 
fu  portato  a  morte  ,  perseverante  fin  all'  estremo  nella  causa 
affidatagli  da  Dio.  Innocenzo  IV  succedutogli  ,  mal  sicuro  in 
Roma,  fuggi  in  Francia  ,  donde  continuò  ad  avversare  Federico. 

Nella  Marca  alla  parte  imperiale  procacciava  prosperità  Eze- 
lino. Respìnse  i  Trevisani,  armati  a  suo  danno;  guastò  il  Cenedese 
correndo  fin  al  mare  ;  campeggiò  a  danno  del  fratello  Albe- 
rico ,  dei  Caminesi  e  più  del  marchese  d'  Este.  Sopra  il  quale 
dovette  tener  certa  la  vittoria  quando  ebbe  tratto  dalla  sua 
un  tal  Olderico,  uomo  assai  creduto  dal  marchese,  e  n'ebbe 
promessa  che  consegnerebbegli  la  terra  di  Este.  Ma  una  don- 
nicciuola  avendo  osservato  Olderico  stretto  a  colloquio  con 
gente  sconosciuta  in  un  angolo  appartato,  leggere  una  lettera, 
indi  ridottala  in  minimi  pezzi,  gettarla  al  fiume,  ne  porse, 
denunzia  al  podest<à  di  Este.  Olderico  preso  confessò  ;  o  fosse 
verità  o  vendetta  o  scaltrimento  ,  nominò  per  complici  della 
fellonia  alcuni  dei  più  vicini  al  marchese,  dei  quali  sei  furono 
appiccati.  Uguccione  Pileo,  altro  nemicissimo  d'Ezelino,  aven-  { 
done  avuto  in  due  partigiani,  fé  loro  mozzare  mani  piedi,  ( 
naso,  e  cavare  gli  occhi.  Però  quest'Uguccione  stesso  dovette  1212  { 
poco  dopo  chinare  la  fronte  ad  Ezeliuo,  e  cosi  il  conte  di  \ 
jNIombello,  rendendogli  in  obbedienza  sé,  i  soggetti  loro  e  i  ca-  ( 
stelli.  Fin  Guglielmo  da  Camposampiero,  per  poca  ragione  che  / 
avesse  di  fidarsi  allo  sterminatore  di  sua  famiglia,  venne  a  > 
darglisi  ,  e  n'  ebbe  ,  allora  tanto  ,  cortesi  accoglienze.  ( 

Così  Ezelino  vedeva  gli  emuli  suoi  0  paventarlo  nemico,  od  ^_  ì 
implorarlo  amico.  A  danno  del  marchese  d'Este  e  sotto  gli  oc- mano) 
chi  di  questi  mandò  ad  appiccar  fuoco  alla  popolosa  terra  di 
^lontagnana;  il  domani  la  prese  e  rifabbricò  ;  e  in  Padova  munì 
un  forte  presso  la  Chiesa  di  San  Tommaso. 

L'imperatore,  par  quanto  ad  Ezelino  si  mostrasse  amico  (se  1243 
fra  tiranni  può  abusarsi  questo  santo  nome  ),  udiva  continuo 
gravissime  lagnanze  contro  lui  da  tanti  profughi,  e  temeanon 
volesse  rendersi  indipendente  dalla  stessa  sua  autorità.  Princi- 
palmente eragli  saputo  male  che  avesse  ripudiata  la  figliuola  di 
Galvano  Lancia  gran  signore  napoletano  :  poi  cacciatolo  di  po- 
destà ove  l'aveva  messo  l'imperatore,  obbligatolo  a  sborsare  grosse 
ì         somme,  messi  in  carcere  i  giudici  che  lo  avevano  servito  :  addu- 

cendo  la  solita    rngione   d'averlo    scoperto   ribaldo    e  misleale.         \ 


CAPITOLO   VII.  U    '— 1 


1245  Desiderava  dunque  Federico  deprimerlo,  ma  a  viso  aperto  non  osava. 
Raccolse  in  Verona  una  dieta ,  ove  coir[imperatore  convennero 
Enzo  re  di  Sardegna  figliuolo  suo  naturale ,  i  duchi  d'Austria, 
di  Stiria,  di  Carintia,  di  Carniola;  anche  Baldovino  impera- 
tore di  Costantinopoli ,  real  mendicante  che  girava  1'  Europa 
invocando  soccorsi  per  difendere  la  sua  capitale,  o  almeno  de- 
nari per  vivere.  Vi  si  trattò  a  lungo  delle  controversie  fra 
l'Impero  e  la  Chiesa,  e  di  quel  che  importasse  alla  comune 
salute  ;  ma  Ezelino  si  adombrava  non  tante  armi  ivi  radunate 
potessero  rapirgli  una  si  bella  città:  onde  trasse  a  sé  un  grosso 
di  soldati  e  potentissimi  amici  ,  ai  quali  affidò  le  torri.  Più 
non  potendo  allora  riuscire  di  sorpresa ,  Federico  volle  provare 
se  mai  il  popolo  sommosso  potesse  assecondarlo  nell'abbattere  l 
il  tiranno.  Per  via  dunque  del  duca  d'Austria,  destò  una  rissa  ) 

fra  Tedeschi  e  Veronesi  ,  ma  nessuno  presuma  indovinare  a  > 
che  finiranno  i  moti  suscitati.  La  baruffa  ingrossò  :  i  Tedeschi  V 
andavano  a  macello  :  un  nipote  del  duca  d'Austria,  prode  gar-  ) 
zone,  fu  morto  :  1'  imperatore  non  si  teneva  più  sicuro;  e  do-  ( 
vette  avere  ricorso  ad  Ezelino  perchè  rabbonacciasse  la  tem- 
pesta. In  fatto  questi  salta  a  cavallo ,  cacciasi  fra  que'  briganti , 
che  se  fossero  riusciti  sarebbonsi  chiamati  eroi  ;  ed  ogni  cosa 
rimette  in  quiete. 

Non  è  mestieri  dirvi  come  crescesse  in  credito  Ezelino, 
né  r  imperatore  pensasse  più  che  a  carezzarlo  ,  finché  da  lui 
'  luglio  corteggiato  se  ne  andò.  Non  si  tosto  fu  partito,  che  Ezelino, 
avvisando  quanto  ben  gli  tornasse  tenere  la  gente  continuo 
suir  armi  ,  fu  contro  de'  Trevisani  e  d'  Alberico  suo  ,  prese 
Mestre  e  Noale  ,  fortificò  Castelfranco ,  e  distrusse  Campretto, 
posto  vicino  a  Loreggia  sul  confine  di  Padova  e  Treviso,  scio- 
gliendo così  un  voto  fatto  molti  anni  avanti.  Indi  armato  pro- 
cedette contro  i  fuorusciti  di  Verona  che  congiunti  ai  Manto- 
vani, agli  Estensi,  ai  Ferraresi,'  gli  venivano  addosso:  nuove 
battaglie  ,  nuove  ire  ,  nuovo  sangue  fraterno  ,  sincliò  la  stan- 
chezza fece  alle  due  parti  cadere  1'  armi  di  pugno. 

Mentre  lo  strepito  di  Marte,  come  fa  ,  si  tace,  lasciamoci 
noi  pure  trarre  di  via  un'  altra  volta;  raccomandando  che  si 
mettano  d'  accordo  quel  nostro  amico  che  scrisse,  ogni  digres- 
sione esser  un  difetto  ;  e  queir  altro  che  scrisse  ,  la  parte  più 
bella  d'  ogni  libro  essere  le  digressioni. 


ri 


—  170  — 


CAPITOLO    Vili. 


ERESIE  —  INQUISIZIONE  —  SCO:\IUNICA. 


I 


-D 


Qui  son  gli  eresiarche 
co' lor  seguaci  d'ogni  setta:  e  molto 
più  che  noa  credi,  son  le  tombe  cardie. 
Dante,  Inf. 

Avete  il  nuovo  e  il  vecchio  testamento 
e  il  pastor  della  Chiesa  che  vi  guida  ; 
questo  vi  basti  a  vostro  salvamento... 

Non  fate  come  agnel  che  lascia  il  latte 
della  sua  madre,  e  semplice  e  lascivo 
seco  medesmo  a  suo  piacer  combatte. 
Id.  Farad. 


orae  mai  sotto  un  Dio  buono  esiste  il  male? 

Sarà  sempre  questo  il  problema  che  più  affati- 
cherà i  pensanti  e  i  credenti  ;  e  tutte  le  religioni, 
tutte  le  filosofie  che  sono  altro  mai  se  non  differenti 
soluzioni  di  esso?  Noi  sappiamo  e  crediamo  quella 
rivelata  da  Dio  a  Mosò,  per  cui  l'uomo,  creato 
buono  e  libero  di  sua  volontà,  peccò,  e  in  lui, 
come  i  rami  nella  radice,  rimase  contaminata  la  stirpe  umana 
in  perpetuo;  messe  in  disaccordo  la  ragione,  l'immaginazione, 
la  volontà;  offuscate  le  verità  prime,  per  rischiarare  le  quali 
fu  duopo  che  un  Dio  scendesse  in  terra,  rivelasse  sé  stesso, 
la  sua  Chiesa,  la  sua  legge,  e  col  proprio  patire  e  morire  ci 
redimesse. 

La  verità,  scopo  della  filosofia,  è  pure  unico  principio  del 

—  171  - 


r 


CAPITOLO    Vili. 


\A 


(*)  L'autore  ha  più  lardi  scritta  la  storia  degli  Evelici  d'Italia, 

U  editore. 


cristianesimo,  non  solo  come  semplice  naturai  lume  della  mente, 
ma  completa,  assoluta,  efficace.  Concordi  nell'intento,  possono 
deviare  nel  metodo.  L'  intelletto  umano,  nel  sentimento  della 
superiore  sua  dignità,  nella  gioia  d'esercitare  l'attività  sua  per 
attingere  le  sublimi  regioni  donde  emana  ogni  esistenza,  e 
svelare  i  misteri  della  vita,  s' indispettisce  quando  altri  voglia 
imporgli  di  credere  ciò  ch'egli  stimasi  capace  di  scoprire  ;  e  se 
vede  assegnata  una  fonte  sniìrema  a  tutte  le  cognizioni,  vantasi 
bastar  da  sé  a  sceverare  la  luce  dalle  tenebre,  e  fra  il  bene 
e  il  male  librare  con  giudizio  indipendente. 

Di  qui  i  contrasti  ad  ogni  verità.  Il  cristianesimo,  non 
limitandosi  ad  un  tempo  né  ad  una  gente,  ma  di  popolo  in 
popolo  compiendo  l'universale  educazione,  doveva  trovare  mag- 
gior resistenza  fuori,  maggiori  agitazioni  dentro.  Più  si  allarga 
questa  splendida  istituzione  più  l'orgoglio  ingegnasi  e  cercarne 
)  il  tallone  vulnerabile,  e  scalzar  le  fondamenta  dell'edifizio  che 
\  elevasi  fino  al  cielo.  Altri  ancora,  facenrlo  troppo  conto  della 
{  forma  esteriore,  come  il  servizio  divino  e  la  costituzione  ge- 
)         rarchica,  e  stando  alle  espressioni  letterali  o  agli  atti  puri  del 

divino  Fondatore,  sorgono  censori  delle  cerimonie  e  del  governo  i 

della  Chiesa;  poi  infervorandosi,  come  avviene  in  tutti  i  litigi,  ( 

trascorrono  fino  a  chiarirsi  nemici  del  dogma.  } 

Pertanto  dei  nemici  interni  della  Chiesa  gli  uni  drizzarono  { 
l'attacco  contro  il  dogma,  gli  altri  contro  le  forme,  ma  poiché  { 
ad  ogni  essenziale  mutamento  della  dottrina  dovea  seguire  un  ; 
mutamento  nell'esterna  attuazione,  ed  a  vicenda  ogni  tentativo  | 

contro  di  questa  dovea  fondarsi  sulla  dottrina,  facilmente    gli         ( 
uni  si  confusero  cogU  altri;  e,  come  spesso  ripeterono  i  papi,  > 

ebbero  diverse  faccie,  ma  le  code  legate  insieme.  ( 

La  Chiesa  sa  che  il  tempo  é  per  lei;  lascia  passare  gli  ( 
uomini  e  gli  anni;  soffre,  combatte,  prega,  e  risorge  imma-  \ 
colata.  S 

Non  tema  il  lettore  che  vogliam  qui  fare  la  storia  delle  ( 
eresie,  storia  lunga  come  quella  della  libertà  e  degli  errori  | 
umani  (*):  ma  in  questo  racconto  già  tante  volte  menzionammo 


172  — 


rajs- 


-^-^ 


□  ORIGINE   DELLE   ERESIE  D 

eretici  ed  eresie,  che  egli  deve  pur  esser  venuto  in  vo- 
glia di  conoscere  quali  fossero  gli  errori  che  allora  correvano. 
Catari,  Paiarini  sono  i  nomi  ripetuti,  ma  nessuno  ce  ne 
lasciò  un  ragguaglio  completo,  il  simbolo;  sicché  noi,  pur  vo- 
lendo soddisfare  alla  meglio  una  giusta  curiosità,  racirfloleremo 
il  poco  che  si  possa,  non  foss'altro  per  dire,  non  sappiamo 
altro. 

I  varj  modi  di  spiegare  l'esistenza  del  male  e  come  lo 
spirito  cadesse  nella  materia,  fin  dai  tempi  apostolici  diedero 
origine  alle  eresie  di  Simon  Mago,  di  Basilide,  di  Marcione, 
di  Valentino,  di  Bardesane.  Maggior  nome  ottenne  Manete,  da 
cui  i  ^Manichei,  che  supposero  la  esistenza  di  due  principj,  uno 
autor  del  bene,  l'altro  del  male,  dalla  cui  opposizione  o  dal 
cui  concorso  derivassero  il  mondo  e  quanto  in  esso  accade. 
Come  avviene  di  tutte  le  spiegazioni  «vulgari,  questa  fu  adottata 
volontieri,  quantunque  sia  assurda,  giacché  pone  il  male  in  Dio, 
cui  essenza  è  la  bontà  senza  misura;  quantunque  sia  soltanto 
un'  irragionevole  argomentazione  dell'umana  superbia,  che  il 
bene  e  il  male,  il  perfetto  e  l' imperfetto  giudica  dal  proprio 
individuale  interesse. 

Quest'opinione  penetrò  anche  in  Italia,  e  mai  non  perdette 
voce,  sicché  ancora  nel  496  Gelasio  papa  la  condannava:  ma 
meglio  si  diffuse  in  Oriente;  ivi  nel  settimo  secolo  ebbe  gran 
dottori  e  persecuzioni  e  guerre.  Scadendo  il  secolo  IX,  l' im- 
peratore Basilio  Macedone  a  Tibrica ,  fortezza  de'  Manichei 
nell'Armenia,  inviò  Pietro  di  Sicilia  per  trattare  il  cambio 
de'  prigi(mieri.  Pietro,  avendo  scoperto  che  essi  accingevansi  ad 
apostolare  la  Bulgaria,  compose  un  hbro  a  confutarli,  e  lo 
\  inviò  per  antidoto  colà.  Ma  poco  profittò:  e  i  Manichei  vi  si 
j  estesero  tanto  che  ne  trassero  il  nome  di  Bulgari.  Nel  1153 
)  se  li  raccolse  intorno  un  Paolo  da  Samosata,  dal  quale  furono 

\  cognominati  Pauliciani,  e  cercarono  quiete  fra  i  monti;  ma  ivi 
^  pure  vennero  molestati  prima  da  Alessio  Commeno,  poi  dai 
)         successori  di  esso. 

\  Leggo  in  un  antico  che  quella  credenza  passò  dalla  Bul- 

)  garia  in  Lombardia,  e  un  Marco,  ordinato  colà,  qui  funzionava 
)  da  vescovo  sulla  Lombardia,  la  Marca,  la  Toscana.  Essendo 
;  poi,  nel  1167,  sopraggiunto  un  altro,  nominato  papa  Niceta  di 
Costantinopoli,  riprovò  l'ordine  della  Bulgaria,  e  ^hirco  ricevette 

-  173  -  D^ 


-Bilf] 


1  ViGSERio,   Dibl.  /list,   addiz.  alla  P.  !I,  p.  515.  Al  Concilio  tenutosi    a 
San  Federico  di  Caraman,  Niceta  fece  adottare  il  dualismo  puro  della  chiesa  di  Traij. 

2  Ad.  Condì.  Aureliamnsis.  Spicil.  T.  II.  —  Labbe,  Condì.  T.  IX. 

5  Sant'Agostino  già  chiamava  i  Manichei  Calarisli.  De  haer.  In  liaer.  Manidi. 
*  Costit.  contro  rjli  eretid  del  12o4. 
^  Assise  Mss.  e.  I,  De  Patarenis. 

—  174  — 


CAPITOLO  Vili.  '^nl 

l'ordine  della  Drungaria  i,  nome  derivato  da  Tragurium,  eh  e 
oggi  diciamo  Traù  in  Croazia:  ed  anche  fra  Ranerio,  di  cui  or 
ora  parleremo,  dice  che  le  chiese  manichee  di  Drungaria  e  di 
Bulgaria  diedero  origine  alle  altre  d' Italia  e  di  Francia.  In 
Francia  vogliono  quest'eresia  portata  da  una    Italiana  ;    e    fu  ) 

scoperta  primamente  in  Orleans  1017,  regnando  Roberto  ^.  \ 

Gieseler    di    Gottinga,   uno   degli   ultimi    e    meglio    solidi  ) 

storici  della  Chiesa  in  senso  protestante,  sostiene  che    il    ma-  ( 

nicheismo  non  perisse  mai  in  Italia,  dacché    nell'  XI    secolo    i  ( 

nostri  delle  crociate  conobbero  i  Manichei  d'Oriente,  e  credeano  ) 

acquistar  credito  coll'attribuirsi  origine  orientale.  Fatto  è  che  v 

qui  erano  conosciuti  col  nome   di   Catarini   e    Patarini.    Catari         ) 
in    greco   significa    puri  3;    ed    è    comune   a  tutti  i  settari  il  V 

pretendersi  riformatori,  e  perciò  più  mondi:  e  oggi    stesso    la  ( 

crema  (spesso  non  altro  che  crema  battuta)  di  qualche  partito  ) 

si  arroga  il  titolo  di  Puritani:  ma  gU  etimologisti  (genia  ine-         { 
stinguibilmente  ridicola)  vollero  trar  quel  nome  da  Katz,  che  ( 

in  tedesco    suona    gatto:    o    da  Kanzer  o  Kezzer,  parole  di  Jj 

scherno,  o  da  quattem  garrire.  Patarino,  se  non  è  corrotto  da 
Catarino,  verrebbe  da  pati,  per  esprimere  gente  data  od  esposta 
alle  penitenze:  onde  in  una  costituzione  di  Federico  II  si  legge: 
In  exemplum  ,nartyrwn,  qui  prò  fide  caiìiolica  martyria 
siibierunt,  Patarenos  se  nominant,  veluti  expositos  passioni  ^  ; 
ed  anche  le  assise  siciliane  di  Carlo  d'Angiò  portano  nel  fran- 
cese d'allora:  Li  vice  de  ccaus  soni  coneit  par'  leur  ancieìis 
nons,  et  ne  vueulent  mie  quii  soient  apelé  par  leur  propres 
nons,  mais  s'appellent  Patarins  par  aucune  excellence ,  et 
entendent  que  Patarins  vau  autant  come  chose  abandonnée 
a  souffrir  passion  en  l'essemble  des  martyrs,  qui  soffrir ent 
torment  p)Our  la  sainte  fny  5. 

Altri  vi  stillarono  diversa  origine  :  e  chi  dal  Pater  ìioster 


A 


VALDESI 


ch'essi  recitavano  sovente,  come  via  alla  salute;  chi  lo  fa  nato 
in  Milano  nel  secolo  XI,  quando  una  parte  del  clero  che  pre- 
tendeva serbar  il  diritto  d'ammogliarsi,  ai  seguaci  della  severità 
di  Roma  dava  il  sopranome  di  Patarini,  applicato  colla  pro- 
digalità e  coir  indeterminatezza  che  si  sogliono  i  nomi  di  partito  : 
e  per  poco  che  uno  sappia  delle  rivoluzioni  che  possono  subire 
le  parole,  non  si  meraviglierà  che,  prevalendo  la  parte  romana, 
quel  nome  di  scherno  sia  caduto  a  designare  i  preti  concubinari. 
Costoro  a  Milano  solcano  ridursi  a  celebrare  la  messa  in  una 
via,  che  da  ciò  ebbe  il  nome  di  contrada  de  Patdri;  e  perchè 
in  quella  via  tenevano  bottega  i  rigattieri,  come  in  altre  gli 
armorari,  i  borsinari,  i  mercanti  d'oro,  gli  orefici,  patàro  nel 
dialetto  milanese  indicò  il  rigattiere  ;  altra  vicenda  delle  parole. 
In  fine  quel  nome  riuscì  ad  esprimere  un  eretico  qualunque  *^, 
per  una  di  quelle  confusioni,  tanto  comode  ai  sofisti,  per  cui 
al  modo  delle  epidemie,  si  suole  a  certi  tempi  infliggere  certe 
colpe  a  tutti  quei  che  si  vogliono  calunniare;  com«  da  principio 
dicevasi  cristiani,  poi  gnostici,  poi  nel  medioevo  ebrei,  poi 
tempo  fa  giacobini,  e  ieri  liberali,  e  oggi  gesuiti  o  spie.  Se 
fra  Cataro  e  Patarino  corresse  divario  non  sappiamo,  e  noi  gli 
adopreremo  come  sinonimi. 

In  Milano,  centro  di  questa  eresia,  distinguevansi  i  Catari 
in  nuovi  e  vecchi.  I  vecchi,  dalla  Dalmazia,  dalla  Croazia,  dalla 
Bulgaria  erano  venuti  a  Milano  prima  che  altrove,  e  cresciutivi 
singolarmente  allorché  Federico  Barbarossa  li  favoriva  per  far 
dispetto  ad  Alessandro  papa.  I  nuovi  erano  capitati  circa  il  1176 
dalla  Francia,  ove,  principalmente  sotto  la  protezione  di  Rai- 
mondo conte  di  Tolosa,  erano  fioriti  in  Alby  nell'alta  Lingua- 
doca,  donde  il  nome  di  Albigesi. 

Anche  Valdesi  furono  detti,  alcuno  pretende  da  Pietro 
"Waldo,  ricco  borghese  di  Lione.  Stava  egli  con  varj  amici 
discorrendo  avanti  alla  sua  casa,  quando  uno  di  essi  cadde 
morto  stecchito.  Sbigottirono    gli   astanti    al    caso;    e    Waldo 


6  Nelle  assise  di  Gerusalemme  e.  266,  leggiamo:  Se.  il  avient  par  aucune 
malaventure,  ou  par  aucun  mal  ensei(jnemen(,  qtie  un  chevalier  soil  palaltn,  etc,  eie. 
E  neH>p.  %  1.  I,  Pier  dalle  Vigne  scrive  contro  i  preti  :  A[mi  ves  christiani 
mendicante  ut  apud  eos  Patarrni  manducent. 

Un  .  -175-  D^ 


CAPITOLO    Vili. 


cominciò  predicar  loro  il  nulla  della  vita  umana,  la  necessità 
di  emendare  i  costumi  e  il  cuore;  largheggiò  in  limosine;  fece 
vulgarizzare  il  vangelo  da  un  povero  scolaro,  e  tolse  ad  inter- 
pretarlo a  modo  suo;  e  cresciuto  di  partigiani  e  d'ardimento, 
si  estese  *fìno  a  Roma. 

Qual  è  quel  rivoluzionario  che  non  cominci  dal  domandar 
riforme?  Anche  Waldo,  circa  il  1180,  cominciò  a  criticare  la 
Chiesa  T;  gli  antichi  decreti  di  essa  e  le  sentenze  dei  Padri 
non  aver  valore,  nulla  più  che  le  scomuniche  e  l'assoluzione 
e  le  indulgenze  e  l'acqua  henedetta  e  i  pellegrinaggi;  nessun 
santo  eccetto  gli  apostoli;  prestigi  i  miracoli;  inutilità  le  feste 
e  r  invocazione  dei  santi,  essendo  Cristo  unico  mediatore  fra 
Dio  e  gli  uomini:  quantunque  riprovasse  le  immagini,  pure 
conservava  il  Crocifìsso,  ma  all'antica  su  croce  mozza  in  forma 
di  T  e  coi  piedi  confìtti  un'  sopra  l'altro,  lo  che  parca  scandalo 
quando  faceasi  sempre  con  quattro  chiodi.  I  Valdesi  pretendono 
però  a  più  antichi  natali,  esser  contemporanei  delle  chiese 
apostoliche  e  separati  al  tempo  che  Silvestro  papa  corruppe 
(dicono)  la  Chiesa  coll'acquisto  di  beni  temporali;  o  almeno 
fìn  da  Claudio  vescovo  di  Torino,  il  quale,  verso  1'  830,  impugnò 
il  culto  delle  immagini  e  i  pellegrinaggi,  e  citato  a  un  Concilio; 
non  volle  andarvi  dicendolo  congregationem  asinorum. 

Del  resto  la  Chiesa  de'  Valdesi,  della  quale  tanto  si  scrisse 
ai  nostri  giorni,  vuol  essere  distinta  dai  Catari  come  più  cri- 
stiana e  aliena  dalla  dualità:  mentre  i  dualisti  variano  dal 
cristianesimo  non  in  alcun  punto  ma  nell'essenza,  repudiando 
la  trinità  e  l' incarnazione. 

Dal  nome  poi  di  un  capo,  o  dal  luogo,  o  da  alcun  acci- 
dente, derivarono  le  equipollenti  denominazioni  di  Poveri  di 
Lione,  Gazavi,  Arnaldisti ,  Giuseppini,  Leonisti,  Bulgari  s. 
Circoncisi,  Pubblicani,  Insabbatati,  Coìnisti  (che  alcuno  volle 
chiamati  cosi  da  Como),  Credenti  di  Milano,  Credenti  di 
Bagnolo  o  di  Concorezzo,  Vanni,  Fusci,  Ronmlari,  Carantari. 
In  peggior  pecoreccio  entrerebbe  chi    volesse    divisare   le 


'  Stephanus  dk  Bellavilla,  lib.  De  scpirm  donis  Spin'luis  Sancii,  IV  pars, 
e.  30,  apud  Ecard.  l.  I,  p.  184- 
(-  8  ])a  cui  il  lovgrr  de'  Francesi  e  il  hoUjiron  dei  Lonii)ardi  e  dei  I^iomontesi.  ì 


( Q  CRITICA    PATARINA 


loro    credenze.  Un  capo    proprio    non    ebbero    che    predicasse  ) 

dottrine  fisse  :  non  ebbero,  o  almeno,  non  arrivò  a  noi  un  libro  l 

simbolico  di  loro  credenza  9';  e  san  Bernardo  dice  che,  mentre  ) 

gli  altri  eretici  si  palesano  e  predicano,    questi    non   cercano  ( 

che  rimpiattarsi.  ) 

E  dunque  forza  attenerci  al  poco  che,    per    incidenza    ne         ^ 
dissero  i  cronisti,  avversi  a  loro,  a  qualche  brano  di  processo  C 

e  ai  libri  di  coloro  che  li  confutarono.  / 

Fra  i  quali  al  caso  nostro  fa  il  ricordare  prima  di  tutti 
il  venerabile  padre  Moneta  cremonese;  uom  dissoluto  che,  a 
Bologna  sentendo  predicare  Reginaldo  d'Orleans ,  si  converti ,  1220 
e  fatto  censore  della  fede  in  Milano,  lamquam  leo  rugiens  si 
scagliò  contro  gli  eretici,  e  scrisse  una  Summa  theologica  a 
confutarli  ^^,  nel  mentre  accendeva  i  roghi  per  ardergli. 

Anche  fra  Ranerio  Saccone  piacentino,  dopo  essere  vissuto 
diciassette  anni  coi  Catari,  si  converti,  li  perseguitò  col  fuoco, 
colla  spada,  coi  libri.  Buonaccorso,  che  era  stato  vescovo  dei 
Catari  in  Milano,  li  confutò  nella  Manifestano  haereseos  Ca- 
tìiaroruni  Bonaccursi  quoìidam  magistri  illorwn  Mediolani  ^i, 
opera  che  ai  Milanesi  egli  indirizza.  Da  questi,  da  moderni,  da 
varj  manuscritti  che  ho  potuto  consultare,  si  raccoglie  quanto 
basti  per  potere,  noi  che  né  siamo  teologi,  né  veniamo  a  svi- 
scerare il  tema  filosofico,  adombrarne  e  il  fondo  metafisico  e 
l'applicazione. 

Del  dogma  era  base  la  dualità,  cioè  essere  il  mondo  opera 
di  due  principj,  una  malvagio,  uno  benefico:  e  il  primo  avere 
fatto  tutto  ,ciò  eh' è  visibile,  e  dettato  l'antico  Testamento; 
pricipio  di  menzogna,  giacché  avea  detto  ad  Adamo,  Se  mangerai 
il  pomo,  morrai,  e  Adamo    non    mori;  principio  di  sterminio, 


"-1   G 


9  Nella  Summa  de  Chatharis  el  Leonùtis  del  Ranerio,  stampata  nel  Thesaurus 
noviss.  aiiecdot,  t.  V,  p.  1759,  vedo  menzionalo  un  volume  di  dieci  quaderni,  ove 
Giovan  de  Lugio  depose  i  suoi  errori.  Le  storie  de'  Valdesi  danno  un  simbolo 
pubblicato  il  1120.  Non  ho  potuto  storicamente  accertare  questa  data. 

^0  Fu  edita  a  Roma  il  1743  dal  P.  Tommaso  Atrosliao  Riccliino,  col  titolo: 
Vcn.  Patris  Monetae  cremonensis,  nrdinis  Praedic,  S.  l'atri  Domenico  aequalis, 
advenus  Calharos  et  Valdenscs,  iib.  V.  Grosso  volume  in  l'olio,  di  cui  molto  mi 
sono  servilo. 

11  K  nello  Sjìkilcfjio  del  W  d'Achery,  t.  I,  p.  208,  ediz.  del  1723  . 


—  177  — 


LK.- 


r— b  CAPITOLO   Tiir. 

perchè  uccise  tanti  nel  diluvio,  bruciò  tanti  a  Sodoma  e  Go- 
morra, tanti  affogò  nel  mar  Rosso,  comandò  tanti  assassini  a 
Mosè  e  Davidde.  Nel  nuovo  Testamento  ammettevano  soltanto 
i  quattro  Vangeli,  le  epistole  di  san  Paolo  colle  sette  canoniche, 
e  l'Apocalisse. 

Ne  seguiva  come  applicazione  l'abolir  la  religione  positiva 
e  la  famiglia  e  la  proprietà;  quella  chiamando  una  servitìi 
contro  natura,  questa  un  furto  contro  la  naturale  eguaglianza. 

Voi  vedete  che  trattasi  di  quistioni  affatto  affatto  odierne; 
e  in  effetto  la  storia  trae  la  principal  sua  utilità  dal  ripro- 
durvisi  sempre  i  medesimi  problemi,  con  dati  che  differiscono 
secondo  le  età  e  le  nazioni.  Ma  come  oggi  le  quistioni  sociali 
noi  attacchiamo  alla  politica,  cosi  allora  alla  religione,  unica 
regola  delle  azioni,  unico  scopo  del  pensiero  ;  alla  fede  si  ri- 
correva, pur  combattendola;  citavasi  il  Vangelo  anche  a  sostegno 
degli  errori;  i  quali  perciò  si  chiamavano  eresie. 

E  poiché  ogni  secolo  vuol  riscontrare  se  stesso  nei  pre- 
cedenti, amici  e  nemici  trovarono  nei  Catari  del  XII  secolo  gli 
errori  o  le  verità  de'  presenti  Socialisti  e  Comunisti.  Che  però 
l'accomunamento  dei  beni  e  delle  donne  non  ne  fosse  dogma 
universale  n'è  prova  il  silenzio  de' libri  loro,  conservati  dai 
Valdesi  subalpini,  e  di  quelli  de' loro  avversar]  ^^i  né  il  Vais- 
sette  13  gli  adduce  tra  gli  errori  che  enumera  degli  Albigesi. 
Come  poi  sarebbero  stati  favoriti  dai  grandi  signori  della 
Francia  meridionale,  qualora  avessero  impugnata  la  proprietà 
individuale  ? 

Anzi  questo  favore  dato  loro  dai  signori  ci  ricorda  come, 
anche  nel  secolo  ora  passato,  quando  i  filosofisti  bandirono 
guerra  all'  infame,  cioè  alla  religione  della  virtù,  del  sacrifizio 


^2  Voglia  f;irsi  niente  a  questo  passo  del  Ranerio,  ap.  Martene,  Thes.  Anec, 
t.  V,  1766.  Calhari  eleemofiyrias  paucas  aut  nnllas  fariiinf,  niilìas  ex/rana's,  nisi 
forte  propter  scandalum.  vicinorum  suorum  vitandnm  ci  ni  honorificentur  ah  eis; 
paucas  piis  pmiperibus...  Et  est  causa  (juia  pauperes  enriiin^  (jui ,  tempore  perse- 
cufionis,  non  lial/en  victui  necessaria,  vd  ea  quibus  possint  restaurare  suis  recepto- 
rihus  res  et  domos  quae  prò  [eis  deslrutinliir ,  vix  possunt  invenire  aliquem  qui 
veìil  eos  lune  recipere.  Scd  dirites  catari  nullos  inveniunt;  quare  quilibel  eorum,  si 
polrsl^  dii'itias  sibi  conf/refjat  et  conservai. 

13  Hist.  du  Lanfjuedor,  t.  III^  p.  371. 

—  178  — 


ti  CRITICA    FATA  RINA 


9 


della  libertà,  ebbero  aderenti  i  felici  del  mondo,  i  letterati,  i 
principi.  Laonde  anche  quella  de'  Catari  noi  la  ravvisiamo 
piuttosto  come  una  rivolta  de'  laici  contro  il  clero,  spinta  a 
negare  non  solo  i  possessi,  ma  anche  l'autorità  della  Chiesa. 
Adunque,  come  tutti  quelli  che  vollero  abbattere  il  dogma, 
essi  cominciarono  dall'attaccar  le  forme;  ed  appoggiati  all'apo- 
stolico Obedire  oportet  magis  Beo  quam  hominibus,  impu- 
gnavano ogni  autorità,  il  papa,  i  vescovi,  i  riti  della  Chiesa, 
i  canoni,  le  decretali;  escludevano  ogni  dominio  temporale 
de'  preti.  A  udirli,  la  Chiesa  è  la  Babilonia  che  fornica  sul 
fiume  d'Apocalisse;  il  culto  dee  ricondursi  alla  semplicità  pri- 
mitiva; nessun  divario  spirituale  fra  il  laico  e  il  sacerdote,  e 
ciascun  fedele  può  esercitare  il  sacro  ministero,  purché ,  ne  '1 
faccia  degno  la  pietà;  non  è  indelebile  il  carattere  sacerdo- 
tale, né  vagliono  i  sacramenti  amministrati  da  mani  impure. 
Cotesti  prelati  doviziosi,  cotesti  pingui  abati,  cotesti  monaci 
ozianti  cedano  il  luogo  a  ministri  poveri,  viventi  delle  proprie 
mani,  come  gli  apostoli.  Furono  essi  che,  per  tirar  denaro  dai 
creduli,  inventarono  il  culto  della  Vergine,  dei  santi,  delle  re- 
liquie, tanti  falsi  miracoli,  le  indulgenze,  la  confessione  auri- 
colare, l'assoluzione  de'  peccati.  Da  loro  viene  il  dogma  della 
transustanziazione;  mentre  la  messa  non  è  che  un  trovato  del 
demonio.  Né  Silvestro,  papa,  né  Lorenzo  contavano  per  santi; 
rifiutavano  l'estrema  unzione,  il  purgatorio  e  di  conseguenza 
i  sufi"ragi  pei  morti,  l' intercessione  dei  santi,  e  l'Ave  Maria. 
Per  contrarre  il  matrimonio  basta  il  consenso  delle  parti, 
senz'uopo  di  benedizione.  Non  discende  Iddio  nell'ostia  se  n'è 
consacrata  da  un  indegno;  non  si  dà  risurrezione  della  carne: 
ridevole  la  distinzione  de'  peccati  in  veniali  e  mortali:  prestigi 
del  diavolo  i  miracoli  ;  non  doversi  adorare  la  croce  perchè 
simbolo  d'obljrobrio;  non  doversi  per  niuna  cosa  giurare,  ne 
esser  diritto  che  i  magistrati  ammazzino  od  infliggano  pena 
alcuna  corporale  ^4. 

Però    il    seguire    le    mille  varietà  d'opinioni,  e  quanto  in 
ciascun  paese  la  libera  interpretazione  credette  aggiungervi  o 


U  DisscrUitin  inler  Cathnìlriiin  ri  Palarinnm,  rx  Mss.    Nel   T/icsiurus    nnims  ) 

anrrdolorum,  studio  Edml'>di  Maktknk  ci  IJuRA^D:  l'arixiis,  1717,  t.  V,  p.  1703.  ) 


r: 


nrin  CAPITOLO  vili. 

)  toglierne,  riesce  difficile  anzi  impossibile  ,  attesoché  non  for- 
(  mavano,  come  i  filosofi  antichi,  altrettante  scuole,  opposte  nei 
(  principj  supremi  e  quindi  nelle  conseguenze;  né  stabilivano  un 
corpo  di  dottrine,  come  più  tardi  i  settarj  che  si  svelsero  dalla 
Chiesa  cattolica:  e  un  convertito  disse  all'arcivescovo  Arnolfo 
di  Colonia:  —  Essi  riguardano  come  falso  tutto  ciò  che  la 
Chiesa  crede  o  fa  ».  Dichiarazione  precisa,  che  potrebbero  fare 
molti  partiti,  se  i  partiti  fossero   sinceri. 

Abbiamo  da  fra  Stefano  di  Bellavilla  inquisitore  15  che 
sette  vescovi  di  credenza  diversa  si  affiatarono  nella  cattedrale 
di  non  dice  quale  città  di  Lombardia  ;  ma,  non  che  accordarsi 
sui  punti  di  loro  fede,  si  separarono  scomunicandosi  recipro- 
camente. In  Lombardia  primeggiarono  i  Catari,  i  Concorezj,  i 
Bagnolesi.  I  Catari,  che  si  dicevano  anche  Albanesi  forse  corrotto 
da  Albigesi,  venivano  suddivisi  in  due  fazioni:  alla  prima  era 
vescovo  Balasinanza  veronese:  all'altra  Giovanni  di  Lugio  ber- 
gamasco. Oltre  le  credenze  comuni,  i  primi  dicevano  che  un 
angelo  avesse  portato  il  corpo  di  Gesù  Cristo  nel  seno  di  Maria, 
senza  ch'ella  v'avesse  parte:  solo  in  apparenza  essere  il  Messia 
nato,  vissuto,  morto,  risorto  :  i  patriarchi  essere  stati  ministri 
del  demonio:  il  mondo  eterno.  Gli  altri  tenevano  che  le  creature 
fossero  state  formate  quali  dal  buono,  quali  dal  maligno  prin- 
cipio; ma  ab  eterno:  la  creazione,  la  redenzione,  i  miracoli 
erano  accaduti  in  un  altro  mondo,  mondo  affatto  diverso  dal 
nostro:  Dio  non  essere  onnipotente,  perché  nelle  opere  sue 
può  venir  contrariato  dal  principio  a  sé  opposto;  Cristo  non 
avere  potuto  peccare. 

I  Concorezj  (forse  cosi  intitolati  da  Concorezzo,  borgata  del 
Milanese  vicina  a  Monza)  ammettevano  un  principio  unico,  ma 
deliravano  poi  sull'unità  e  la  trinità:  che  Dio  creò  gli  angeli 
e  gli  elementi;  ma  l'angelo  ribellato  e  divenuto  demonio,  formò 
l'uomo  e  quest'universo  visibile:  Cristo  fu  di  natura  angelica. 
I  Bagnolesi  (denominati  dal  castello  di  Bagnòlo)  professa- 
vano un  dualismo  modificato,  volendo  le  anime  fossero  state 
create  da  Dio  prima  del  mondo,  e  allora  avessero  peccato;  la 
beata  Vergine  fosse  un  angelo,  e  Cristo  avesse  bensì   assunto 


1^  Apud  Martene,  Th.  novus,  ecc.  t.  V. 


n_a 


^ 


_^  —180-  q 


CHIESE    PATARINE 


un    corpo    umano  per  patire,  ma  non  l'avesse  già   glorificato, 
sibbene  disposto  all'ascensione. 

Concorezj  e  Bagnolesi  aveano  dunque  eguaglianza  di  sa- 
cerdozio e  di  liturgia,  ma  diversa  cosmogonia  e  psicologia:  al 
Dio  unico  si  ribellò  Lucifero,  che  sedusse  gli  angeli  e  formò 
la  Terra,  ma  non  gli  elementi  di  essa:  né  potea  creare  anime; 
avendo  sorpreso  Adamo  ed  Eva  angeli,  li  racchiuse  in  corpi 
mortali,  ne  suscitò  la  concupiscenza  col  pomo,  ed  ebbe  una 
progenie  a  sé  devota. 

Il  Ranerio  distingue  sedici  chiese  di  Catari  nelle  nostre 
parti  ;  degli  Albanesi,  che  dimoravano  principalmente  a  Verona 
e  sono  cinquecento  :  de'  Concorezj  che ,  fra  tutta  Lombardia , 
sommeranno  a  un  migliajo  e  mezzo:  de'  Bajolesi,  non  più  che 
dugento,  sparsi  a  Mantova,  Brescia,  Bergamo,  Milano,  nella 
Romagnola;  la  chiesa  della  Marca  n'avrà  cento:  altrettanti 
(  quelle  di  Toscana  e  di  Spoleto:  un  cencinquanta  la  chiesa  di 
I  Francia,  dimoranti  a  Verona  e  per  Lombardia:  ducento  le 
(  chiese  di  Tolosa,  di  Alby,  di  Carcassona:  cinquanta  quelle  dei 

;         latini  e  greci  di  Costantinopoli,  e  cinquecento  le  altre  di  Schia- 
(         venia,  Romania,  Filadelfia,  Bulgaria.  Ma  questi  (avverte  l'autore) 
^         che   appena    ascenderebbero   a  quattromila,  bisogna  intenderli 
{         per  uomini  perfetti,  giacché  i  credenti  sono  senza  numero. 
ì  In    prova    che    ne   vivessero    in    tutte  le  città,    Ivone  di 

)  Narbona  scriveva  a  Girardo  arcivescovo  di  Bordeaux,  come 
^  esso,  venendo  in  Italia,  per  godervi  maggiori  agi  si  finse  cataro; 
/  lo  perchè  fu  in  tutte  le  città  raccolto  con  ogni  miglior  cortesia: 
)  — •  a  Clemona,  città  celebratissima  nel  Friuli  ^^,  bevvi  squisiti 
{  vini  de'  Patarini,  robiole,  ceratici,  ed  altre  delicature  ».  Quivi 
)  sedeva  vescovo  un  tal  Pietro  Gallo,  che  essendo  stato  scoperto 
■  di  fornicazione,  fu  cacciato  di  seggio  e  dalla  società  i"'. 
)  Quanto  sia  ai  riti,  quattro  soli  sacramenti  tenevano;  e  non 

•  istituiti  da  Cristo,  ma  dall'uomo  introdotti.  L'eucaristia  era 
(  quotidiana,  poiché  quando  s'assidevano  a  mangiare  di  brigata, 
)  il  maggiore  fra  i  commensali  sorgeva,  e  recatosi  in  mano  il 
;         pane    ed    il  vino,  esclamava:     Grafia  D/vrini  nostri  J.  C.  sit 


i**  Clcniona  (Cliiinliii  Einiin:i),  i)'j,^A  Geiiiona. 
17  A|).  Mattia.  I'aris  all'iiiico  1215. 

C'ANTi'i  —  Fzelino.  12^63 


CAPITOLO    Vili. 


semper  cum  omnibus  vobis;  frangeva  quel  pane,  lo  distribuiva, 
credendo  adempiere  al  precetto  del  Vangelo,  Ciò  fm^eie  in 
mia  commemorazione.  Il  giorno  poi  della  cena  del  Signore 
imbandivano  più  solennemente,  e  il  ministro  postosi  ad  un 
tavoliere,  su  cui  una  coppa  di  vino  ed  una  focaccia  di  azimo, 
diceva:  ■ —  Preghiamo  Dio  ci  perdoni  i  peccati  per  sua  raise- 
»  ricordia,  ed  esaudisca  alle  nostre  supplicazioni;  e  recitiamo 
»  sette  Pater  nostcì^  a  onor  di  Dio  e  della  SS.  Trinità  ».  Tutti 
s'inginocchiano:  orato,  si  rialzano:  esso  benedice  il  pane  e  il 
vino,  frange  quello,  dà  mangiare  e  bere,  e  così  è  compiuto  il 
sacrifizio  ^s^. 

La  confessione  de'  peccati  veniali  (i  Catari  lombardi  rite- 
nevano tal  distinzione)  si  faceva  da  tutti  insieme  ,  recitando 
uno  a  nome  di  tutti  questa  formola:  —  Noi  confessiamo  innanzi 
»  a  Dio  ed  a  voi  che  molto  peccammo  in  parole,  colla  vista, 
»  col  pensiero,  eccetera  ».  La  solenne  si  faceva  presentandosi, 
al  cospetto  di  molti,  il  peccatore  col  libro  de'  vangeli  sul  petto, 
e  dicendo:  —  Io  sono  qui  avanti  a  Dio  ed  a  voi  per  confessarmi 
»  e  chiamarmi  in  colpa  di  tutti  i  peccati  miei  che  ho  sin  qui 
»  commessi,  e  riceverne  da  voi  la  perdonanza  ».  Era  assolto 
col  posargli  que' vangeh  sopra  il  capo.  Se  un  credente  ricadecasse, 
doveva  confessarsene  e  ricevere  di  nuovo  la  imposiziono  delle 
mani  in  privato. 

Del  sacramento  delFordiue  teneva  luogo  l'elezione  dei  loro  ge- 
rarchi. Quattro  gradi  conoscevano;  il  vescovo,  il  figliuolo  maggiore, 
il  minore  ed  il  diacono.  Al  vescovo  spettava  di  preferenza  l'imporre 
le  mani,  spezzare  il  pane,  dir  l'orazione:  mancando  lui,  suppliva 
il  figliuolo  maggiore,  se  no  il  minore  o  il  diacono,  e  in  difetto, 
un  semplice  credente  e  fin  anche  una  catara.  I  due  figliuoli 
dunque  coadjuvavano  al  vescovo  e  visitavano  i  Catari:  v'avea 
poi  in  ogni  città  un  diacono  per  ascoltare  i  peccati  leggeri 
una  volta  al  mese,  il  che  dai  nostri  dicevasi  caregare  servi- 
tium.  Il  vescovo,  avanti  morire,  inaugurava  a  succedergli  il  l 
figliuolo  maggiore  imponendogli  le  mani.  \ 

Non  battesimo;  e  deridevano  il  conferirlo  agli  infanti;  in 
sua  vece  l' imposizione  delle  mani,  detta  consolamenio  o   bat-        ( 


1^  F.  Ranerii,  De  Calharis  ci  Leonùtis,  eie.  etc. 

L- 1  n  -  182  — 


^ ^ -^ 

I — '□  INIZIAZIONE    DE   CATARI  ni 

tesirao  di  Spirito  Santo,  funzione  di  capitale  importanza,  non  > 
potendo  senz'esso  venire  rimesso  il  peccato  mortale  o  comu-  ^ 
nicato  lo  spirito  consolatore.  Se  uno  àQ  perfetti  imponga  le 
mani  ad  un  moribondo,  e  ripeta  l'orazione  dominicale,  quegli 
va  a  certa  salvazione.  Gli  Albigesi  contendevano  che  tal  effetto 
nascesse  non  dalla  materiale  imposizione  delle  mani,  le  quali 
essendo  opera  del  diavolo,  non  valgono  ad  alcun  bene,  ma  dalla 
preghiera;  accordavansi  però  in  dire  che  la  consolazione  non 
cancellava  le  colpe  se  fosse  fatta  da  uomo  in  peccato  mortale, 
secondo  la  dottrina  già  professata  dagli  antichi  Donatisti,  che 
non  può  conferire  lo  Spirito  Santo  chi  lo  abbia  perduto.  Perciò 
veniva  fatta  da  almeno  due  ministri,  né  però  restava  tolto  il 
timore  che  il  ministro  fosse  indegno  i^. 

Il  Ranerio  aggiunge  che,  dato  il  consolamento  al  moribondo, 
gli  chiedevano  se  in  cielo  volesse  trovar  posto  fra'  martiri  o 
fra'  confessori:  se  eleggeva  i  primi,  lo  faceano  strangolare  da 
un  sicario  a  ciò  stipendiato:  se  gli  altri,  più  non  gli  davano 
a  bere,  né  mangiare.  Atrocità  gratuite  che,  inventa  il  vulgo 
0  chi  ha  interesse  di  mostrare  scellerati  coloro  che  perseguita. 

E  non  v'è  nefandità  di  che  non  abbiano  voluto  ritrovarli 
rei:  essi  ladri,  essi  usurieri,  essi  sopratutto  carnali;  adulterio 
e  incesto  in  qualunque  grado,  connubj  promiscui  e  fin  contro 
natura;  professando  non  poter  l'uomo  peccare  dall'umbilico  in 
giù,  perchè  il  peccato  viene  dal  cuore. 

Che  questa  bacchica  santificazione  del  libertinaggio,  questo 
gentilesco  culto  della  generazione  e  della  morte  non  tengan 
nulla  del  vero,  ce  ne  convince  il  vedere  i  Catari,  ne'  libri  dei 
loro  stessi  nemici,  giudicare  peccato  fino  il  congresso  maritale: 
imporsi  una  quantità  di  penose  privazioni  onde  reprimere  la 
carne,  ribellante  alla  volontà  e  derivata  dal  principio  maligno; 
tre  quaresime  l'anno,  perpetua  astinenza  dalle  carni  e  dai 
latticinj,  replicati  digiuni,  iterate  preghiere.  Fu  dalla  loro 
congrega  respinto  uno  perché  reo  di  fornicazione;  e  san  Ber- 
nardo, fierissimo  nell' enumerarne  le  colpe,  confessa  non  v'era 


^•'  Fu  \wv  opporsi  alla  Consolazione  degli  Albigesi  clic  noi  Concilio  Latera- 
nensc  IV,  del  12 lo,  si  onliiiù  di  confessarsi  almeno  una  volla  l'anno  o  comunicarsi 
alla  pasi|ua. 


—  1S3  — 


j^J^.^  _ ^ ^ 

p-|j  CAPITOLO    Vili.  D    ■— I 

cosa  in  apparenza  più  cristiana  dei  loro  discorsi,  né  più  lontani  ( 

d'ogni  taccia  che  i  loro  costumi».  Lasciamola  pure  da  Bossuet  i 

chiamare  ipocrisia  profonda  20  ;  l'uomo  può  egli  giudicare  il  suo  ) 

simile  da  altro  che  dagli  atti?  Resta  a  Dio  lo  scrutar  le  reni  ( 

e  i  cuori;  e  Bossuet  stesso  non  seppe  incolparli  con  fondamento  .  \ 
se  non  di  alcuni  eccessi,  com'era  il  condannare  il  matrimonio, 
il  moltiplicare  astinenze;  che  pure  aveano  comuni  con  tanti 
anacoreti.  Il  domenicano  Sandrini,  che  potè  a  sua  posta  frugare 
gli  archivj  del  santo  Uffizio  in  Toscana:  — •  Per  cercare  ch'io 
»  facessi  nelle  processure  dei  nostri  frati,  non  ho  trovato  ap- 
»  puntati  d'enormità  i  Consolati  in  Toscana,  né  che  commet- 
»  tessero  eccessi  di  senso:  e  il  tacer  per  modestia  parendo 
»  poco  credibile  in  uomini  che  di  ogni  erba  faceano  fascio  per 
»  aggravargli  avversar],  bisogna  credere,  più  che  di  sensualità, 
»  errassero  d'intelletto  ^i  ». 

Quindi  non  esitiamo  a  rifiutare  per  ispurie  alcune  profes- 
sioni di  fede,  esibiteci  da'  loro  antagonisti  ,  secondo  le  quali 
gli  iniziati  rinunziavano  non  solo  a  tutte  le  sane  credenze  della 
religione  ma  ad  ogni  costume,  ogni  pudore,  ogni  virtù.  Il  Martene 
ne  riferisce  una  formola,  che  può  tenersi  verace  perché  data 
da  fra  Ranerio,  persecutore  di  essi  acerrimo,  quali  sogliono 
essere  i  convertiti.  Or  questa  com'è? 

Raccolta  l'adunanza  dei  credenti,  il  vescovo,  0  chi  per  lui, 
interroga  il  neotìto  :  —  Vuoi  tu  renderti  alla  fede  nostra  ?  » 
Come  questi  afferma,  s'inginocchia  e  pronunzia  il  benedicite. 
Allora  il  ministro:  —  Dio  ti  benedica  »,  e  ripete  questa  formola 
per  tre  volte,  sempre  più  discostandosi  dall'iniziato.  Il  quale 
soggiunge:  —  Pregate  Iddio  mi  faccia  buon  cristiano  »;  e  il 
ministro  replica:  —  Siane  pregato  Iddio  a  farti  buon  cristiano  ». 

L'interroga  poi:  —  Ti  rendi  a  Dio  e  al  vangelo?  —  Si. 
—  Prometti  non  mangiar  carne,  uova,  formaggio,  né  alcuna 
cosa  se  non  d'acqua  e  di  legno?  (cioè  frutta  e  pesci)  —  Si. 
■ —  Non  mentirai  ?  —  Non  giurerai  ?  —  Non  ammazzerai 
né  tampoco  i  rettili  ?  —  Non  farai  libidini  nel  tuo  corpo  ?  — 
Non  andrai  scompagnato  quando  puoi  avere  compagni?  —  Non 


20  Storta  (ielle  variazioni,  ecc. 

21  Lanzi,  Lez.  d^Anlich.   Toscane,  XVII. 


(  ' 

C  21  Lanzi,  Lez.  d'Anlich.   Toscane,  XVII.  ; 


lì) 


INQUISIZIONE  '-^    ^ 

mangerai  da  solo  potendo  avere  commensali  ?  —  Kon  ti  cori- 
cherai senza  le  brache  e  la  camicia?  —  Non  lascerai  la  fede 
per  timore  di  fuoco,  d'acqua  o  d'altro  supplizio?  ». 

Affermato  che  il  neofito  avesse  a  ciascuna  domanda,  l'u- 
niversa assemblea  mettevasi  ginocchione  :  il  sacerdote  imponeva 
al  novizio  il  libro  de'  vangeli;  e  leggeva  il  principio  di  quello  di 
san  Giovanni:  poi  lo  baciava  tre  volte.  Così  facevano  tutti, 
dandosi  l'uno  all'altro  la  pace:  indi  veniva  messo  in  collo  al- 
l' iniziato  un  fil  di  lana  o  di  lino,  che  dovesse  portare  conti- 
nuamente. 

Nella  loro  credenza,  come  in  tutte,  avevano  un  arcano, 
che  non  si  comunicava  se  non  ai  perfetti.  —  Seppi  (dice  Stefano 
di  Bellavilla)  da  un  prete  il  quale  l'aveva  udito  in  confessione, 
che,  per  conoscersi  fra  loro,  questi  eretici  incontrandosi  l'uno 
dice  prenda  per  le  orecchie:  l'altro  risponde  Sii  benvenuto,  e 


\         gli  recita  i  principali  lor  comandamenti  22.  » 

)  22  Pnad  le  par  l'ornile  —  Bìeii  venant  soj/ez  vouf.  Ap.  Martene.  N.  Thes. 

t.  V.   pag.  1794.  Dimorando  io  in  ciuà  dove  è  scarsissimo  sussidio   di  libri,  e 

nessuno  di  benevola  cooperazione,  non  potei  conoscere  che  nel  corregger  le  bozze 

di   questo   lavoro    ìllistoire    et  doctivie   de   la    sede  des  Cathaves  ou  Alhnjeois  di 

Schmiet,  professore  ilei  seniinai'io  proiesianle  di  Strasburgo,  stampata  nel  1849. 

Nel  1  volume  espone  la   storia  loro,  nel  secondo  le  dottrine  :  si  vale  dei  libri 

stessi  cui  noi  ci  appoggiamo,  aggiungendovi  i  francesi.  Separa  i  Catari  dai  Manichei 

antichi  e  dai  Pauliciani,  perchè' questi  facevano  risultar  la  creazione  dairunione 

dell'anima  del  mondo   colla  materia ,  e   mista   di   bene  e  male  ;  i  Catari  invece 

credeano  il  tutto  opera  del  genio  del  male,  e  non  si  appoggiavano  su  astronomia 

0  altre  idee  persiane,   ma  su  testi  della  Bibbia.  A'  Manichei  poi  era  ignoto  il  Con- 

solamento.  Inoltre  i  Tauliciani  stessi  maledicevano  la  memoria  di  Manete,  e  non 

aveano  comune  con  esso  fuorché  il  dualismo.  A  differenza  poi  dei  Catari ,   non 

condannavano  il  matrimonio  né  l'uso  delle  carni. 

Suppone  egli  nascessero  i  Catari  in  qualche  convento  greco-slavo  della  Bulgaria, 
paese  medio  fra  i  Greci  e  Latini,  i  mi  frati  ignoravano  la  lingua  liturgica,  imposta 
ad  essi  per  decreto,  e  volentieri  accoglievano  una  dottrina  predicala  nella  lingua 
nazionale,  e  avversa  a  un  culto  comandalo.  Il  principale  stabilimento  loro  fu  a 
Tran  sulle  coste  dell'Adriatico,  donde  si  dilTusero  in  Italia.  Il  dualismo  puro  si 
alterò  nella  setta  de'  Concorezj  (città  dalmata,  egli  dice,  ma  della  (piale  nessun 
seppe  darci  contezza),  ch'era  simile  ai  Bogomili  di  Bulgaria. 

Chi  ha  esaminato  a  fondo  li>  dollrine  de' Catari  potrà  vedere  che  vi  abbondano 
gli  elementi  gnostici  e  manichei;  ne  la  distinzione  da  questi  ultimi  parve  a  noi 
si  pronunciata. 


CAPITOLO   VIIT.  LJ 


Ciò  che  ne  appare  evidente  si  è  che  la  gran  sintesi  del 
cattolicismo,  costituita  saldamente  nel  medioevo,  cominciava  ad 
essere  scassinata  dallo  spirito  di  discussione;  la  dialettica, 
diretta  prima  unicamente  a  spiegare  ed  applicare  la  Bibbia  e 
i  Padri,  (donde  nacque  la  Scolastica,  perpetuo  sillogismo  di  cui 
era  data  la  maggiore)  si  avventurò  più  liberamente  nell' ap- 
plicarsi alla  giurisprudenza  e  alla  metafisica;  e  piacendosi  nei 
proprj  abusi,  ispirò  presunzione  della  potenza  individuale,  arrogò 
ai  singoli  l'interpretazione  de'  libri  santi,  riservata  prima  allo 
Spirito  Santo  e  alla  Chiesa;  e  posta  la  ragione  individuale  in 
conflitto  colla  universale,  le  idee  mutevoli  col  dogma  invariabile, 
la  setta  armata  di  critica  che  opera  sulla  passione,  contro  il 
cattolicismo  armato  di  autorità  che  impera  sulla  coscienza,  si 
rimisero  in  campo  le  quistioni  dogmatiche  e  le   sociali. 

Di  fatto  altre  sette  suU'andar  medesimo  germoghavano  in 
quei  tempi.  Una  a  Milano  verso  il  1173  asseriva  che  il  diavolo 
avesse  creato  Adamo  dal  fango  ;  voltava  in  canzonella  molti  \ 
fatti  dell'antico  Testamento;  non  comunicarsi  lo  Spirito  Santo  ( 
col  battesimo,  non  succedere  la  transustanziazione,  ecc.,  ecc.  / 

Fautore  degli  eretici,  o  almeno  partigiano  del  conte  Rai-  ) 
mondo  di  Tolosa  fu  Bonifazio  marchese  di  Monferrato,  «  signore 
benigno,  amatore  degli  uomini  di  lettere  »;  e  a  lui  ricoverò 
Anselmo  Faidit  poeta  provenzale,  che  allora  mise  fuori  una 
commedia,  tenuta  fin  là  nascosta,  col  titolo  l'Eresie  dei 
preti  *3,  sicché  la  prima  o  una  delle  prime  rappresentazioni 
teatrali  appellava  a  controversie  religiose. 

Nuove  eresie  pullularono  all'occasione  del  litigio  fra  l'uni- 
versità (li  Parigi  ed  i  frati  Mendicanti,  nella  quale  trattavasi 
se  questi  ultimi  avessero  alcuna  proprietà,  almeno  sopra  le 
cose  che  usavano  attualmente. 

Circolò  anche  un  Evangelium  aeiernum,  attribuito  a  Gio- 
vanni da  Parma,  tessuto  d'assurdi,  attinti  in  parte  dalle  profezie 
dell'abate  Gioachino  calabrese,  la  cui  dottrina  era  anteposta  al 
nuovo  e  al  vecchio  Testamento:  e  dove  si  asseriva  il  Vangelo 
cesserebbe  nel  1260,  quando  se  ne  promulgherebbe  un  nuovo. 


3  Crescimbem,  Cdiiimpiit ,  l.  Il,  I,  p.  't'i. 

—  186  —  Dp 


r— '□  INQUISIZIONE  D 

tutto   di   spirito;   l'Ordine   dei   Mendicanti   avrebbe  jj  govern 
della  nuova  Chiesa.  ^s 

Alquanto  più  tardi  fra  Dolci  no  e  Margherita  sua  donna 
predicavano  nei  dintorni  di  Novara,  tirandosi  dietro  migliaja 
di  proseliti,  anch'essi  diffamati  per  nefandità,  e  per  togliere 
ogni  limite  nelle  relazioni  di  sesso;  ma,  a  detta  di  contempo- 
ranei, spiaceano  al  clero  singolarmente  perchè,  offrendo  in  se 
esempj  o  simulazione  di  purità,  faceano  tristo  raffaccio  alla 
corrutela  de'  preti  e  de'  frati  d'allora. 

E  davvero  1'  importanza  effettiva  di  tutte  queste  eresie 
stava  nella  guerra  che  portavano  allo  scapigliato  vivere  del 
clero  ,  che  a  cure  scolaresche  chiamato  dalla  natura  dei  tempi, 
dal  privilegio  del  sapere,  dalle  ricchezze,  vi  si  era  corrotto  e, 
serviva  a  corrompere  il  mondo.  Non  citeremo  poeti  o  satirici, 
ma  quel  pio  Antonio  da  Lisbona,  di  cui  tanto  dicemmo,  cosi 
predicava  : 

—  Il  vescovo  d'oggi  è  simile  a  Balaam  sulla  sua  asina, 
»  che  non  vedea  1'  angelo,  veduto  da  questa.  Balaam  è  sim- 
»  bolo  di  quel  che  rompe  la  fraternità  ,  turba  le  nazioni ,  di- 
^  »  vora  il  popolo.  Il  vescovo  insensato  precipita  pel  suo  esem- 
»  pio  nel  peccato  e  nell'  inferno  ;  la  sua  follia  turba  le  na- 
)  »  zioni  ;  la  sua  avarizia  divora  il  popolo  :  non  vede  1'  angelo  , 
)  »  ma  il  diavolo  che  lo  spinge  all'  abisso  ;  e  la  plebe  semplice, 
(  »  dritta  di  fede  ,  pura  di  atti ,  vede  1'  angelo  del  consiglio , 
»  conosce  ed  ama  il  figliuol  di  Dio  ^4...  i\  mal  prete  e  cotesti 
»  speculatori  della  Chiesa  son  ciechi,  orbati  dalla  vista  e  della 
»  scienza  ;  son  cani  muti ,  cui  una  museruola  diabolica  impe- 
»  disce  d' abbajare.  .  ,  Dormono  nella  colpa,  amano  i  sogni, 
»  cioè  i  beni  della  terra,  trastulli  degli  uomini;  la  loro  fronte, 
»  impudente  come  di  cortigiana,  non  sa  arrossire,  non  cono- 
»  scono  misura,  e  gridano  sempre  Por^«  porto. ..  Abbandona- 
»  rono  la  via  di  Gesù  pei  sentieri  tenebrosi  e  inverecondi.  Tali 
»  oggi  siete;  domani  un'eternità  di  patimenti  v' involgerà  ■•^•^... 
»  L'  avarizia  rode  alcuni  preti ,  anzi   mercatanti  ;    salgono  su 


2*  Sermones  sancii  Antonit.  Parigi  1641,  pag.  261. 
2»  Ibid.  pag.  528,  529. 


k 

H_n  ,  — 187  —  nJU 


CAPITOLO    Vili. 


'-^ 
^ 


»  questo  monte  Tabor  che  è  1'  altare  ,  e  tendono  le  reti  del- 
»  l'avarizia  per  pescar  l'oro;  celebrano  la  messa  per  buscare 
»  qualche    denaro,    e  se  no  ,  no;  e  del  sacramento    della  sa- 

»  Iute  fanno    letame    di   cupidità  ^'^ Non  fiera,    non  corte 

»  secolare  od  ecclesiastica  ove  non  si  trovino  preti  e  frati  : 
»  comprano  e  vendono  ,  edificano  e  demoliscono  ,  fan  rotondo 
»  il  quadro  ,  traggono  i  parenti  al  tribunale  ,  e  assordano  il 
»  mondo  per  temporali  litigi  '^~....  Quant'è  dai  cosiffatti  al  prete 
»  vero,  al  vescovo  buono,  figurato  nel  pellicano,  il  quale  uc- 
»  cide  1  suoi  pulcini,  poi  spande  sovr'  essi  il  proprio  sangue  e 
»  li  ravviva!  Così  il  buon  vescovo,  colla  verga  della  disciplina 
»  percuote  i  figli  suoi  ,  gli  uccide  colla  spada  della  parola  mi- 
»  nacciante  ,  poi  versa  su  loro  le  lacrime  ,  e  vi  fa  germogliare 
»  il  pentimento,  vita  dell'anima.  -'^  ». 

Pertanto  erano  ascoltati  volentieri  questi  predicatori  d'una 
stretta  morale,  che  mostravano  portentosa  austerità,  semplicità 
evangelica,  carità  nel  soccorrere  e  nel!'  istruire,  quello  insom- 
ma che  i  preti  avrebbero  dovuto  essere. 

Il  riformare  la  Chiesa  sarebbe  stato  il  rimedio  più  oppor- 
tuno a  queste  pericolose  novità,  fomentate  principalmente  dalle 
declamazioni  contro  di  essa;  le  quali,  conosciute  veraci,  fa- 
i  cavano  suppor  vere  anche  le  critiche  avventate  sul  dogma.  E 
di  fatto  continue  riforme  proponeansi;  e  fra  l'altre  nel  Concilio 
Lateranense  Innocenzo  III  ordinò  ogni  chiesa  avesse  un  teo- 
logo per  ispianare  al  clero  ed  al  popolo  i  dogmi  ed  i  precetti: 
nuove  devozioni  s'  introdussero  ;  gli  ordini  monastici  recenti  col 
{  rigore  proprio  doveano  eccitar  gli  altri  a  imitarli.  Ma  non  per 
)         queste  sole  vie  si  procedette. 

)  Tre  secoli  avevano  lottato  i  martiri  e  i  santi  padri  accioc- 

^  che  la  forza  materiale  fosse  esclusa  dal  santuario  dell'anima, 
(  né  comandasse  alla  fede  e  alla  coscienza  :  ma  gli  eretici  ve- 
/  nivano  imputati  di  delitti  che  attaccavano  le  basi  della  società. 
)        Il  qual  fatto,  allorché  si  avveri   o   si   creda,   tutti    gli    onesti 


26  Sermoncs,  clr.  pa^ 

27  Ibid.  pag.  241. 
r                 28  li}id^  pag.  259. 


188  - 


l'agli  trafitto  intinse  il  dito  nel  sani^ue,  scrisse  jiej-  terra  CREDO. 


?ci''.  2:0. 


INQUISIZIONE  D    1—, 

uomini,    anteponendo  l'ordine    sociale  al  legale,  sogliono  darsi         ) 
mano  ,  a  difesa  di  quella  adoperando  il  sentimento,  le  ragioni 
e  ,  se  altro  non  valga  ,  la  forza.  Non  è  lo  spettacolo  che   ab- 
biamo oggi  sott'  occhio  ? 

Allora  dunque  che  alla  religione  era  riservata  intera  la 
direzione  della  società,  che  dappoi  fu  assunta  dai  Governi,  l'e- 
resia parve  giustiziabile  come  gli  altri  delitti  ;  la  Chiesa  sgo- 
mentata chiamò  in  ajuto  il  braccio  secolare  ;  agli  orrori  della 
superstizione  e  dell'  impostura  oppose  gli  orrori  dei  roghi , 
istituendo  una  corte  marziale  ,  un  giudizio  statario;  nomi  che 
oggi  noi  subiamo  senza  diminuir  d'  ammirazione  pe'  moderni 
progressi ,  mentre  è  di  moda;  il  raccapricciare  al  nome  della 
Santa  Inquisizione,  la  Polizia  del  medioevo,  detestabile  da  ogni 
buon  cristiano  siccome  un  avanzo  di  gentilesimo  ;  ma  civil- 
mente, nulla  più  riprovevole  di  altre  consone  istituzioni  moderne, 
alle  quali  non  rimangono  tampoco  l'illusione  del  fanatismo,  la 
moralità  dell'  intento,  la  scusa  della  necessità. 

Fra  i  Romani  1'  imperatore  era  capo  dello  Stato  non  men 
che  della  religione ,  non  conoscendosi  quella  distinzione  del  tem- 
porale dallo  spirituale,  che  assicurò  nelle  età  moderne  la  pri- 
ma delle  libertà,  quella  della  coscienze.  Da  ciò  le  persecuzioni 
contra  i  Cristiani,  che  ricusavano  di  credere  e  adorare  come 
il  principe  voleva.  I  primi  apologisti  vi  si  opposero,  invocando 
la  libertà  che  a  ciascuno  dee  lasciarsi  nel  negozio  più  impor- 
tante ,  la  salute  dell'  anima  ;  ma  dacché  le  eresie  scissero 
r  inconsutile  tunica  del  Salvatore,  i  Padri  non  sempre  abbor- 
rirono  dal  perseguitare  gli  erranti,  quasi  fosse  difesa  legittima 
contro  la  seduzione  da  essi  esercitata. 

Piantata  la  croce  sul  trono,  gl'imperatori ,  ancor  memori 
di  quando  erano  pontefici  ,  pubblicarono  leggi,  per  cui  gli  ere- 
tici venivano  con  diversa  misura  puniti;  di  rado  colla  morte, 
opponendosi  i  vescovi,  che  nel  Vangelo  leggevano:  Non  voglio 
la  TiHyrtc  ilei  peccatore,  ma  che  si  converta  e  viva;  e  in  San- 
t'  Agostino  :  A  nessun  buon  cattolico  piace  che  si  inctntdelisca 
contro  chichessia  fin  alla  morte  ,  quantunque  eretico.  Delle 
tre  parti  poi  onde  si  costituisce  un  giudizio  ,  la  prima,  cioè  la 
cognizione  del  delitto  ,  serbavasi  alla  Chiesa,  unica  competente 
a  decidere  se  un'  opinione  fosse  ereticale  :  la  verificazione  del 
fatto  e  la  sentenza  spettavano  al  magistrato  secolare. 

Jl  .  -  189  -  D 


^ _ ^e^ 

r— '□  CAPITOLO   TIII.  ^^H 

Cosi  andò  nel  dechino  dell'  impero  romano  :  dopo  la  bar- 
barica invasione  poco  occorse  di  pensare  ad  eresie  o  di  dover 
castigare  eretici  :  contro  chi  violasse  le  chiese  ,  e  ne  trasgre- 
disse scandalosamente  i  comandamenti  ,  e  simili  peccatori ,  il 
vescovo  usava  quell'  autorità,  mista  di  ecclesiastico  e  di  seco- 
lare ,  che  gli  era  consentita  dal  principe  o  dai  Comuni,  Tal- 
volta contro  chi  fallisse  nella  fede  si  procedeva  a  forza  aperta, 
e.  nel  1028  ,  trovandosi  nel  castello  di  Monforte  sull'Astigiano 
alcuni  sospetti  d'  eresia  ,  Eriberto  da  Cantù  arcivescovo  di  Mi- 
lano espugnò  quel  forte  e  trascinatili  a  Milano,  fece  dare  alle 
fiamme  quelli  che  ricusavano  abjurare. 

Quando  poi  ,  fra  le  contese  del  principato  colla  tiara,  creb- 
bero gli  eretici ,  vescovi  e  imperatori  credettero  dovervi  ri- 
parar con  nuovi  rigori ,  e  istituire  tribunali  appositi ,  affidati 
a  que'  Francescani  e  Domenicani  che  pur  lodammo  di  pia  man- 
suetudine e  cristiana  amorevolezza.  Appoggi avansi  gl'inquisi- 
tori a  decreti  non  di  papi,  ma  di  imperatori:  fin  dal  1196 
Enrico  VI  avea  fatto  legge  che  cadessero  al  fisco  i  beni  dei 
Patarini ,  e  niuno  si  opponesse  al  loro  arresto  :  Ottone  IV  da 
Ferrara  nel  1210  metteva  i  Gazari  e  Patarini  al  bando  del- 
l' impero  ed  a  gravissime  pene.  Federico  11 ,  che  dai  partigiani 
delle  corone  vien  lodato  per  aver  resistito  ai  papi ,  fu  de'  più 
accaniti  persecutori  degli  eretici  ;  alla  sua  coronazione  in  Roma 
li  fulminò  di  pene  temporali ,  poi ,  stando  a  Padova  col  nostro 
Ezelino  ,  promulgò  quattro  editti ,  ove  «  usando  la  spada  che 
Dio  gli  ha  concesso  contro  i  nemici  della  fede  »  toglie  in  pro- 
tezione gli  inquisitori,  vuole  che  i  molti  eretici,  onde  è  infetta 
principalmente  la  Lombardia ,  siano  presi  dai  vescovi ,  che  li 
diano  alle  fiamme  nitrici,  o  se  meglio  pare,  strappino  ad  essi 
la  lingua  :  prima  legge  di  morte  per  tali  colpe.  Nelle  Costitu- 
zio7ii  del  regno  di  Sicilia  ne  pose  altre  contro  i  Patarini,  la- 
mentandosi che  dalla  Lombardia  dove  abbondavano  (quel  ma- 
ligno voleva  insinuar  con  ciò  le  repubbliche  fossero  pericolose 
anche  alla  religione  ;  arti  vecchie  !  )  si  fossero  diffusi  a  Roma 
e  perfino  nella  Sicilia  29.  Contro  di  essi  deputò  1'  arcivescovo 
di  Reggio  e  Riccardo   di    Principato  suo    maresciallo  ;  drago- 


29  Constit.  Inconsulilem  ;  Const.  De  receplatoribus,  etc.  I.  I. 


—  190  —  p 


À 


nata  che  mandò  a  morte  quanti  colse  ,  e  impedi    che  i  Pata- 
rini  si  propagassero  nell'  Italia  meridionale. 

Altre  erano  le  armi  della  Chiesa:  e  nel  Concilio  Latera- 
nense  fu  ordinato  gli  eretici  fossero  infami,  non  ascoltati  in 
giudizio  :  se  giudici,  non  valga  la  loro  decisione  ;  non  possono 
esercitare  da  avvocati  e  notai  ;  non  far  testamento  ,  non  ere- 
ditare. 
)  Dopo  la  non  mai    abbastanza  deplorata   spedizione  contro 

\  gli  Albigesi,  dove  i  Francesi,  sotto  aspetto  di  rehgione  ,  ri- 
/  dussero  alla  nazionalità  e  all'  accentramento  i  Provenzali  coi 
(  modi  stessi  con  cui,  sei  secoli  dopo,  compirono  la  stessa  opera 
1  Robespierre  e  i  Terroristi  '^,  colà  furono  posti  inquisitori,  ma  ) 
S  non  aveano  tribunale  proprio  ;  solo  eccitavano  la  podestà  a  pu-  \ 
\         nire  gli  eretici;  od  armavano  qualche    potente  barone  ai  loro  ( 

(  danni  ;  talora  aizzavan  il  popolo  ,  segnando  con  una  croce  di 
>  panno  quelli  che  volessero  a  tale  impresa  dedicarsi ,  e  congiunti 
}  li  conducevano  a  sterminare  gli  eretici  ^^  Ma  condannar  a  l 
\  morte,  e  tanto  meno  mandare  non  potea  la  Chiesa;  sicché  per  / 
\  r  applicazione  dei  decreti  imperiali  dovette  ricorrere  al  brac-  ^ 
ciò  secolare  ,  tornando  cosi  a  quella  confusione  di  poteri  che  \ 
tanto  essa  avea  faticato  a  distinguere  :  e  dopo  che  essa  avea 
esaminato  se  constasse  del  delitto  e  del  delinquente  ,  dichia- 
rava questo  meritevole  d'  una  pena,  la  cui  applicazione  era 
affidata  all'  autorità  laica. 

Bensì  qual  sovrano  di  Roma  il  papa  non  dubitò  pubblicar 
decreti  di  sangue  come  gli  altri  re;  Catari,  Patarini  e  d'  altro 
nome  Gregorio  IX  bandì  fossero  mandati  al  fuoco  ,  o  ,  se  si 
convertivano,  al  carcere  perpetuo  :  chi  li   ricettasse  ,  divenisse 


^0  Contro  alle  crudeltà  delia  guerra  degli  Albigesi  papa  Gregorio  pretesiava 
altamente;  e  a  Pelagio  vescovo  d'Albano  scriveva  che  Dio  vuol  mantenere  la  libertà 
della  sua  Cbiesa  in  modo  che  l'umiltà  non  impedisca  di  difenderla,  e  la  difesa  non 
ecceda  i  lìmiti  dell'umanità  :  volersi  non  mutilare  o  uccidere,  ma  ricondur  sul  cammiu 
dritto;  esser  indegno  di'll'csercito  di  Cristo  uccidere  o  mulilare,  sformando  l'imagine 
del  Creatore:  ed  irritarlo  col  dilettarsi  del  sangue:  basta  far  custodire  gli  scoperti, 
si  che  sien  più  contenti  della  schiavitù  loro  che  della  liberta  goduta;  e  gì' in- 
giunge di  proibire  ogni  violenza.  Ep.  19  maggio,  ap.  Uainaldi,  .V.  44.  Come 
fosse  obbedito  ognun  io  sa. 

5^  V.  Fra  Paolo  Sarpj.  Sopva  riiujuisizionc. 

—  191  —  D. 


~-&rl:5] 


nra  capitolo  viir. 

infame,  da  non  poter  ricevere  eredità,  non  ricovero  negli  spe- 
dali ,  non  stare  in  giudizio  ;  nessuno  ardisse  disputare  sulla  fede 
in  pubblico  od  in  privato  :  chi  conosce  eretici,  li  denunzj  al 
suo  confessore.  Di  conformità  alle  quali  ordinanze  ,  il  senato 
di  Roma  gravi  pene  comminò  ;  ne  fossero  per  sempre  diroc- 
cate le  case:  il  senatore  ,  entrando  in  signoria,  giurava  non  / 
usar  loro  indulgenza.  Molti  furono  di  fatto  arsi;  molti  ravve-  \ 
dutisi  vennero  messi  a  far  penitenza  ne'  monasteri  di  Monte-  ( 
cassino  e  della  Cava:  molti  preti  o  degradati,  o  al  fuoco.  \ 

Cosi  il  popolo  s'  abituava    al    sangue  ,    e  disusava    quella         ^ 
virtù,  che  quasi  tutte  l'altre  comprende,  la  benevolenza  fraterna. 

Nelle  varie  città  si  stabilirono  questi  tribunali  di  sangue,  ^ 
i  quali  fecero  alla  religione  molto  più  torto  che  non  coloro  i 
contro  cui  erano  alzati.  A  Milano  fin  dal  1228  il  cardinale  { 
Goffredo  legato  fece  dalle  autorità  decretare  che  quahmque  \ 
persona  a  sua  volontate  potesse  pt^endere  ciascun  her elico:  | 
item  che  le  case  dove  Cibano  ritrovati  si  doressero  rovinare,  e  \ 
il  beni  che  in  esse  si  ritrovavano,  fossero  pubblicati  2^.  Enrico  \ 
da  Settala  arcivescovo,  allora  istituito  inquisitore,  jugidavit  ( 
hcereses ,  come  dice  il  suo  epitaffio.  La  qual  menzione  fattane  ^ 
sopra  la  tomba  dimostra  come  quella  venisse  reputata  opera 
meritoria  :  e  più  lo  dimostra  un  monumento  che  tuttavia  con- 
serviamo a  Milano  ,  e  che  è  la  prima  statua  equestre  che  si 
conosca  dell'  età  moderna  ,  posto  nel  1233  a  Oldrado  da  Trés- 
seno  lodigiano  podestà ,  che  Cìiataros  ut  debuit  uxit  fussitj. 
Kon  vi  sia  però  clii  vanti  che  il  retto  senso  e  il  hbero  pen- 
sare sian  nati  ieri  :  perocché  quell'  arcivescovo  fu  espulso  dai 
Milanesi;  e  quanto  a  colui  da  Tré  sseno  ,  il  cronista,  che  pur 
frate  ,  riconosce  che  il  resogli  onore  fu  un  grande  obbrobrio  ^^. 

In  Milano  la  razza  de'  Patarini  s'era  avvivata  (credo  averlo 
già  detto)  ai  tempi  del  Barbarossa,  e  l'arcivescovo  san  Caldino 
nel  1176  mori  dopo  avere  declamato  vivamente  contro  di  essi. 
Da  poi  erasi  fatto  protettore  degU  eretici  il  conte  Egidio  di 
Cortenova  nel  Bergamasco,   ed  Innocenzo  III   nel   1203  tanto 


32  CORIO,  p.  II,  f.  72. 

^•>  111  marniorr  supe  l'quum  resldeiis  sculplus  fui/,  ijuml  marjnum    vilnpprium 
fuit.  Galva>o  Fiamma.  ' 


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I 'q  eretici    in    ROMAGNA  D 

fece,  che  vide  per  forza  distrutto  il  castello  di  lui,  e  raccomandò 
agli  inquisitori  che  più  noi  lasciassero  rifabbricare.  Eccitò  quindi 
i    Milanesi  a   prendere    il   castello    di    Mozzànica,   il  cui  conte 
raccettava  eretici:  arrestare  Manfredo  da  Sesto,  altro  campione 
de'  Patarini,  che  avea  tenuto  mano  ad  uccidere  presso    Brera 
il  francescano  Pietro   d'Arcagnago:    e   cosi   Roberto   Patta   da 
Giussano  milanese,  il  quale  nel  castello  di  Gattedo    (eh' è    ora 
un  casale  ascoso  tra  le  foreste  della  pieve  di  Mariano)    tenea 
pubblica   scuola   d'eresia:  vuole  ancora  che  gli  inquisitori  dis- 
sotterrino   gli  eretici  morti,  e  ne  facciano  bruciare  le  case  ^^. 
Il  podestà   gravò    d'imposte  straordinarie  le  terre  più  infette. 
Molti    Manichei    stavano    in    Orvieto,    dove   avea   portato 
l'errore  il  fiorentino  Diotisalvi  ^a.  Verso  il  1150,  dicendo  nulla 
significare  il  sacramento  dell'eucaristia:  il  battesimo  non  occorre 
alla  salvezza:  nulla  giovarsi  ai  morti  con  limosino  ed  orazioni; 
tutte  le  cose  create  essere  fattura  del  diavolo  e  sotto  la   sua 
potenza.  Venivagli  compagno  Girardo  di  Marsano  in  Campania, 
ma  il  vescovo  Riccardo,  seduto  dal  1169  fin  dopo  il   1200,    li 
cacciò.  Successore  Melita,  e  Giulita,  le  quali  con  gran  fama  di 
santità  sedussero  donne  e  uomini  molti.  11  vescovo,  col  consiglio 
dei  canonici,  de'  giudici  e  d'altri,  molti  ne  uccise,  bruciò,  esigilo. 
Poi  Pietro  Lombardo  dottor  manicheo,  da  Viterbo  ad  Orvieto 
venne  a  predicare  contro  i  cattolici,  volendo  espellerli  di  città. 
Gli  Orvietani  ricorsero  a  papa  Innocenzo  III,  che  mandò  Pier 
da  Parenzo  nobile  romano,  il  quale,   oltre   le   altre  virtù    era 
fedele  pagatore  delle  decime.  Giunto  in  Orvieto  il  febbraio  1199, 
e  ricevuto  tra  ulivi  e  palme,  cominciò  dal  proibire   i   combat- 
timenti che  si  costumavano  in  carnevale,  giuochi  che  portavano 
fin  a  omicidj.  Ma  gli  eretici  istigarono  a  violar  il  decreto,  e  il 
primo  giorno  di  quaresima  seguì  un  grave  battibuglio;  Pietro 
fece  abbatter  le  torri  delle  case  grandi,  dond'erano  stati  tratti 
colpi:  poi,  col  parere  di  savie  persone,  ordinò   che   quelli  che 
un  tal  giorno  si  riunissero  in  chiesa,  vi  sarebbero    ricevuti;  i 
contumaci,  puniti  secondo  le  leggi  e  i  canoni.  Molti  abjurarono, 
altri  furono  flagellati,  sbanditi,  tassati. 


ììuìlarium  Franrisrnììuw,  t.  I,  |).  7(Ì0.  Ihiìtinir.,  I.  I,  p    2ol. 
(^  ^■'  lìoiXANDiSTi.,  l.  X,  |i.  8o.  Vila  S.  l'olii  l'aieii.  e.  I. 


A  Pietro  reduce,  il  papa  domandò:  —  Come  hai  tu  eseguito 
bene  gli  ordini  nostri? 

—  Cosi  bene,  che  gli  eretici  di  Orvieto  mi  cercano  a  morte. 

— •  Va,  e  segui  a  combatterli:  che  non  possono  uccidere 
se  non  il  tuo  corpo.  Ove  t'ammazzassero,  io  ti  do  l'assoluzione 
di  tutti  i  tuoi  peccati  ». 

Pietro,  fatto  testamento  e  congedatosi  dalla  desolata  fami- 
glia, tornò  all'impresa. 

Innocenzo  III  in  persona  nel  1207  mosse  a  sbrattar  Viterbo 
da'  molti  eretici,  rimbrottò  i  cittadini  che  scegliessero  i  consoli 
fra  quelli,  e  li  chiamò  nd  obbelienza:  poi,  raccolti  abati,  ve- 
scovi, conti,  baroni,  i  ])  )destà  di  Toscana,  del  ducato  di  Spo- 
leto, della  Marca  d'An^jona ,  e  d'altre  terre  della  Chiesa  ^6^ 
ordinò:  «  Qualunque  eretico  nel  patrimonio  di  san  Pietro  sia 
)  trovato,  si  consegni  al  braccio  secolare  per  essere  castigato; 
)  gli  averi  divisi  tra  il  delatore,  il  Comune  e  il  tribunal  giudi- 
l         cante;  abbattuto  il  ricovero  ». 

In  Ferrara  Armando  Pungilupo  ,  morto  con  fama  di  virtù 
e  di  santità  ,  appunto  nei  tempi  compresi  nel  nostro  racconto, 
venne  tenuto  molti  anni  in  venerazione  ;  poi  fu  sospettato  d'e- 
retico, e  cominciatigli  i  processi,  si  scopri  aver  coi  Catari  con- 
versato, ricevutone  la  Consolazione  ,  deriso  le  ciance  di  quelli 
eh'  esso  chiamava  pretones  e  fratones  e  la  pretenzione  di  voler 
rinchiudere  Dio  in  una  pisside  :  arrivò  fino  a  dire  che  gl'inqui- 
sitori faceano  male  ad  ardere  e  sterminare  i  miscredenti.  Laonde, 
condannato  come  eretico,  il  cadavere  suo  passò  dagli  altari  al 
rogo. 

Pari  vicenda  corse  in  Milano  la  Guglielmina.  A'enuta  di 
Boemia  ,  costei  spacciava  di  essere  lo  Spirito  Santo,  incarnato 
in    una    donna    ^7   per    redimere    quelli    che    non   erano  stati 

{         


su  Recjesia,  N.  123.  Lib.  X,  ep.  dóO. 

37  Altra  volta  s'aspettò  la  donna  Messia,  e  lutti  conoscono  i  gnoslici,  Postel, 
dotto  orientalista  della  mela  del  secolo  XVI,  rese  celebre  una  Veneziana  sotto  il 
nome  di  mamma  Giovanna,  di  cui  la  sostanza  e  il  corpo  diceva  discese  in  lui,  e 
talmente  si  dilTuse  per  lutto  il  corpo  clie  non  esso,  mu  olla  medesima  in  lui  vivea. 
Morì  (la  non  mollo  in  Inghilterra  Giovanna  Southcoie,  di  Gì  anni,  vergine  e  gravida, 
y         che  promise  risusciterebbe,  e  che  diceasi  la  donna  d '11' Apocalissi. 


D^ 


h? 


—  191  — 


salvati  da  Cristo;  Giudei,  Saracini ,  cattivi  cristiani;  averla 
l'arcangelo  Gabriele  annunziata  a  sua  madre  il  di  della  Pente- 
coste; dover  morire,  poi  risorgere,  ed  elevare  al  cielo  l'uma- 
nità femminile  :  lascerebbe  invece  sua  la  discepola  Mainfreda, 
che  avrebbe  celebrato  dapprima  sul  sepolcro  di  lei ,  posto  a 
Chiaravalle  ,  casale  vicin  di  Milano ,  e  la  sua  visita  fruttava 
tante  indulgenze  quante  il  passar  in  Terrasanta:  poi  questa 
Mainfreda  crescendo  celebrerebbe  nel  duomo  di  Milano,  infine 
a  Roma,  dove,  abolendo  il  mascolino,  istituirebbe  il  papato 
femminile.  Quando  ella  visse  ,  il  popolo  la  venerò  ;  morta,  fu 
tumulata  splendidamente  a  Chiaravalle,  e  tenuta  per  santa, 
illustrata  la  tomba  sua  con  preci  e  con  miracolose  guarigioni. 
Poi  si  cominciò  a  susurrare  di  questa  santità;  il  popolo,  colla 
solita  facilità,  cominciò  a  voltar  gli  omaggi  in  obbrobrio  e 
colla  solita  esagerazione  suppose  le  adunanze  di  quei  cre- 
denti, che  si  tenevano  nel  quartier  di  Porta  T^uova,  fossero 
conventicole  di  prostituzione  a  lumi  spenti  s^,:  prete  Andrea  e 
la  Mainfreda  ,  apostoli  di  quel  culto  ,  tratti  al  tribunale,  e  coi 
tormenti  convinti  di  eresia  e  d'  empietà  ,  furono  arsi  vivi  :  le 
ossa  della  Guglielmina  gettate  alle  fiamme  perchè  non  se  ne 
facessero  reliquie. 

Là  sul  1260  Gerardo  Segarelli  di  Parma  invitò  a  far  pe- 
nitenza ,  a  riformare  i  costumi ,  assumere  rigoroso  tenore  di 
vita:  ma  esso  ed  i  seguaci  suoi  furono  sentenziati  da  Onorio  IV 
papa.  E  vero  che  egli  fece  pubblica  professione  di  fede,  in  nulla 
disformo  dalla  cattolica:  ma  forse  caduto  poi  in  altro  errore, 


ss  Una  Icltera  del  15  giugno  1255  di  papa  Grcgoiio  al  vescovo  di  Magonza 

(VII  ep.  177,  ap.  Rainaldi,  1255,  n.  42)  narra  di  certi  eretici  deirAleniagna  che, 

quando  acccllano  un  novizio,  e' vede  un  rospo  grosso  più  d'un' oca,   baciato  da 

alcuni  sulla  bocca,  da  altri  dietro.  Indi  un  uomo  pallido,  occhi  nerissimi,  pelle  e 

,  ossa,  lo  bacia  e  il  sente  freddo  ghiacciato,  e  do|)o  (piel  bacio  scordasi  della  lede 

(  cattolica.  Fan  banchetto,  dopo  il  (juale,  di  dietro  ad  una  statua  sbuca   un   gatto; 

)  il  neolito  lo  bacia  dietro,  poi  il  preside  deirasseniblca  e  gli  altri  che  ne  son  degni; 

(  gli  imperlelli  son  baciali  solo  dal  maestro  :  promettono  obbedienza,  si  spengono  i 

(  lumi,  e  allora  ogni  impurità.  Ogni  anno  ricevono  la  pas(pia,   e   portano    l'ostia   a 

;  casa,  ove  la  buttano  nel    cesso.   Credono   in  .Lucifero,   averlo   Dio    ingiustamente 

l  cacciato    dal   cielo,   e   che    tornerà   in  gloria.  Chianiavansi  Stadinghi;  forse  dagli 

Sledinger,  tribù  frisona. 


—  195  — 


[^ 


t]  CAPITOLO   YIII.  U    L-i 


venne  preso,  ed  istituendo  il  processo  fra  Mainfredo  da  Parma, 
fu  con  molti  suoi  bruciato  vivo  in  Patria. 

Di  eretici  formicolava  Brescia,  così  sfacciati  che  dall'alto 
delle  torri  scagliando  fiaccole  ardenti,  scomunicavano  la  Chiesa 
romana.  Contro  de' quali  papi  Onorio  nel  1225  inviò  il  vescovo 
di  Rimini,  con  ordine  di  sterminarli  ^^  ;  e  in  fatto  egli  ab- 
battè molte  chiese  da  loro  contaminate,  poi  le  torri  de'signori 
Gàmbara ,  degli  Ugoni ,  degli  Oriani  ,  dei  Bottazzi  ,  eh'  erano 
i  più  pervicaci  ;  e  colpì  i  rei  d'  una  scomunica  ,  che  non  po- 
tesse sciogliersi  se  non  andando  in  persona  a'  piedi  del  papa. 
Molti  Catari  fece  bruciare  in  Piacenza  il  podestà  Zoccola  bo- 
lognese. Abbiano  di  sopra  dovuto  compiangere  che  ,  nel  luglio 
del  1233 ,  fra  Giovanni  da  Schio  nella  sola  Verona  abbia  arso- 
in  tre  giorni  sessanta  fra  uomini  e  donne.  Alcun  tempo  prima, 
cioè  il  20  ottobre  1227,  Gregorio  IX  scriveva  ai  frati  Minori 
di  San  Donato  in  capo  al  ponte  di  Bassano,  vigilassero  a  pre- 
servare la  vigna  di  Cristo  dalle  volpi  che  la  insidiavano  nella 
diocesi  di  Vicenza  e  nei  dintorni. 

Vivo  contradditore  degli  eretici  era  stato  in  quei  giorni  An- 
tonio da  Padova,  e  singolarmente  si  adoperò  a  Rimini,  dove 
convertì  Buonebello ,  già  da  trent'  anni  fuorviato ,  ed  operò 
que'  gran  portenti  che  altrove  divisammo.  Martello  degli  ere- 
tici mostrossi  pure  Tommaso  d'Aquino  da  Roccasecca,  il  più 
gran  teologo  del  medioevo  ed  uno  de'  maggiori  filosofi  ;  il  quale, 
entrato  ne'  Predicatori,  disputò  tutta  la  vita  coi  dissidenti ,  fu 
perseguitato,  e  da  Keginaldo  fratel  suo  (congiurato,  per  quanto 
si  disse,  con  Pier  dalle  Vigae)  tenuto  lungo  tempo  prigione. 
Da  lui  non  va  discompagnato  san  Bonaventura  di  Bagnarea, 
frate  minore  e  mistico  insigne. 

Anche  in  Toscana  erano  molto  allignati  i  Patarini,  e  nel 
1212  predicava  a  Firenze  un  famoso  lor  vescovo  Filippo  Pa- 
ternon  ;  che  estendeva  la  giurisdizione  da  Pisa  ad  Arezzo.  Nel 
1228  Gregorio  papa  ingiunse  a  fra  Giovanni  da  Salerno,  com- 
pagno di  san  Domenico,  e  ad  altri,  che  giuridicamente  proce- 
dessero contro  costui  ;  primo  esempio  di  inquisizione  straordi- 
naria in  quella  città.  11  Paternon  processato,  abjurò,  ma   ben 


S9  Rainald),  ihid/'in,  n.  47.  ) 

-196-  dJ 


Chiuso  Enzo  in  cortese  prigion«  nella  loro  citU  ,  ogni  giorno  i  magistrati  gì  ren- 
devano visita.  Pag.  225. 


SAN    PIETRO   MARTIRE 


tosto  ricadde.  A  fra  Giovanni  da  Salerno  morto  succedette 
fra  Aldobrandino  Cavalcanti  :  e  il  primo  inquisitore  domenicano 
piantato  regolarmente  a  Firenze  fu  fra  Ruggero  Calcagni  ,  a 
cui  il  papa  conferì  autorità  d'  aver  tribunale  in  convento.  Eresse 
il  primo  processo  nel  1243  ;  e  cominciò  a  citare  gran  numero 
d'  eretici  ,  e  oltre  le  pene  pecuniarie  e  di  censura  comunicate 
ai  contumaci;  il  papa  aveva  ingiunto  ai  signori  di  palazzo  con- 
segnassero i  rei  in  mano  degli  ecclesiastici.  L'inquisitore  trovò 
colà  capi  dell'eresia  Baron  di  Barone  e  Pulce  di  Pulce,  che 
aveano  case  a  San  Gaggio  ,  a  Magnone  ,  a  Settimo  ,  in  Pog- 
gibonzi  ov'  era  pure  la  scuola,  nel  Pian  di  Cascia,  a  Ponte 
Sieve  ,  munite  per  resistere  alla  forza.  Da  costoro  il  vescovo 
Paternon  fu  cavato  di  prigione;  ed  avendo  per  prudenza  mutato 
paese,  venne  a  lui  surrogato  nel  ministerio  Torsello,  quindi  Bru- 
netto, infine  .Jacopo  da  Montefiascone,  che  con  un  Marchisiano 
ed  un  Farnese  erano  da  prima  ministri  d'esso  vescovo.  Dava  fa- 
vore ai  Patarini  la  parte  imperiale;  e  v'aderivano,  oltre  i  no- 
minati, Gherardo  Cavriani  e  casa  sua.  Chiaro  di  Manetto,  conte 
di  Lingraccio  ,  Uguccione  di  Cavalcante ,  i  Saraceni ,  i  Mal- 
presa  :  molte  donne  ancora,  siccome  Teodora  Pulce,  un'Aldo- 
brandesca,  una  Lotta,  una  Contrelda,  un'Ubaldina,  altre  ed 
altre.  Essa  Teodora  serviva  ai  poveri  e  li  manteneva  d'  ogni 
cosa  ;  intervenivano  alle  prediche  e  dopo  queste  ricevevano  la 
Consolazione  ;  ed  erano  sempre  le  prime  a  dar  impulso  alle 
collette  che  a  prò  dei  poveri  o  de'  predicanti  si  facevano.  In- 
somma i  Patarini  comprendevano  un  buon  terzo  della  città  : 
e  le  adunanze  tenevano  principalmente  in  casa  i  Baroni,  che, 
come  dipendenti  dall'  impero,  rimanevano  esenti  dalla  giurisdi- 
zione comunale. 

Punto  atterrito  da  tanta  potenza,  fra  Ruggero  fé  carcerare 
alcuni,  ma  essendo  questi  stati  liberati  dai  Baroni,  il  papa 
scrisse  alla  Signoria ,  con  ogni  opera  ajutassero  gli  inquisi- 
tori a  punirli ,  e  per  appoggio  inviò  fra  Pietro  da  Verona. 
Questo,  che  or  noi  veneriamo  col  titolo  di  san  Pietro  Mar- 
tire ,  era  nato  a  Verona  da  genitori  patarini;  entrato  ne'Pre- 
dicatori,  apparve  de' più  zelanti  e  sin  dal  1232  era  stato  posto 
inquisitore  per  Milano  e  pel  contado.  Mentre  egli  dimurava  nel 
convento  di  San  Giovanni  a  Como,  un  frate  intese  delle  donne  \ 
l         susurrar  nella    cella    di   lui ,  e  1'  accusò,  onde    fu    relegato    a  > 

'^  •  m 

zi_a  *  - 197  -  oJi} 

Cantù  —  Ezelino.  13 


^^ : E^ 

jj  CAPITOLO   Vili.  D    '-1 

Jesi  :  ma  non  senza  prodigio  egli  provò  ^o  che  erano  le  sante         \ 
Agnese,  Cecilia  e  Catarina ,  comparsegli  ;  onde    fu  rimesso  in         ì 
onore.  Spedito  a  Firenze  ,  cominciò  a  predicare  con    altissima         } 
voce  e  continue    invettive   ,  sostenendo    le  ragioni  con    mira-         { 
coli.  La  piazza  di  Santa  Maria    Novella  riusciva   angusta   alla         \ 
folla ,  onde  venne  ampliata  ;  al  modo  di  Milano    e    d'  altrove , 
istituì  la  Società  dei  Laudesi ,  pii  uomini  che  assistevano  alle 
prediche ,  cantavano  le  lodi  di  Maria    Vergine  ,  e  veneravano 
il  SS.  Sacramento  ,  quasi    in    compenso  degli  oltraggi    che  gli 
erano    avventati   dai    Patarini.    E  il  culto    del    sacramento  fu 
cresciuto  in  quei  giorni  tanto  dal  miracolo  fatto  da  sant'  An- 
tonio della  mula  che  abbandonò  1'  avena  per  porsi  in   atto  di 
adorazione,  quanto  da  un  altro  in  Firenze,  ove  un  sacerdote, 
avendo  dimenticata  parte  della  sacrosanta  bevanda  in   un  ca- 
lice il  di  seguente  la  trovò  conversa  in  sangue  vivo.  Pietro  da 
Verona  persuase  alcuni   nobili  che  in  arme  venissero  al  con- 
vento per  guardia  de'  frati ,  e  ne  compose  uno  squadrone,  che 
>        fu  poi  ridotto  alla  sacra  milizia  dei  capitani  di  Santa    ]^Iaria  , 
|>        con  veste  bianca ,  croce  rossa    sul  petto  e  sullo  scudo  :    tutti 
ì        pronti  a  far  com'  egli  volesse  ^^    S'  incalorirono  allora  i  pro- 
)         cessi:  uomini  e  donne  furono  bruciati;  ma  i  Patarini,  non  che 
)        convertirsi,  accanivano:  i  Baroni   esclamavano    contro   queste 
esecuzioni  come  inumani    ed    illegali  ;  e  se  ne  facesse   appello 
all'  impero.    Sedeva    podestà    in    Firenze    Pace    da    Pessanola 
bergamasco  ,  uomo  di    coraggio  e  ,    pei    litigi  di    Federico  col 
papa  ,  mal  vòlto  a  questo.    Egli    le  querele    de'  perseguitati  a 
viso  aperto  sostenne  ,  e  controffaceva  al  tribunale  ;  onde  preso 
cuore  molti  s'  armarono  ,  i  frati  venivano  per  le  vie  insultati. 
1255  Pur  quando  fra  Ruggero  citò  al  suo  tribunale  i  Baroni ,    essi 
[jg  comparvero  sommessi  in  atto  e  pronti  a  quanto  i   giudici  im- 
ponessero. L'  inquisitore  ,  adombrato  da  tanta  potenza  ,    volle 
dichiarassero  in  carta  che  ,  qualunque  volta  fossero  chiamati, 
e'  comparirebbero  ;  ma  quando  s'intese  stavasi  per  pronunziare 


40  Tatti,  Marlì/rolnr/iuni  novoromense,  p.  74. 

*i  Sulla  facciala  dcirulììzio  del  Higallo,  rimpetto  a  San  Giovanni,  Taddeo  Caddi 
dipinse  a  fresco  san  Pietro  marliro  (piando  a  dodici  nobili  fiorentini  dà  lo  stendardo 
C  bianco  con  croce  rossa,  perchè  tutelino  la  lede.  ) 

Un  -  193  -  g— ! 


contro  di  loro  grave  giudizio,  il  podestà  inviò  agli    inquisitori 

)  due  mazzieri  del  Comune  a  protestare  contro  la  sentenza  ,  la 

\  cassassero,  e  comparissero  al  suo  tribunale.  Fra  Ruggero,  che 

^  non  era  uomo  da  piegare  la  cervice,    ricambiò  al  podestà  un 

)  monitorio  di  comparire  :  e  Pietro  da  Verona  attorno  fra  il  po- 

)  polo  ad  eccitar  i  fedeli  ed  armarli  :  tutto  è  in  rotta  ;  e  la  città 

)  si  parte  fra  la  fazione  cattolica  e  la  miscredente.    Un    giorno 

)  festivo  i  Patarini ,  spiegate  le  bandiere  del  Comune,  assalgono 

/  due  chiese  cattoliche,  e  sperdono  i  preganti.  L' inquisitore  pro- 

)  nunzia  infami  Pace  e  Barone  ,    invitando    amorevolmente    chi 

)  volesse  ritornare  alla  vera  credenza  ;  ma  poiché  la  minaccia  e 

*  le  blandizie  non  chetano  i    Patarini,    né    li   rattengono    dagli 
insulti  ,  fra  Pietro  mette  in    ordinanza    un  esercito   di  fedeli, 

'  e  si  pone  a  lor  capo  colla  bandiera   bianca  crociata  di  rosso  , 

)  e  addosso  ai  Patarini.  Alla  Croce,  al  Trebbio,  in  piazza  Santa 

\  Felicita  fu  grave  abbaruftata  ,  e  i  miscredenti    andarono  colla 

)  peggio.  Questa  rotta  fu  per  molti  occasione    di    convertirsi;  i 

)  quali  in  Santa  ÌNlaria  Novella  abiurati  gli  errori,  ricevevano  una 

(  croce  rossa  ,  da  portare  cucita  in  sulle  spalle.  Molti  di  questi 

/  lasciarono  gli  averi  ai  frati  :  il  papa  nominò  fra  Ruggero  ve- 
scovo di  Castro,  e  inquisitore  Pietro  da  Verona. 

,  Segnalato  per  tante  opere  di  zelo,  questi  tornò  a  Milano, 

'  ove  dell'opera  sua  molto  era  duopo.  Non  allora  soltanto  furono 

)  veduti  i  popoli,  gravati  da  sventure   a   cui   non    sanno   rasse- 

'  gnarsi  e  non  vogliono  piegarsi,  sfogare  l'odio  contro  Dio  e   le 
sante  cose.  Quando  Federico  II  venne  minaccioso  sopra  la  loro 

\  città,  i  Milanesi  insultavano  apertamente  ai  riti,   sospendeano 

(  capovolti  i  Crocifissi,  uccideano  gli  ecclesiastici:    e    «    i    fedeli 

1  vedeano  con  indifferenza  questi  sacrilegj,  e  in  onta  dei    divini 

\  precetti,  mangiavano  persin  di  grasso  nei  giorni  proibiti  -^'^   ». 

)  Non  mancava  dunque  opera  a  fra  Pietro  :  però  i  Milanesi  allora 

)  non    credeano    che    l'eroismo    consistesse    nel  far  nulla,  né  il 

\  coraggio  nelle  dimostrazioni  negative;  ma  dalla  libertà    erano 

)  resi  risoluti  e  intolleranti  deìla  prepotenza,   dond'ella    venisse: 

\  d'altra    parte    esempj    non   mancavano    di  vendette  contro  gli 


E 


*2  Matteo  Paris,  in  Enrico  HI. 


-^. 


gTl^ _- -H=pg 

I '□  CAPITOLO    Vili.  LJ    '—j 

ì  inquisitori  ^3^  e  il  contagio  dell'imitazione  è  de' più  volatili. 
)  Per  togliere  dunque  di  mezzo  fra  Pietro,  congiurarono  Stefano 
1252  de'  Gonfalonieri  d'Agliate  e  Manfredo  da  Olirone,  perseguitati 
e  sbanditi  per  eresia;  un  Jacopo  della  Chiesa  milanese,  abitante 
in  porta  Zobia,  comprò  la  scelleraggine  del  Porro  d'Asnago  e 
)  del  Carino,  bravacci  da  coltello,  i  quali,  mentre  fra  Pietro 
^  tornava  da  Como  a  Milano,  lo  scannarono  tra  Meda  e  Bar- 
lassina  ^4,  Egli  trafitto,  intinse  il  dito  nel  sangue,  scrisse  per 
)  terra  Credo,  e  spirò.  L'assassino,  al  quale  non  si  può  mutar 
\  il  nome  né  scemar  l'esecrazione,  qual  che  ne  sia  il  movente 
,'  e  il  braccio,  trovò  chi  l'applaudi,  tanto  le  fazioni  possono  of- 
>  fiiscar  il  senso  morale:  il  papa,  udito  l'atroce  fatto,  scrisse  alla 
(  repubblica  milanese,  concedendo  tre  anni  d' indulgenza  a  chi 
('  armasse  per  vendicarlo;  la  città  di  fatto  levasi  a  sommossa; 
{  corre  alle  carceri  ov'  erano  tenuti  i  rei,  ma  il  podestà  gli  aveva 
(  lasciati  fuggire,  onde  la  vendetta  si  sfogò  sulla  casa  e  sui  mo- 
)  bdi  di  questo.  Il  Confalonieri  però  ,  dopo  vagato  gran  tempo, 
\  fu  dalla  coscienza  spinto  a  costituirsi;  e  nel  1260  condannato 
)  dal  papa  a  perpetua  prigionia,  trovò  modo  a  camparne,  ma 
)  nel  1265  còlto  dall'  Inquisizione,  pagò  colla  vita.  Il  Carino 
\  entrò  frate  domenicano,  e  tanto  penti  che  fu  poi  venerato  per  / 
(         beato  45,  ( 

Sorte  conforme  a  quella  di  fra  Pietro  era  tocca  anni  pri-  \ 
ma  a  maestro  Rolando  di  Cremona,  il  quale  forse  è  lo  stesso 
padre  Moneta  da  noi  già  mentovato  ,  che  introdusse  i  Predi- 
catori di  Cremona,  fu  lettor  di  fisica ,  filosofia  e  medicina  al- 
'  r  università  di  Bologna  nel  1218:  e  poi  mosso  dalle  prediche 
;         del  beato  Reginaldo,  si  fé  frate  *'',  scrisse  una  Swnma  tìieolo- 


^  *5  Nel  1207  sii  Albigesi  avevano  iicciso  il  legalo  pontifizio  Pier  di  Caslelnau, 

che  mirava  a  sterminarli,  e  cadde  esclamando  :  —  Dio  vi  perdoni,  come  fo  io  » . 
Qui  sopra  toccammo  l'uccisione  di  Irà  Pietro  di  Arcagnano. 
^  **  Calchi  ad  ami. 

^                   *^  DuUarium  Dominic,  l.  I,  p.  2:24.  / 

'                 *^  Veramente  il  Gliirardacci  distingue  il  Rolando  cremonese  eccelente  juriscon-  ì 

■i          sul/o  et  Iheolofjo,  il  (junlc  scrisse  nella  scienlia  della  Tkeologia  et  pubblicamente  in  S 

)          Bologna  insegnava  le  leggi;  da  un   certo  Moneta   da    Cremona  theologo   et  filosofo  ) 

{          famosissimo,  hnomo  vanissimo  et  di  poca  lodata  vita  al  secolo,  che  fu  poi  il  primo  \ 

'>          lettore  di  tkeologia  che  quell'ordine  havesse  in  Parigi.  Della  liist.  di  Bologna  al  1219).  ! 

•           Ma  ho  argomenti  a  crederli  Tidenìica  persona.  / 

^_^l                                                          —  200  —  Dj — ' 


gice  et  philosopliice  e  nel  1234  preJicò  la  croce  contro  di  Eze- 
lino ,  il  cui  nome  almeno  bisogna  che  ricordiamo  di  tratto  in 
tratto  insieme  co'  suoi  contemporanei.  Fra  Rolando  ,  mentre 
missionava  sulla  piazza  di  Piacenza  ,  venne  da  una  truppa  di 
eretici  assalito  a  sassi  e  pugnali ,  e  lasciato  per  morto.  Né  molti 
anni  dappoi  fra  Pagano  da  Lecco  ,  andando  per"  istabilire  il 
sant'  Uffizio  in  Valtellina,  fu  trucidato  colla  sua  compagnia. 

Pietro  da  Verona  fra  pochi  anni  fu  alzato  agli  altari  con 
'Una  solennità  splendidissima  nella  città  delle  splendide  feste  ; 
e  deposto  in  un'arca,  che  è  dei  monumenti  piii  insigni  del- 
l'arte risorgente  '^^;  poi  Tiziano  immortalò  il  fatto  in  una  ro- 
bustissima tela. 

Neil'  uffìzio  d'  inquisitore  a  Milano  gli  successe  quel  fra 
Ranerio  Saccone,  convertito,  cataro  di  cui  ci  cadde  replicata  men- 
zione. Nel  1255  egli  lesse  dal  pulpito  del  duomo  un  munitorio 
contro  i  Patarini  ^^,  dettò  un  libro  per  confutarli ,  poi  datosi 
alle  persecuzioni,  spianò  la  Gatta,  luogo  dei  ritrovi  loro,  e 
fece  ardere  i  cadaveri  di  due  loro  vescovi  Desiderio  e  Nazario, 
perchè  tenuti  in  venerazione  :  né  si  rallentò  finché  Martin 
Torriano,  a  lui  avversissimo  ,  lo  fé'  cacciare  nel  1259. 

Oltre  a  queste  persecuzioni  clamorose,  si  continuavano  le 
segrete,  massimamente  dopo  che  Innocenzo  IV  concesse  rego- 
lare giudicatura  agli  Inquisitori.  Piantato  un  tribunale  ,  non 
poteva  esser  migliore  degli  altri  del  suo  tempo  ;  e  si  videro 
rinnovate  le  sevizie  de'  processi  di  Roma  pagana  :  cavillo  di 
domande  ,  confessioni  estorte  colla  tortura  ,  benché  questa 
fosse  esclusa  dal  diritto  ecclesiastico  ;  supplizi  esacerbati ,  de- 
plorevoli vieppiù  perché  faceansi  in  nome  di  quella  religione 
eh'  era  venuta  ad  abolire  tali  gentilesche  iniquità. 

Se  tu  sei  curioso  di  sapere  come  camminassero  i  processi 
in  quei  principj,  cerca  nel  Tesoro  del  Marténe  uno  scritto  di 
fra  Stefano  di  Bellavilla  ,  ove  ne  divisa  il  modo ,  che  previene 
di  molti  secoli  le  belle  arti  delle  Polizie  d'  oggidì.  Per  esem- 
pio ,  non  si  deve  interrogare  i  convenuti  direttamente  se  il 
fatto  sia  0  non  sia ,  bensì  supporlo  ;  e  chiedere  degli  accidenti 


*7  III  Sanl'Eiistorgio  a  Milano;  opora  di  Giovanni  di  Baldiiccio  da  Pisa  nel  io39. 
*8  È  riportalo  dal  Campi  nella  St.  Ecclesiastica  di  Piacenza,  t.  II,  p.  402. 


—  201  — 


I^lrs— — — — — — _^.^^,_..-.„ — ^__.-._ — — ~-   -G|E] 

j— □  CAPITOLO    Vili.  □■|— j 

di  esso  ,  domandare  :  —  Quante  volte  vi  confessaste  per  ere-  ) 
tico  ?  —  In  qual  camera  di  vostra  casa  si  fece  il  tal  atto?  »  :  \ 
tìngere  di  leggere  da  un  libro  la  vita  del  processato  e  le  in-  ) 
terrogazioni  che  gli  si  fanno  :  obbligare  chi  se  ne  confessa  i 
conscio  H  denunziare  gli  eretici ,  e  così  via.  ì 

Le  sto'rie  e  più  gli  archivj  non  iscarseggiano  di  questi  do-         [ 
aumenti  sciagurati,  e  noi,  che  già  altrove    ne  riferimmo    an-         ( 
che  troppi  ,  qui  soltanto  toccheremo  di  un  processo  d'  età  al-         ì 
quanto  posteriore ,  esistente  nell'  archivio  arcivescovile  di  To- 
rino '*®.  Antonio  Galosna  di  San  Raffaele  era  accusato  di  cre- 
dere   ed  insegnare  che  il  signor  della  terra  è  il  drago,   cioè, 
il  principio    maligno  ,    più  forte  del    Signor  del  cielo  ,    e  creò         '■ 
tutte  le  cose  visibili  ;  la  beata  Vergine    concepì    d'  uomo  ,  né         ( 
Cristo  fu  il  redentore  del    mondo,    predetto  da   Isaia;    la   in-         ( 
tercessione  de' santi  a  nulla    giova;    non  v'  è  paradiso  né  in-         \ 
ferno  ,  e  quindi  son    vani  i  suffragi   pei    defunti  :    meglio    dei         ( 
sacramenti  tutti  valere  la    comunione    del  pane ,  qual    faceasi         ( 
dalla  setta  loro  ,  fuor  della   quale  non  e  è  papa  e    sacerdote         \ 
vero:  e  la  Chiesa  romana  è  regina  di  menzogna.  { 

A  Giacomo  Bech  di  Chieri  si  apponeva  che  da  trent'anni  \ 
appartenesse  alla  setta  de'  Fraticelli  della  povera  vita  ;  fosse 
stato  in  Toscana  con  loro  ;  in  Schiavonia  avesse  udito  i  Catari, 
e  giurato  la  loro  credenza ,  la  quale  era  che  il  demonio  avesse 
creato  le  cose  visibili  e  Adamo  ed  Eva;  fosse  caduto  dal  cielo, 
ed  ora  facesse  penitenza  nel  mondo  per  risalire  poi  alla  gloria; 
esser  le  anime  d'  uomini  e  donne  appunto  demonj  caduti,  i 
quali  dopo  la  morte  dell'uno  entrano  in  un  altro  o  in  bestie; 
sicché  r  inferno  e  il  purgatorio  sono  unicamente  in  questo 
mondo,  né  vi  sarà  resurrezione  de' corpi  o  giudizio  finale;  non 
v'  è  papa  se  non  nella  loro  setta  ,  fuor  della  quale  non  si  dà 
salvazione  ;  inutile  il  battesimo  ;  non  colpevole  1'  incesto  ,  né 
r  usura  ;  Mosè  fu  il  maggiore  peccatore  ,  e  dal  demonio  rice- 
vette le  tavole  della  legge. 

Furono  accusati  avanti  ad  Anton  di  Settimo  da  Savigliano, 
inquisitore  dell'  eretica  pravità  nella  Lombardia  superiore  e  nel 
marchesato    di    Genova,   contro   Catari,    Patarini,  Speronisti, 


49  Protocollo  01.  Ibi.  XLVI. 

—  202 


rais- 

pjQ  INQUISITORI 

j  Leonisti,  Arnaldisti,  Circoncisi,  Passagini,  Giuseppini,  Fran- 
(  ceselli,  Bagnolesi,  Cornisti,  Berraccaroli ,  Carranelli,  Varini, 
Ortolani,  Sacatesi,  Albanesi,  Valdesi,  e  d'ogni  altra  maniera 
eretici.  Processati  e  convinti  come  relapsi  furono  abbandonati 
al  braccio  secolare  e  consegnati  a  Pietro  Malabaila  vicario  di 
Torino,  perchè  soggiacessero  alle  pene  decretate  e  alla  confisca 
dei  beni. 

Quel  che  concordemente  viene  rinfacciato  ai  Patarini  è 
l'ostinazione,  perocché,  di  mezzo  agli  strazj,  in  prospetto  della 
morte  obbrobriosa  ,  anziché  convertirsi ,  viepiù  s'  induravano, 
protestavansi  innocenti ,  spiravano  cantando  lodi  al  Signore, 
e  colla  speranza  di  presto  congiungersi  nel  suo  abbraccio. 
Nella  storia  dell'  orrenda  crociata  degli  umanissimi  Francesi 
contro  i  Provenzali,  simili  esempj  sono  moltiplicati  quanto 
le  atrocità.  In  Lombardia  serbarono  memoria  d'una  fanciulla, 
di  cui  la  bellezza  e  l'etcà  mettevano  in  tutti  compassione; 
talché,  deliberati  di  salvarla,  vollero  assistesse,  mentre  padre, 
madre,  fratelli  venivano  consumati  dalle  fiamme.  Cosi  spera- 
\  vano  si  sarebbe,  per  fuggire  una  sorte  eguale,  convertita; 
ma  no  :  poich'  ebbe  durato  alquanto  lo  spettacolo  atroce , 
strappasi  dalle  braccia  de' suoi  manigoldi,  e  corre  a  precipitarsi 
nelle  fiamme,  e  confondere  l'ultimo  suo  aneUto  con  quello  dei 
parenti.  ^<^. 

Ormai  è  una  volgai-ità  il  declamare  contro  il  Sant'Uffizio  ; 
e  il  secolo  che  ,  per  disannojarsi  ,  gode  veder  rimessi  in  onore 
il  codardo  Desmoulins  e  il  satanico  Marat,  e  lascia  predicarsi 
che  Robespierre  andò  forse  un  tantino  in  là  ,  ma  non  era  né 
immorale  ,  né  crudele  ,  questo  secolo  non  tollererebbe  mai 
r  apologia  dell'  Inquisizione  ,  quand'  anche  buttata  là  come  un 
paradosso  da  chi  volesse  uscire  dal  brago  dei  luoghi  comuni. 
Noi  noi  faremo  ;  ma  se  i  lettori  nostri  non  s'  attruppano  eoa 
que'  liberalastri  da  cafi'è  ,  cui  primo  canone  é  abborrire  la  ri- 
cerca della  verità,  permetteranno  di  soggiungervi  alcuni  ri- 
flessi. E  primo  ,  in  tutte  le  sentenze  gli  eretici  son  imputati 
di  altre  colpe  ,  le  quali  sarebbero  punite  anche  oggi.  Starebbe 
a  vedere  se  ne  fossero  colpevoli  di  fatto;  ma  in  grazia,  questa 


su  Moneta,  Summae. 

—  203  — 


CAPITOLO   YIII. 


certezza  1'  abbiamo  noi  neppure  per  processi  eretti  al  van- 
tato lume  dell'  incivilimento  e  della  pubblicità  ?  oggi  stesso 
discerniam  noi  abbastanza  ciò  eh'  è  giusto  da  ciò  cli'è  legale  ? 

In  secondo  luogo,  la  cristianità  trovavasi  allora  in  guerra 
rotta  coi  Musulmani,  né  era  deciso  ancora  se  possederebber 
r  Europa,  la  croce  o  la  mezzaluna,  la  libertà  o  la  schiavitù 
della  donna  ,  la  franchezza  dello  spirito  o  la  tirannia  della  pa- 
rola. Guai  se  internamente  si  fosse  scissa  la  cristianità,  e  aperto 
così  un  varco  a'  minacciosi  !  I  provvedimenti  dunque  contro  gli 
eretici  equivalevano  alle  leggi  eccezionali  d'un  tempo  di  guerra. 

Poiché  un  abuso  non  giustifica  un  altro  ,  io  non  mi  darò 
il  facile  trionfo  di  mostrare  che  l' intolleranza  religiosa  fu  san- 
guinariamente esercitata  dai  dissidenti  in  tempi  molto  più  ci- 
vili, e  sin  a  jeri.  Ben  dirò  che  allora  ogni  parte  della  vita 
privata  e  civile  fondavasi  sulla  religione  ;  e  l' intaccare  questa 
scoteva  i  fondamenti  della  società  ;  nò  gli  eretici  esitavano  a 
tirar  le  conseguenze  ,  che  oggi  da  argomenti  filosofici  tirano 
i  più  risoluti  comunisti. 

Che  se  ,  per  questi  riflessi ,  nel  secolo  della  Polizia  mi  si 
taccerà  d'  aver  lodato  il  secolo  dell'  Inquisizione,  dirò  —  Men- 
tite, e  seguiterò. 

V'avea  dunque  realmente  chi  sentiva  storto  in  materia 
di  fede;  ma  sino  i  più  zelanti  difensori  della  santa  sede  con- 
vengono si  abusò  dell'accusa  d'eresia  per  vituperar  coloro  che 
seguivano  la  parte  avversa  al  papa. 

E,  fu ,  e  sarà  stile  dei  partiti  1'  aggiungere  alle  proprie 
ragioni  qualche  accusa  di  antipatia  generale  ,  lo  che  dispensa 
dalle  prove,  dalla  discussione,  dal  buon  senso.  Evvi  chi  pro- 
nunziò tutti  i  cittadini  dover  essere  pari  ;  tutti  aver  il  libero 
esercizio  di  tutte  le  prerogative  e  facoltà  sue  ;  in  faccia  alla 
legge  non  darsi  eccezioni  di  fòro,  non  distinzione  al  nato  nobile 
o  all'impiegato  di  Corte:  non  doversi  sagrificare  il  ben  generale 
ai  vantaggi  d'  una  classe?  Gli  avversari  diranno,  E  un  dema- 
gogo, è  un  repubblicano  ;  e  basta  per  metterlo  al  bando  della 
società. 

Un  altro  dirà  che  è  ingiusto  valutare  il  voto  di  persona 
la  quale  non  sa  che  cosa  vota  ,  come  quello  di  chi  studiò  , 
meditò  ,  esaminò;  che  é  impossibile  abolir  la  distinzione  fra 
r  educato  e  il  rozzo,    fra  1'  intrigante   e    1'  onest'  uomo  :   che 

—  20 1  — 


dove  tutti  votano  non  si  esprime  se  non  la  volontà  di  pochi 
appaltoni  ;  che  il  volgo  è  incapace  di  applicare  alle  diverse 
parti  del  governo  le  persone  meglio  opportune  per  talenti  e 
qualità.  Subito  gli  s'  intonerà:  E  un  aristocratico ,  è  codino, 
è  retrogrado. 

Alcuno  sostenga  che  la  libertà  deve  essere  per  tutti:  e 
come  è  lecito  al  villano  1'  ubbriacarsi,  al  ricco  l' infingardire 
sui  caffè  e  al  teatro  ,  al  letterato  lo  sprecar  l' ingegno  su  per 
le  gazzette  ,  cosi  alle  pie  persone  sia  tollerato  1'  adunarsi  a 
pregare  colle  formole  che  credono  ,  e  il  vivere  e  vestire  nella 
foggia  che  preferiscono  ,  deva  lasciarsi  ai  genitori  il  diritto 
di  far  istruire  e  educare  i  proprj  figliuoli  dalle  persone  in  cui 
hanno  fiducia,  comunque  vestano  osi  denominino:  sostenga  che, 
se  il  diritto  non  vien  da  Dio  ,  solo  diritto  rimane  la  forza  ; 
esservi  doveri  di  coscienza  inattingibili  dalle  ordinanze  ;  esservi 
una  libertà  di  religione  superiore  a  tutte  le  libertà  costituzio- 
nah...  Voi  vedete  come  sarebbe  facile  dimostrare  l'assurdità  di 
tali  asserti:  eppure  si  trova  ancor  più  facile  il  gri  dare,  Oh, 
il  frate,  oli,  il  gesidta!  frasi  convincentissime  e  irreparabili. 

Se  questo  avviene  nel  secolo  del  progresso  e  dello  stato 
d'  assiedio  ,  perchè  sarete  tanto  schizzinosi  con  secoli,  che  voi 
chiamate  barbari  per  lo  stesso  titolo  per  cui  chiamate  de- 
hole  la  metà  del  genere  umano  ? 

Aveste  anche  letto  soltanto  queste  povere  pagine,  vedeste 
come  la  Chiesa  esterna  fosse  costituita  in  modo  che,  sotto  qua- 
lunque clima  e  in  qualsivoglia  tempo,  i  credenti  rimanessero 
uniti  nell'accordo  della  fede,  indipendentemente  dalle  autorità 
temporah.  Queste  ,  ingrandendosi ,  mal  soffrivano  le  barriere 
imposte  dal  potere  ecclesiastico  alle  loro  esorbitanze  ,  e  cer- 
cavano abbatterle,  sia  dapprima  nel  conflitto  fra  il  pastorale 
e  la  spada  ,  sia  col  fomentare  le  sette  ,  le  quali  appugnavano 
i  dogmi  inerenti  all'  unità  del  sacerdozio  ,  tendendo  a  costi- 
tuire speciali  società  religiose.  La  religione,  elemento  univer- 
sale, fondasi  sull'autorità  pontifizia:  sicché  gli  imperatori  stu- 
diavansi  di  mostrare  che  ,  sebbene  combattessero  il  papa,  erano 
cattolici  ;  e  a  ciò  penserei  attribuire  le  atrocità  di  Federico  II 
nel  perseguitar  gli  eretici ,  volendo  mostrarsi  buon  cristiano 
coir  arte  stessa  ,  con  cui  alcuni  vogliono  mostrarsi  liberali  col 
farsi  esagerati  ,  intolleranti ,  persecutori. 

—  205  — 


]-]  CAPITOLO    Vili.  D    U 

Di  rimpatto  ,  pei  buoni  credenti  ghibellino  ed  eidetico  so-  \ 
navano  tutt'  uno  :  né  veniva  volta  che  il  papa  rimbrottasse 
alcun  nemico  del  suo  potere  politico  ,  senza  aggiungervi  l'ac- 
cusa di  eresia:  accusa  tanto  facile  ad  apporsi,  quanto  difficile 
a  provare  ed  a  sventare  ,  e  che  dal  popolo  era  agevolmente 
creduta,  perchè  unico  giudice  competente  n'  è  colui  stesso  che 
accusa.  Quando  i  Rusca  di  Como  tenevano  fuor  di  città  il 
vescovo  Benedetto,  questi  ne'  suoi  monitorj  li  denunziava  per 
eretici,  asserendo  che  essi  e  i  loro  seguaci  sostenevano  che  Cristo 
non  avesse  tampoco  diritto  su  quello  che  usava  insieme  cogli 
apostoH:  che  esso  non  lasciò  verun  capo  visibile  alla  sua  Chiesa: 
che  san  Pietro  ebbe  autorità  non  maggiore  che  di  semphce 
sacerdote.  A  rifar  del  mio  se  mai  quei  guerrieri  aveano  pensato 
a  queste  sottilità  teologali. 

A  Matteo  Visconti  troviamo  apposto  che  impediva  i  sacri 
riti ,  aveva  evocato  i  demonj  per  suoi  fatturamenti,  negata  la 
risurrezione  della  carne  ,  sollecitata  la  liberazione  della  Main- 
freda  discepola  della  Guglielmina  ,  e  seguito  i  consigli  di  Fran- 
cesco Garbagnato,  uomo  che  già  per  eretico  era  stato  condan- 
nato a  portare  indosso  una  croce  ^^.  Anche  Urbano  IV  processò 
Uberto  Pelavicino  ed  altri  nobili  e  magnati  di  Lombardia  non 
per  altra  colpa  che  per  essere  ghibellini  ^"^  ;  per  questa  intere 
città  e  tutto  il  regno  di  Sicilia  furono  sottoposti  all'interdetto: 
se  non  che  conoscendo  i  papi  quanto  grave  cosa  fosse  privar 
dei  riti  de'  sacramenti  tante  persone  incolpevoli,  s'accontenta- 
rono che,  nei  paesi  scomunicati,  si  celebrassero  le  funzioni, 
purché  a  porte  chiuse. 

Il  lettore  si  accorge  che  la  vela  del  nostro  ragionamento 
(come  e'  insegnavano  a  dire  in  retorica),  dopo  una  divagazione 
della  quale  né  tampoco  cerchiamo  giustificarci  ,  vien  racco- 
gliendosi verso  il  nostro  soggetto  ;  verso  cioè  la  contesa  del- 
l' Impero  colla  Chiesa ,  della  spada  col  pastorale  ,  della  forza 
col  pensiero  ,  personificata  ne'  Guelfi  e  nei  Ghibellini.  Peroc- 
ché, ciò  che  nell'eresia  più  temevasi  era  l' impugnar  alla  santa 
sede  la  piena  autorità  sopra  le  cose  divine  e  umane,  e  il  rin- 
tuzzare r  arma  sua,  la  scomunica. 


SI  Ughelli,  hai  sacra,  IV.  206. 
^'^  Db  Rubeis,  Ilist.  lìavenn,  I.  VI, 


—  206  —  n_--J 


PRETENSIONI    PAPALI    IMPUGNATE  D~ 


Non  dalle  Decretali  del  falso  Isidoro,  dirette  a  mostrare 
siccome  fin  dai  tempi  primitivi  gli  imperatori  avessero  consentito, 
i  papi  esercitato  autorità  suprema  negli  affari  temporali,  aveano 
dedotto  baldanza  i  pontefici  per  disporre  d'ogni  cosa,  come  si 
dice;  ma  v'erano  stati  portati  da  quella  eterna  legge  sociale, 
per  cui  il  potere  tocca  a  chi  meglio  è  capace  di  esercitarlo. 
Fatto  è  che  i  papi  poterono  in  fatti  e  in  dottrine  sostenere  la 
loro  preminenza  su  tutte  le  potenze  terrestri,  e  intrerirsi  negli 
affari  anche  politici  dell'  intero  mondo.  Sotto  le  ale  di  questa 
dominazione  suprema  si  formarono  le  nazioni  moderne  ;  ma  come 
uscirono  dall'infanzia,  esse  trovarono  eccessiva  la  tutela,  e  i 
principi  della  terra  negarono  sottomettere  la  corona  alla  tiara. 
Allora  trovaronsi  faccia  a  faccia  pretensioni  del  pari  assolute. 
Innocenzo  III,  spiegando  le  relazioni  del  poter  temporale  collo 
spirituale  dice:  —  Il  Signore,  non  solo  per  costituire  l'ordine  spi- 
»  rituale,  ma  anche  perchè  una  certa  conformità  fra  la  creazione 
»  e  il  corso  degli  avvenimenti  l'annunzii  autor  di  tutte  cose, 
»  stabilì  armonia  fra  cielo  e  terra,  acciocché  la  maravigliosa 
»  consonanza  del  piccolo  col  grande,  del  basso  coli' alto,  ci 
»  riveli  Lui  unico  e  supremo  creatore.  Come  al  principio  del 
»  mondo  stampò  due  grandi  luminari  sulla  volta  celeste,  uno 
»  che  sfavilli  di  giorno,  l'altro  che  rischiari  le  notti;  così  nel 
»  corso  dei  tempi  stabili  al  firmamento  della  Chiesa  due  su- 
»  preme  dignità,  una  pel  giorno,  cioè  che  illumini  gli  intelletti 
»  circa  le  cose  spirituali,  e  affranchi  dalle  catene  le  anime 
»  tenute  nell'errore;  l'altra  per  le  notti,  cioè  che  gli  eretici 
»  indurati  e  i  nemici  della  fede  punisca  dell'  insulto  fatto  a  Cristo 
»  e  al  suo  popolo,  e  impugni  la  spada  per  castigo  de'  malfettori 
»  e  gloria  dei  fedeli.  E  come,  eclissando  la  luna,  buia  notte 
»  involve  ogni  cosa,  cosi  quando  mancasi  d'imperatore,  la  rabbia 
»  degli  eretici  e  il  furor  dei  pagani  s'eleva  con  mera  em- 
»  pietà  ». 

Accanto  a  queste  altezzose  pretensioni,  altre  non  meno 
assolute  elevava  lo  studio  del  diritto  romano,  allora  ridesto, 
incorando  gli  imperatori  a  quel  comando  senza  limiti,  che  avea 
formato  la  potenza  e  l'obbrobrio  di  Roma  antica.  Gli  avvocati, 
razza  nuova,  e  i  nuovi  dottori  delle  Università,  con  argomenti 
di  pari  calibro,  insegnavano  il  sacro  impero  soprastare  ad  ogni 
^         mondana  cosa;  e  siccome  in  cielo,  troni,  dominazioni,  arcangeli 


j3;a^ ^ E|E] 

j — '□  CAPITOLO   Viri.  U"'— j 

dipendono  uno  dall'altro,  cosi  l'imperatore  ha  diritto  sui  re, 
questi  su  duchi,  i  duchi  sui  marchesi  e  baroni;  portar  esso 
in  mano  il  globo  per  significare  la  padronanza  sull'universo 
mondo. 

Con  arroganze  si  opposte  era  possibile  non  venissero  a 
conflitto  il  pastorale  e  lo  scettro,  né  si  disputasse  se  la  Chiesa 
dovesse  o  no  obbedire  all'Impero?  Ecco  perchè  coloro  che 
avversavano  la  Chiesa,  foss'anche  quanto  al  potere  temporale 
e  ai  possessi  mondani,  erano,  come  colpevoli  d'eresia,  esposti 
all'obbrobrio  del  popolo. 

Questa  temuta  eresia  era  stata  pubblicataraente  predicata 
un  secolo  prima  da  Arnaldo  di  Brescia,  il  quale  impugnando 
l'autorità  temporale  dei  papi,  e  volendo  rimettere  in  onore  il 
Campidoglio,  menò  stipendiati  forestieri  contro  Roma,  il  che  gli 
fruttò  il  supplizio  per  comando  del  Barbarossa. 

Di  questa  eresia  priocipalmente  dovevano  essere  in  colpa 
Federico,  egli  accanito  persecutor  dell'eresia,  e  il  suo  fedele 
Ezelino;  pure  troviamo  apposte  loro  molte  accuse  più  positive. 
A  Federico  imputavasi  di  tenere  più  donne  e  giovinetti  al  piacer 
suo  ^3,  conservare  famigliarità'  col  soldano  di  Babilonia  (vo- 
leasi  dire  con  Malik  Kamel);  mentre  guerreggiava  in  Oriente, 
osservando  l'ariiia  sterilità  della  Palestina,  sorridendo  aver 
detto:  Se  il  Dio  de  Giudei  avesse  veduto  il  mio  regno  di 
Napoli,  e  sovraiuttj  la  Terra  di  Lavoro,  non  avrebbe  'pre- 
diletta la  Palestina:  un  altro  giorno  •  passando  coll'esercito 
lungo  un  campo  di  biade  mature,  ed  i  soldati  malmenando  le 
spiche,  Eìii,  disse,  rispettatele,  perclt^è  quei  cìdccìù  potrebbero 
esser  mutati  in  altrettanti  Cristi  ^*.  Portandosi  un  giorno  il 
Viatico,  esclamò:  Fin  quando  durerà  questa  ciurmeria?  E 
chiamava  pazzo  chi  credesse  potersi  nascer  da  una  vergine  o 
altre  cose  ripugnanti  alla  ragione  e  alla  legge  naturale  ^^. 


•^•»  hi  pluribus  terris  Apuliae  snarum  meretrkularum  loca  coslruxii.  Nic.  de 
CuRiJO,  §  29,  Vit;c  Innocenti  IV.  Et  non  contcnlus  juvenculis  mulieribus  et  puelli\ 
ianquam  scelestus  infami  vilio  labovahal;  nani  ipsuni  peccatimi  quasi  Sodoma  aperte 
praedicabai,  nec  penitus  occulta  bat.  Id.  ib, 

l**  Simone  IIahn,  Hist,  Germ.  in  Frid.  II. 

^^  Ih'u  me,  quandìuin  durnbif  truffa  isla?  Cliron.  Alberici.  Fatui  sunt  qui 
credunt  nasci  a  virijine  Deuni.  Ep.  Gkkgorh  ;ip.,  M.  I'akis,  p.  491. 

—  208  — 


rriH  PRETENSIONI   PAPALI   IMPUGNATE 

Questi  motti,  degni  di  quel  suo  omonimo  che  spassò  e 
vilipese  i  padri  nostri ,  erano  d' incalcolabile  portata  in  una 
società  costituita  interamente  sulla  fede.  Oltre  ciò  gli  si  ascri- 
veva a  delitto  il  tollerare  i  Saracini  in  Italia,  e  l'aver  dato 
loro  stabile  domicilio  in  Lucerà.  Veramente  Federico  II  allegava 
d'averlo  fatto  perchè  così  li  allontanava  dalla  Sicilia,  ove  più 
facilmente  riceveano  soccorsi  klell' Africa,  e  tenendoli  raccolti 
in  un  luogo  solo,  più  agevolmente  potea  custodirli;  (dtre  che 
(e  qui  torna  l'ironia)  l'esempio  della  bontà  cristiana  li  con- 
vertirebbe, mentre  prima  aveano  ammazzato  più  persone  che 
la  Sicilia  non  ne  comprenda  ^^.  Ma  il  reale  suo  intento  era  di 
farsene  una  milizia  devota  a  ogni  cenno,  ed  estrania  sia  al 
patriottismo  d'Italiani,  sia  agli  scrupoli  di  Cristiani,  e  collocata 
come  un  posto  avanzato  a  bloccar  la  sede  papale.  D'ateo  ancora 
lo  troviamo  tacciato  dal  papa  e  dagli  storici,  e  che  evesse  ri- 
^  petuto  con  Averoè,  tre  impostori  aver  ingannato  il  mondo, 
j  Mose,  Cristo  e  Maometto  ^":  imputazione  tanto  diffusa,  che 
)  Pier  dalle  Vigne  credete  doverla  confutare;  e  da  questa,  non 
l  da  altro  pare  nascesse  l'avergli  alcuni  attribiuto  un  libro  De 
)         irhtbs  impostorihiis,  che  nessun  mai  ha  veduto. 

Insomma  possiamo  discernere  due  correnti  d'opinioni.  Una 
mistica   e   comunista,  appoggiata  ^W Evangelio  eterno,  e  che, 
)         nata  dal  calabrese  Gioachino  di  Flora,  va  a  Giovan  da  Parma, 
\         a  Gerardo  da  San  Donnino,  a  Ubertino  da  Casale,  a  fra  Dolcino, 
(         e  via  così  ai  mistici  tedeschi.  L'altra  è  razionalista,  che  ha  per 
testo  il  libro   Dei  Tre  Impostori,  predica  l'incredulità   mate- 
^         rialista,    e    previene   i   panteisti  arabi.  Certamente  fa  senso  il 
trovar  già  allora  il   pensiero  incredulo,  che  ripudia  il  fonda- 
mento   di    tutti    i    dogmi,  crede  ch^  tutte   le   rehgioni  siano 


|d]l£3 


•>''  IIoEFLER  (Kaiser  lù-iedrkh  11,  iAliitichen  1844)  pulìhlicù  in  ([uosii  scusi  la 
risposta  (li  Federico  alla  lettera  del  papa,  prodotta  dal  Rainaldi  sotto  il  1236. 

•^^  Veli  Mattia  Paris  al  1259.  In  fpie' giorni  stessi  maeslro  Simon  da 
Tournay,  lettore  occcllonte  <li  teologia  a  Parigi,  aveva  detto  in  all'oliala  scuoia  : 
»  Tre  sono  quelli  che  giuntarono  il  mondo  colle  sètte  e  i  dogmi  loro,  Mosé,  Cristo, 
»  Maomello  ».  Il  bestemmiatore  l'u  subito  còlto  da  epilessia:  dimenticò  lutto  il 
sapere  suo,  e  (in  perdette  la  favella,  ridotto  a  non  saper  pronunziare  che  il  nome 
di  Adelaide  sua  concuiìina.  Thom  Caktripat,  1.  II,  e.  48,  n.  5, 


□  •  —200  — 


CAPITOLO   Vili,  □    ^ 


; 


invenzioni  umane,  e  l'una  valga  l'altra;  donde  il  naturalismo  e 
r  indifferenza. 

Maggiormente  però  i  papi  appoggiano  sullo  spregio  che 
Federico  mostrava  di  Roma  delle  immunità  clericali.  Di  fatto 
egli  ordinò  che  frati  e  preti  fossero  tratti  al  magistrato  seco- 
lare; le  robe  degli  ecclesiastici  sottoposte  a  dazj  e  gabelle, 
come  le  altrui,  ne  taglieggiava  i  beni,  ne  occupava  gli  argenti. 
E  perchè  i  frati  non  lo  risparmiavano  si  predicando,  sì  col 
promulgare  le  scomuniche  di  Roma,  sì  coll'eccitare  i  popoli 
alla  ribellione,  esso  li  tolse  in  ira  e  persecuzione,  e  cacciolli 
dai  dominj  suoi.  Gregorio  IX  poi  asserisce  che  esso  minacciava 
di  voltare  la  basilica  di  San  Pietro  in  presepe  di  cavalli,  ri- 
mettere il  papa  ia  tal  povertà  che  avesse  per  corona  la  cenere, 
mangiasse  spiche  al  priinzo,  e  in  luogo  di  destrieri,  cavalcasse 
una  rózza  ^^  ;  e  veniva  attribuito  a  Federico  quest'epigramma, 
vulgato  in  quei  giorni  :  ; 


> 


Fata  docent,  stellaeque  monent,  aviumque  volatus  \ 

Quoti  Federicus  ego  malleus  urbis  ero.  '■ 

Roma  din  iiiiibans,  variis  errorihus  ancia, 
Corruet,  et  mundi  desinet  esse  caput. 

Federico,  che  vedeva  le  cose  con  altri  occhi  che  i  suoi  ^ 
contemporanei,  non  doveva  credere  peccato  mortale  il  ricon-  ( 
durre  il  pontefice  all'umiltà  degli  apostoli  e  di  Cristo,  quando  ^ 
san  Bernardo  stesso  esclamava  :  —  Chi  ci  darà  di  vedere  la 
Chiesa  di  Dio  qual  era  nei  giorni  antichi  ?  »  !\el  pensiero  poi 
di  ridurre  in  un  sol  corpo  tutta  Italia,  mirava  a  cacciare  di 
scanno  i  pontefici,  che  parT^ero  sempre  il  maggiore  ostacolo 
a  tale  disegno;  e  sottoposta  l'intera  penisola,  avrebbe  alle 
municipali  libertà  surrogata  la  libertà  imperiale  e  l'unità  am- 
ministrativa ^9. 


S8  V.  Rainaldi  ad  ami.  1239,  XXIII,  XXIV.  Il  Murati,  con  quo!  suo  stile 
da  sacristano,  dice  che  Federico,  «  ([uanl'era  a  lui,  avrebbe  ridoUo  il  papa  a 
portar  il  piviale  di  bambagina  ». 

^^  Hòllcr  suddetto  pubblicò  un'  altra  lettera  di  B'ederico  al  papa,  ove  lo  incalza 

-  210  -  DpHJ 


FEDERICO    SCOMUNICATO  ^-^^n 

Sono  queste  le  eresie,  per  le  quali  il  papa  colpì  Federico 
di  scomunica.  Importava  però  che  la  Chiesa  radunata  decidesse 
se  veramente  stesse  il  torto  con  quello;  onde  Innocenzo  IV 
intimò  in  Lione  il  XIII  Conciglio  generale.  A  questi  comizj 
della  Chiesa,  che  raccoglievansi  nelle  maggiori  urgenze,  inter-  ( 
vennero  500  prelati,  e  provvidero  seriamente  contro  i  Catari,  1245  ì 
che  infettavano  tutto  il  mondo,  massime  la  Lombardia;  ai  / 
cardinali  fu  attribuita  la  nuova  insegna  del  cappello  purpureo,  ) 
ad  indicare  che  doveano  esser  pronti  anche  a  versare  il  sangue 
per  la  fede;  e  s'aggiunse  la  valigia  e  la  mazza  d'argento, 
ornato  regio,  quasi  per  protestare  contro  di  Federico,  il  quale 
pretendeva  ridurli  all'apostolica  nudità.  Agitata  innanzi  a  quel 
consesso  la  causa  dell'imperatore,  che  che  dicessero  i  suoi 
difensori  e  Pier  dalle  Vigne,  egli  fu  maledetto,  dichiarato  sca- 
duto, ingiunto  ai  sudditi  di  non  più  obbedirgh,  pena  la  sco- 
munica, i  cencinquanta  prelati  gettarono  a  terra  le  candele 
accese,  rituale  esecrazione:  Taddeo  da  Suessa,  avvocato  del- 
l'imperatore, usci  picchiandosi  il  petto  ed  esclamando:  —  Giorno 
»  di  collera,  di  calamità,  di  miseria!  » 

La  Chiesa  non  aveva,  0  non  avrebbe  dovuto  mai  aver  armi 
materiali,  stipendiar]  svizzeri,  reggimenti  forestieri  ;  e  ne'  secoli 
barbari  unica  sua  forza  era  l'opinione,  espressa  dalla  scomunica; 
arma  appropriata  a  tempi  di  fede.  (Questa,  fin  dai  primordj  della 
Chiesa,  produceva  anche  effetti  temporali,  privando  d'alcuni 
(  atti  del  civile  consorzio.  Entrata  la  Chiesa  nello  Stato,  fin  dal 
IV  secolo  la  penitenza  pubblica  trasse  conseguenze  civili,  come 
d'escludere  da  impieghi  secolari,  dalla  milizia,  da'  giudizi;  dappoi 
tutti  i  codici  barbari  disposero  intorno  agli  scomunicati,  esclu- 
dendoli, per  esempio,  dallo  stare  in  giudizio,  mentre  la  Chiesa 
toglieva  loro  di  comunicare  ed  orare  coi  fedeli,  e  proibiva  il 
benedirli,  il  coabitare,  il  mangiare,  il  discorrere  con  essi. 

Si  rallentava  la  devozione?  Bisognò  crescere  coi  riti  quello 
sgomento  cosi,  da  frenare  la  prepotenza   armata;    e    gettando 


a  scomunicare  la  Lega  Lombarda;  lamenlasi  che  i  frali,  e  massime   Giovanni   da 
Schio,  predichino  contro  di   lui  :  e  ripete    come   al   papa    ricorrano    lutti   quelli 
che  senionsi  conculcali  dalla  tirannide  amministrali  va,  ch'egli  precocemente  voleva 
(,  introdurre. 

—  211  — 


gira 


f 


b  CAPITOLO    Vili.  □    L-i 

'  per  terra  torchietti  ardenti,  imprecavasi  che  a  quel  modo  si 
spegnesse  ogni  luce  al  maledetto.  Trattavasi  poi  di  peccatore 
potente?  Veniva  interdetta  la  città  o  la  provincia  dov'egli 
aveva  abitazione  o  dominio.  I  fedeli  dunque  restavano  privi 
della  parola  e  delle  pratiche  religiose  che  dirigono  l'anima  nei 
turbini,  e  la  francheggiano  nelle  lotte  della  vita.  Il  tempio, 
monumento  ove  tanti  segni  visibili  rappresentano  la  magnifi- 
cenza del  Dio  invisibile  e  dell'eterna  sua  città,  sorgeva  ancora 
di  mezzo  alle  stanze  dei  mortali,  ma  come  un  cadavere;  più 
il  sacerdote  non  consacrava  il  sangue  e  il  corpo  di  nostro  Si- 
gnore per  le  anime  affamate  del  vivifico  nutrimento;  non  rile- 
vava coU'assoluzione  ì  cuori  oppressi  dal  rimorso;  negava  l'acqua 
santa  al  segno  del  combattimento  e  della  vittoria;  muto  l'organo, 
muta  la  gioia  degli  inni,  muto  il  solenne  mattinare  delle  spose 
di  Cristo.  L'ultima  ora  che  il  santuario  restò  aperto,  lanciaronsi 
sassi  dal  pulpito,  designando  alla  turba  che  all'egual  modo 
Iddio  l'aveva  rejetta,  che  le  porte  della  Chiesa  trionfante  erano 
chiuse,  al  par  di  quelle  della  militante.  Spente  le  lucerne  tra 
canti  funerei,  come  se  la  vita  e  la  luce  avessero  ceduto  luogo 

\         alle  tenebre  e  alla  morte,  un  velo   nascondeva  agi'  indegni    il 

)  Crocifisso  e  le  effigie  dei  martiri  e  dei  confessori.  Quelle  im- 
magini edificanti,   che   parlano   al  senso  interno  per  via  degli 

(  esterni,  non  poteano  più  recar  consolazione  e  confidenza;  la 
vita  non  era  più  santificata  nelle  importanti  sue  fasi,  quasi 
più  non  esistesse  mediatore  fra  il  reo  e  Dio.  Il  fanciullo  acco- 
glievasi  ancora  al  battesimo,  ma  senza  solennità,  quasi  di  furto: 
i  matrimoni  si  benedicevano  sulle  tombe,  anziché  all'altare 
della  vira:  il  Viatico,  consacrato  dal  prete  solitario  il  venerdì 
buon'ora,  portavasi  in  segreto  al  moribondo;  si  negava  l'estrema 

'  unzione  e  la  sepoltura  in  terra  sacra,  eccetto  a  preti,  mendichi, 
pellegrini ,  stranieri  e  crociati.  Solo  a  qualche  convento  era 
permesso  volgersi  all'incollerito  Signore,  senza  intervento  di 
laici,  a  bassa  voce,  a  porte  chiuse  e  nella  solitudine  della  notte, 
supplicarlo  a  ravvivar  colla  grazia  gli  spiriti  estinti.  Il  sacerdote 
esf)rtava  talora  a  penitenza,  ma  sotto  al  portico  della  chiesa 
e  in  negra  stola:  quivi  soltanto  la  puerpera  veniva  a  purificarsi, 
■         e  il  pellegrino  a  ricevere  la  benedizione  pel   suo   viaggio.    Le 

)         solennità,  gloriosi  ravvivamenti  della  vita  spirituale,   iu   cui  il 
barone  e  il  vassallo  raccostavansi  nella  comunanza  della  festi- 


Gisla,  costui  madre,  si  presentò  ad  Ezelino,  rammentandogli  d'esserne  stata  ab 

bracciata  in  gioventù,  e  asserendo  quello  esserne  un  frutto. 

Gap   X.  Pag.  23J, 


FEDERICO  SCOMUNICATO 


vita  e  della  preghiera,  divenivano  giorni  di  lutto,  ove  il  pa- 
store fra  il  suo  gregge  raddoppiava  i  gemiti  e  i  salmi  della 
penitenza  e  il  digiuno.  Interrotto  ogni  commercio  cogli  sco- 
municati, questa  morte  dell'industria  segnava  le  rendite  del 
feudatario:  i  notai  tacevano  negli  atti  il  nome  del  principe 
indegno  ;  ogni  disastro  riguardavasi  come  conseguenza  di  quella 
maledizione. 

Chi  non  sa  immaginarsi  l'effetto  di  tali  castighi  in  secoli 
bisognosi  di  fede  e  di  culto,  pensi  quel  che  avverrebbe  se, 
nella  danzante  e  scredente  età  nostra,  si  chiudessero  i  teatri, 
i  balli,  i  caffè.  E  chi  non  ha  perduto  la  memoria  dell' ieri, 
ricordi  quale  scossa  diede  una  scomunica,  venuta,  un  secolo 
dopo  Voltaire,  sopra  la  fronte  che  più  sublime  si  elevò  nell'età 
moderna. 

Federico,  che  anticipava  di  cinquecento  anni  alcune  idee  1245 
del  secolo  di  Voltaire,  volle  affrontar  dapprima  i  fulmini  di 
Roma;  e  a  Torino,  dove  ne  ricevette  notizia,  fattosi  recar  la 
corona,  se  la  calcò  sul  capo,  dicendo  come  quell'altro  nostro 
contemporaneo,  Guai  a  chi  me  la  tocca!;  e  ai  principi  e  ai 
popoli  mandò  circolari,  ove  oltraggiava  ne'  peggiori  accenti  il 
pontefice,  fino  a  tacciar  di  dissolutezza  questo  vecchio  di  no- 
vant'anni,  e  che  operasse  cosi  a  suggestione  dei  collegati  lom- 
bardi, anzi  per  favorire  i  Catari,  cui  nido  principale  era  Milano  ; 
ed  egli  stesso,  che  avea  chiesto  al  papa  maledizioni  contro  le 
repubbliche  lombarde,  or  negava  al  papa  il  diritto  di  deporre 
i  re,  proponeasi  di  ricondurre  colla  forza  la  Chiesa  alla  pri- 
mitiva purità.  Cosi  mostravasi  eretico  nella  lettera  stessa,  ove 
l'imputazione  d'eretico  respingeva. 

Gli  avranno  applaudito  coloro  per  cui  è  segno  di  forza  la 
violenza;  qui  e  qua  avrà  avuto  per  sé  quelle  grida  di  piazza, 
che  stoltamente  si  giudicano  espressione  della  popolare  opinione  ; 
ma  finche  lottavasi  a  parole,  la  superiorità  era  certa  per  la 
Corte  romana,  la  quale  possedeva  l'unica  tribuna  di  quei  tempi, 
il  pergamo.  Da  questo  sonavano  improperj  contro  Federico,  ma 
)  non  vogliam  tacere  come  un  piovano  predicò  ne'  termini  se- 
)  guenti:  —  Ho  ricevuto  ordine  di  scomunicare  l'imperatore 
ì  »  Federico.  So  che  regna  odio  implacabile  fra  lui  e  il  papa,  e 
I  »  ne  ignoro  i  motivi.  Certo  un  dei  due  ha  torto:  ma  qual  dei 
(         »  due,  Dio   solo  il   conosce.  Io   dunque   scomunico   il  reo  per         ì 

Cantù  —  Ezelino.  14 


»  quanto  la  mia  podestà  arriva,  ed  assolvo  la  vittima  d'un'in- 
»  giustizia,  tanto  dannosa  a  tutta  la  cristianità  ^o  »^ 

Così  era  dato  al  mondo  lo  scandaloso  ma  non  nuovo  spet- 
tacolo del  papa  e  dell'imperatore  che  a  vicenda  pubblicamente 
s'ingiuriavano,  scagliavansi  maledizioni,  rivelavano  ed  esagera- 
vano un  dell'altro  le  trame  e  le  nequizie;  peggiorandosi  entrambi 
nell'opinione  dei  popoli,  che,  chiamati  a  librar  le  ragioni  dei 
contendenti,  doveano  rinvenire  le  proprie.  Intanto  i  Mòngoli, 
scossi  da  Gengis-kan,  altro  eroe  a  cui  dovrebbero  incensi  gli 
ammiratori  della  forza,  aveano  sparso  d'irreparabili  ruine  l'Asia: 
e  penetrati  con  Battu-kan  in  Europa,  invadeano  l'Ungheria, 
minacciavano  il  Reno,  vantavansi  di  volere  sbiadare  i  loro  ca- 
valli in  Santa  Sofìa  di  Costantinopoli  e  in  san  Pietro  di  Roma. 
L'  ardore  e  l' operosità  dei  cristiani  avrebber  dovuto  volgersi 
a  frenare  questo  torrente  che  avanzavasi  irrefrenato,  mentre 
imperatore  e  papa  divideano  in  due  campi  la  straziata  cri- 
stianità. 

Ma  il  papa  era  forte  perchè  il  popolo  era  con  esso:  e  col 
toccare  le  coscienze  si  scalzavano  la  fede  politica  e  la  base 
dei  troni.  Federico  pertanto,  allorché  vide  in  Germania  alzarsi 
crisma  contro  crisma,  ed  agitarsi  a  novità  i  popoli,  commossi 
da  Tina  scomunica  di  cui  alcuno  negava  l'opportunità,  nessuno 
impugnava  il  diritto  ^^.  non  tralasciò  spediente  per  tornar  in 
grazia  della  Chiesa:  egli  armato  e  possente  imperatore,  con 
umiliazioni,  con  ragionamenti,  con  promesse,  con  mediazioni 
procurò  mitigare  l'inerme  pontefice.  San  Luigi  re  di  Francia, 
che,  smanioso  della  crociata,  ben  avvisava  non  potersi  guer- 
reggiar a  vantaggio  in  Palestina  fintantoché  la  cristianità  ri- 
manesse dilaniata,  scrisse  al  papa  supphcandolo  a  ricevere  a 
perdonanza  l'imperatore,  e  giovare  di  tanto  sussidio  l'impresa. 
Il  papa  tenea  troppe  prove  del  quanto  perfidiasse  Federico  le 
promesse;  né  gli  credette  troppo  quando  esso  imperatore  offri 
di  secondare  la  crociata  con  ogni  sua  forza  e  andarvi  in  per- 
sona. L' impresa  usci  a  sì  miserabile  fine,  che  i  Crociati  sarebbero 


«■'O  Mattia  Paris,  Misi.  Anfjì.  12'io. 

*■'!  Anche  la  Cliiesa  valdese  riicnne  sempre  la  scomunica.  Vedi  la  Disciplinae 
VAlmanach  spiritucl. 


—  214  — 


FEDERICO    SCOMUNICATO 


periti  ove  Federico  non  li  avesse  soccorsi  di  vettovaglie.  Del 
che  riconoscente,  il  re  francese  novaraente  scrisse  al  papa 
cessasse  di  diffamare  ed  impugnare  un  re,  tanto  leale  amico 
e  generoso  benefattore  ^'^;  sul  tono  medesimo  scrisse  Bianca 
madre  di  san  Luigi;  fino  i  Cristiani  di  Palestina  mandarono  a 
supplicare  il  perdono.  Tutto  invano.  Il  pontefice,  a  troppe 
prove  persuaso  della  slealtà  del  suo  avversario,  giunse  perfino 
a  bandir  contro  di  lui  una  crociata,  colle  indulgenze  stesse  di 
chi  andava  in  Terrasanta.  Molti  presero  la  croce:  ma  sciagurati 
quelli  di  essi  che  capitarono  alle  mani  di  Federico!  giacché 
facea  loro  imprimere  croci  sulla  fronte  e  sul  petto  con  ferri 
roventi,  o  con  corone  attorno  al  capo,  o  mutilarli:  alcuni  anche 
crocifiggerne  *^3. 

Si;  ma  intanto  si  moltiplicavano  attorno  all'imperatore 
sollevazioni  e  congiure;  e  Dio  gli  mandava  il  tormento  che 
serba  ai  principi  malvagi,  il  sospetto;  onde  anche  ne' suoi  più 
cari  temeva  un  traditore.  Pier  dalle  Vigne,  l'amico,  il  confidente 
suo,  che  teti7ie  ambe  le  chiavi  del  suo  cuore,  gli  fu  messo 
in  sospetto;  e  privato  degli  occhi  e  imprigionato,  nel  di- 
spetto della  calunnia  o  dell'ingratitudine  si  fracassò  la  testa. 
Processo  e  condanna  segreti  come  le  opere  dei  tiranni,  onde 
la  posterità  rimane  incerta  sul  delitto.  È  vero  eh'  egli  abbia 
mostrato  poco  zelo  nel  difendere  il  signor  suo  al  concilio  di 
Lione  ?  che  ne  abbia  divulgato  i  segreti  ?  tentato  la  moglie  ? 
fino  insidiato  ai  giorni?  I  Ghibellini,  per  bocca  del  maggiore 
poeta,  assicurarono  che  Piero  non  avesse  rotto  fede  al  signor 
suo  che  fu  si  degno  d'oìiore  ^^;  ma  venisse  perduto  dalle  scel- 
lerate arti  di  coloro,  cui  faceva  invidia  la  intera  confidenza  di 
Federico  ch'egli  s'era  meritata. 

Gli  Ezelini,  fautori  dell'imperatore  e  nemici  di  Roma,  po- 
tevano sfuggire  la  taccia  d'eresia?  Già  un  pezzo  prima,  Ezelino 
il  Monaco  ne  fu  creduto  lordo:  ed  Innocenzo  III,  in  un  breve 
al  patriarca  di  Grado,  si  lagna  de'  Padovani,  che  contro  al  suo 
diletto  marchese  d'Este  fossero  proceduti  insieme  con  cotesto 


'■>2  V.   Mattia  Takis,  llisl.  Aiì;;I.,  l^'io. 
•'■"  E|i.  di  Grcij.  I\,  ap.  Hainaldj,  al  l^'iO. 
<!''  Dante,  Inf.,  e.  Xlil. 


^^  MuRA-TOKi,  Aniìcliilù  EsfpHsi,  l.  I,  p.  412. 


I — 'q  capitolo   vili.  LJ    L-j 

^  Ezelino  e  con  altri  scomunicati  ^^:  poi  scagliò  contro  di  lui 
l  una  lettera,  e  partecipoUa  pure  ad  Ezelino  III  e  ad  Alberico 
figliuoli  di  esso,  esortandoli  a  dargli  in  mano  il  padre  miscre- 
dente. Essi,  per  paura  di  scadere  dal  diritto  di  eredità,  gli 
promisero  fare  secondo  voleva,  sebbene  non  appaia  che  l'ese- 
guissero: né  rechi  meraviglia  (dice  l'annalista  della  Chiesa) 
che  il  papa  sommovesse  figliuoli  contro  il  padre;  avvegnaché 
)  la  causa  di  Dio,  da  cui  ogni  paternità  deriva,  dev'essere  ante-  j 
(         posta  a  tutti  affetti  umani.  ) 

\  I  figliuoli  però  non  riuscirono  migliori  del'padre.  Ezelino,         ) 

j  quello  di  cui  raccontiamo,  dai  primi  anni  fu  sospettato  d'eresia  : 
\  già  alle  calende  di  settembre  del  1231  Gregorio  IX  gli  aveva 
ì  diretto  un'epistola,  dove,  augurandogli,  non  salute  secondo  il 
)  costume,  ma  spirito  di  più  s.ma  mente,  veniva  rimproverandogli 
\  ì  suoi  errori.  E  —  Che  pazzia  è  cotesta  (gli  diceva)  che,  se- 
)  »  guendo  fallaci  insegnamenti,  tu  non  voglia  consentire  alle 
\  »  verità  della  fede?  Coi  fatti  esclami,  Chi  è  V  Onnipossente 
)  »  c/i'io  deva  servirgli?  peccai  e  guai  male  me  ne  segui?  Ti 
/  »  ricorda  quand'io  era  legato  in  Lombardia,  e  che  tu,  offren- 
)  »  domi  segni  di  conversione,  fondendoti  in  lacrime,  mi  pregasti 
»  a  tenerti  raccomandato  alle  orazioni  mie  e  della  Chiesa  e 
{  »  spezialmente  delle  sante  ancelle  di  Cristo?  Con  ciò  volevi 
'  »  ingannar  noi,  o  dirò  piuttosto  il  Signore.  Torna,  deh  torna 
\  »  a  penitenza;  riconosci  tue  colpe;  placa  colui  che  è  largo  di 
)  »  perdono:  lasciati  gli  errori,  sbanditi  gli  eretici  dalle  tue  terre, 
{  »  ritorna  alla  Chiesa.  Altrimenti,  perché  dalla  gravezza  della 
\  »  pena  il  mondo  argomenti  l'enormità  de'  falh,  contro  te  invoco 
'  »  cielo  e  terra,  esponendo  i  tuoi  beni  al  primo  occupante; 
»  affinchè,  se  tu  sei  di  scandalo  e  d'orrore  a  molti,  sii  pure 
»  in  obbrobrio  sempiterno  ». 
S  II  domani  esso  papa  scriveva    ai    Padovani  encomiandoli, 

\  perchè  zelanti  della  fede  ortodossa,  gli  eretici  sterminassero,  e 
I  difendessero  e  favorissero  gli  ecclesiastici  e  le  loro  libertà,  onde 
\  fra  loro  splende  la  forma  delle  virtù,  la  norma  de'  costumi,  la 
(         disciplina  della  salute.  —  Certo  (soggiunge)  vi  è  nota   l'abbo- 

)         »  minevole  insania  d'Ezelino,  che,  fatto  satellite  di  Satana,  non 

) 


Li  n  -™-  D^ 

li] 


EZELINO   ERETICO 


»  contento  d'avere  per  sé  stretto  alleanza  colla  morte  e  pattuito 
»  coir  inferno,  altri  seco  trascina  nel  baratro,  abbraccia  l'eresia, 
»  raccetta,  difende,  fomenta  e  fiancheggia  gli  eretici,  e  benché 
»  ammonito,  vuole  piuttosto  perire  che  obbedire:  gli  eretici 
»  nelle  sue  terre  aggrega,  ed  ivi  dogmatizzando  gli  errori 
»  allaccia  i  semplici  e  gl'incauti,  e  così  cresce  il  numero  dei 
»  perduti....  Per  mostrarvi  adunque  speciali  alleati  di  Cristo, 
»  supplichiamo  la  comunità  vostra,  scongiurandovi  pel  sangue 
»  di  G.  C,  e  per  la  remissione  dei  peccati  vi  comandiamo  che, 
»  infiammati  da  zelo  della  fede,  virilmente  procediate  contro  il 
»  fellone,  adoperando  magnanimi  a  suo  danno  ogni  vostra 
»  possa.  A  chiunque  contro  di  esso  coraggiosamente  starà, 
»  concediamo  tre  anni  d'indulgenza,  e  se  mai  morisse,  il  per- 
»   dono  di  tutti  i  peccati,  di  cui  sia  contrito  e  confesso.  » 

Certo  Ezelino  dava  ricetto  a  chiunque  avversasse  Roma  e 
e  la  fede.  Gli  eretici  cresciuti  in  Mantova,  nel  1235  uccisero 
il  vescovo  Guidolfo  nel  monastero  di  Sant'Andrea;  e  il  popolo 
si  sollevò  contro  di  essi  i  quali  ricoA^erarono  in  Verona  ad 
Ezelino  ^^.  Alquanti  anni  dopo,  Innocenzo  IV  mandò  ordine  a 
Rolando  da  Cremona,  inquisitore  a  noi  conosciuto,  acciocché 
esaminasse  Ezelino  —  nemico  della  virtù  e  persecutore  della 
fede,  che  in  molte  cose  Dio  e  la  sede  romana  oltraggia,  ma 
principalmente  nel  disprezzare  le  chiavi  della  Chiesa,  dar  ri- 
cetto ad  eretici,  partecipare  con  loro,  restar  in  fama  d'eretico 
anch'esso  ordina  dunque  di  citarlo  da  luogo  vicino,  ma  sicuro, 
perchè  esso  è  conosciuto  per  gagliardo  e  formidabile  ». 

Di  quali  eresie  però  peccava  Ezelino  ?  Alcuno  il  cliiama 
Arnaldista,  cioè  dell'opinione  di  Arnaldo  da  Brescia  sul  depri- 
mere i  vescovi,  spogliare  monaci  e  chiese  de'  beni  temporali; 
ma  in  ciò,  men  tosto  errore  di  fede  troviamo  che  o  vendetta 
0  cupidità.  Abbominava  i  frati,  e  cercava  nuocerli  in  ogni 
incontro,  per  la  qual  colpa  venne  scomunicato,  d'autorità  pon- 
tifizia,  dal  vescovo  di  Castello:  ma  cosi  operava  perchè  essi 
pure  faticavano  instancabili  contro  di  lui.  Innocenzo  IV  l' in- 


'■''•   Mon.  Paduan,  p.  o87.  —  E|i.  GiTirorii  np.  Ughfi.li  1,    i)51;  Rainaldi 
ad  aiiiiiiiii  1233,  n.  IG. 


—  217  — 


ni 


r  CAPITOLO    Vili.  D    L, 

colpa  di  rompere  a  suo  talento  i    matrimonj ,  lo    che  sarebbe  i 

stato  un  consentire  col  fatto  agli  errori  de'  Patarini.  Al  sommar 
dei  conti,  le  eresie  di  Èzelino  erano  principalmente  politiche 
e  sociali;  che  del  resto  ben  d'altro  brigavasi  egli  che  dei  dogmi 
e  della  fede. 
1242  II  papa,  forse  sperando  ritraiio  al  bene,  pazientò  con  lui 
più  che  coir  imperatore;  da  ultimo  lo  fece  citare  a  presentarsi 
agli  inquisitori  per  essere  esaminato  sulla  sua  credenza.  Ezelino, 
per  quanto  in  cuore  si  ridesse  del  papa  e  de'  fulmini  suoi,  pure, 
servendo  ai  tempi,  mandò  ambasciatori  al  papa,  che  in  nome 
suo  giurassero  lui  essere  cattolico  vero,  perseverante  nei  dogmi 
della  romana  Chiesa.  L' ambasciata  non  fu  accolta,  volendosi,  e 
non  senza  ragione,  che  venisse  in  persona  a  render  conto  di 
sé  entro  il  termine  stabilitogli.  Ezelino  o  non  potè  o  non  volle  ; 
il  papa  allungò  il  tempo,  ma  ancora  senza  effetto.  Cosi  uno, 
cosi  due  anni  temporeggiò;  tre,  quattro  volte  gli  rinnovò  l'in- 
tima, e  sempre  indarno.  Stanco  al  fine,  Innocenzo  IV,  nel 
solenne  giovedì  santo  del  1248,  fulminò  contro  di  lui  una 
terribile  scomunica,  che  compendiamo.  Era  il  •  padre  de'  fedeli 
che  ne  malediceva  l'oppressore:  e  se  i  modi  non  paiono  di  una 
moderata  giustizia,  trasportiamoci  ai  tempi  e  alle  procedure 
d'allora. 

— ■  La  truculenta  rabbia  d'un  solo  uomo  inumano,  e  la 
»  cruda  barbarie  di  Ezelino  da  Romano,  venuto  insigne  nel 
»  mondo  per  la  enormità  delle  colpe  e  per  la  moltitudine  degli 
»  atroci  fatti,  più  non  deve  essere  comportata  dall'umana 
»  società,  istituita  a  fiaccare  le  male  arti  de'  tiranni  prepo- 
»  tenti.  Sotto  faccia  d'uomo  nascondendo  un'anima  ferina,  siti- 
»  bondo  di  sangue  cristiano,  e  imbaldanzito  dall'appoggio  altrui, 
»  egli  mena  implacabile  guerra  contro  i  diritti  comuni  dell'u- 
»  manità.  Nò  solo  con  ferale  eccidio  infellonisce  contro  i  corpi 
»  degli  uomini:  ma  non  satollo  di  un  profluvio  di  sangue, 
»  versato  per  mezzo  dei  corruttori  della  cattolica  fede,  tenta 
»  danneggiar  la  vita  spirituale  ad  esizio  delle  anime.  Che  se 
»  nelle  sue  atrocità  seguitasse  i  rancori  suoi  proprj  od  i  paterni 
»  contro  i  nemici,  l'ardente  ferocia  sarebbe  oggimai  sboUita  ( 
»  in  lui  pel  refrigerio  della  vendetta  compiuta  contro  coloro  ( 
»  che  esecrava.  Ma  l'atrocità  sua  contro  ognuno  infuria  tal-  ) 
(^        »  mente   che   né   a  vita,  né  a  fortune  di  amici  perdonò;  non         ^ 

In  -««-  dÀ 


»  ebbe  compassione  a  sesso  od  età,  a  religione,  a  grado  ;  acceca 
»  fanciulli  innocenti,  gli  adulti  martora  con  supplizj  squisiti:  e 
»  (vergognoso  a  pensare  non  che  a  dire)  con   orride    incisioni 
»  mutila  maschi  e  femmine,  uccide  la  speranza  di  futura  prole 
»  ne'  superstiti  degli  uccisi,  per  l'intenzione  facendosi  omicida 
»  di    coloro    che    natura    ancor    non    portò  nei  lombi.  Non  è 
»  dunque  chiaro  che  negli  uomini  esso  perseguita  non  solo  le 
»  persone,  ma  la  natura?  che  è  pubblico    nemico    del    genere 
»  umano?  Aggiungasi   che   è   nato    da   padre    sentenziato    gicà 
»  per  eretico,  d'eretici  parenti,  di  costumi  apertamente  repu- 
»  gnanti  alla  cristiana  religione.  Laonde  noi,  concorrendo  colla 
»  pubblica  opinione,  lo  giudicammo   una   delle  maligne   volpi, 
»  che  non  desistono  di  guastar  la   vigna  del  Signore   Sabaot, 
»  corrompendo  il  testamento  dell'eterno  evangelo.   Anzi,  sulla 
»  via  del  delitto  a  tale  effetto  pervenne  di  scelleratissima  in- 
»  tenzione  che  col  terrore  della  morte  ridusse   i   sopravissuti 
»  uomini  in  fanciulli,  affinchè,  tolta  la  confidenza  degli  animi, 
»  il  privilegio  della  libertà,  l'oracolo    della    verità   per    mezzo 
»  dei   maestri  dell'errore,    che    all'ombra    sua    pubblicamente 
»  s'inalzano  nella  Marca  Trevisana  a   sovvertir  le    menti  dei 
»  fedeli,  potesse  più  facilmente  insinuare  i  dogmi  dell'ereticale 
»  infezione.  Esecrando  poi  il  sacramento  del  matrimonio,  non 
»  istituito  da  umana  volontà,  ma  dall'autorità    divina    racco- 
»  mandato,  egli  per  audacia  ereticale  separa  i  legittimamente 
»  sposati,  ordendo  scellerati  connubj  fra  i  complici  suoi,  adul- 
»   terine  convivenze,  da  cui  esce  uno  spurio  vitellame,  che  non 
»  metterà  profonde  radici  di  prosperità. 

»  Noi  dunque,  che,  comunque  indegni,  fummo  eletti  dal 
»  sommo  pastore  a  presedere  alla  Chiesa  sua  per  allontanare 
»  gl'impeti  ferali  dal  gregge  redento  col  sangue  di  Cristo,  e 
»  coloro  che  alla  salute  e  alla  vita  del  popolo  arrecan  danno, 
»  e  con  incessante  attenzione  scoprire  e  prendere  tali  volpi, 
»  scossi  al  grido  del  cristiano  sangue  onde  Ezelino  inondò  la 
»  terra,  e  dal  pericolo  della  Chiesa  che  egli  tenta  sovvertire, 
»  abbiamo  fatta  assumer  in  esame  la  fede  di  lui,  resa  sospetta 
»  dalle  opere  detestabili  e  dalla  pubblica  infamia.  Lo  citammo 
»  assai  volte:  ma  poiché  ostinatamente  egli  ricusò  di  venire 
»  0  di  mandare,  noi,  stimandolo  eretico,  ed  affinchè  non  sia 
,  »  d'esempio  ad  altri,  abbiamo  col   consiglio   de'  fratelli  nostri 


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CAPITOLO   Vili.  CjC=r 

»  ordinato    soggiacesse    alle  sentenze   promulgate    contro    gli 

»  eretici,  quando  non  comparisca  al  principio  d'agosto;   tanto 

»  amavamo  meglio  salvarlo  che  vederlo  perire.  Ma  esso,  contro 

»  gli  uomini,    per   disperato  si  gettò    nell'abisso,    schernendo 

»  l'umano  pudore,  il  divino  giudizio  e  il  salutare  consiglio  ;  e 

»  sprezzando  gli  imminenti  pericoli,  amando  meglio  cadere  che 

»  cedere  fpcrire  quam  parerej,  non  mai  curò  di  venire.  Oggi 

»  dunque,  che,  pel  giorno  della  cena  di  nostro  Signore,    dalle 

»  diverse  parti  del  mondo  gran  folla  accorse,  giusta  il  consueto, 

»  ai  limitari  degli   apostoli,  sentenziamo   esso   Ezelino   eretico 

»  manifesto  ^~  ». 

Questa  condanna  circolò  a  tutti  i  vescovi  di  Lombardia  e 
Romagna:  ma  non  pare  eccitasse  movimento  alcuno  nelle  città 
soggette  al  tiranno,  nò  ponesse  freno  all'intraprendente  am- 
bizione e  alla  calcolata  barbarie  di  lui. 


67  Da  Lione  1:248.  Appresso  Muratori,  Anliquit.  Hai.  Diss.  L. 


,     .    n  —  220  - 

\3^ 


\mi3-- 

7 


CAPITOLO     IX, 


CRUDELTÀ'    D'EZELINO. 


Spiegò  l'aquila  nera  ghibellina 

l'ultimo  gonfalon  con  due  grand'ale 
e  comparve  un  terribile  guerriero , 
d'aspetto  e  di  color  ch'era  pur  nero. 

Era  questi  Ezelin. 

Grotta,  L'asino  d'Iroldo,  IV,  13. 


a  parte  ghibellina,  quantunque  sostenuta  dalla 
presenza  dello  imperatore  e  dal  terror  d'Ezelino, 
sofferse  un  tracollo  quando  i  fuorusciti  di  Parma 
posero  assedio  a  questa,  aiutati  dal  legato  pon- 
tifizio,  dai  Guelfi  di  tutta  Lombordia,  dai  Genovesi,  dal  mar- 
chese d'Este  che  non  esitava  a  lasciare  esposti  i  suoi  Stati  ad 
Ezelino;  e  vinta  ogni  resistenza,  cacciarono  gl'imperiali,  e  vi 
si  stabilirono  ed  afforzarono  *• 


1  Foderico  vi  avea  messo  podestà  il  nofajo  Arrijj^o  Testa,  da  Lentinc  o  da 
Arezzo,  il  quale  noH'uscire  a  difender  quella  città  dai  ("luellì  fu  ucciso.  Qui  ne 
divisiamo,  perchè  uno  de' primissimi  di  cui  abbiamo  versi  italiani,  per  (pianto  rozzi: 

Vostra  orgogliosa  cera  Glie  non  ha  a  sé  membranza 
e  la  fera  sembianza  d'  avere  alcun  valore, 

mi  trae  di  (ina  amanza  E  in  ciò  biasinìo  amore 

e  mettemi  in  errore;  che  non  mi  dà  misura 

fammi  tener  manera  vedendo  voi  sì  dura 

(Fuomo  eh' è  in  disperanza.  ver  naturale  usanza,  ecc. 

221  


r— ti  CAPITOLO   IX 

I  Tedeschi  erano  volonterosi  a  far  guerra  agi'  Italiani  per 
odio  nazionale,  come  dicesi  cristianamente,  e  per  nazionale 
ambizione  di  conquiste;  ma  le  ripetute  spedizioni  degli  impe- 
ratori Svevi  gli  avevano  stancati,  e  la  scomunica  mossi  a 
rivolta,  fin  ad  eleggere  un  altro  imperatore.  Federico,  non 
essendo  più  il  sovrano  di  tutta  cristianità,  ma  il  capo  d'un 
partito,  trovavasi  ridotto  ai  mezzi  procacciatigli  dai  Ghibellini 
e  dal  suo  regno  di  Sicilia;  onde  cercava  dapertutto  alleati,  e 
fra  questi  Amedeo  conte  di  Savoja,  al  quale  diede  il  castello 
di  Rivoli  per  assicurarsi  quel  passo  dell'Alpi,  e  Beatrice  figlia 
di  lui  sposò  al  proprio  figlio  naturale  Manfredi,  cui  aveva 
infeudato  tutte  le  terre  imperiali  fra  Pavia,  i  monti  e  il  mar 
di  Genova  2. 
1217  Stava  a  Torino  1"  imperatore  quando  udì  che  Parma  era 
stata  presa,  e  accorse  ad  assediarla  con  diecimila  cavalli,  in- 
numerabile fanteria,  ed  alquante  migliaia  di  balestrieri  saraceni. 
Questi  smuravano  le  case  del  contorno,  e  colle  tegole  e  i  mattoni 
che  ne  portavano  al  campo  si  improvvisò  una  città,  denominata 
per  buon  augurio  Vittoria,  e  il  Tedesco  si  prometteva  sosti- 
tuirla a  Parma,  cui  giurava  distruggere.  Quando  se  ne  posero 
le  fondamenta,  il  segno  era  in  ariete,  proprio  di  Marte  e  perciò 
propizio  :  ma  il  quarto  ascendente  stava  in  cancro,  indizio  che 
la  città  volgerebbe  tra  poco  indietro.  Così  seriamente  spiegava 
lo  storico  Rolandino  gli  efi"etti,  che  noi  attribuiamo  alla  po- 
tenza d'un  popolo  il  quale  vigorosamente  e  concordemente 
rifiuta  la  tirannia. 

Tutta  la  parte  guelfa  fu  in  soccorso  di  Parma:  da  Milano 
1600  uomini  d' armi  con  quattro  cavalli  ciascuno:  vennero 
Piacentini,  vennero  Mantovani,  il  conte  Rizzardo,  il  marchese 
Azzo  coi  Ferraresi,  Bianchin  da  Camino,  Alberico  da  Romano 
coi  Trevisani,  i  conti  di  Lavagna  con  300  balestrieri,  i  Genovesi 
con  450,  oltre  i  fuorusciti.  All'opposto  per  Federico  stavano 
Podovani,  Vicentini,  Pavesi,  Veronesi,  Asolani,  Bassanesi,  e  più 
di  tutti  valente  Ezelino  da  Romano,  che,   operosissimo   per  la 


2  GuiCHENON,  Hisl.  de  Savoie.  Prove,  N.  71.   Totani  lerrain  a   Papia  nsrjue 
ad  montes  et  usque  ad  maritima  Januae.  La  madre  di  Manfredi  era  Bianca,  figlia  ' 
(  di  Bonifazio  Gultuario  signor  d'Anglano  presso  Asti.  ) 

L-T_n  -  222  -  qJil 


rara- 

rr-b  ASSEDIO   DI   PARMA  D 

>  causa  che  fiancheggiava ,  prese  Guastalla  e  Brescello  ,  e  col 
re  Enzo  ebbe  a  comandar  l'ala  dell'esercito,  postata  sulla  dritta 
del  Po,  onde  intercettare  i  viveri  e  i  soccorsi,  mentre  Federico 
coll'altr'ala  attaccava  la  città. 

Federico,  che  aveva  còlti  nelle  Università  quanti  studenti 
parmigiani  trovò  ed  altri  di  buone  case,  ne  facea  decapitare 
quattro  ogni  giorno  sotto  le  mura  della  città,  finché  gli  stessi 
Ghibellini  fecero  intendere  al  grand'uomo  d'esser  venuti  qua  a 
buona  guerra,  non  a  fare  da  boia.  Le  cronache  citano  Mar- 
cellino vescovo  d'Arezzo,  che  preso  dai  satelliti  di  Federico  II, 
e  presentato  a  questo  durante  l'assedio  di  Vittoria,  ebbe  l'in- 
timazione di  prestar  omaggio  a  questo  e  prepararsi  al  martirio. 
Egli  fecesi  rivestire  degli  abiti  pontificali,  poi  ripetè  la  scomunica 
contro  r  imperatore,  e  condannato  alla  forca,  intonò  il  Te  Deum. 
I  satelliti,  ch'erano  la  più  parte  saracini,  lo  snudarono  e  poser 
s'un  asino  al  lungo,  colla  bocca  sopra  la  coda.  L'asino  però 
non  volle  muoversi  fin  quando  il  vescovo ,  terminate  certe 
orazioni,  gl'intimo  d'andare.  Così  condotto  traverso  all'esercito, 
alla  terra  di  San  Damiano  fu  sospeso  al  patibolo,  e  lasciato 
esposto  agl'insulti,  sinché  alcuni  Francescani  lo  seppelhrono. 

I  Parmigiani  aveano  cominciato  dall' invocar  il  Signore,  e 
le  loro  donne  votarono  a  Maria  un'effigie  della  città  tutta 
d'argento,  quani  vidi,  dice  il  Salimbeni;  e  insieme  si  allestirono 
di  quella  pazienza  che  é  un  secondo  coraggio.  Pativano  fame, 
mancando  sin  del  pane  che  faceasi  di  linseme:  ma  il  legato 
pontifizio  esortavali  a  non  cedere,  e  vincerebbero. 

Di  fatto  Mantovani  e  Ferraresi,  rimontando  per  barca  il 
Po,  vettovagliarono  la  città,  e  c©sì  fu  prolungato  l'assedio 
finché  succeduta  la  peggiore  stagione,  le  milizie  comunali  preser 
congedo;  Ezelino  e  gli  altri  signori  tornarono  ai  loro  castelli 
«  a  temperar  nei  caldi  alberghi  il  verno,  e  celebrar  con  lieti 
inviti  i  pranzi  ».  I  cronisti  narrano  che  in  quella  spedizione 
una  gazza  si  posò  sulla  bandiera  d'Ezelino,  così  mansueta  che 
si  lasciò  pigliare.  L'ebbe  esso  per  fausto  augurio,  e  d'allora 
innanzi  la  fece  nutricare  in  Padova. 

Federico  rimase  a  cingere  trascuratamente  la  città:  ma 
un  giorno,  mentre  egli  coi  falconi  cacciava,  gli  assediati  sor- 
tirono, misero  a  strage  e  scompigho  gl'imperiali,  ne  saccheg- 
C         giarono  il  campo,  pigliandone  fin  la  cassa  e  la  corona  imperiale.         ^ 


rr-n  CAPITOLO  IX 

Ricchissimi  gioielli  furono  sparsi  tra  i  vulgari,  e  al  fiuto  di 
quelle  dovizie  accorsero  rigattieri  e  giudei  da  tutta  Lombardia: 
la  nascente  Vittoria  fu  atterrata:  il  papa  disse- 

Ad  ìaudem  Christi,   Victoria  vieta  fuisti: 

il  carroccio  de'  Cremonesi  ivi  còlto  fu  conservato  in  Parma  con 
questi  versi: 

Per  te;  rex,  almae  eessit  Victoria  Parmae; 
antifrasi  dieta  eessit  Victoria  vieta, 
earroecii  fict  damna  sui  oniseranda  Cremona: 
imperii,  Federice,  tui  fugis  ahsque  corona. 

Federico  fu  costretto  riparare  in  Cremona:  ma  peggior 
ferita  gli  recò  il  caso  di  Enzo.  A  questo  fìgliuol  suo  naturale 
avea  per  politica  fatto  sposare  Adelasia,  signora  di  Torres  e 
Gallura  in  Sardegna,  e  conferitogli  il  titolo  di  re  di  quell'isola. 
Senz'affetto  fu  il  loro  matrimonio;  poi  Adelasia  se  ne  scostò 
affatto  per  aderire  al  papa;  infine,  essendo  ella  morta,  Enzo 
sposò  una  nipote  di  Ezelino,  interzando  così  i  nodi  fra  la  casa 
Svevo  e  quella  di  R,omano.  Prode  della  persona,  colto  d'ingegno, 
non  risparmiandosi  in  alcun  pericolo,  tre  anni  prima  nel  mar- 
ciare contro  Milano,  da  Simone  da  Locarne  capitano  de'  Guelfi 
era  stato  fatto  prigioniero  a  Gorgonzola,  ma  tosto  rilasciato  a 
prezzo,  e  col  patto  che  più  non  recasse  molestia  ai  Milanesi, 
Rinnovata  la  guerra  nella  Romagna,  il  cardinale  Ottaviano 
Ubaldini  e  Filippo  Ugoni  podestà  di  Bologna  posero  in  piedi 
un  forte  esercito,  assistito  da  tremila  cavalieri  e  duemila  fanti 
di  Azzo  d'Este,  benché  n'avesse  questi  ricusato  il  comando  ^. 


3  Pure  il  cardinal  Ubaldini  è  mosso  da  Dante  all'inlerno  con  Federico:  e 
secondo  i  cronisti,  disse:  Se  c'è  anima,  io  l'ho  perdala  pe' ghibellini.  Fu  poeta 
anch'cgli,  od  eccone  un  saggio: 


Io  non  so  chi  si  sia  che  sopra  il  core 
mi  stilla  un  sudor  ghiaccio  che  mi  sface 
e  trosforma  la  neve  in  calda  face 
e  fiera  sicurlade  in  gran  tremore. 

221  


ASSEDIO   DI    PARMA 


Fattosi  al  loro  affronto,  il  giovane  vittorioso  cadde  prigioniero 
insieme  con  Biioso  da  Dovara.  Federico  restò  oltremodo  afflitto 
della  perdita  d'un  figlio,  tanto  a  lui  docile  quanto  valoroso;  e 
che   inoltre  gli    serviva  a    tener  contrappeso    alla  potenza  di 
Ezelino,  venutogli  ogni  giorno  più  sospetto.  Con  quel  misto  di 
minacce  e  di  fiacchezza  che  caratterizza  gli  atti   di   Federico, 
scrisse  a'  Bolognesi  :  —  Ponete  mente  che  noi  riuscimmo  sempre 
»  a  castigare  i  ribelli  nostri,  coli' aiuto  di  Dio.    I  padri  vostri 
»  vi  diranno  come  l'avo  nostro  Federico  domò  i  Milanesi,  ben 
»  più  poderosi  di  voi.  Temete  l'egual  sorte,  e  non  crediate  che 
»  la    spada    vacilli    nella   nostra  mano.    Rendete  la  libertà  al 
»  nostro  caro  Enzo  e  agli  altri   prigionieri;   se   il   farete,   noi 
^         »  esalteremo  Bologna  sopra  tutte  le  città  italiane;  se   ricuse- 
l         »  rete,  v'attaccheremo  fin  nelle  vostre  mura    con   formidabile 
»  esercito  *  ».  I  Bolognesi  gli  badarono  come  i  Turchi  al  papa: 
chiuso  Enzo  in  cortese  prigione  nella  loro  città,  ogni  giorno  i 
magistrati  gli  rendevano  visita:  ma  per  ventidue  anni  che  so- 
pravisse   non    vollero    udire   patti    od  accordo  di  riscatto.    La 
tradizione  abbellì  di  romanzesche   avventure   quella    prigionia, 
raccontando,  gliela  consolasse  una  fanciulla,  dalla    quale  ebbe 
un  figliuolo  che  denominò  Ben  ti  voglio,  e  da  cui  venne   l'il- 
lustre famiglia  di  questo  cognome. 

Federico,  stanco  della  continua  lotta  coi  popoli  e  col  papa, 
abbattuto  d'animo  e  di  salute,  erasi  ridotto  nella  Puglia,  sicché 
i  Guelfi  di  Lombardia  rifiorivano.  Né  però  veniva  meno  Ezelino, 
e  per  forza  e  per  maneggi  tolse  Feltro  e  Belluno  ai  signori 
di  Camino;  invase  il  Friuli,  ad  onta  e  danno  del  patriarca  di 
Aquileja,  ch'era  il  più  ricco  e  potente  prelato  d'Italia  dopo  il 
papa;  poi  risoluto  a  staccare  la  sua  fortuna  dalla  declinante 
dell'  imperatore,  snidò  i  presidi  di  questo  dalla  ròcca  di  Mon- 
sélice,  surrogandone  di  suoi:  e  dato  improvvisamente  addosso 
al  marchese  Azzo,  assediò  Este  con  battifredi,  petriere  e  tra- 


lo  non  so  chi  sia  questo  signore 
che  mosU'a  darmi  guerra  e  dammi  pace, 
facendomi  piacer  quel  che  mi  spiace; 
io  non  so  chi  si  sia  se  non  amore. 
4  Tetri  de  Yineis,  EpisloL,  I.  II,  n.  34. 


bucchi,  martellando  senza  requie  le  mura  con  pietre  grosse 
fin  milleducento  libbre  ^.  Avea  seco  ben  mille  pedoni  della  cittcà 
di  Padova,  altrettanti  della  campagna,  oltre  i  Vicentini,  quei 
del  Pedemonte  asolano  e  bassanese,  quattrocento  Veronesi  sopra 
cavalli  tutti  rivestiti  di  piastra,  e  minatori  di  Carintia;  per  cui 
opera  quel  forte  e  i  castelli  di  Baone,  Vigliizuoìo,  A' esco  vana 
dovettero  arrendersi  a  patti. 

Congedato  allora  l'esercito,  ritornò  a  Verona  festeggiato 
dalla  folla,  che  suol  mettersi  dal  lato  dei  trionfanti. 

Il  governo  di  questa  città  stava  presso  novanta  senatori, 
gentiluomini  e  Ghibellini,  quindi  propensi  alla  tirannide  e  ad 
Ezelino.  Ora,  mentre  il  popolo  era  adunato  in  generale  consiglio 
per  eleggere  il  podestà,  alcuno  cominciò  a  suggerire  doversi 
ormai  venirne  a  un  fine,  e  togliersi  a  cotesta  periodica  febbre 
delle  elezioni  coli'  assumere  Ezelino  per  donno  e  signore  ;  lui 
solo  voler  bene  al  popolo;  lui  solo  essere  degno  cui  la  bella, 
la  popolosa,  la  forte  Verona  obbedisse.  Per  quanto  i  prudenti 
aborrissero  quel  tiranno  più  che  il  diavolo  6,  dovettero  tacere 
dinanzi  ai  sofismi  degli  avvocati,  sostenuti  da  quel  grido  di 
piazza  che  chiamasi  voce  di  Dio,  e  dalle  masnade  d' Ezelino: 
suoni  di  trombe  e  tamburi,  fuochi  di  gioja,  inni  di  sacerdoti, 
pazzi  tripudi  del  vulgo  patrizio  e  popolano  festeggiarono  la 
perdita  della  libertà  "*. 

Ezelino,  signor  di  Verona  e  di  quel  territorio  che  è  chiave 
2150  d'Italia,  si  trovò  al  colmo  della  fortuna;  né  credo  alla  sua 
gioja  avrà  fatto  grande  sturbo  la  morte  di  Federico  II.  I  costui 
astrologi  aveano  predetto  sarebbegli  fatale  la  città  del  fiore, 
ond'egli  si  guardava  da  Firenze,  ma  in  Firenzuola  fu  preso  da 
malattia  e  mori  ai  tredici  dicembre.  A  tacere  il  resto  del  suo 
lungo  testamento,  legò  mille  oncie  d'oro  per   ajuto  di  Terra- 


à^ 


S   ROLANDINO. 

•*  Plusquam  (liabolus  tiinebatur.  Salimbesi. 

7  L'antica  moneta  di  Padova  portava  le  sigle  CI.  EV.  CI.  IV;  \o  quali  voglionsi 
interpretare  Civilas  eui/anea  Civitatis  juris.  Ezelino  le  camliii'i  in  CI.  VE.  CI.  VI; 
all'interpretazione  delle  quali  sigle  logoraron'^i  molti  ocoliiali  eruditi  e  dotte  penne. 

Zanetti  nelle  Monete  d^  Italia  porse  alcune  lettere  De  monetis  veronensibus  ^ 
praesertim  sub  Ezelino  conjlalis. 


—  226  — 


RE    ENZO    VERONA  D 


santa,  e  l'obbligo  di  restituire  alla  Chiesa  tutto  quanto  le  era 
appartenuto:  —  debolezze  di  agonizzante  e  suggestioni  di  frati, 
dirà  taluno,  il  quale  vorrà  dimenticare  il  divieto  che  v'ag- 
giunse di  perdonar  ai  suoi  nemici,  volendo  che  la  vendetta 
sopravvivesse  alla  sua  morte  ^. 


\  8  ]fg,ji  volumiis  el  mancìamus,  quod  nulìus  de  prodiioribus  regni  aliquo   iem- 

)  pore  reverli  debeat  in  regniim,  ne  aliqui  de  corum  fjenere  succurrere  passini^    imo 

)  haeredes  nostri  teneantur  de  eis  vindiciam  sumere.  Testamento  di  Fed.  II. 

V  Daniele,  Rerjali  sepukri  del  duomo  di  Palermo^  e  Vincenzo  Castelli  principe  di 

)  Torremuzza,  Fasti  di  Sicilia,  sono  libri  pieni  di  curiosissime  particolarità  intorno 

)  ai  costumi  d'allora.  Pare  che  re  Ruggiero  trasportasse  di  Grecia  molte  urne,  le 

quali   servirono  poi  di   sepolcro   a  lui ,  ad  Enrico  VI,  a  Costanza  imperatrice,  a 

Federico  II  e  a  sua  moglie  Costanza  d'Aragona  nella  matrice  di  Palermo;  mentre 

■  a  Monreale  stavano  i  Guglielmi.  Una  di  quest'^  urne,  di  porfldo  orientale,  é  sostenuta 

;  da  quattro  leoni  accosciati,  con  intrecciate  le  code  e  con  schiavi  inginocchiati  fra  ( 

^  le  branche:  sui  lati  sono  sei  medaglioni,  con  rihevi  di  simboli  cristiani;  sul  prò-  ) 

)  spetto  una  rosa,  la  corona  imperiale  colla  croce,  una  testa  di  leone  con  un  anello  ) 

)  nella  gola.  La  copre  un  tetto  di  granito  accuminato,  sostenuto  da  sei  colonne  di  ( 

}  porfido,  due  delle  quali  hanno  il  capitello  di  granito  e  sui  lati  aquile  e  grifoni.  Il  ( 

l  tutto  alzasi  sovra  tre  gradini.  ) 

\  Questa  e  l'altre  urne  erano  poste  presso  il  coro,  donde,  ne'  restauri  fatti -il  1731,  '' 

vennero  trasferite  in  cappelle  vicine  alla  porta.  In  quell'occasione  furono  aperte  :  e  ) 

nelle  tomba  su  descritta  si  trovò  il  cadavere  di  Pietro  d'Aragona  morto  il  1542;  ) 

e  presso  lui  un  altro  senza  indizj,  e  sotto  di  loro  stava  Federico  II  perfettamente  ì 

conservato.  Posava  la  testa  s'un  cuscino  di  cuoio,  colla  corona  aperta,  i  cui  raggi 

ì  erano  di  lamina  d'argento  sottilissima,  con  perle  e  gemme;  a  sinistra  era  il  globo 

d'oro  empito  di   polvere,  ma  senza  la  solita  croce.  Vestiva  una  camicia  di  bella 

)  tela  di  lino,  con  rabeschi  e  iscrizioni  cufiche  ricamate  sul  colletto   e   sui   polsini, 

lunga  fino  ai  piedi,  e  cinta  in  vita  con  cordone,  annodato  davanti.  Questa  camicia 

)  era  stata  mandala  dai  Saraceni  con  altri  doni  all'imperatore   Ottone   IV  quando, 

)  nel  1210,  s'accingeva  all'impresa  di  Sicilia.  Una  croce  ricamata  di  seta  rossa  sotto 

ì  la  spalla  sinistra  ricordava  che  Federico  era  stato  crociato.  Di  sopra  una  veste  di 

seta  rosso-chiaro,  in  forma  di  dalmatica  a  gran  maniche  oriate  d'un  gallone  d'oro 

alto  quattro  dita  e  con  una  cintura  di  seta  adorna  di  rose  d'argento  doralo.  Una 

specie  di  piviale  di  seta  pur  rosso-chiaro,  con  piccole  aquile  e  altri  graziosi  ricami. 

era  serrato  al  petto  da  un  fermaglio  d'oro  ovale,  con  un'ametista  in  mezzo,  venti 

smeraldi  in  giro,  e  grosse  perìe  alle  estremità.  Portava  calzoni  di  tela  sino  ai  piedi, 

e   questi  aveano   stivaletti  di  seta,  sul  cui  tomaio  vedeasi  una  capretta  entro  un 

cerchio:  una  coreggia  di  cuoio  teneva  gli  speroni  d'acciaio.  Al  fianco  sinistro  una 

spada  corta,  col  pomo  di  legno,  coperta  di  filagrana  d'argento  dorato  sospesa  a 

un  cinturone  di  seta  cremisi  scuro  con  varj  fregi,  da  cui  pendea  pure  la  tasca  di 

bella  fattura.  Le  mani,  incrociate  sul  ventre,  erano  senza  guanti,  e  il  medio  portava 

un  anello  d'oro  con  grosso  smeraldo. 


r— □  CAPITOLO   IX.  ^^H 

Sia  la  ierì'a  piena  di  letizia,  si  ralleg^nno  i  cieli  ^,  escla-  ^ 
mava  con  rabida  gioja  il  padre  de'  fedeli,  il  quale  scomunicò  il 
succedutogli  Corrado;  a  Pietro  Martire  ed  a  fra  Viviano  da 
Bergamo,  inquisitori,  annunziava  che,  spento  l'infesto  impera- 
tore, potrebbero  finalmente  di  proposito  sbarbicare  gli  eretici 
d'Italia:  inviò  frati  minori  che  ammutinassero  i  popoli,  legati 
che  bandissero  la  crociata  contro  gli  Svevi:  odio  popolare  che 
non  fu  cheto  fin  quando  l'ultimo  rampollo  di  quella  casa  non 
perdette  il  capo  sul  palco. 

Tolto  quell'unico  che  a  sé  riconosceva  superiore.  Ezelino 
si  abbandonò  all'atroce  indole  sua,  dandola  per  mezzo  ad  ogni 
crudeltà.  Il  Verci,  dopo  averne  detto  che  «  quest'impresa  di 
Padova  basterebbe  per  qualificar  la  grandezza  di  un  personaggio 
senza  paragone  maggiore  d'ogni  eccezione»,  ci  assicura  che  Ezelino 
«  era  attento  a  rendere  felici  i  suoi  popoli  con  utili  provvedi- 


L'epitaffio  che  ora  vi  sta  é  moderno;  ma  l'antico  diceva: 
Si  probitas,  sensus,  virlutum  gratia,  census, 
nobilitas  orti  possent  obsistere  morti, 
non  foret  exlinctus  Fredericus  qui  jacet  intus. 


,^-P 


Alta  palaiia,  siinima  potentia,  gloria  mundi 
non  valuere  milii  lollere  posse  mori. 

Enrico  IV  riposava  in  un'urna  meno  ornata,  col  coperchio  d'un  sol  pezzo, 
sostenuto  da  leoni,  tutto  porlìdo.  La  copriva  un  tetto  sostenuto  da  sei  colonne 
con  capitelli  corinti.  Anche  il  cadavere  di  lui,  nella  stessa  occasione  scoperto,  si 
trovò  intero,  con  parte  anco  della  barba  aderente  al  mento.  Orrido  era  il  ringhio, 
e  la  pelle  disseccata  come  carta  pecora.  Il  braccio  sinistro  poggiava  sul  ventre, 
il  diritto  era  alzato  verso  la  testa;  le  mani  con  guanti  di  seta  molto  beUi.  La 
vesta  di  seta  gialla  aveva  una  balzana  alla  un  palmo,  color  cromisi  e  ricamata 
squisitamente  a  aquile,  caprette,  fogliami  d'oro.  Una  cintura  di  cordoni  di  seta, 
tratto  tratto  annodati,  serrava  al  corpo  una  tela  ;  e  ne  pcndeano  due  lunghe  fascie, 
larghe  tre  dita,  di  seta  giallo-pallida,  cremisi  e  turchino.  Molti  nodi  di  seta,  che 
servivano  anche  di  calza.  Le  scarpe  montavano  fino  al  collo  del  piede,  col  tomajo 
di  tócca  d'oro  ricamata  a  perline,  e  serrato  da  un  bottone.  La  mitra  era  di  seta 
gialla  con  un  orlo  tessuto  a  oro,  con  varj  ornamenti  e  in  lettere  cufiche  l'iscri- 
zione Ricchezze,  buon  successo  e  potere.  Non  aveva  spada.  Ciocche  di  capelli  di 
vario  colore,  foglie  d'alloro,  pezzetti  di  carta  erano  sparsi  sul  corpo. 

9  Ep.  ad  Sicil. 

-  228  -  Or 


[3]ì^^.__ ^.^^^ ^ _-.,._eJl5] 


|--|Z1  TIRANNIE    DI   EZELIXE  •  D 


mentila»;  ma  i  popoli  che  intendono  i  loro  veri  interessi,  mal 
credono  alle  proteste  d'amore  dei  tiranni,  né  alle  piaccenterie 
degli  storici.  Ultimo  ripiego  dei  soffrenti,  cui  resta  chiusa  ogni 
yia  legale,  sono  le  congiure;  e  molte  venivano  ordite,  ed  una 
singolarmente  per  finire  Ezelino  in  un  convito  ;  ma  scopertala, 
e'  ne  tolse  occasione  a  nuovi  micidj  di  nobili  e  potenti  Pado- 
vani. Giovanni  Scannarola  di  Verona,  imputato  di  trama  e 
condannato  nel  capo,  chiese  di  scrivere  i  nomi  de'  suoi  com- 
plici, e  appena  scioltegli  le  mani,  trasse  di  soppanno  un  col- 
tellaccio, si  avventò  al  podestà  Enrico  da  Egna  nipote  di  Ezelino, 
e  lo  uccise.  Tosto  anch'egli  cadde  scannato,  e  il  tiranno  fece 
al  nipote  un'espiazione  di  vittime  illustri. 

Padova,  spoglia  della  libertà,  al  cui  favore  tanto  era  fiorita, 
non  sapeva  frenare  l'indignazione,  galvanismo  che  scuote  i 
popoli  dalla  morte  politica.  I  più  insofi'erenti  maneggiavansi 
dunque  o  ad  allestire  forze  per  abbattere  il  tiranno,  o  a  ni- 
micargli l'opinione;  e  ciance  sonore  o  verità  alterate  sapeansi 
difi"ondere  anche  allora,  benché  non  ci  fossero  le  gazzette.  Vera 
0  finta,  girò  per  la  città  una  lettera,  anni  prima  da  Ezelino 
scritta  a  Federico,  ove  scusavasi  del  non  potere  andarlo  a 
riverire  di  presenza,  perché  doveva  dare  sepoltura  alla  ma- 
trigna sua  eh' eragli  morta,  «  accidente  (soggiungeva)  che 
peraltro  m'è  giocondo  ».  Per  la  matrigna  volevasi  intendere 
Padova;  per  sepoltura  la  ruina  che  meditava:  del  che  gravi 
ragionamenti  corsero  per  le  bocche:  e  rapportati  coU'alterazione 
che  sogliono  le  spie,  diedero  ad  Ezelino  pretesto  d'infierire. 

Atroce  suo  consigliero  ed  esecutore  era  il  nipote  Ansedisio, 
nato  da  Jacopo  de'  Guidotti  e  da  Agnese,  figlia  di  Cecilia  da 
Baone.  Affabile  d'apparenze,  profuso  in  promettere ,  stitico  in  i 
mantenere,  destro  scusatore  e  calunniatore  sottile  ;  ingegno-  { 
sissimo  ad  estorcere  denaro;  mastro  di  pene  squisite,  come 
inaccessibile  alla  pietà;  sulla  fine  lo  vedremo  perder  il  senno 
ed  il  coraggio.  >iel  costui  salotto  molti  stavano  un  giorno 
aspettando  udienza,  e  per  scioperarsi  ponevano  mente  ad  uno 
sparviero  da  caccia,  de' quali  solevasi  averne  nelle  case  dei 
grandi,    sulle    piazze,    che    più?    perfino    in  chiesa,  tenendovi 


i«  T.  II,  p.  133,  Vii. 


r— '□  CAPITOLO   IX.  Ci 


all'uopo  stanghe  e  gruccie  su  cui  s'appollaiassero.  Era  presente 
un  letterato,  il  quale  ne  tolse  il  destro  di  narrare  questa  fa- 
voletta  : 

Per  respinger  del  nibbio  i  fieri  attacchi, 
le  colombe  a  re  tolser  lo  sparviero. 
Ma  il  re  più  nuoce  che  il  nemico.  Ond'elle 
a  querelar  comincian  che  ben  era 
miglior  consiglio  sopportar  del  nibbio 
la  guerra,  che  morir  senza  contrasto. 

Quando  la  parola  è  impedita  bisogna  restringersi  alle  al-; 
lusioni,  e  se  ne  trovano  dappertutto,  ne' colori,  nell'andare, 
nel  parlar,  nel  tacere.  I  circostanti  riconobbero  il  caso  proprio 
in  quel  racconto;  lo  trascrissero;  le  chiese  e  i  portici  (caffè  d'al- 
lora) ne  furono  pieni;  di  là  occasione  di  dire  quel  che  n'  era 
d'Ezelino;  l'esempio,  consigliatore  di  coraggio  come  di  paure, 
fa  prorompere  in  aperte  parole  quel  che  dapprima  era  segreto 
mormorare.  Ansedisio  £a  metter  le  mani  su  dodici  de'  princi- 
pali, e  li  sottopone  a  processo:  ma  arrivato  a  Padova  Ezelino, 
poiché  i  popoli  facilmente  si  persuadono  che  la  presenza  del 
signore  porti  mitigazione  di  ferocia,  accorsero  parenti  ed  amici 
a  supplicarlo  pei  catturati.  Il  burbero  contegno  di  Ezelino  li 
fece  dar  volta  sbigottiti:  due  che  osarono  restare,  crebbero  il 
numero  delle  vittime.  Drizzatosi  poi  al  palazzo  del  comune,  già 
testimonio  ai  franchi  discorsi  di  liberi  uomini,  allora  del  tremare 
di  schiavi.  Ezelino  con  rabbioso  abbajo  incolpò  del  caso  i  si- 
gnori Delesmannini;  ben  conoscere  ad  uno  ad  uno  i  traditori; 
non  esser  lui  uno  sparviero  per  divorar  le  colombe,  ma  un 
padre  di  famiglia  che  vuole  sbrattare  la  casa  dai  scorpioni, 
serpenti  e  simili  immondezze. 

Sopraggiunsero  ambasciatori  bergamaschi  ad  omandare  sal- 
vezza per  Buonaventura ,  loro  cittadino,  uno  degli  arrestati; 
ed  Ezelino  gli  accolse  umanissimo,  promise  renderlo,  li  inviò 
raccomandati  al  suo  Ansedisio;  ma  che?  aveva  fatto  precorrere 
l'ordine  di  decapitarlo.  Quei  giorni  molti  altri  A'ennero  decollati; 
molti  chiusi  nelle  carceri  per  traditori;  e  i  tiranni  chiamano 
traditore  chi  non  è  vigliacco.  Da  quel  punto,  spogliato  ogni 
senso  d'umanità,  Ezelino  si  scagliò  a  soffocare  nelle  città  della 
Marca  ogni  libera  aspirazione;  cominciò  a   togliere  una  dopo 

—  230  —  Dp 


[TTU  FINE    DE'  CAMPONEGRO    E   De'  CAMPOSAMPIERO 


una  le  prerogative  ai  Veronesi,  mutò  l'impronta  delle  monete, 
cambiò  gli  stendardi;  guai  a  chi  rimpiangesse  un  tempo  migliore! 
Contro  Padova  singolarmente  bolliva  di  rabbia,  o  per 
soddisfare  un'ira  inveterata,  o  perchè  ivi  abbondassero  più  quei 
magnanimi  che  ispirano  odio  e  paura  ai  tiranni  ;  e  sterminò  le 
primeggianti  famiglie  dei  Caponegro,  dei  Delesmannini ,  dei 
Camposampiero.  Tommaso  dei  Caponegro,  posto  alla  coda  perchè 
confessasse  le  colpe  di  cui  era  voluto  reo,  mori  fra  gli  spasimi, 
e  il  suo  cadavere  fu  decapitato.  Zambonello  fìgliuol  suo,  destinato 
a  sorte  eguale,  temendo  venir  meno  a  sé  stesso  fra  le  torture, 
si  recise  coi  denti  la  lingua,  e  mori  prigione:  Cancellarlo  fratello 
•  di  lui  venne  decapitato.  I  Delesmannini ,  ricchi  e  creduti  in 
paese,  erano  stati  devotissimi  alla  casa  da  Romano  ;  ma  avendo 
una  lor  donna,  vedova  e  perciò  libera  del  suo  operare,  sposato 
un  amico  del  conte  di  Sambonifazio,  bastò  perchè  Ezelino  fesse 
prendere  un  loro  cancelliere,  e  mozzargli  il  capo  dopo  acerbe 
torture;  poi  tre  signori  di  quella  casa  seppellì  nelle  fortezze, 
e  li  destinò  a  morte.  Il  podestà,  temendo  non  si  levassero  a 
rumore  i  molti  partigiani  loro  e  la  plebe  cui  erano  in  grazia, 
tentò  il  guado  coli'  uccidere  Ubertetto,  il  più  giovane.  Andò 
egli  al  patibolo  col  disgusto  eh'  è  il  peggiore  a  chi  muor  per 
la  pubblica  causa,  di  veder  la  gente  mutola,  ignara,  affollarsi 
al  palco  siccome  a  spettacolo.  Nulla  più  incoraggia  i  tiranni 
che  la  codardia  dei  soffrenti:  onde  Ansedisio,  ormai  rassicurato, 
fece  uccidere  pubblicamente  gli  altri  domestici,  e  morire  o  im- 
prigionare quanti  tenevano  con  essi  parentela  od  amicizia. 

Dei  Camposampiero  restava  Guglielmo,  sfuggito  fanciulletto 
alla  strage  dei  suoi.  Ezelino  l'avea  fatto  educare  in  sua  corte; 
poi  repente,  pigliatone  ira  o  sospetto,  il  buttò  in  un  fondo  di' 
torre.  Quattro  signori  da  Vado,  suoi  stretti  parenti,  si  offersero 
mallevadori  pel  giovinetto,  ed  Ezelino  accettò.  Ma  Guglielmo, 
appena  liberato,  fuggi  a  chiudersi  nel  sua  castello  di  Treville;         j 
per  la  paura  dimenticando  il  pericolo  de'suoi  parenti.  I  quali,'         ( 
còlti  dai  manigoldi  di  Ezelino,  furono  chiusi  (già  l'accennammo)         ( 
nelle  torri  di  Cornuda;  ove  per  trenta  giorni  sgomentarono  il 
vicinato  implorando  pane;  e,  morti  del  supplizio  di  Ugolino,  i 
paesani  credettero  lungo  tempo  vederne  le  larve  vagolar  attorno 
al  castello,  chiedendo  ancora  pane,  pane,  e  rosicchiar  il  muschio 
(  e  l'edera  delle  brune  muraglie. 


'  CAPITOLO  IX.  d~tzr 

Eppure  Guglielmo  non  si  credette  mai  sicuro,  e  trattò  della 
riconciliazione,  e  venne  di  nuovo  alla  corte  di  Ezelino;  ma  la 
notte  eccogli  in  sogno  le  scarne  ombre  dei  signori  di  Vado,  e 
col  lungo  gemito  inspirargli  paure,  pur  troppo  non  vane.  Aveva 
egli  sposato  Amabiglia  sorella  dei  Delesmanuini,  onde  Ansedisio 
il  chiamò,  e  fingendo  credere  1'  avesse  menata  per  far  onta  a 
Ezelino,  gli  intimò  sciogliesse  il  matrimonio.  Guglielmo,  non 
osando  negare,  solo  impetrò  di  potere  condursi  ad  Ezelino  in 
Verona,  da  lui  l' espresso  comando.  Il  tiranno,  appena  1'  ebbe 
vicino,  lo  fé  imprigionare,  e  dopo  sei  mesi  ricondurre  a  Padova 
per  essere  decapitato.  Comune  fu  il  compianto  per  uomo  si  amato: 
ma  per  quelle  paure  che  sono  il  peggior  effetto  e  la  migliore 
salvaguardia  delle  tirannie,  nessuno  osò  levarne  il  cadavere  per 
rendergli  i  doveri  estremi,  finché  la  contessa  Daria  da  Baone, 
moghe  che  era  stata  di  Gerardo  da  Camposampiero,  con  Maria 
sua  figliuola  e  loro  servidori,  lo  tolsero  di  piazza,  e  piangendo 
e  suffragando  lo  posero  nel  sepolcro  domestico  in  Sant'Antonio, 
fuor  della  basilica,  ergendogli  un  monumento,  che  mezzo  secolo 
fa  fu  tolto  via  jjer  far  bello.  Le  case  dei  Camposampiero  a 
Ponte  Molino,  sacre  al  popolo  per  la  dimora  che  v'avea  fatto 
sant'Antonio  e  per  essergli  ivi  apparso  Gesù  bambino,  furono 
spianate.  Unico  sopravisse  Tisone  Novello,  fanciuUino  trafugato 
a  Venezia  colla  madre,  finché  maturasse  il  giorno  della  vendetta. 
Parenti,  amici,  servi,  chiunque  si  dicesse  aver  ragionato  con 
loro,  erano  cacciati  in  carcere. 

In  fondo  alla  Torlonga  rimpetto  a  San  ^Michele  in  Padova 
Ansedisio  preparò  orride  prigioni ,  dette  le  Zilie  da  Zilio  che 
le  architettò  e  che  pel  primo  vi  fu  gittato,  a  torto  o  a  ragione. 
È  la  torre  stessa,  donde  poi,  con  si  diversa  fortuna,  il  Chiminello, 
il  Toaldo  ,  il  Santini  contemplarono  le  rivoluzioni  dei  pianeti , 
incessanti  anch'esse  come  le  umane,  ma,  a  diflerenza  di  queste, 
sottoposte  a  regole  semplici  quanto  immutabili    ^^. 


11  Qual  oggi  è,  fu  arcliilcllaia  dall'abate  Domenico  Cerali,  a  cui  pare  dovuto 
il  Prato  della  Valle.  Ci  sta  la  seguente  iscrizione  : 

Qvae  qvondam  infernas  iirris  dvce.hal  ad  vmhras 
nvnc,   Venclum  avspiciis,  pandil  ad  astra  viam. 


CRITICA    DELLE    ATROCITÀ    DI    EZELINO 


In  quelle  carceri,  tra  sozzure  e  Termi  e  volpi,  tra  il  fetore, 
il  caldo,  la  fame,  la  sete,  morivano  infiniti;  i  cadaveri  si  la- 
sciavano là  entro  a  imputridire,  finché  quattro  volte  l'anno  si 
espurgava  quella  sepoltura. 

Ma  le  carceri,  per  ampie  che  fossero,  non  hastavano  piìi  ; 
ed  Ansedisio  fabbricò  un'altra  torre  in  cittadella,  denominata 
la  Malta,  per  tenebre,  umidità,  sudiciume  non  meno  orribile 
delle  Zilie.  Costrutta  appena,  vi  mandò  settanta  infelici,  legati 
sotto  al  corpo  dei  cavalli,  e  cento  incatenati;  numero  che  poi 
fu  più  che  quadruplicato.  In  tal  miseria  vi  languivano,  da  bere 
i  liquidi  più  schifi:  che  se  il  puzzo,  il  fastidio,  la  fame  A^e  gli 
uccideva,  senza  testamento,  senza  sacramenti,  ne  venivano  i 
cadaveri  portati  sul  patibolo,  o  trascinati  per  le  vie  sino  al  rogo. 

Vicenza  pure  fu  colmata  di  stragi  pel  solito  pretesto  delle 
congiure.  Tra  i  cacciati  fu  Bartolomeo  da  Braganze,  discepolo 
di  san  Domenico,  e  istitutore  dei  frati  Gaudenti,  devoti  a  Maria; 
maestro  del  Sacro  Palazzo,  poi  vescovo  di  Limissa ,  indi  di 
Vicenza,  ove  si  era  opposto  agli  eretici  e  ad  Ezehno.  Espulso, 
fu  spedito  nunzio  in  Inghilterra,  poi  a  Parigi,  donde  da  s.  Luigi, 
allora  reduce  dalla  Crociata,  ebbe  in  dono  parte  della  corona 
di  spine,  che,  alla  morte  d'Ezelino,  riportò  in  patria,  e  collocò 
nella  chiesa  che  conserva  questo  nome. 

In  Verona  nobili,  letterati,  mercanti,  popolani  sospetti  di 
di  trame,  andavano  a  eccidj  atroci;  e  bastava  l'esser  parente 
de'proscritti  per  A^enire  ucciso,  mutilo,  accecato:  fortunato  chi 
riuscisse  alla  fuga  !  Tavella  da  Conselve ,  per  camparsene ,  si 
dirupò  da  una  finestra. 

I  frati  d'un  convento  a  Verona  lo  disturbavano  mattinando 
di  notte,  ed  Ezelino  li  fa  chiuder  in  una  cisterna  asciutta  per 
più  di  quaranta  giorni  ^^ 

Che  prediche?  che  confessione  dei  peccati?  che  devozioni? 
che  visita  ai  santi  luoghi?  11  terrore  gelava  tutti  cuori;  e  sotto 
l'incubo  di  esso,  il  fratello,  il  parente  al  parente,  1'  amico  al- 
l' amico    davano  'accuse,  credendo  salvar  sé  stessi  :   ma  pochi 


^2  Lo  tolgo  dal   Chronkon  imaqinis  mundi,  ptilìhlicalo  or  ora  noi  Motìtimmfa 
Hislorja  patriar  a  Torino,  dove  a  lungo  si  p;irla  di  llzelino,  conio  puro  noi  Chronkon 
(  AsUniso^  ivi  stesso  stampato.  l 

Un  _  -233-  p^ 


□  CAPITOLO    IX. 


giorni  dopo  cadeano  d'egiial  morte,  indarno  vili.  Fii  chi  sommò  le 
vittime  di  Ezelino  a  cinquantacinquemila  :  dei  quali  cinquantamila 
Padovani.  Vedere  le  carni  sbranate,  le  fiere  satollarsi  di  pasto  umano, 
il  sangue  scorrere  a  rivi,  consumarsi  le  famiglie  più  illustri,  donne 
e  ragazzi  gemere  fra  laidi  ed  inumani  strazi,  erano  costui  diletto  : 
separava  i  matrimoni,  non  amava  che  spie  e  sicari  :  perseguitava 
inesorabile  i  ladri,  ma  ne  adempiva  largamente  le  veci.  Guai  a 
chi  non  dicesse  bene  di  lui  e  (adulazione  più  dotta)  non  dicesse 
male  de' suoi  nemici!  guai  a  chi  piangesse  parenti  proscritti  ! 

Tale  dipintura  offertaci  dagli  storici  farebbe  parerlo  simile 
ad  una  tigre,  la  quale  ammazza  non  per  fame  ma  per  istinto 
d'  ammazzare;  e  che  non  desse  al  suo  furore  altro  intervallo 
che  il  tempo  richiesto  a  tender  agguati. 

Ma  possiamo  credere  tutto  ? 

E  questa  la  domanda  più  insolita  in  tempi  di  partiti,  quando 
si  deve  o  portar  a  cielo  o  inabissare  «  nel  più  profondo  tenebroso 
centro  »,  e  per  prima  cosa  sfrattare  quel  senso  comune,  che 
mostra  gli  uomini  né  interamente  felloni,  né  compiutamente 
matti;  e  non  è  bisogno  d'  andar  molto  lontano  per  ricordarci 
di  quando  sarebbe  stato  scomunicato  dalla  dotta  ciurmaglia  chi 
avesse  adoperato  la  propria  ragione  per  trovare,  e  la  propria 
libertà  per  dire  che  i  Monita  secreta  e  1'  altre  turpitudini  de' 
Gesuiti  erano  una  ciancia,  un'esagerazione  gli  orrori  dei  Dieci 
e  degli  Inquisitori  di  Venezia  e  gli  annegamenti  nel  canal  Orfano, 
e  repudiare  altre  invenzioni  di  partiti,  che,  accanniti  a  distrug- 
gere, anticipavansi  la  giustificazione  coli'  inventare  misfatti. 
Quando  poi  il  vulgo  comincia,  non  esaurisce  cosi  presto  la  sua 
immaginazione  ;  esecra  quel  ch'è  più  positivo,  i  numeri  ;  e  ch'io 
dica  il  vero,  chiedetegli  quante  vittime  caddero  nelle  giornate 
di  luglio,  quanti  ne  uccise  il  colera,  quanti  il  comunismo  in 
Gallizia  o  la  tirannide  in  Polonia  e  a  Napoli.  Gli  scrittori  poi 
se  ne  impadroniscono,  e  l'iperbole  è  vizio  radicato  negli  Italiani, 
e  quanto  funesto  lo  sentiamo  ahi!  tuttodì.  Oltreché  in  tempi 
torbidi  è  lecita  la  libertà  della  calunnia,  non' quella  della  lode; 
e  la  prima  si  condona  allo  sdegno,  l'altra  non  si  sa  che  at- 
tribuirla a  venalità. 

Dopo  ogni  rivoluzione  poi,  sono  a  mille  quelli  che  vogliono 
comparire  vittime,  se  anche  non  possono  gloriarsi  martiri,  sia 
per  usufruttare  la  compassione,  sia  per  l'innato  gusto  di  aver 


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avuto  qualche  parte  in  avvenimenti  che  a  tutti  interessano, 
non  foss' altro  quella  d'essere  scampati,  o  d'aver  quasi  corso 
7'ischio  di  vedersi  perseguitati.  Finite  le  guerre  di  Napoleone, 
non  v'era  storpio  o  monco  che  non  si  dicesse  avanzo  delle  guerre 
del  tiranno  ;  gente  che,  se  mai  un  qualche  parente  di  lui  tor- 
nasse in  auge,  l'assedierebbero  per  cercargli  posti,  decorazioni, 
pane,  siccome  antichi  campioni  dell'eroe.  Cosi,  caduto  Ezelino, 
tutti  gli  sciancati  e  i  guerci  che  accattavano  per  Dio,  ripeteano 
essere  stati  ridotti  tali  da  Ezelino:  hacc  et  haec  nobìs  fecit 
Ezelinus  ^';  onde  il  non  soccorrerli  saria  parso  un  parteggiare 
pel  caduto;  viltà  di  cui  pochi  vogliono  mostrarsi  rei. 

Ezelino  poi  non  rispettò  gli  averi  e  le  persone  degli  eccle- 
siastici: onde  questi,  re  allora  dell'opinione,  non  solo  promul- 
gavano, ma  fors'.anche  inventavano  o  ringrandivano  i  delitti  di 
esso,  e  più  dopo  che  fu  scomunicato;  onde  lo  sparlarne  divenne 
meritorio.  Né  risparmiò  le  persone  in  odor  di  santità,  quali 
fra  Giordano  e  frate  Arnoldo  abate  di  Santa  Giustina  di  Padova. 
Il  primo,  sofferta  lunga  prigionia,  potè  ricoverarsi  a  Venezia 
nel  monastero  della  Celestia,  ove  mori  il  7  agosto  1248  dopa 
quattordici  anni  d'esilio;  e  i  popoli  lo  venerarono  come  beato. 
Prima  di  partir  dal  suo  convento  negli  Euganei,  aveva  piantato 
in  un  cortile  una  verghetta  di  corniolo,  della  quale  solea  ser- 
virsi per  delinear  le  opere;  e  quella  tosto  getta  radici,  frondeggia, 
diviene  un  gran  albero,  E  visse  a  lungo,  e  quando  un  ramo  se 
ne  inaridisse,  alcuno  della  famiglia  Forzate  moriva:  finché  nel 
1597  quella  casa  si  estinse  in  Claudia  Forzate  badessa  di  San 
Benedetto,  e  con  essa  la  pianta.  Ma  non  andò  guari  che  il 
ceppo  rigermogliò.  L'albero  vecchio  fu  ridotto  in  stecchi  e  fin 
in  polvere  che  per  devozione  distribuivasi  e  beveasi  per  ottener 
salute:  così  era  de' fratti.  Abolito  il  monastero,  nel  1011  si 
cercò  trasportarlo  nel  giardino  Capodilista  a  Padova,  con  im- 
menso apparato  di  storia  e  devozione.  Allora  pure  il  corpo  del 
beato  Giordano  fu  da  san  Benedetto  trasferito  alla  cattedrale 
di  Padova  e  posto  sopra  un  altare.  Frate  Arnoldo  fini  dopo 
otto  anni  di  prigionia;  ed  appena  esalò  l'anima,  due  fiaccole 
ardenti   furono   viste   calar    sul    carcere    di    lui    quasi    doppia 


13  Ventura.  Cliron.,  e.  2. 


G  -  235  - 


'^4 

CAPITOLO    IX.  U 


aureola  di  vergine  e  martire.  Altri  miracoli  faceano  piìi  odioso 
il  nuovo  Diocleziano. 

Giambattista  Verci,  laboriosissimo  erudito  e  critico  co- 
scienzioso ^*,  pure,  come  fosse  una  gazzetta  ufficiale,  rovescia 
la  colpa  di  tali  crudeltà  sui  Padovani;  asserendo  che  Ezelino 
«  si  era  posto  con  tutto  l' ingegno  a  renderli  felici  e  fortu- 
nati ^^  »:  che,  se  non  avessero  fatto  congiure  «  egli  senza 
dubbio  gli  avrebbe  lasciati  viver  nella  sua  invidiabile  tranquil- 
lità »  :  che  «  tocca  ai  più  deboli  uniformarsi  alla  condizione 
dei  tempi  »:  che  mal  si  tàccia  Ezelino  d'inumanità,  se  castigò 
coloro  che  osarono  chiamarlo  un  tiranno.  «  Si  vuol  conside- 
»  rare  (egli  soggiunge)  che  convien  rispettare  i  principi  e 
»  il  loro  governo,  e  che  fino  ai  tempi  presenti  procedono  i 
»  regnanti  sopra  di  questo  punto  con  estremo  rigore ...  E  se 
»  questo  caso  fosse  avvenuto  anche  nei  tempi  a  noi  più  vicini, 
»  ognuno  vede  che  qualunque  principe  si  sarebbe  a  un  dipresso 
»  diportato  nel  modo  stesso  ^*^,  »  cioè  fatto  impiccare  o  de- 
capitare per  aver  fatta  o  letta  una  satira. 

Il  Verci,  come  suddito  veneto,  non  doveva  portar  rancore 
contro  alcun  re  in  particolare,  ma  avrebb'egli  potuto  fare  una 
peggior  satira  dei  re  del  suo  tempo?  E  se  io  fossi  astioso  ai 
repubblicanti,  avrei  un  bel  tema  di  declamare  contro  costoro, 
che  colgono  tutte  le  occasioni  per  dir  male  dei  regnanti:  ma 
se  anche  i  contemporanei  di  Giuseppe  II  e  di  Leopoldo  di  To- 


^4  Leggendo  nella  sna  prefazione  la  inngliis<;ima  lista  di  quelli  che  lo  ajutarono 
(li  consigli  e  di  dociimenli,  si  sospira  e  si  freme  pensando  ai  poveri  autori  d'oggi, 
sicuri  di  non  avere  sussidj  nel  fare,  non  condisceiiden/e  dopo  fallo;  e  condannati 
ai  colpi  di  spillo  de'  loro  fratelli  di  questa  dolce  repubblica  letieraria,  e  a  sentire 
il  peso  del  veh  soli! 

^^  T.  II,  p.  271.  E  per  avverso  dice  che  i  Bellunesi,  perchè  non  si  ribellarono 
«  non  ebbero  mai  il  minimo  motivo  di  dolersi  del  dominio  di  Ezelino...  che  si 
mostrò  sempre  verso  di  loro  principe  il  più  benigno  e  il  più  mansueto.  Cosi  avessero 
seguilo  questo  esempio  le  altre  i»iù  potenti  e  più  superbe  cillà  !  «  Altrove  dice 
che  «  Ezelino,  fra  cosi  frequenti  congiure,  menava  una  vila  miserabile  ed  amara  » 
(p.  506)  col|)a  dei  popoli. 

^^  T.  II,  p.  239:  e  continua  a  dire  che  «  Rolandino  slesso  fu  coslrcUo  a 
confessare  essere  lo  Sialo  di  Padova  divenuto  prospero  e  tranquillo  oltre  ogni 
CREDEKE  ».  E  cita  esso  Holandino,  il  quale  dice  luii'allro,  ma  che  Padova  fu, 
secundum  fempus^  placida  el  tranquilla. 

H    n  -  236  - 


DISCOLPE   DI    EZELINO  U~^ 

r  1 

scana   avessero   mai  potuto   temere    il   paragone  con  Ezelino         ^ 
benediciamo  Dio  e  gli  uomini  che  maturarono  tanto  l'opinione, 
da  render  impossibili  questi  atti,  e  da  disonorare  chi  li  scusa, 
o    lo   scrittore    che  s'  accosti  al  sacro    ministero    della    storia 
senz'essere  altamente  compreso  della  dignità  dell'uomo  ^^. 

La  difesa  di  Ezelino  potrebbe  farsi  in  tre  maniere.  La  prima 
per  celia  o  paradosso,  al  qual  modo  udimmo  i  panegirici  del 
Nerone  antico  e  di  qualche  moderno  Nerone  in  pantofole.  La 
seconda  è  il  giustificare  i  mezzi  in  vista  del  fine,  teorica  del 
Machiavello  che  non  era  gesuita,  il  quale  venne  a  dichiarar 
virtuoso  il  famoso  Cesare  Borgia,  e  al  suo  principe  suggeriva 
crudeltà  e  nequizie,  purché  riuscisse  a  formar  in  Italia  uno  Stato 
potente  e  a  sbrattarla  dai  Barbari.  Ora  fra  tanti  mostri  ch'egli 
loda  non  trovo  Ezelino,  né  vedo  chi  a  costui  supponga  quel 
concetto  della  monarchia  d'Italia,  che  si  trova  o  si  attribuisce 
a  Federico  II,  a  Roberto  di  Sicilia,  a  Castruccio,  a  Gian  Galeazzo 
Visconti,  a  re  Ladislao,  al  duca  di  Modena.  In  lui  e  antichi  e  mo- 
derni non  iscoprono  che  avidità  d'  acquistare  e  di  dominare; 
né  tampoco  il  Verci  va  a  supporgli  fine  più  elevato  che  il 
miserabile  di  fondarsi  un  principato. 

L'età  nostra,  che,  a  forza  di  luce,  diviene  abbagliata  e  fio 
cieca,  trovò  un   modo  più  ingegnoso  di  scusare  non  solo,   ma 


<  di  lodare,  per  esempio,  l'umanità  di  Marat  o  la  filantropia  di 
\  Robespierre;  ed  è  la  necessità  de'  loro  atti,  la  fatalità;  altro 
^  felice  spediente  nell'  odierno  chiacchiericchio  di  libertà.  Atte- 
(  nendoci  al  quale,  noi  pure  potremmo  dire  che  Ezelino  era  per- 
fettamente logico:  essendo  entusiasta  del  bene,  se  ne  trovava 
impedito  da  altri  ambiziosi;  laonde  li  toglieva  di  mezzo  come 
ostacoli  alle  sue  rette  intenzioni,  adoperando  la  forca,  rimedio 
eroico  (come  diceva  Raleigh),  ma  buono  per  tutti  i  mali.  Santo 
Dio  !  anche  oggi  e  jeri  e  tutti  i  giorni  ho  inteso  persone  ra- 
gionevoli   e   buone,    giovinetti,    damine    che  guizzerebbero    di 


17  E  d'una  semplicità  che  tocca  fin  all'  insensato  l'osservazione  conclusionale 
del  Ycrci  :  «  Molli  esempi  delle  storie  e'  insegnano  clic  non  v'è  cosa  peggiore  per 
B  render  gli  uomini  pertinaci  e  cattivi  quanto  la  troppa  severità.  L'animo  degli 
»  uomini  è  come  clastico,  che  (pianto  più  si  preme  con  forza,  altrettanto  maggiore 
»  risalta,  sempre  pronto  a  inferocire  se  non  si  addolcisce  >. 


TU 


CAPITOLO   IX.  I^^S^ 

^ 

convulsioni  se  vedessero  storpiare  un  piede;  gli  ho  intesi  ri- 
petere intrepidamente  che,  a  voler  rimettere  a  posto  le  ossa 
slogate,  bisognerebbe  far  saltare  due  o  trecento  teste,  far  un 
Vespro  Siciliano  o  una  Pasqua  Veronese.  Amen,  amen  dico 
vobis  che,  se  ne  venisse  il  destro,  sarebbero  i  primi  a  risparmiare 
le  uccisioni  non  necessarie,  e  si  glorierebbero  d'  aver  salvato 
i  nemici;  ma  se  poi  la  loro  causa  soccombesse,  tornerebbero 
a  dire  che  fu  per  l'importuna  pietà,  e  suggerirebbero  quel  che 
saria  dovuto  farsi;  studio  nel  quale  si  ddettano  molto  gli  oziosi. 

E  le  ciancie  degli  oziosi,  arcadicamente  umane  o  patriotica- 
mente  feroci,  son  bacherozzi  che  mai  non  diventano  farfalle;  ma 
poniamo  che  idee  simili  rampollassero  nella  mente  di  Ezelino. 
Egli  capitava  in  una  età,  dove  i  popoli  inesperti  abusavano 
fanciullescamente  delle  virilmente  acquistate  franchigie;  abbat- 
tuta la  tirannide  forestiera,  per  amor  della  libertà  medesima 
assalivano  *^,  violenti  nell'usurpare  o  nell'esercitare  l'autorità. 
Una  libertà  che  non  rispetta  quella  d'altri,  e  comincia  dal  pro- 
scrivere partiti,  persone,  opinione,  cadrà,  perchè  è  un  germe 
sporadico  ,  non  1'  efflorescenza  de'  costumi  e  della  riflessione  ; 
perchè  si  fonda  sull'egoismo,  che  guarda  a  se  solo  e  considera 
come  estraneo  e  senza  diritti  chi  non  è  lui.  Ne  conseguiva 
quel  che  Voltair»^  chiamò  despotismo  della  canaglia:,  e  l'anarchia 
faceva  desiderare  un  ordine  più  stabile ,  un  organamento  più 
semplice.  Ecco  in  qual  senso  fu  detto  che  l'Italia  è  patria  della 
tirannide,  perchè  è  patria  della  libertà. 

Un  partito  trionfava,  e  ogni  partito  suol  darsi  a  un  uomo,  e 
vuol  che  questo  non  abbia  restrizione  nel  procacciar  sicurezza  e 
trionfo  alla  causa  che  gli  è  affidata.  Ma  il  tiranno  eletto  popo- 
larmente soccombe  presto  a  un .  altro,  che  conosce  le  moltitu- 
dini e  sa  adoprarne  l'energia  per  domarle,  come  si  adopera  il 
vento  contrario  per  spingere  una  nave:  e  l'uomo  egoista,  che 
la  benevolenza  sottopose  alla  riflessione  e  che  sa  valersi  degli 
uomini  come  stromenti,  prevale  presto  fra  le  moltitudini,  che 
s'avventano  a  slanci.  In  prima  egli  si  svelenisce  contro  nemici, 
poi    si    converte  contro  gli  amici;  perchè    le    idee    eccezionali 


i^    Ut  tmperium  everterent,  liberlalem  proferunt;   si  pcrvertercn! ,   liberialem 
r  tpsam  afjgredcrcntur.  Tacito.  Annali  XVI,  22. 


( — '□  DISCOLPE  DI    EZELINO 

recano  presto  il  loro  frutto,  e  fan  prevalere  la  parte  materiale 
della  duplice  nostra  natura. 

«  Senza  supporre  in  Ezelino  virtù  insigni  e  singolari,  com'è 
credibile  che  ei  si  fosse  per  tanti  anni  mantenuto,  e  quasi 
sempre  cresciuto  in  stato  e  in  potenza?  » 

La  domanda  è  del  Denina  '^.  Eppure  egli  ,  storico  non 
vulgare,  dovea  ricordarsi  che  in  Roma  antica,  intollerante  di 
ogni  intacco  leggiero,  e  mentre  viveano  ancora  i  figliuoli  di 
Bruto  e  di  Catone  ,  imperarono  Tiberio  e  Caligola ,  vituperj 
dell'umanità;  e  non  tardarono  guari  Eliogabalo  e  Caracalla:  e 
gli  aveano  preceduti  Falaride  e  Dionisio;  e  li  seguirono  Barnabò 
Visconti  e  Cesare  Borgia;  e  via  via  sino  ad  Ali  Tebelen  e 
j  a  Rosas  ,  e  ad  altri  capi  masnada  ,  che  gli  adoratori  della 
forza  chiamano  grandi.  I  padri  nostri  hanno  tremato  al  nome  di 
Robespierre,  il  quale  (men  franco  di  Ezelino)  vedeva  una  eterna 
cospirazione,  e  sovrastare  il  trionfo  de'briganti  e  degli  aristo- 
cratici, e  la  repubblica  perire;  sicché  credeva  neccessario  di 
render  possibile  il  proprio  dominio  per  via  dell'esterminazione, 
e  non  rallentar  1'  oppressione  perchè  altrimenti  sbalzerebbe 
l'oppressore  ;  e  non  vivea  nella  nazione  più  vivace  del  mondo, 
nel  tempo  più  agitato,  fra  uomini  insorti  verso  la  tirannide, 
certo  non  sanguinaria,  de'  nobile,  de'  preti,  di  Luigi  XVI; 
eppure  nessuna  resistenza  opponeasi  a  quel  brutale  macello, 
fatto  vile  dall'  ipocrisia  dei  giudizii  ;  pochi  gendarmi  teneano 
cheta  l'intera  Francia,  sicché  lasciava  fare  a  quei  tre  o  quattro 
assassini,  i  quali  le  avevano  dimostrato  che  bisognava  lasciarsi 
scannare;  anzi  si  arrivò  a  chiamar  coraggio,  non  il  resistere 
all'  ingiustizia,  ma  il  subirla  ironicamente,  o  teatralmente,  o 
stoicamente.  Eppure  saria  bastata  la  più  lieve  opposizione;  lo 
stender  la  destra  alla  gola  del  tiranno,  anziché  ai  ceppi  del 
boia:  e  per  abbattere  tutta  quella  macchina  non  ci  volle  se 
non  che  due  o  tre  dicessero  No.  Le  cagioni  son  conosciute,  e 
forse  la  principale  é  l' egoismo ,  cioè ,  il  non  considerare  torto 
comune  il  torto  fatto  ad  uno:  sicché,  mentre  ciascuno  non 
pensa  che  a  salvar  sé  medesimo,  tutti  soccombono. 

E   doloroso   per  l'umanità  il  considerare  come,   ne' secoli 


19  Rivoluzioni  <r  ÌIaìia.  1.   XH,  e.  2. 

—  23'J  — 


L 


r— □  CAPITOLO   IX, 

addietro  non  fossero  contati  per  nulla  i  patimenti  dell'  uomo; 
e  la  crudeltà  divenisse,  se  non  una  passione,  uno  spediente. 
Il  Vangelo  aveva  intimato  agli  uomini  che  tutti  siamo  eguali: 
ma  se  tale  verità  rimaneva  in  dottrina  e  in  pratica  fra  la 
società  credente  e  religiosa  ,  i  forti  s'  inebbriavano  alle  idee 
gentilesche  d'una  naturale  distinzione  tra  libero  e  schiavo,  tra 
il  signore  e  l'obbediente,  quello  nato  a  deliziarsi  al  banchetto 
della  vita,  questo,  a  patire  e  faticare  pel  godimento  dell'altro. 
La  dignità  dell'  uomo  doveva  andarne  smarrita:  il  magistrato, 
il  legislatore  sanzionavano  la  disparità  delle  classi,  quasi  non 
dissi  della  natura.  Di  qui  l'acerbità  delle  leggi  penali  che,  nella 
processura  come  nel  castigo,  esacerbavano  i  patimenti,  avvez- 
zando cosi  allo  spettacolo  de'martirii  legali.  Il  vulgo,  nel  vedere 
il  ladro,  l'omicida,  il  fellone  terminare  la  vita  bestemmiando  e 
strillando  fra  spasimi  squisiti,  si  assuefaceva  a  veder  martoriare 
le  vittime  dei  tiranni;  il  vulgo,  io  dico,  tremante  innanzi  alla 
clava  della  forza  bestiale;  il  vulgo  che  non  seppe  figurarsi  gli 
dei  se  non  come  punitori  e  vendicatori. 

Anco  le  guerre,  quantunque  lontane  dalle  carneficine  di 
cui  si  fanno  gloria  e  su  cui  fondano  i  diritti  loro  gli  eroi  mo- 
derni, incrudivano  gli  animi:  primamente  perchè  accertavano 
sempre  i  colpi  ad  una  mira  determinata,  e  conduceano  spessis- 
simo allo  sperimento  delle  forze  individuali,  sicché  l'uomo  tro- 
vavasi  veramente  alle  prese  coli'  uomo;  poi  per  gì'  insulti  che 
prodigavansi  ai  vinti,  grand' esca  agli  odii  vicendevoli  e  stimolo 
a  vendetta.  Già  nei  giorni  della  libertà,  tra  le  fazioni  cittadine 
ricorreano  frequenti  atrocità,  la  parte  che  tornava  in  fiore 
proponendosi  sempre  di  ripagare  a  usura  la  soccombuta.  Nò 
raro  incontrava  che  la  vincitrice  commettesse  le  sue  vendette 
ad  un  capitano,  ad  un  potestà,  che  meglio  meritava  quanto 
più  eccedeva  in  sanguinose  esecuzioni.  Son  note  le  scellerate 
maniere  di  giustizia  del  bolognese  Brancaleone  nella  città  dove 
andava  in  signoria.  Emberra  del  Balzo  provenzale,  podestà  di 
INIilano,  a  vendicare  Paganino  della  Torre  ucciso  dai  nobili 
Milanesi  fuorusciti,  fece  scannare  cinquantadue  tra  figliuoli  e 
fratelli  degli  uccisori,  che  teneva  in  ostaggio.  Così  l' incondita 
libertà  disponeva  alle  esecrate  quaresime  di  Galeazzo,  e  alle 
atrocità  che  diciamo  di  Ezelino. 

Non  si  dà  condizione  si  infelice  di  cose,  di  cui  alcuno  non 

—  210 


POSSIBILITÀ    DE    TIRANNI 


trovisi  giovato  :  e  molti  vantaggiavano  della  tirannide  di  Ezelino 
e  dei  pari  suoi,  non  foss'  altro  per  vedere  repressa  1'  altrui; 
ond'  erano  volenterosi  di  serbarla,  attenti  a  rimoverne  ogni 
pericolo. 

Stia  fisso  che  quei  castellani  erano  capibanda  forestieri , 
accampati  in  mezzo  ai  nostri  ;  e  finché  un  principotto  uccideva 
l'altro,  e  una  casa  sterminava  la  rivale,  il  popolo  li  guardava 
come  eventi  di  gente  estrania.  E  poiché  tutti  questi  signori 
erano,  poco  più  poco  meno,  d'eguale  fierezza,  alle  plebi  non  ne 
incresceva  lo  sterminio,  lo  guardava  anzi  come  un  giusto  giu- 
dizio; e  consolavansi  che  la  loro  oscurità  le  sottraesse  agli 
attacchi  del  nuovo  signore.  Ma  chi  si  abitua  ad  un'idea  ecce- 
zionale, non  tarda  applicarla  anche  generalmente,  per  quanto 
assurda  e  immorale. 

Intanto  quel!'  uno  preponderava,  e  fosse  forza,  fosse  la 
stolta  e  pur  generale  venerazione  per  il  fortunato,  otteneva 
dominio  in  una  città.  Dominio  militare  cioè  anticristiano,  e 
simile  a  quel  che  oggi  si  soffre  in  Turchia.  Il  capo  è  valente? 
dà  luogo  a  tutte  le  virtù  di  mostrarsi  ,  senza  distinzione  di 
nascita  o  di  partito;  è  ribaldo?  guai  ai  popoli,  giacché  non 
gli  rimangono  barriere. 

Ma  despotismo  non  può  darsi  senza  esercito  ;  e  non  vi  farà 
maraviglia  se  gli  imperatori  romani  ,  al  par  di  qualche  loro 
odierno  contraffatore ,  lo  intitolano  il  fior  della  nazione;  e  se 
Ezelino ,  al  modo  di  Federico  ,  raetteasi  intorno  masnade  di 
Tedeschi,  di  Saraceni,  o  anche  di  bravacci  nostrali  ;  forza  or- 
ganizzata, la  quale  facilmente  prevaleva  alle  moltitudini  inermi, 
e  assicurava  il  tiranno  da  un  attacco  personale,  o  da  quei  primi 
impeti  popolari,  cosi  terribili,  ma  cosi  transitorj. 

Sottomesse  poi  diverse  città,  si  adoperava  l'una  a  reprimere 
l'altra;  come  oggi  uno  Stato  omogeneo  non  potrebbe  vedere 
quella  tirannia,  a  cui  può  abbandonarsi  chi  molti  Stati  possieda, 
e,  colle  forze  dell'uno,  l'altro  sottometta. 

Gli  oppressi  tentano  rialzarsi,  e  le  storie  d'allora  sono  un 
tessuto  di  trame  contro  questi  assassini  del  genere  umano, 
pochi  dei  quali  finivano  la  vita  quietamente;  nia  molti  falliscono 
e,  come  la  mina  che  scoppia  anticipatamente,  uccidono  il  mi- 
natore. Colle  uccisioni  si  soffocano,  non  si  ammorzano  gli  sdegni: 
crescono  gli  scontenti  :  anche  i  moderati  disapprovano.  Il  tiranno 


A 


-  211  -  D- 


s'avvede  di  non  trovar  più  dappertutto  che  odio  e  disprezzo: 
vorrebbe  svellerli ,  ma  come  impedire  che  1'  ombra  seguiti  il 
corpo?  Più  teme  quanto  sa  d'aver  più  irritato;  con  nuovo  sangue 
vorrebbe  lavare  la  macchia  dell'  antico  :  non  può  ;  ma  un'  in- 
flessibile necessità  lo  porta  ad  atterrire,  a  correre  d'abisso  in 
abisso,  finché  ad  ogni  altro  e  sentimento  e  spediente  sostituisce 
l'emozione  dell'assassinio,  che  è  un  misto  di  mal  umore,  di 
di  collera,  di  paura. 

Cosi  le  crudeltà  prendevano  alimento  dalle  crudeltà;  dallo 
scontento  degli  oppres=;i  traevasi  pretesto  di  opprimere  mag- 
giormente: circolo  fatale,  da  cui  com'è  possibile  uscire?  e  non 
avvi  mezzo  di  assodare  la  libertà  fra  le  convulsioni  delle  re- 
pubbliche e  il  letargo  delle  monarchie  ? 

Se  lo  chiedete  ai  manufattori  e  lettori  di  gazzette,  ai  di- 
sertatori  di  caffè  e  di  circoli,  vi  porteranno  ciascuno  un  sistema, 
tutti  diversi,  e  tutti  del  pari  infallibili:  prova  che  nessuno  è 
buono.  jNIa  non  so  se  frate  Antonio  o  fra  Giordano,  interrogato 
anch'esso  su  tal  quistione,  rispose  che  è  libero  chi  ha  il  timore 
di  Dio. 

Questi  frati  ne  dicevano  pur  delle  strane  I 

Anche  fatta  la  parte  dell'esagerazione,  gravi  erano  le  atro- 
cità di  Ezelino,  e  partorivano  odio,  e  con  questo  il  desiderio  di 
sottrarsene  ed  il  coraggio  della  disperazione.  Le  spie,  infame 
e  necessario  amminicolo  dei  minacciosi  tremanti,  scopersero  una 
congiura,  ed  Ansedisio,  per  ciascun  quartiere  di  Padova  distribuì 
piantoni,  che  vegliassero  ad  ogni  movimento:  giorno  e  notte 
potessero  entrare  nelle  case  a  cercare  :  notassero  chi  bronto- 
lava un  lamento.  Costoro  un  giorno  in  Pieve  di  Sacco  avven- 
taronsi  a  un  tal  Gaggino,  animoso  garzone,  il  quale,  anziché 
lasciarsi  ghermire,  ne  uccise  due  e  si  salvò.  La  famiglia  di  esso 
andò  a  sterminio,  come  manutengola  a  chi  cospirava  contro  il 
signore.  Michele  da  Cremona,  studente  in  Padova,  che  diceasi 
fosse  turcimanno  di  società  segrete  e  recasse  da  un  all'  altro 
la  formola  del  giuramento,  posto  alla  tortura,  lasciossi  strappare 
la  confessione  di  una  trama.  Tali  scoperte  sono  tanto  oppor- 
tune a  chi  vuol  tiranneggiare  che,  quando  non  ne  appaiono, 
le  inventano.  Di  fatti  Ezelino  rincalorì  le  persecuzioni  :  ogni 
di  nuovi  tormenti  e  nuovi  tormentati:  le  piazze  funeste  di  sangue, 
zeppe  le  carceri  ;  né  grado,  né  sesso,  né  meriti  anteriori  salva- 

21? 


ATTENTATI    CONTRO    EZELINO 


vano:  meno  infelice  chi  poteva  essere  decapitato  senza  i  raffi- 
namenti della  barbarie. 

Ansedisio,  non  pago  d'infierire  sui  giudicati  rei,  ne  faceva 
cogliere  i  figli  e  le  donne,  guastarne  gli  occhi,  il  naso,  il  seno, 
gli  inguini.  Albertino  frate  minore  scrisse  da  Roma  a  suo  fratello 
Ottone  Volpe,  veronese,  stesse  di  buon  animo,  il  pomo  essere 
omai  maturo  :  in  breve  il  lupo  sarebbe  scovato.  Intercetta  la 
lettera,  fu  interpretata  per  cenno  d'una  congiura:  Volpe,  sebbene 
intimo  di  Ezelino,  fu  arrestato  e  morto:  i  parenti,  gli  amici, 
chiunque  dava  ombra,  gettati  nelle  orribili  carceri. 

Gran  colpa  era  l'esser  ricco:  gran  colpa  il  sospirare:  gran 
colpa  il  non  far  la  corte  al  tiranno.  Fin  tra'  maggiori  amici 
di  lui,  tra'  più  prossimi  servidori  voleansi  scoprire  delinquenti. 
Miche,  medico  d'Ezeliuo,  messo  al  tormento,  confessò  una  trama 
contro  i  giorni  di  quello,  ma  i  complici  che  indicò  erano  persone 
in  grand'  autorità  presso  il  tiranno.  Non  importa:  furono  de- 
capitati: e  jNIiche,  tratto  al  supplizio,  presente  tutto  il  popolo 
protestò  a  Dio  ed  agli  uomini  d'aver  accusato  innocenti,  e  ne 
chiedeva  perdono  per  1'  anima  sua. 

Fra  le  trame  sventate,  non  mi  voglio  scordare  che  un  giorno 
ad  Ezelino  furono  condotti  in  ceppi  Monte  ed  Avaldo  fratelli  di 
Monselice,  i  quali  a  gran  voci  non  cessavano  di  protestarsi 
innocenti;  né  essi,  né  casa  loro  essere  mai  stati  sleali  a  lui  o 
all'Impero.  Ezelino,  che  sedeva  a  desco,  udendo  l'insistente  ab- 
baiare, si  leva  e  fattosi  loro  incontro,  con  atroce  ironia  li  rim- 
brotta d'infedeltà  e  rie  deride  la  sciagura.  ÌNIonte  a  corpo  perduto 
gli  si  getta  adosso,  lo  abbatte,  lo  calca,  né  trovandosi  allato 
coltello  od  altra  arma,  co'  denti  gli  lacera  il  volto,  poi  messogli 
le  mani  alla  strozza,  non  lo  lascia,  finché  trafitto  da  una  guardia, 
spira  maledicendolo. 

Pochi  giorni  dopo,  il  siniscalco  colse  un  incognito  che  ogni 
arte  adoperava  per  insinuarsi  presso  Ezelino  mentre  era  desi- 
nando ;  e  se  gli  trovò  soppanni  uno  stilo.  Esaminato  alla  tortura 
per  venire  all'  acqua  chiara ,  non  se  gli  potè  cavare  parola , 
mostrava  anzi  non  intendere  i  nostri  linguaggi  ;  e  condannato 
ad  essere  arso  vivo,  incontrò,  non  che  intrepido,  ma  allegro 
la  morte  ^^. 


^  ^°  Nel  1288  Lamberto  Bacellieri  Bolognese,  usando  ilomoslicamentc  con  Obizzo          / 

Un  .  -2i;ì-  n_5 


d'Este,  e  sempre  standogli  a  fianco,  un  giorno  a  tavola  trasse  fuori  un  pugnale  e 
lo  feri  nel  viso.  Obizzo  impedi  l'osse  ammazzato,  e  il  lece  metter  piìi  volte  alla 
tortura  perchè  confessasse  da  clii  v'era  stalo  spinto.  Egli  sostenne  non  aver  complici 
nò  tampoco  aver  tra  so  premeditato  quel  colpo,  ma  esservi  stato  spinto  da  subi- 
tanea frenesia.  Alla  coda  di  (piattro  asini  fu  trascinato  per  tutta  Ferrara,  poi 
appiccato  per  la  gola.  Ghirakdacc;.  Ilist.  di  Bolorjna.  1.  IX. 

—  2it  — 


CAPITOLO    IX.  U    ^ 

Chi  era  costui?  forze  un  Lorenzino  de*  Medici,  un  Girolamo  ì 
Olgiato,  una  Carlotta  Corday,  un  Sand,  che  volesse  sagrificare  / 
la  sua  vita  per  liberare  l'umanità?  Più  comunemente  si  reputò  ) 
un  inviato  del  Veglio  della  Montagna.  Con  tal  nome  i  nostri  l 
che  viaggiavano  in  Levante  indicarono  uno  sceico  o  principe  / 
di  piccolo  Stato  in  Sorta,  che  nelle  amene  vallate  delle  montagne  ) 
là  fra  Tripoli  e  Tolosa,  erasi  fabbricato  dieci  castelli  inaccessibili;  ì 
abbellito  il  paese  con  ogni  raffinamento  di  delizie,  e  messosi  / 
attorno  da  sessantamila  sudditi,  tratti  dalla  Persia.  Con  prestigi  ) 
e  con  bevande  medicate  e  col  persuaderli  fosse  più  che  uomo,  \ 
induceva  costoro  a  tanto  cieca  obbedienza  ,  che  né  rischi ,  né 
morte  ricusavano  per  lui.  Aveva  ad  acquistare  alcun  novizio  ? 
lo  inehbriava  de"  succhi  dell'erba  hascise  [cauìiabis  indica),  dalla 
dalla  quale  preser  il  nome  di  Assassini,  e  che  produce  visioni 
ridenti  e  voluttuose:  cosi  sopito,  lo  faceva  trasportare  in 
mezzo  a  quanto  di  più  squisitamente  bello  e  allettevole  può 
l'immaginazione  figurare:  svegliandosi,  da  donzelle,  fior  di  bel- 
lezza e  di  lusinghe,  gli  veniva  imposto  facesse  ogni  volere  del 
Veglio,  e  meriterebbe  di  vivere  eterno  fra  quel  colmo  di  delizie. 
Con  tali  fascini  ispirava  loro  si  compiuta  obbedienza,  che  il 
Veglio  stesso,  per  darne  prova  all'imperatore  Federico  quando 
fu  in  Palestina,  lo  condusse  appiè  d'  una  torre,  ed  accennò  a 
due  Assassini,  che  stavano  sulla  cima,  di  precipitarsi  a  terra: 
e  detto  fatto  furono  al  suolo  spiaccicati.  Obbedienza  che  molti 
padri  dei  popoli  desidererebbero. 

Aveva  il  Veglio  a'compire  alcuna  vendetta  sua  propria,  ovvero 
promessa  a  qualche  grande?  assegnava  ad  un  di  costoro  la  vittima: 
il  trascelto  veniva  ormandola  per  anni  ed  anni,  finché  trovasse 
il  tempo  opportuno  per  ucciderla;  lieto  di  morire  esso  pure  della 
propria  o  d'altrui  mano. 

Di  secreti  ministri  di  vendette  parlano  assai  le  storie  di 
tutti  i  paesi  :  son  noti  la  santa  Wehme  e    i    tribunali    secreti 


f—^O  GLI    ASSASSINI  D    ^ 


/ 


di  Westfalia,  dove  arcani  giudici  decretavano  la  morte  di  alcuno, 
e  la  commettevano  al  braccio  d'un  risoluto,  che  non  cessava 
se  non  ottenuto  lo  scopo.  Cosi  tribunali  privati  compivano  le 
vendette  degli  oltraggi  recati  all'umanità:  rimedj  strani  come 
;  i  tempi  cui  erano  destinati,  e  che  pure  oggi  si  vorrebbero 
)  resuscitare  e  si  odano  lolore.  Infelici  le  cause  che  devono  ri- 
/         correre  a  tali  strumenti  !   ^^ 

^  Forse  era  un  Assassino  quel  che  assali  il  nostro  tiranno, 

ma  il  colpo  non  colse  al  segno,  quasi   la    vendetta    de'  grandi 
reati  contro  l'umanità  fosse  riservata  al  popolo  intero. 

Rolandino  empie  molti  capitoli   colle  uccisioni    o   le   muti- 
lazioni dei  poveri  Padovani,  A'eronesi  e  "S'icentini  22^  e  conchiude: 
)         —  Sia  d'esempio  a  tutti  di  schivare,  se  sanno,  il  giogo  servile, 
(         »  e  difendere  in  ogni  guisa  la  libertà  fino  alla  morte.    Ecco  a 
)         »  che  arrivano  i  paesi  dominanti.  Ov'è  più  l'innumerabile  mol- 
(         »  titudine  del  popolo  padovano?  ove  la  copia  di  ricchezze?  ove 
)         »  le  torri,  gli  edifizj,  i  palagi,  gli  agiati  abitari?  Tutto  è  tolto 
^         »  alla  Marca  Trevisana:  e  non   da   Barbari  0  Giudei,    da    Sar- 
»  mati  0  Britanni.    Maledetto  il  giorno  che  gonfiandosi  la  su- 
>.         »  perbia,    sottentrando    l'invidia,    forse    corrompendo    l'oro    e 
;         »  l'argento,  nella  ^larca  andò  perduto  il  vigore,   intiepidirono 
»  la  fede  e  la  verità,  si  raffreddò  la  prudenza;  e  carità,  retti- 
»  tudine,  saviezza,  cordialità  rimasero  corrotte  ». 

Giovino  queste  riflessioni,  giacché  sempre  eguale  è  la  sorte 
dei  popoli  che  non  si  difendono,  0  che  della  libertà  non  usano 
se  non  per  guastarla. 


'i  Alcun  che  di  somigliante  si  trovò  in  paesi  dove  le  leggi  perdono  vigore  , 
e  l'umanità  non  ha  voce  innanzi  al'a  scellerata  sete  dell'oro.  Nel  1822  sussisteva 
ancora  alle  Aniille  francesi  ed  inglesi  la  società  degli  avvelenatori,  tribunale  segreto 
d  i  Negri  Maroni,  cioè  schiavi  che,  l'uggiti  dai  |)adroni,  erravano  pei  boschi,  i  i\m\\ 

'.  radunatisi,  ascollavano  qualuncpie  schiavo  si  querelasse  de'  mali  traltatiienti  de'  suoi 

)  tiranni;  e  s'egli  giurava  cpiella  esser  la  verità,  gli  davano  un  polente   veleno  col 

quale  vendicarsi.  Gli  ultimi  tra  questi  andarono  al  supplizio  alla  Guadalupa  nel  1833: 
Ui  punito  il  delitto,  ma  né  punita,  né  svelta  la  pessima  ragione  del  loro  delitto. 
Cosi  sogliono  l'arsi  le  leggi.  È  bisogno  d'accennare  come  oggi  in  Europa  rivivano 
i  comitati  segreti  e  i  decretati  assassini  'l 

)  22  Dal  prologo  degli  Statuti  della  frataglia  de'  nolaj    a    Vicenza   appare    che 

S  Ezelino  avea  proibita  quella,  come  tutte  l'altre  associazioni 


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-n 


Cantù  —  Ezelino. 


Le  crudeltà  frattanto  non  rallentavano  l' ambizione  di 
Ezelino,  né  questa  le  crudeltà.  Udito  che  in  Loili  (  siamo  nel- 
l'anuo  1251)  si  combattevano  le  due  famiglie  Vestarini  ed 
Averganghi,  sperò  approfittarne  per  giungervi  al  dominio.  E 
mosse  con  Buoso  da  Duara  e  coi  Cremonesi:  ma  il  papa,  me- 
scendo improvvidamente  le  armi  spirituali  alle  cose  monrlane, 
aveva  interdetta  la  città  in  favore  de' Guelfi;  e  i  Milanesi  ap- 
parvero con  buone  armi  in  appoggio  de'  Vastarini;  talché  Ezelino 
dovette  stogliersi  dall'  impresa. 

A  danno  dei  Guelfi  pareva  dovesse  tornare  la  comparsa  di 
Corrado,  figlio  di  Federico,  che,  ad  onta  del  papa  e  degli  emuli, 
ottenuto  l'imperiato  in  Germania,  scendeva  in  Italia  per  as- 
sicurare la  Puglia  contro  i  continui  attacchi  de'  pontifizi.  Ezelino 
il  corteggiò  in  Verona  e  nel  viaggio,  largheggiandogli  promesse 
ed  assicurazioni,  fors' anche  perchè,  più  presto  andandosene, 
gli  togliesse  l'incomodo  d'un  superiore.  Corrado  di  fatto,  a 
Porto  Navone  imbarcatosi  sopra  legni  veneziani,  si  condusse 
nella  Puglia;  dove  fra  non  guari  morì  lasciando  il  trono  al 
più  forte. 
ig52  Come  l'imperatore  comparve  in  Lombardia,  le  città  guelfe, 
temendo  di  loro  franchigie,  avevano  posto  giù  gli  sdegni,  ed 
in  Brescia  rinnovata  la  Lega  Lombarda,  perpetuo  schermo 
contro  la  tirannia;  e  decretarono  di  munirsi  contro  la  parte 
imperiale,  e  singolarmente  contro  i  caporioni  di  questa,  Ezelino 
ed  il  marchese  Oberto  Palavicino;  un  esercito  nella  JNIarca 
Trevisana  soccorrerebbe  Alberico,  i  Caminesi,  il  marchese  d'Este, 
il  conte  Rizzardo  da  Sambonifazio  e  gli  altri  lor  parteggianti. 
J9-5  Ma  il  conte  Rizzardo  mori  poco  appresso,    liberando   così 

Ezelino  da  un  emulo  formidabile;  al  marchese  Azzo  era  stato 
ucciso  il  figliuolo  Rinal'lo,  quel  genero  d'Alberico  che  era  stato 
da  Federico  spedito  ostaggio  nella  Puglia;  ed  Azzo,  credendo 
Ezelino  consigliatore  di  tal  prigionia  e  della  morte,  lo  prese  in 
maggior  ira. 

Però  i  nemici  di  Ezelino  giunsero  a  ribellargli  Trento 
per  opera  principalmente  del  vescovo  Egnone.  Ezelino,  come 
avviener  di  chi  è  sorpreso,  sulle  prime  fu  respinto  ;  ma  riforni- 
tosi di  gente,  ed  ajutato  dal  tradimento  dei  signori  di  Castel- 
barco,  ebbe  in  potere  la  città:  con  quali  vendette  voglio  la- 
sciarvelo  pensare. 

-  216  — 


rHn  VERONA    E    BRESCIA  ET 

L'esempio  è  contagioso  anclie  quando  infelice;  e  Verona 
pure  levava  gli  spiriti:  ma  Ezelino  venutole  sopra  colla  spada 
in  una  mano,  la  fiaccola  nell'altra,  la  tornò  al  dovere,  cacciando 
i  rei  ed  i  sospetti  in  prigione  o  sui  patiboli,  né  perdonandola 
pure  al  conte  Buontraverso  genero  suo,  che  co'  figliuoli  lasciò 
morir  in  carcere,  ed  uccidere  fra  i  tormenti  Giram  ondo  fratel 
suo  naturale  ed  Enrico  da  Egna  nipote. 

Rimesso  il  senno  a'  sudditi  vecchi,  Ezelino  pensava  a  farne 
dei  nuovi,  e  primamente  pose  disegno  sopra  Brescia,  sperando 
le  discordie  ne  agevolerebbero  la  servitù.  Di  fatto  i  Guelfi,  che 
a  tutta  lor  possa  avevano  contrariato  la  parte  d'  Ezelino,  ri- 
masero vinti  ;  ma  i  Ghibellini  vittoriosi  non  furono  tanto  ciechi 
da  ricevere  il  tiranno  entro  le  mura.  Da  ]^Iontechiaro  adunque, 
oy'egli  erasi  condotto,  dovette  ripiegare  sopra  ilantova,  creduta 
rea  d'avere  istigato  ed  ajutato  i  Trentini;  i  suoi  soldati  gri- 
davano, —  A  Mantova;  andiamo  a  Mantova;  Mantova  o  la 
morte;  perchè  Mantova  sola  impedisce  il  signor  nostro  di  aver 
in  pugno  tutta  la  Lombardia  »;  e  messo  a  ruina  il  paese, 
cinsero  la  città,  e  la  ridussero  all'estremo. 

Allora  pareva  Ezelino  all'apice  di  sua  fortuna:  non  so- 
perchiato da  alcun  principe,  non  adombrato  da  emuli,  domatore 
di  ogni  resistenza;  abituati  i  sudditi  a  soffrire  e  tacere;  forte 
d'armi,  forte  di  credito.  Ma  gli  oppressi  sappiano  che  la  salute 
arride  quando  più  lontana  pare  la  speranza,  e  ad  Ezelino  arrivò 
notizia  che,  contro  di  lui,  come  nemico  dell'umanità,  la  religione 
aveva  bandito  la  croce  ;  la  quale  fra  le  bestie  goffe  del  medio- 
evo  esprimeva  l'accordo  e  il  sacrificio,  siccome  fra  gì' inciviliti 
il  sigaro  esprime  l'egoismo  e  l' isolamento. 


-^-&][^ 

D"^ 


1^ 


7 


CAPITOLO     X, 


ANEDDOTI,  ASTROLOGIA. 


S^ 


Voi  che  vivete,  ogni  cagion  recate 
pur  suso  al  cielo,  siccome  se  tutto 
movesse  seco  di  necessitate. 

Lo  cielo  i  nostri  movimenti  inizia. 

Dakte,  Purg.,  16. 


rima  di  sceneggiare  l'ultimo  atto,  raccogliamo  lena, 
soffermandoci  sopra  alcune  particolarità  e  sul  yi- 
vere  domestico  di  Ezelino.  Quattro  donne  egli  sposò, 
nel  1221  Gisla  sorella  del  conte  Sambonil'azio;  nel 
1238  Selvaggia,  figliuola  naturale  dell'imperatore 
\-  Federico,  la  quale  si    trova  scritto  ma  senza  ap- 

poggio, fosse  da  lui  fatta  uccidere,  forse  per  quell'amore  ina- 
cetito che  si  chiama  gelosia.  Nel  1244  sposò  Isotta,  sorella  di 
Galvano  Lancia  ,  signore  de'  più  ragguardevoli  di  Sicilia  e  pa- 
rente dell'imperatore.  Cinque  anni  dopo,  e  in  quel  secondo  fiore 
di  cui  sembra  privilegiata  la  vita  dei  militari,  conduceva  Bea- 
trice, figliuola  di  r^ontraverso  conte  di  Castelnuovo  ;  egli  de' 
più  ricchi  e  gagliardi  ,  ella  delle  più  belle  del  tempo  suo.  In 
quell'occasione  Ezelino  ai  nuovi  parenti  impromise  amicizia, 
onori,  grandezza:  colla  sposa  ragionò  a  lungo  afi'ettuosissimo: 
e  i  popoli  ammirando  quella  bellezza,  speravano  ammanserebbe 
il  marito  cosi,  da  indurlo  a  vivere  in  amore  e  quiete.  Non  ne 
fu  nulla. 


249 


Nessuna  gli  procacciò  le  gioje  della  paternità;  ma  essendo 
un  tal  Pietro  dei  Donici  da  Padova  arrestato  come  complice 
della  congiura  del  1246  ,  Gisla  ,  costui  madre  ,  si  presentò  ad 
Ezelino ,  rammentandogli  d'  esserne  stata  abbracciata  in  gio- 
ventù, e  asserendo  quello  esserne  un  frutto.  Il  tiranno  mutò 
la  pena  capitale  in  prigionia:  qui  tutto. 

Né  di  amori  e  libidini  viene  incolpato  se  non  in  una  tra- 
dizione ,  soggetto  a  novelle  e  tragedie.  Più  volte  ricordammo 
la  buona  città  di  Bassano ,  posta  su  ameno  colle,  dolcemente 
degradante  alla  pianura,  lambita  dal  Brenta  che  ne  purga  l'aria, 
mentre  i  monti  la  schermono  dalla  tramontana.  Nel  secolo  X 
fu  data  ai  vescovi  di  Vicenza:  acquistò  la  liberta  come  gli  altri 
Comuni  d'Italia,  poi  nel  1175  giurò  fede  al  podestà  di  Vicenza, 
nel  qual  tempo  contava  ottocento  cittadini  attivi.  Ezelino  il 
Balbo  ,  di  cui  per  isventura  aveva  limitrofi  i  feudi ,  la  tenne, 
la  perde,  la  ricuperò.  Ammutinatasi  contro  il  nostro  Ezelino  , 
ebbe  governatore  Giambattista  della  Porta  ,  che  dopo  difesala 
valorosamente  ,  cadde  combattendo.  Bianca  de'  Rossi ,  sposata 
a  lui  da  appena  un  anno  e  tutta  spiriti  virili,  volle  che  il  suo 
lutto  fosse  vendetta,  e  sottentrata  alla  difesa,  non  cessò  finché 
non  rimase  presa  coU'armi  alla  mano.  0  del  valore ,  o  della 
bellezza,  o  di  tutt'insieme  incapricciato,  Ezelino  la  richiese  d'a- 
more, e  rifiutato,  tentò  violentarla;  ma  la  Bianca,  intrepida  del 
pari  a  protegger  la  patria  e  l'onestà,  balzò  dalla  finestra  e  fiac- 
cossi  una  spalla.  Guarita  ,  il  laido  se  ne  satollò  per  forza  ;  il 
quale  scorno  non  potendo  essa  patire ,  supplicò  le  fosse  per- 
messo baciare  ancora  una  volta  nell'avello  dove  giaceva  il  se- 
polto marito  :  e  messo  il  capo  sotto  al  coperchio  e  di  colpo 
spuntellatolo,  si  schiacciò  i. 

Del  resto  Ezelino  parve  avversissimo  alle  sciagurate  che 
trafiicano  il  corpo  e  ai  vilissimi  che  ne  guadagnano;  e  anche 
ladri  e  traditori  perseguitò.  Scontrò  un  giorno  la  sbirraglia 
che  menava  uno  per  debiti:  e  chiesto  chi  fosse  —  un  ollaro  », 
risposero  i  satelliti,  volendo  dire  in  lor  dialetto  un  pentolaio. 
Ma  nella  Marca  uno  laro  pronunciasi  per  un  ladro:  dal    qual 


1  II  fatto  è  dipinto  a  fresco  nella  sala  sopra  la  loggia  in   piazza  de'  Signori 
a  Padova. 

—  250  — 


ANEDDOTI,    ASTROLOGIA  CT 


suono  ingannato,  —  Appicatelo  )>  ordinò  Ezelino  :  e  per  quanto 
gli  si  manifestasse  l'errore,  non  volle  ridirsi.  Parola  da  principe. 
Un  villano  querelava  il  vicino  d'avergli  involato  delle  ci- 
liege ;  e  questi  negava  perchè  il  ciliegio  era  imprunato.  Il  che 
visto  vero  ,  Ezelino  condannò  il  denunziatore  ,  perchè  si  fosse 
fidato  della  siepe  più  che  della  giustizia  di  lui. 

Sentendo  tremare  la  mano  del  barbiere  che  lo  radeva , 
Ezelino  gliela  fece  troncare:  altri  dice  lo  facesse  squassare  alla 
tortura,  poi  levatolo  appena,  continuò  a  lasciarsi  radere  da  esso. 
Passeggiando  un  giorno  coli'  imperatore  ,  contesero  quale 
avesse  spada  migliore.  L'imperatore  trasse  la  sua,  bellissima 
ed  ornata:  ed  Ezelino  come  l'ebbe  contemplata,  —  Si  (lisse), 
bella;  ma  la  mia,  senza  molto  fornimento,  è  migliore  d'assai  »  ; 
e  la  snudò.  Al  qual  atto,  seicento  cavalieri  fecero  altrettanto: 
onde  l'imperatore,  a  quella  siepe  di  spade,  si  confesso  vinto. 

Una  vecchia  lo  presentò  d'un  sacco  di  bellissimi  noci,  di- 
cendogli :  —  Dio  VI  dia  lunga  vita,  o  signore  ».  E  richiesta 
da  lui  perchè  cosi  augurasse.  —  Perchè  (soggiunse)  cosi  sta- 
remo in  lungo  riposo  ».  Di  che  contento  ,  egli  le  regalò  un 
sottano  nuovo;  e  poich'ebbe  fatte  versare  sul  pavimento  delle 
)  noci ,  e  per  ispasso  raccorle  da  lei  ad  una  ad  una  ,  la  meritò 
^         largamente. 

•'  Mandò  una  volta  bando  che  il  tal  giorno  farebbe  una  co- 

piosa elemosina  :  e  a  ciascun  bisognoso  che  si  presentasse  da- 
rebbe gonnella  nuova  e  molto  da  mangiare.  Pensate  se  accor- 
sero in  folla  in  Verona  ciechi,  storpi,  paltonieri  d'ogni  miseria, 
;         fin  al  numero  di  tremila;  ed  esso  congregatili  in  una  casa,  vi 
■         fece  appiccar  fuoco  e  bruciarli.  Ottimo  spediente  contro  il  pau- 
!         perismo;  ma  mi  hanno  maggior  aria  di  verità  coloro  che  vol- 
(         gono  a  comico  esito  la  novella,  cioè  che  quei  mendichi  fossero 
snudati    de'  loro    cenci ,  rivestiti  di  nuovo  ,   ben   pasciuti  ,   poi 
)         congedati.  Costoro,  che  tra  loro  stracci  teneano  cucite    molte 
monete,  invano  li  ridomandarono:  Ezelino,  fatto  bruciare  quel 
ciarpame,  ne  ricavò  un  bel  gruzzolo;  e  coloro,  ben  vestiti  ma 
senza  un  soldo,  si  sparsero  pel  mondo  esagerando  le  immanità 
del  tiranno. 

Questi  aneddoti,  come  altri  molti,  sono  riferiti  dalle  cro- 
nache, e  con  inarrivabile  ingenuità  nelle  Cento  novelle  antiche. 
Dal  Chronicon  Imarjinis  Mundi  ricavo  che  una  volta,  mentre 

—  251  — 


|— jja^  — ^.^ — ^_^____„___„_ — -^[^ 

r-^  CAPITOLO    X.  CJH 

l'imperatore  era  a  Vicenza,  un  costui  milite  violentemente  ab- 
bracciò per  istrada  una  signora  ,  ed  Ezelino  senz'altro  Io  fece 
decapitare.  Federico  se  ne  querelò,  ma  esso  gli  disse:  —  Avrei 
fatto  altrettanto  a  voi  per  uno  scandalo  simile  ». 

Premevagli  di  scoprire  l'uccisore  d'un  granile,  onde  pro- 
mise gran  mancia  a  chi  lo  rivelasse.  Un  prete  che  l'avea  sa- 
puto in  sacramento,  va  e  glie!)  manifesta.  Il  reo  confessa,  ed 
Ezelino  assolve  lui,  e  fa  bruciare  il  mal  prete. 

Intorno  a  sé  raccoglieva  egli  volentieri  buffoni  ,  giullari , 
novellatori,  coi  quali  passava  le  notti  favolando.  Ma  singolar- 
mente diede  favore  ai  maestri  di  astrologia,  delirio  lunghissimo 
nella  storia  della  umanità  ,  sul  quale  vogliamo  badarci  ;  e  chi 
lo  credesse  superfluo  non  ha  che  a  saltare  alle  ultime  pagine 
del  capitolo,  e  non  troverà  pregiudicata  l'integrità  d'un  racconto 
che  si  poco  vi  pretende. 

La  smania  di  conoscere  l'occulto,  la  quale  discerne  l'uomo 
civile  dal  selvaggio  ,  è  tanto  più  vigoroso  quanto  il  soggetto 
cui  si  dirige  è  meno  suscettibile  d'essere  cólto  con  precisione. 
Più  poi  è  angusto  il  campo  della  scienza,  più  largo  resta  quello 
del  meraviglioso;  e  in  capo  al  meraviglioso  sta  il  destino,  col- 
r  astrologia  e  colle  arti  sorelle  cioè  ,  m  luogo  dei  fatti  le  in- 
duzioni, delle  cause  1' immagin  izione  ,  dell'esame  naturale  la 
finalità. 

Antichissime  quanto  varie  furono  le  maniere  di  pronosti- 
care le  conseguenze  de'  nostri  atti  e  I'  avvenire  della  nostra 
vita.  Grande  effetto  vediamo  avere  gli  astri  nelle  cose  più  sen- 
sibili di  quaggiù  :  il  diffonder  la  luce,  produrre  la  varietà  delle 
stagioni,  spargere  la  fertilità;  la  luna  accompagnare  colle  sue 
fasi  importantissimi  fenomeni  nel  mondo  materiale  o  nell'  or- 
ganico; le  stelle  colle  diverse  apparenze  pronunziare  la  muta- 
zione delle  stagioni,  l'arrivo  de'  venti  periodici  e  delle  pioggie. 
Se  tanto  operano  sugli  essere  inanimati ,  quanto  più  devono 
potere  sovra  l'uomo,  la  più  nobile  creatura  e  la  più  vicina  alla 
pura  essenza  e  divina  delle  stelle?  i 

Il  limpido  orizzonte  dell'Asia   centrale    offriva   vastissimo         ( 
campo  alle  osservazioni  celesti;  mentre  l'ardore  di  quel  clima  > 

eccitava  le  fantasie.  E  di  là  vennero  nell'  antichità  gli  studj 
astrologici,  studj  in  gran  fiore  quando  l' imperio  romano  toccava         ) 

kla  maggior   grandezza ,   e  che  ,  quando    esso   scadde ,    presero         p 
ai 


Ne  gli  Ezelini  rimasero  estranei  alla  protezione  dei  cantori,  e  in  loro  corte   visse  il  tro 
vadore,  di  cui  restò  più  elevata  rinomanza,  Sordello  di  Mantova. 

Cap.  XI.  ras.  295, 


rra  ANEDDOTI,    ASTROLOGIA 

j  vigore  dai  patimenti  e  dalla  ignoranza.  Gli  Arabi,  tratti  a  no- 
/  velia  vita  da  Maometto,  fra  le  altre  dottrine,  parte  con  senno, 
parte  con  delirio  coltivate ,  si  affissero  a  quella  degli  astri ,  e 
\  buone  osservazioni  vi  portarono,  sino  a  scoprire  il  movimento 
I  dello  apogeo  del  sole.  Vi  mescolarono  però  i  delirj  dell'  astro- 
)  logia,  e  li  diffusero  nei  paesi  che  conquistarono:  onde  riprese 
\  voga  in  Europa  1'  astrologia  giudiziaria  ;  gì'  ingegni,  cupidi  di 
;  palliare  l'ignoranza  sotto  l'aspetto  d'una  scienza  iiivccessibile 
)  al  vulgo,  le  tesserono  un  corredo  di  vanità.  Importando  d'averne 
infallibilità  di  risultanze  ,  e  desiderandosi  applicare  all'  utilità 
)  pratica  le  nuove  scoperte  di  matematica,  rinfiancaron  col  calcolo 
{         le  menzogne,  dimostrando  i  loro  sogni  con  cifre  e  figure,  come 

altri  sogni  vollero  modernamente  puntellarsi  coWa-hb. 
{  Perocché  i  dotti  sono  uomini,  che,   come  nel  resto,   così 

ì  ne'  pregiudizj  van  più  lontano ,  cioè  s'  infangano  viepiù  :  e 
I  ognun  d'essi  vuole  portarvi  il  suo  secchio  d'acqua,  dimodoché 
quel  che  era  una  pozza  diviene  un  marazzo.  Allora  gran  nu- 
)  mero  di  dotti  applicarono  unicamente  le  veglie  e  i  calcoli  loro 
a  questa  chimera  delie  umane  speranze  ;  allora  libri  scritti , 
stromenti  inventati;  allora  società  segrete  che  ne  custodivano 
e  trasmetteano  l'arcano,  e  pubblici  congressi  dove  accomunare 
le  osservazioni:  e  in  quello  che  nel  1179,  tennero  i  più  nomi- 
nati astrologhi  orientali,  cristiani,  arabi  e  giudei,  colla  solita 
sapienza  de'  congressi  scientifici  fu  predetto  che,  nel  settembre 
del  1186,  straordinaria  congiunzione  de'  pianeti  superiori  ed 
inferiori  porterebbe  lo  sfasciamento  del  creato  per  furia  di  tem- 
peste. 11  temuto  settembre  giunse  ;  passò  :  nulla  cadde  in  ro- 
vina, neppure  il  credito  dell'astrologia. 

Al  tempo  proprio  del  nostro  racconto,  nella  scienza  delle 
stelle  s'invaghirono  Federico  II  imperatore  ed  Alfonso  il  Savio, 
re  di  Castiglia.  Esso  Federico,  mostrando  all'abate  di  Sangallo 
quel  che  più  di  caro  tenesse  al  mondo  ,  accennò  il  figlio  Cor- 
rado ed  un  magnifico  globo  ,  ove  il  cielo  era  oro  ,  gemme  le 
stelle.  Col  titolo  di  filosofo  imperiale  erasi  egli  attaccato  maestro 
Teodoro  ,  che  lautamente  stipendiato  leggeva  negli  astri  l'av- 
venire ,  indicava  l'ora  propizia  alle  imprese,  e  al  tempo  stesso 
faceva    siroppi   e  confetture  per  la  tavola  del   signor  suo  *,  il 


(  '  Regesta  Frederici^  pag.  347. 

IT] 


-  253  — 


ni 


CAPITOLO    X. 


7 


quale  assicura  non  accostasse  mai  la  moglie  senza  averne  con- 
sulta cogli  astrologhi.  Quando  nel  1239  udì  la  ribellione  di 
Alberico  da  Romano,e  di  altri,  si  preparò  a  muovere  coll'esercito 
sopra  Treviso ,  e  prima  fece  dalla  torre  di  Padova  osservar 
l'ascendente  da  maestro  Teodoro,  il  quale  vaticinò  bene,  non 
avvertendo  (riflette  Rolandino)  che  lo  scorpione  stava  allora 
nella  terza  casa,  indizio  che  l'esercito  sarebbe  offeso  verso  la 
fine,  giacché  lo  scorpione  tiene  il  veleno  nella  coda. 

Di  ben  altra  scienza  fa  re  Alfonso  ,  il  quale  ,  raccolti  gli 
astronomi  più  nominati,  corresse  le  tavole  di  Tolomeo  ,  sosti- 
tuendone altre,  dette  dal  suo  nome,  differenti  nel  movimento 
medio  de'  pianeti,  ma  fondate  sopra  il  sistema  medesimo  ;  nel 
quale  tanta  confusione  riconosceva,  che  esclamò:  —  Se  foss'io 
stato  a'  fianchi  di  Dio  quando  creaya,  meglio  1'  avrei  consi- 
gliato nella  disposizione  delle  sfere  ». 

La  superbia  non  sa  se  non  imputare  la  divinità  ;  ove  la 
docile  sapienza  ricerca,  venera  ed  ammira. 

E  tutta  l'astrologia  fu  un  delirio  dell'intelletto,  traviato 
dall'  orgoglio  nel  cercare  la  verità  fuori  dei  sentieri  che  son 
aperti  alla  umile  indagine;  preferendo,  come  troppo  è  costume 
dei  dotti,  raffinare  l'errore  che  confessare  1'  ignoranza,  e  pre- 
tendendo interrogare  il  linguaggio  arcano  della  natura,  invece 
di  chinarsi  ad  ascoltare  le  lodi  che  essa  intuona  al  Creatore  , 
i  suggerimenti  che  ci  dà  a  viver  bene.  Povero  re  della  natura 
che,  destinato  a  passare  una  notte  in  questo  albergo,  fantastica 
come  accomodarsi  il  letto  per  anni  ed  anni;  e  quelle  poche  ore 
continua  a  smuoverlo,  rifarlo,  disfarlo,  invece  (U  a(higiarvisi  il 
men  peggio  e  riposare. 

L'analogia,  argomento  tanto  erroneo  quanto  comune,  sic- 
come faceva  indurre  l' influenza  delle  stelle  sulle  libere  azioni 
umane,  così  facea  dire  che  l'istante  decisivo  della  vita  essendo 
quello  del  nascere ,  la  congiuzione  diversa  de'  pianeti  in  quel 
punto  prenunzierebbe  gli  accidenti  del  vivere  di  ciascuno.  De- 
duzione arbitraria  da  arbitrario  supposto. 

Ma  quali  saranno  i  pianeti  di  guardatura  sinistra,  quali  di 
benigna  ? 

Ancora  per  analogia  inducevasi  dal  nome,  attribuito  loro 
dagli  antichi.  Chi  nasce  sotto  l'influsso  di  Venere  sarà  dato  ai 
piaceri  ;  Giove  recherà  fortuna ,  perchè   gioviale  ;   Marte   farà 

—  254  —  , 


[aia- 

rr-h  SCIENZE    OCCULTE 

inclinati  al  sangue;  Saturno  alla  malinconia,  e  così  discorrete 
degli  altri  pianeti  e  delle  costellazioni.  Poi  ciascuno  di  quegli 
Dei  aveva  erbe  o  minerali  a  sé  dedicati  :  dedicati  da  classifi- 
cazioni affatto  capricciose  ;  e  se  ne  argomentava  che  questi 
sarebbero  capaci  d'ajutar  gli  effetti  di  quelli. 

Studiato  dunque  non  il  mondo  vero  ,  ma  uno  formato  a 
capriccio,  si  costituì  una  classe  intera  di  scienze,  chiamate  oc- 
culte, veneratissime  perchè  in  ogni  tempo  il  vulgo  si  quae  la- 
tent ,  ìneliora  putai ,  e  cancellate  solo  quando  ripresero  do- 
minio le  scienze  sperimentali  ,  cui  ultimo  fine  'è  scoprire  le 
leggi  de'  fenomeni. 

Que'  sapienti  vanno  dunque  messi  in  fila  con  altri  sapienti 
dei  giorni  nostri,  che,  invece  di  guardare  se  un  fatto  è  vero 
qual  lo  narra  taluno,  oppongono  a  questo  l'essere  stato  narrato 
diversamente  dal  Macchiavello  ,  dal  Giannone  ,  dal  Sismondi  ; 
invece  di  considerare  se  il  giudizio  proferito  sopra  un'  opera  , 
uno  scrittore  sia  sagace  e  sincero,  benché  urti  le  loro  passioni 
0  i  loro  pregiudii-j,  lo  condannano  d'ignoranza,  di  presunzione 
e  persino  di  audacia,  seppellendolo  sotto  le  autorità  del  Tira- 
boschi,  del  Giuguené ,  perfino  di  Giuseppe  Maffei  e  di....  quasi 
noi  dissi.  Cambiata  la  frasca,  il  vino  é  lo  stesso. 

Fra  le  parti  della  filosofia  e  delle  matematiche  la  meglio 
coltivata  era  l'astrologia  ;  ogni  repubblica  aveva  il  suo  astro- 
logo, comprese  la  dotta  Firenze  e  la  prudente  Venezia  ^  ;  l'U- 
niversità di  Bologna  ne  decretava  uno,  quem  tamquam  neces- 
sarissimwn  haberi  omnino  volumus;  tutte  le  altre  non  vo- 
leano  esserne  prive. 


^  Marlin  Sanuto,  sotto  il  1493,  nota  che  Erasmo  Brasca  milanese  e  Galeazzo 
Visconti  erano  partili  da  Milano  per  recare  li  stendardi  al  marchese  di  Mantova  , 
uno  di  qual  havea  una  croxe  bianca  in  campo,  uno  corvo  ed  uno  liatifuogo,  e  in 
l'altro  l'arma  dil  durha  de  Milan  :  andono  con  molti  cavalli,  ed  a  hors  18  partirono^ 
hora  data  par  maistro  Ambrosio  de  Zo,  astrologo. 

Poco  prima  Paolo  Fantini  diresse  ai  Veneziani  un  toltalo  sul  modo  di  aver 
tutta  Italia;  e  oltre  ([uei  canoni  sempiternamente  veri  del  tenersi  in  armonia  col 
papa,  del  posseder  Milano,  del  menare  un  eccellente  corpo  di  ingegneri,  suggerisce 
pure  (piod  haheat  astronomos  bonns.  Il  che  vuol  dire  che  allora,  per  questa  scia- 
gurata tela  di  Penelope  dell'unità  italiana,  si  credeva  troppo  necessario  guardar 
in  su,  mentre  oggi  troppo  lo  si  è  dimenticato. 

—  255  — 


CAPITOLO   X.  UH 

E  noi  supponiamo  di  essere  ancora  a  quegli  anni  dell'Uni- 
versità, che  pajono  si  gravi  mentre  passano,  e  che  sempre  si 
rimembrano  con  sospiro  dopo  passati  ;  e  di  assistere  alle  lezioni 
d'  un  professore  ,  puta  Guida  Bonatto  ,  astrologo  di  Ezelino  e 
d'  altri  nostri  eroi ,  il  quale  ,  colla  gravità  onde  qualch'  altro 
oggi  vende  baje  a  fusone,  porga  quasi  il  programma  della  scienza 
in  cui  dovrà  erudire  la  sempre  egualmente  attenta  scolaresca. 
Né  credo  con  ciò  tradire  l'uffizio  di  storico  più  di  coloro  che 
agli  eroi  pongono  in  bocca  orazioni  quali  avrebbero  potuto  dire 
in  una  data  occorrenza;  e  tanto  più  che  io  non  lavorerò  di 
fantasia,  ma  metterò  quel  tanto  solo  che  ritrovo  negli  autori. 

La  sala  è  arredata  di  sfere  ,  astrolabj  ,  occhiali ,  carte  a 
figure  strane,  oriuoli  a  polvere,  a  acqua,  a  ruota  4,  cranj,  ani- 
mali imbalsamati  o  nello  spirito  ,  specialmente  mostri  ,  alcuni 
anche  formati  di  parti  sciolte  da  varj  animali ,  in  modo  da 
costituire  quelle  mostruosità  che  si  nominavano  il  gallo  basi- 
lisco ,  il  drago  ,  la  salamandra.  Non  mancheranno  i  ritratti  o 
almanco  i  nomi,  e  qualche  libro  de'  matadori  della  scienza , 
^lercurio  Trimegisto  e  Tot  egiziani;  Zamolxi ,  Zoroastro  per- 
siani; l'iperboreo  Abbari  ;  Carraonda,  Damigerone,  Orfeo  tracio, 
dog  greco,  Germa  babilonese;  e  de'filosofi  che  la  coltivarono, 
Pitagora  in  capo  a  tutti,  Empedocle,  Democrito,  Platone,  Por- 
firio, Giamblico,  Plotino,  Proclo,  Apollonio  Tianeo.  Il  professore 
è  avvolto  in  negra  zimarra  ,  succinta  d'  una  larga  fusciacca  , 
cogli  occhiali  e  un  berretto  a  cono,  tutto  effigiato  di  serpenti, 
di  pentagoni,  di  bizzarrie,  che  non  solo  non  han  un  originale, 
ma  nemmanco  un  nome.  L'  attenzione  è  grande,  qual  suole  a 
tutte    le    chimere.    Egli    abbonda    nell'  esordio ,    la    parte    più 


♦  Chi  ricorda  il  dantesco 

siccome  ruote  in  tempre  d'orinoli^ 

non  troverà  n  ridire  a  questo  passo,  quand'anche  non  conoscesse  Pacifico  vescovo 
di  Verona,  che  inventò  gli  orinoli  notturni.  Quanto  agli  occhi.ili,  ognun  sa  che, 
nell'Adultera  di  Tiziano,  uno  scriba  legge  coU'occliialetto  le  parole  scritte  in  terra 
dal  Salvatore.  Il  mio  anacronismo  è  meno  peccaminoso,  giacché  nel  130o  fra  Gior- 
dano diceva  :  —  Non  è  ancor  venti  anni  che  si  trovò  l'arte  di  far  occhiali,  ed  io 
>  vidi  colui  che  fece  gli  occhiali  e  favcUaigli  »  ;  il  quale  probabilmente  era  frate 
f  Alessandro  Spina  pisano.  ^ 

1^ -^ ^ 


SCIENZE   OCCULTE 


7 


artifiziosa,  cioè  la  più  vana  di  tutte  queste  ventose  prolusioni  ; 
finalmente  entra  in  materia,  ma  con  lingua  e  stile  ben  lontani 
dalla  squisitezza  che  noi  moderni  impariamo  dai  romanzi  e  dai 
giornali  francesi,  e  dai  nostri  che  son  traduzione  de'francesi. 

»  Tre  mondi  vi  sono,  l'elementare,  il  celeste,  l'intellettuale, 
disposti  in  quest'  ordine  appunto  ,  e  in  maniera  che  ciascuno 
inferiore  subisca  l'influenza  del  superiore.  A  tutti  sovrasta  Id- 
dio ,  il  quale  ci  comunica  le  virtù  di  sua  onnipotenza  per  via 
degli  angeli,  de'  cieh,  delle  stelle,  degli  animali,  delle  piante  , 
dei  metalli. 
^  »  Risalendo  questa  scala  ,  possono   gli   uomini    penetrare 

(         fin  al  mondo  archetipo  ,  godere  non  solo  delle  qualità    che  le 


)         più  nobili  cose  possedono,  ma  attirarsene  di  nuove;  conoscere 
<.         e  partecipare  di  quella  vita  universale  per  cui  e  in  cui  tutte 
;         le  cose  sono,  e  che  dai  sapienti  chiamasi  anima  del  mondo. 
I  »  Le  virtù  e  le  influenze  de'  corpi  celesti  ci  rivelano  che 

/  essi  donno  avere  un'anima,  giacché  niun'operazione  può  essere 
)  fatta  semplicemente  da  un  corpo.  Poeti  e  filosofi  tutti  conven- 
gono in  ciò,  oltreché  la  ragione  stessa  lo  mostra.  Imperciocché 
;  qualunque  corpo  imperfetto  ,  e  le  particelle  del  mondo  ,  e  gli 
;  animaletti  più  meschini  non  è  certo  che  hanno  vita  ed  anima  ? 
')  ben  sarebbe  strano  non  l'avessero  poi  i  cieli,  le  stelle,  gli  ele- 
\  menti.  Chi  mai,  dotato  appena  di  senso  comune,  negherà  vi- 
(  vano  la  terra  e  l'acqua,  esse  che  danno  vita  a  tante  piante 
^  ed  animali?  E  non  solo  hanno  anime,  ma  queste  anime  ragio- 
(  nano  ;  e  di  molte  si  conoscono  i  nomi ,  le  evocazioni  de'  quali 
viene  a  tant'uopo  per  compiere  opera  di  magia. 

»  Il  nostro  studio  appunto  verserà,  in  primo  luogo,  attorno 
alla  maniera  onde  ai  chiaroveggenti  si  palesano  le  virtù  del 
mondo  materiale,  per  passare  poi  a  conoscere  le  virtù  celesti: 
in  secondo  luogo,  attorno  alle  discipline  degli  astrologi  :  final- 
mente al  come  si  rinvigorisca  il  tutto  per  via  di  cerimonie. 
In  tutto  ci  appoggeremo  all'esperienza,  arte  delle  arti,  vera 
chiave  di  tutti  i  trovati,  e  che  l'orma  la  gloria  di  questa  nostra 
età  illuminata. 

»  La  magia  è  potentissima  facoltà  misteriosa,  che  abbraccia 
la  cognizione  delle  cose  arcane;  è  insomma  la  scienza  vera. 
Di  qui  lo  studio  che  ad  acquistarla  e  crescerla  han  posto  i 
maggiori  sapienti,  dell'esperienza  appunto  servendosi. 

—  257  — 


□  CAPITOLO    X. 


»  Di  quattro  elementi  tutte  le  cose  sì  compongono,  né  di 
più  potrebbero  essere,  né  di  meno:  fuoco,  aria,  terra,  acqua; 
e  ciascuno  ha  tre  qualità  ;  onde  risulta  lo  stupendo  numero  di 
dodici,  che  passa  pel  sette  al  dieci,  arrivando  alla  suprema 
unità,  da  cui  dipendono  tutti  i  meravigliosi  effetti.  Le  virtù 
naturali  delle  cose,  altre  sono  elementari,  come  il  bagnare,  lo 
scaldare:  altre  provengono  dagli  elementi  che  le  compongono, 
come  il  far  digerire,  mollificare,  corrodere,  ecc.  Oltre  queste , 
ve  n'ha  di  occulte  ,  come  elidere  il  veleno  ,  attirare  il  ferro  : 
come  la  virtù  della  remora,  pesciatolino,  e  che  pure  basta  colla 
coda  ad  arrestare  qualunque  gran  naviglio. 

»  Al  modo  che  nello  spirito  di  Dio  esistono  le  idee,  cosi 
neir  anima  del  mondo  vi  esistono  altrettante  ragioni  seminali, 
mediante  le  quali  Iddio  fece  i  cieli,  le  stelle,  le  figure;  ed  a 
quelle  impresse  le  loro  singole  proprietà.  Tutte  dunque  le  virtù 
e  proprietà  delle  specie  inferiori  dipendono  da  queste  stelle,  da 
queste  figure,  da  queste  proprietà;  per  modo  che  ciascuna 
specie  terrestre  ha  una  figura  celeste  che  le  corrisponde  ,  e 
da  cui  trae  mirabile  efficienza.  La  figura  e  posizione  de'  corpi 
celesti  a  molti  individui  conferisce  singolari  virtù  :  giacché  dal 
momento  che  uno  comincia  ad  essere  sotto  un  ascendente  fisso, 
0  dominato  da  qualche  costellazione,  contrae  certa  maravigliosa 
particolarità  d'operare  e  di  ricevere.  Ben  dunque  il  grande  fi- 
losofo Avicenna  ebbe  a  dire  che  tutto  quanto  si  fa  quaggiù, 
trovasi  già  prima  ne'  movimenti  e  nelle  idee  delle  stelle  e  dei 
globi. 

»  A  chi  non  è  noto  e  certo  che  la  calamita  attrae  il  ferro, 
che  r|ambra  confricata  muove  la  paglia,  che  1'  asbesto  acceso 
una  volta  non  si  spegne  che  a  gran  fatica  :  che  il  carbonchio 
luce  nel  bujo,  il  diaspro  stagna  il  sangue,  il  fegato  di  cama- 
leonte, bruciato  alle  estremità,  eccita  pioggie  e  tuoni,  la  pietra 
elitropia  rende  invisibile  chi  la  porta  ?  Cresce  un'erba  in  Etiopia 
che  dissecca  gli  stagni  ,  ed  apre  qualunque  luogo  chiuso:  una 
in  Tartaria  che,  chi  ne  gustò,  può  bastare  dodici  giorni  senza 
mangiare  né  bevere. 

>  Il  sangue  di  basilisco  fa  ottenere  ogni  desiderio  beven- 
done :  una  pietra  morsicata  da  un  can  rabbioso  mette  resia 
fra  chi  la  beva  polverizzata:  se  della  spada  onde  un  uomo  fu 
ammazzato,  facciasi  un  morso,  il  cavallo  per  bizzarro  che  sia,         S 

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MAGIA  D   "jr. 

verrà  domato:  se  s'immolli  nel  vino,  e  quel  vino  si  mesca  ad 
un  malato  di  quartana,  eccolo  guarito. 

»  Questi  son  fatti,  accertati  dall'  esperienza  ch'esser  suol 
fonie  ai  ?nvi  di  nostr'  arie  ^  :  spetta  ai  filosofi  l' indagarne  il 
perchè.  E  già  l'analogia  ne  sincera  che  in  ogni  erba,  in  ogni 
sasso  risiede  una  virtù  ed  una  operazione  mirabile  ,  e  tanto 
più  in  ogni  stella  :  né  si  dà  altra  causa  necessaria  degli  effetti, 
se  non  l'accordo  ed  il  legame  del  tutto  colla  causa  prima  ,  e 
la  loro  corrispondenza  con  questi  archetipi  divini. 

»  Di  tali  occulte  virtù  come  si  viene  in  chiaro  ?  col  cer- 
care per  via  di  somiglianze.  Vuoisi  dunque  comunicare  alcuna 
proprietà?  bisogna  scegHere  le  cose  in  cui  questa  si  ritrovi 
eminente  ,  e  prenderne  una  parte  nel  luogo  dove  essa  ha  mag- 
giore virtualità.  A  grazia  d'esempio,  per  rendere  ardito  scer- 
rete il  cuore  0  gli  occhi  o  la  fronte  d'un  gallo  o  d'  un  leone. 
In  tal  guisa  è  provato  dall'esperienza  che  se  alcuno  ha  indosso 
il  cuore  di  un  corvo,  o  la  testa  d'un  pipistrello  legata  al  braccio 
)  destro,  non  può  più  dormire  :  le  rane  ,  il  barbagianni  rendono 
\  loquaci  ;  anzi  la  lingua  d'  una  rana,  sottomessa  al  capo  d'  un 
addormentato,  lo  fa  sonniloquio,  come  il  cuore  d'un  gufo  messo 
^  sul  petto  a  sinistra  di  una  donna  dormente  ,  le  fa  rivelare  i 
suoi  secreti.  Chi  non  sa  che  i  vecchi  ringiovaniscono  mangiando 
'         serpenti  ? 

^  »  Le  virtù  occulte  provansi  anche  per  via  d'opposizione  , 

\         giacché  non  v'  è  cosa  che  non  abbia  le  sue  antipatie,  come  il 
(         fuoco  è  avverso  all'acqua:  marte  e  venere  a  saturno  :  marte, 
:         mercurio  e  la  luna  al  sole.  La  quale  nimicizia  fra  le  stelle  de- 
riva dallo  stare  in  mansioni  opposte  le  une  alle  altre  ;  lo  perchè 
Eraclito  scrisse   che   quaggiù   tutto    si   fa   per   contrarietà    ed 
amicizia''.  Quaggiù  la  calamita  ha  simpatia  col  ferro,  lo  sme- 
raldo colle  ricchezze,  il  diaspro  colla  generazione,  l'agata  col- 
>         l'eloquenza,  il  bitume  col  fuoco  :  la  palma  femmina  iimail  maschio, 
';         e  curvansi  una  ver  1'  altro;  le  viti  amano  gli  olmi;    v'  è    un 
ì         amore  degli  animali  con  esseri  inanimati:  così  la  gatta  predi- 


si Dante. 

e  Mutali  i  nomi,  osgi  diciamo  por  forza  d'aUrazione  o  di  repulsione. 


—  25 


CAPITOLO    X. 


lige  il  puleggio  selvatico,  e  stropicciandosene,  si  feconda  senza 
maschio  :  e  la  cavalla  di  Cappadocia  concepe  e  figlia  di  vento. 
»  Ai  quali  fenomeni  prestando  attenzione,  gli  uomini  ap- 
presero dalle  bestie  molti  rimedj  :  e  le  rondini  insegnarono  che 
l'erba  chelidonia  sana  del  mal  d'occhi:  molti  si  valgono  delle 
foglie  di  lauro;  l'upupa,  se  trovasi  male  per  aver  mangiato 
uva,  guarisce  coll'adianto  capelvenere:  i  cervi  liberansi  dalle 
infisse  freccie  col  dittamo. 

»  A  queste  simpatie  fanno  riscontro  le  antipatie,  come  fra  il 
rabarbaro  e  la  bile,  fra  la  teriaca  e  il  veleno,  fra  l'amatista 
e  r  ubbriachezza ,  fra  l'agnocasto  '^  e  i  moti  sessuali,  fra  il  co- 
rallo e  il  mal  di  stomaco;  il  fiele  del  corvo  disvia  gli  uomini 
/  dal  terreno  ove  sia  stata  sepolta  alcuna  cosa;  l'ambra  attira 
{  ogni  corpo,  eccetto  l'erba  detta  confetto  de'  cavalli,  e  le  cose 
;  unte  d'olio ,  per  quale  ha  naturale  repugnanza. 
)  »  Lungo  sarà  il  ragionar  nostro  intorno  a   queste  virtù , 

\  discoperteci  dall'esperienza  e  dall'  autorità  de'  savi ,  e  che  evi- 
)  denternente  sono  infuse  ne'corpi  mercè  l'influenza  delle  stelle. 
l  Ne  è  cosi  facile,  come  alcuno  presume,  il  conoscere  sotto  quali 
^  stelle  o  segni  stieno  le  diverse  cose:  pure  si  può  apprenderlo 
'  o  dall'inclinazione  dei  raggi,  o  dal  moto  e  dalla  figura  de'corpi 
)  superiori,  o  dal  colore  e  odore,  e  talvolta  dai  loro  efietti.  Da 
ciò  si  chiariscono  solari  il  fuoco ,  la  fiamma ,  il  sangue  e  gli 
spiriti  vitali ,  perchè  tendono  in  su  ;  1'  oro  pel  suo  colore  ,  il 
carbonchio  per  la  luce  ;  dalla  luna  ritraggono  la  terra,  l'acqua 
ed  ogni  corpo  umido,  i  succhi  animali  bianchi,  l'argento  il  cri- 
stallo ;  e  via  cosi  discorri  degli  altri  pianeti.  Anzi,  quanto  si 
trova  quaggiù,  si  fa  sotto  la  dominazione  dei  pianeti;  e  i  re- 
gni e  le  Provincie  sono  pure  sottoposti  ciascuno  al  proprio. 
Altrettanto  dicasi  de' segni  e  delle  stelle  fisse. 

»  Vuol  dunque  altri  conoscere  la  forza    di  qualche   parte 
del  mondo  o  di  qualche  stella?  il  può  servendosi  delle  cose  che 


7  Perciò  se  ne  collocava  una  pianta  nel  chiostro  dei  conventi.  Tal  qualità 
era  comune  al  nenufar  e  alle  orchidee,  ma  più  bizzarra  era  la  mia;  poiché,  secondo 
la  scuola  salernitana, 

ruta  viris  minuit  venerem,  mulieribus  addit.  p 

—  260  —  Q— J 


.  pare  anelino  coniiivesse  a  que;,'!!  amori  ;  e  forse  per  fare  onta  al  Suiabouifazio  ,  col 
quale  era  veuulo  ia  rotta,  indusse  Sordello  a  rapirla 

}  CAf.  XL  l'Ufi.  300. 


"H  MAGIA 


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le  si  rapportano,  e  che  ne  subiscono  le  influenze.  Per  la  con- 
formità de'  corpi  inferiori  coi  superiori  possono  ,  mediante  le 
influenze  del  cielo,  attirarsi  i  celesti  ed  anche  gli  spiriti  che 
informano  le  stelle.  Chi  potrebbe  negare  che,  per  via  d'artifìzii 
profani,  possano  evocarsi  gli  spiriti  maligni,  come  gli  angeli 
per  le  opere  buone  ? 

»  Resteranno  poi  gl'importantissimi  soggetti  dell'avvincere 
gli  uomini  d'amore  e  di  odio;  del  produrre  salute  o  malattie; 
dell'impedire  che  i  ladri  possano  rubare  in  un  dato  posto,  né 
un  esercito  passare  i  confini,  né  i  vascelli  uscire  d'  un  porto , 
né  un  molino  girare  ,  né  da  una  fonte  attingersi  acqua  ,  ecc. 
Tant'è  l'importanza  sociale  della  nostra  scienza! 

»  Tali  effettti  appartengono  alla  magia ,  la  quale  è  di 
quattro  sorta  :  la  ìiaturale ,  che  conoscendo  meglio  del  vulgo 
le  forze  della  natura  e  queste  simpatie  e  antipatie,  ottiene  ef- 
fetti portentosi,  come  le  fantasmagorie,  i  ventriloqui;  \d.  mate- 
matica, che  ,  dotta  nelle  leggi  di  meccanica  ,  può  congegnare 
mirabili  macchine  e  automi,  o  raggiungere  soluzioni  inarriva- 
bili al  comune  ingegno;  \^  avzelenatrice,  che  fa  bevande  por- 
tentose e  filtri,  come  quelli  con  cui  Circe  tramutava  gli  uomini 
in  ciacchi  ;  la  cerimoniale,  più  dell'altre  augusta  e  potente,  che 
dividesi  in  geozìa,  che  comunica  cogli  spiriti  malvagli,  e  teurgìa 
con  genii  puri  ^. 

»  Gli  incantesimi  si  fanno  con  bevande  o  con  unguenti;  i 
filtri  amatorj  con  oggetti  che  s'attaccano  o  si  sospendono,  anelli, 
sortilegi,  immagini,  caratteri,  incantamenti,  imprecazioni,  lumi, 
numeri,  scongiuri,  esorcismi.  Quanta  i  veleni  abbiano  virtù,  ne 
sia  prova  questo  fatto,  che  in  Italia  v'aveva  donne  le  quali, 
dando  a  mangiar  del  formaggio,  mutavano  gli  uomini  in  bestie, 
e  poiché  se  n'erano  dilettate,  li  tornavano  in  uomini. 

»  Anche  certi  sufi"umigi  hanno  connessione  colle  stelle,  e 
sotto  la  influenza  loro  possono  assai.  Cosi  facendone  uno  di 
coriandro,  prezzemolo  o  giusquiamo  con  menta,  compariranno 
i  demonj:  ma  se  vi  si  aggiunge  succo  di  papavero,  cacciansi 
da  qualunque  luogo.  Dove  vuoisi  avvertire  che,  se  i  profumi 
si  drizzano  al  sole,  facciansi  con  corpi  solari,  con  lunari  se  alla 


8  La  iiiaciia  bianca  è  recente  inlroihizionc  de'  giocolieri.  } 


—  251  — 


ali 


Cantù  —  Ezelino.  ^"^ 


CAPITOI.O    X.  □''— ; 


luna,  ecc.  :  e  che  in  tutte  le  opere  buone,  come  sarebbe  il  far 
amare,  si  usino  di  grato  odore,  di  cattivo  per  sentimenti  ma- 
levoli. 

»  Quanto  alle  legature,  è  certo  che,  attaccando  stella  di 
mare  e  sangue  di  volpe  con  un  chiodo  di  rame  ad  una  porta, 
nessun  filtro  saprebbe  nuocere,  né  un  uomo  potrà  mai  usare 
con  donna  la  quale  tenga  a  lato  un  ago  ch'ella  abbia  messo 
in  un  letamaio  ,  copertolo  di  fimo  e  ravvolto  in  un  drappo 
mortuario. 

»  Tanta  è  la  virtù  de'  legamenti  di  alcune  cose  ;  purché 
non  passi  inavvertita  l'avvertenza  di  farli  sotto  certe  costella- 
zioni, e  con  fili  di  metallo  o  seta,  capelli  o  nervi,  peli  o  setole, 
a  norma  del  pianeta  che  vuoisi  attrarre.  A  consimile  ragione  ( 
si  confezionano  certi  anelli,  prendendo  un'  erba  sottoposta  ad  ( 
una  stella  benigna,  quando  questa  domina,  e  ponendola  entro  ) 
un  metallo,  con  una  pietra  conveniente  e  con  farvi  certe  m-  ) 
magini,  che  v'insegnerò  ;  come  vi  esporrò  diverse  maniere  d'in-  ì 
canti.  ; 

»  L'osservazione  dunque  e  l'esperienza  sono  i  fondamenti  ) 
della  scienza  nostra;  e  colla  loro  finezza  si  vennero  a  scoprire  ^ 
rilevantissimi  effetti.  Vuoi  sanare  della  quartana?  attacca  ra- 
schiatura delle  unghie  del  malato  al  collo  di  un'anguilla  in  un  \ 
pannolino ,  e  lasciala  tornare  all'  acqua  :  oppure  metti  al  collo  | 
del  malato  un  chiodo  di  forca  involto  in  lana  ;  oppure  un  pezzo  >- 
di  forca  nascondi  in  un  buco  ove  il  sole  non  penetri.  Dalla 
tosse  si  guarisce  sputando  in  bocca  ad  una  rana  mentre  monta  : 
sulle  piante.  Ed  assai  altre  pratiche  vi  mostrerò,  a  prò  dell'u-  \ 
manità  conservate  dai  veggenti:  qui  mi  limito  ad  avvertire  che  } 
tutti  questi  incanti  sono  più  forti,  quando  nel  farli  tengansi  le  ; 
ginocchia  congiunte,  e  le  gambe  una  sopra  l'altra  ;  ragione  per  ; 
la  quale  dinanzi  a  re  e  duchi  non  si  permette  quest'atteggia-  .' 
mento.  E  assicurasi  che,  stando  in  piedi  avanti  la  porta  e  chia-  ( 
mando  a  nome  un  uomo  che  giaccia  con  una  donna,  ed  egli  l 
risponda,  e  configgendo  nella  porta  un  coltello  od  uno  spillo  ,  ' 
cui  siasi  rotta  la  punta,  finché  queste  rimangono,  i  due  non  ^ 
)         potranno  accoppiarsi.  ^ 

I  Qui  il    nostro    Guido   Bonatto    prosegue  ragionando  degli         } 

ì         auguri,  delle  divinazioni,  de'  sogni,  dell'estro,  tutte  maniere         S 
!;         per  le  quali  si  può  giungere  alla  scoperta  del  vero;  poi  delle         \ 

Un  -  262  -  Dp9 


ra^ 


parole  e  delle  figure  ;  ed  io  ve  ne  dispenserò  per  giungere  al 
punto  più  nobile  e  sublime!  —  Le  scienze  matematiche  (die  egli 
seguitando)  tanto  sono  importanti  che  chi  studia  in  magia  senza 
qu'este,  a  nulla  di  bene  avanza,  e  scialacqua  il  suo  tempo.  Pe- 
rocché tutto  quanto  si  opera  quaggiù  è  condotto  e  governato 
con  numero,  peso,  misura,  armonia,  moto  e  luce:  e  le  scienze 
ir.atematiche  sole  possono,  senz'altra  virtù,  produrre  operazioni 
«imili  alle  naturali.  Tutti  i  più  famosi  filosofi  e  i  dottori  di 
cristianità ,  e  gli  Arabi ,  maestri  di  coloro  che  sanno  ,  asseri- 
scono insita  ne'  numeri  una  virtù  mirabile  ed  efficace.  E  ba- 
j  sterebbe  l'erba  detta  ^oenlafiton,  cioè  cinque  foglie,  a  palesar 

f  la  potenza  de'  numeri,  giacché  essa  resiste  a  filtri  e  scaccia  i 
'.  demonj  ;  prendendo  una  delle  due  foglie  due  volte  al  giorno 
nel  vino  ,  dissipa  1'  nbbriachezza  ;  tre  foglie  guariscono  della 
/  terzana,  quattro  della  quartana.  Cosi  chi  nasce  al  settimo  mese 
(  risana  le  scrofole  toccandole.  Una  serpe  battuta  una  volta  con 
\  una  canna,  muore  ;  se  le  dai  due  colpi  si  fa  più  rubesta.  iNè 
i  ciò  deriva  dal  numero  naturale,  sibbene  dalla  ragione  formale 
\  che  é  in  esso  numero.  E  se  mai  col  lasso  dei  secoli  si  arriverà 
(  a  congiungere  numeri  di  parole  e  naturali  coi  numeri  divmi , 
(  e  il  rapporto  loro  coi  tempi,  si  potranno  effettuare  operazioni 
non  più  vedute  e  conoscere  cose  stupende.  Fortunati  i  posteri 
che  dal  progresso  vi  saranno  portati  !  Finché  si  compiano  i 
tempi    vi  diviserò  le  proprietà  di  ciascun  numero. 

Se  già  questa  lezione  non  vi  fece  l'effetto  delle  accademiche, 
caschereste  di  sonno  ov'  io  seguissi  queste  singolarità  dei  nu- 
meri, né  guari  v'importerebbe  sapere  che,  quando  i  maghi 
fanno  certi  gesti  da  alcuno  creduti  ridicoli,  non  é  se  non  una 
maniera  più  sublime  di  numerare.  Tanto  diletto  quanta  utilità 
cavereste  pure  dalle  infinite  maniere  eh'  egli  insegnava  onde 
scrivere  i  numeri,  e  dalle  sue  spiegazioni  circa  il  valore  e  l'ef- 
ficacia de'  segni  geometrici  e  dei  suoni  musicali. 

—  Ala  (prosegue)  perchè  la  virtù  naturale  operi  meravi- 
glie, deve  essere  animata  e  accompagnata  dall'osservazione  delle 
cose  celesti,  a  cui  sono  suddite  le  terrene.  Chi  negasse  l' in- 
flusso delle  stelle  ,  impugnerebbe  la  sapienza  di  Dio  e  1'  espe- 
rienza. Dio  farebbe  nulla  invano  ?  ora  il  sole  e  la  luna  servono 
a  darci  luce  ma  i  pianeti  e  le  stelle  cosa  farebbero  a  noi,  se 
(  non  fosse  l'influir  sulle  cose  di  quaggiù?  E  che?  i  minerali,  . 
113  _  2r,3  -  D-il 


( 


\ 


CAPITOLO     X. 


"^ 


i  metalli,  gl'insetti,  hanno  proprietà  loro,  e  non  ne  avrebbero 
gli  astri?  Importa  dunque  in  ogni  opera  magica  osservare  le 
situazioni,  i  movimenti,  gli  aspetti  delle  stelle  e  dei  pianeti  ne' 
loro  segni  e  ne'  gradi  loro.  Allora  dunque  che  vogliate  fare 
cosa  riguardante  alcun  pianeta  ,  converrà  lo  collochiate  nelle 
sue  dignità  propizie,  dommanti  nel  giorno,  nell'ora  e  nella  fi- 
gura del  cielo. 

»  I  corpi  celesti  operano  sulle  cose  inferiori  mediante  il 
calore ,  il  lume  ,  il  moto  ,  1'  aspetto.  Ora  se  non  variassero  le 
cause  ,  non  varierebbero  gli  effetti  :  e  chi  vuol  addottrinarsi 
degli  effetti  deve  guardare  le  cause  ,  cioè  i  pianeti.  Già  dagli 
astronomi  aveste  contezza  del  numero  dei  pianeti,  della  natura 
di  ciascuno,  del  sesso,  delle  passioni,  della  felicità  od  infelicità, 
e  come  giove  e  venere  sieno  fortunati,  saturno  e  marte  infausti. 
Il  cielo  poi  dividesi  in  dodici  case,  che  qui  vi  offro  delineate  : 


a^- 


»  I  quattro  angoli  sono  le  case  più  forti  del  cielo,  sebbene 
di  fortezza  differente,  e  la  prima  più  forte  di  tutte  ;  se  non  che 
la  X  prevale  nelle  cose  spettanti  a  gloria  secolare,  come  regni, 
ducati,  podestarie  ,  ecc.  La  II,  Y,  VIII,  XI,  dette  succedenti 


—  264  — 


D 


rr-D  OROSCOPI  D  H 

f°. I 

perchè  succedono  a  fianco  degli  angoli,  son  men  forti  di  queste, 
se  non  che  la  XI  prevale  nelle  cose  di  sperata  fortuna  ;  lo 
perchè  dicesi  casa  della  fiducia.  Deboli  sono  la  III,  VI,  IX,  XII, 
che  appellansi  cadenti ,  né  promettono  bene  durevole  ,  se  non 
che  la  IX  si  preferisce  nelle  dignità  ecclesiastiche. 

«  Riservandomi  ad  esporre  i  beni  ed  i  mali  che  sono  signi- 
ficati da  ciascuna  casa,  secondo  'che  vi  si  trovi  il  pianeta  di 
chi  nasce,  qui  v'indicherò  quel  che  ciascun  pianeta  influisce 
sulla  concezione  de'  fanciulli.  Kel  primo  mese  saturno  coagola 
la  materia,  senza  però  disseccarla  ;  onde,  se  saturno  sarà  ben 
disposto,  la  forma  del  fanciullo  resterà  fovorevolmente  coor- 
dinata in  modo  che  ciascun  pianeta  potrà  operare  convenien- 
temente. Tsel  secondo  mese  giove  dà  spirito  e  membra;  e  se 
sarà  ben  disposto  il  concetto  avrà  belle  proporzioni  e  abitudini 
e  facile  respirare.  Nel  terzo,  marte  colora  il  sangue.  Nel  quarto 
il  sole  gli  tramuta  le  membra  principali.  Nel  quinto  ,  venere 
finisce  le  orecchie,  il  naso,  le  sopracciglia,  i  genitah.  Nel  sesto 
mercurio  i  reni,  la  lingua,  i  polmoni  e  tutti  i  fori  del  corpo. 
Nel  settimo  la  luna  apre  i  spiragli  del  polmone  :  allora  ogni 
pianeta  ha  già  influito,  ed  ecco  perchè,  se  il  fanciullo  nasce, 
è  completo  e  vitale.  Nell'ottavo  mese  torna  a  saturno  a  con- 
solidare le  membra:  nel  nono  giove  separa  il  feto  dalla  madre. 

«  Ogni  pianeta  ha  il  proprio  giorno,  come  la  luna  il  lunedi, 
marte  il  martedì,  ecc.  ;  e  la  propria  ora,  cioè  alla  domenica  la 
prima  di  giove,  la  seconda  di  marte,  ecc  ;  poi  delle  ore  stesse 
la  prima  del  giorno  e  della  notte  è  maschia,  la  seconda  fem- 
mina, e  così  alternando  ;  considerazione  rilevantissima  a  chi 
specula  le  natività. 

»  E  l'ora  della  natività  è  appunto  la  più  osservabile  degli 
astrologi ,  perchè  i  progressi  ed  i  fini  d' una  cosa  stanno  la- 
tenti nel  suo  cominciamento  ,  come  nel  seme  ogni  vegetabile' 
Ma  ninna  cura  è  soverchia  nel  cogliere  il  momento  preciso  da 
erigere  l'oroscopo  :  cioè  prendere  il  medio  del  cielo  in  quel 
dato  istante  ,  e  dietro  quello  cercare  gli  altri  angoli  e  domi- 
cilii,  dai  quali  si  trovano  i  luoghi,  e  i  padroni  de'  luoghi  dei 
pianeti.  In  ciascuna  casa  sta  la  risposta  ad  un  quesito.  Nell'oro- 
scopo cerchiamo  del  temperamento,  delle  qualità  dei  corpi,  della 
grandezza,  di  ciò  che  col  corpo  si  fa,  come  mali,  viaggi,  ecc.: 
nella  seconda  casa  le  ricchezze:  nella  terza  brevi  cose,  i  fra- 


'□  CAPITOLO   X.  LT 


j         telli,  ecc.  :  nella  quarta  dei  parenti,  dello  cose  occulte  o  sotter- 
\         ranee,   come  tesori,  prigioni,  ecc. 

')  »  Anco  i  pianeti  bisogna   consultare  ,  avvegnaché  il    sole 

^         significa  gloria  e  dignità  ,  ed  anche  padre  e  marito  :  la  luna  , 
)         moglie,  madre,  anima,  senso:  da  saturno  deduconsi   le   cose 
occulte,  la  pertinacia  d'animo,  e  il  padre  e  gli  affari  lenti,  ecc. 
La  felicità  poi  od  infelicità  dell'azione  si  arguisce  dalla  condi- 
zio  ne  e  dallo  stato  del  pianeta  dominante  ,  cioè  se  è  benefico 
^         o  maligno,  diretto  o  retrogrado,  mattinale  o  vespertino. 
j  >   Ma  quale  tra  gli  eventi  importa  tanto  come  la  durata 

{         della  vita  ?  Ora  questa  si  deduce  dal  luogo  afelico  ,  dai  domi- 
)         nauti  di  quello  e  dagli  uccisori.  Cinque  sono  i  governanti  della 
(        vita:  il  sole,  la  luna,  l'oroscopo,  la  parte  della  fortuna  ed  il 
dominatore  di  quei  luoghi.  I  posti  afelici  sono  cinque;  il  mezzo 
del  cielo  ,  1'  oroscopo  ,  le  case  ,  XI ,  VII,  IX.  Se  in    alcuna  di 
)         queste  trovasi  uno  dei  cinque  suddetti  governanti ,  esso    indi- 
cherà la  vita.  Dal  che   siete   chiari  che  uno  può  avere   molti 
)        afelici  ;  e  molti  ne  hanno  quelli  che  devono  crescere ,  mentre 
(         deboli  rimangono  quelli  d'un  solo,  ecc.,  ecc.  | 

)  »  Gli  uccisori  in  direzione  retta  sono  due,  saturno  e  marte, 

s  e  i  loro  aspetti  opposti  e  quadrati  che  fanno  sei.  Ma  chiunque  / 
)  voglia  guidar  a  bene  le  operazioni  astrologiche  deve  por  mente  ) 
a  due  cose,  o  almeno  ad  una  delle  due:  ciò  sono  i  moti  delle  ^ 
stelle  e  il  tempo.  I  moti ,  se  siano  in  elevazione  od  in  calo , 
essenziali  od  accidentali  i  loro  angoli,  e  principalmente  in  quale 
stato  s'incontrino  nell'ottava  sfera;  il  che  trascurando  alcuni 
neir erigere  le  figure  dei  corpi  celesti,  rimasero  delusi.  Il  tempo 
si  è  r  ora  del  pianeta ,  intorno  alla  quale  però  gli  astrologi 
ancora  non  vanno  bene  d'accordo. 

»  La  grandezza  e  virtù  dei  corpi  celesti  è  tanta,  che  non 

solo     le  cose  naturali ,  ma    anche  le   artifiziali ,    quando  siano 

giustamente  esposte  alle  celesti,  ricevono  tosto  le  impressioni 

dell'agente  potentissimo.  Per  questo  non  solo  colla  mistura  di 

cose    naturali ,  ma  si  ancora  col  mezzo  d'  immagini ,  suggelli  , 

anelli  ,  specchi  od  altro  ,    fabbricati   sotto   certe  costellazioni , 

ponno    ricevere   alcune  illustrazioni  dall'  alto.  Di  qui  1'  arte  di 

(         formare  segni  che  influiscano  al  bene  o  al  male.  Per  esempio, 

/         vuoi  tu  rendere  alcuno  felice  ?  è  mestieri  fare   una  immagine 

>         ove  siano  cose  fortunate,  come  i  segni  e  i  pianeti  di  sua  vita,        ^ 

Lo  -^00-  ni 


|— u  OROSCOPI  D 

il  suo  ascendente  felice,  il  mezzo  del  cielo  e  i  dominanti,  una 
parte  della  fortuna,  e  il  dominante  della  congiunzione;  il  con- 
trario, se  vogliasi  farlo  sgraziato. 

»  Isè  l'osservare  le  congiunzioni  delle  stelle  giova  solo  per 
dare  a  conoscere  la  vita  dell'uomo,  ma  si  anche  la  vita  degli 
imperi,  delle  religioni,  del  mondo.  Fra  gli  astrologi  è  celebra- 
tissimo  il  calcolo  di  Albumasar  ,  sapiente  s'  alcun  ve  n'  ha  ,  il 
quale  trovò  che  la  religione  di  ^ylaometto  non  durerà  che  cin- 
quecentoquarantaquattro  anni ,  e  quella  di  Cristo  millequat- 
trocensessanta  :  avvenimenti  dei  quali  il  primo  pur  troppo 
andò  fallito,  forse  appunto  perchè  egli  trascurò  alcuno  dei  più 
necessari  elementi  del  calcolo  ;  l'altro  toccherà  a'  nostri  posteri 
il  veder  verificato. 

>  Di  questa  scienza  tanto  estesa  quanto  utile,  oserei  dire 
essenziale,  basti  questo  saggio  per  invogliarvi  a  seguirmi  quando 
vi  mostrerò  la  natura  di  ciascun  pianeta,  poi  i  loro  accidenti, 
le  congiunzioni,  le  significanze,  indi  le  parti  de'  giudizi:  d'onde 
scenderemo  ad  un'infinità  di  quei  casi  pratici  che  più  sovente 
occorrono,  perchè  ognuno  di  voi  se  ne  possa  regolare  ne'  mille 
accidenti  della  vita,  a  vantaggio  del  prossimo  e  gloria  di  Dio  : 
cose  tutte  che  vi  riusciranno  ordinate  e  chiare  non  meno  di 
quelle  divisate  sin  qui.  • 

»  Ora  vi  darò  soltanto  alcuni  avvisi  importanti,  perciocché 
non  di  rado  agli  astrologi  s'è  visto  arrivar  male  per  aver  detto 
il  vero,  0  per  essersi  ingannati.  I  quali  pericoli  causerete,  ed 
otterrete  reputazione  eguale  a  quella  dei  medici,  se  in  primo 
luogo  non  vi  farete  a  indovinare  ,  se  non  bene  istrutti  Meli  a 
scienza  nostra,  de'  pianeti,  della  posizione;  2.  rimoverete  ogni 
odio,  amore  e  paura;  3.  non  andrete  spacciando  i  vostri  oracoli 
pe'  trivi,  ma  ne  farete  prudente  riserbo  ;  4.  non  indovinerete  a 
chi  vi  richiede  per  tentarvi,  od  ha  1'  oroscopo  dubbio  ,  o  che 
paga  a  miseria  ;  5.  esaminate  prima  ben  bene  l'uomo  ;  6.  giam- 
mai non  astrologate  un  triste  o  ribaldo,  come  neppure  uno 
sconosciuto,  né  un  principe  malvagio  ;  7.  non  rispondete  se  non 
a  chi  v'interroga,  e  stando  ai  sommi  capi,  e  in  parole  compen- 
diose; 8.  ad  un  principe  non  predite  mai  una  disgrazia,  ma  solo 
il  pericolo  di  quella;  9.  alle  predizioni  aggiungete  sempre:  Se 
non  s'imbatterà  in  pericoli  di  comuni  calamità.  Se  non  ostino 
i  processi  intcrmerìii,  ecc.,  ecc.  » 

—  ?fi7  —  n     I 


gp^ ^ 

■Q  CAPITOLO    X.  D    '-| 

Qui  basti,  e  già  è  troppo;  che  il  vedere  l'umana  ragione 
abbaccare  a  questo  modo,  e  per  le  vie  e  colle  arti  per  le  quali 
oggi  ne  sembra  raggiungere  la  verità,  è  contemplazione  che, 
se  da  un  lato  scoraggia,  dall'altro  può  infondere  utile  umiltà, 
giacché  anche  quelle  follie  nascevano  da  sublime  desiderio  di 
acquistar  sapienza  ,  e  di  crescerla  coli'  unirsi  alle  potenze  su- 
perne, per  cui  mezzo  speravasi  ricevere  l'influenza  divina.  Chi 
guardi  alle  opinioni  su  cui  fondavasi  il  vivere  e  il  credere  d'al- 
lora, non  le  troverà  che  logica  deduzione  :  chi  ne  voglia  trar 
un  poco  di  morale,  rifletterà  che  la  verità  e  la  felicità,  somi- 
gliano alla  selvaggina  ;  chi  vi  tira  da  ti'oppo  lontano  non  le 
coglie. 

Del  resto,  che  in  tempi  d'ignoranza  e  credulità  si  reputasse 
miracoloso  ciò  che  usciva  dall'ordinario,  dee  tanto  meno  recar 
meraviglia  a  noi,  i  quali,  in  tanto  meriggio  di  dottrine,  restiamo 
attoniti  avanti  ai  prodigi  dell'acatalessi,  dell'elettricità,  del  ma- 
gnetismo, della  galvanoplastica  ,  della  fotografìa  ,  della  chiaro- 
veggenza. L'  adulta  ragione  e'  insegna  a  verificare  i  fatti ,  e 
aspettarne  la  spiegazione  dal  tempo  e  dalla  scienza ,  allora 
voleansi  trovar  le  cause,  e  si  ricorreva  alle  soprannaturali  ;  far 
patti  col  genio  del  male,  e  per  suo  mezzo  dominare  la  natura; 
od  evocare  i  morti  affinchè  rivelassero  i  secreti,  deliri  che  tal- 
volta diventano  misfatti,  scannandosi  persino  fanciulli,  onde  del 
sangue  loro  saziar  le  ombre  ,  evocate  di  mezzo  ai  misteriosi 
pentacoli. 

Ripetiamo  però  come  tali  credenze  ,  ben  più  che  nel  me- 
dioevo, prendessero  piede  in  quel  secolo  d'oro  della  letteratura, 
nel  quale  il  libero  esame  pretese  aver  recuperato  tutti  i  suoi 
diritti  col  ribellarsi  alla  Chiesa.  Noi  non  abbiamo  a  discorrere 
di  quei  tardi  tempi  ;  bensì  nel  presente  racconto  incontrammo 
e  fatti  e  riflessi,  che  mostrano  qual  importanza  allora  s'attri- 
buisse alla  astrologia  giudiziaria.  Quel  Federico,  che  ci  voglion 
dare  per  un  tipo  dei  re  filosofi,  era  sempre  cinto  d'astrologi, 
e  trovandosi  una  volta  in  Vicenza,  volle  clie  uno  indovinasse 
da  qual  delle  porte  egli  uscirebbe  la  seguente  mattina.  Fatti 
cifre  e  figure  e  calcoli  a  iosa,  l'astrologo  scrisse  il  nome  della 
porta  in  una  cartolina  suggellata,  e  la  consegnò  a  Federico,  da 
non  aprirsi  se  non  dopo  uscito  di  città.  L'imperatore  fece  la 
notte  abbattere  un  pezzo  della  mura ,  e   di   quivi   se    n'  andò 


—  268 


Schiuso  allora  il  viglietto,  trovò  scritto  :  —  «  Il  re  uscirà  per 
porta  nuova.  »  Pensate  quanta  fu  la  meraviglia,  e  quanto  ne 
crescesse  credito  all'astrologia. 

Assai  dotta  in  questa  vanità  era  la  madre  di  Ezelino ,  la 
quale  avea  predette  le  fortune  de'  figliuoli.  A  questi  scrivendo 
Ezelino  il  Monaco  nel  1228,  quando  rompevano  a  discordia  coi 
Padovani,  notava  che  la  madre  di  essi,  sapiente  nel  conoscere 
le  rivoluzioni  delle  stelle,  le  cose  celesti  e  i  giudizi  de'pianeti, 
avea  pronunziati  sopra  di  loro  siffatti  versi  : 

E  quia  fatta  jparant  lacrimosos  'pandere  casus 
gentem  marchixiam  fratres  abolere  potentes 
viderit  Assanum,  concludent  castra  Zetionis. 

Confessate  che  questi  versi  sono  oscuri  quanto  qualunque 
sistema  di  metafisica  ;  ma  il  peggio  è  che,  secondo  ogni  proba- 
bilità, furono  inventati  dallo  storico  Rolandino  dopo  gli  avveni- 
menti, siccome  osiamo  asserire  dell'  altre  divinazioni  ond'  esso 
lardella  il  racconto.  Dopo  il  fatto  ognuno  è  savio. 

Da  tal  madre  e  di  tal  tempo.  Ezelino  restò  imbevuto  di 
pari  errori,  e  teneva  a  sua  posta  una  frotta  di  astrologi  ;  quali 
Riprandino  veronese  ,  Paolo  bresciano  ,  un  Saracino  di  luno-a 
barba  e  di  sembiante  fiero  coìne  un  Balaam;  il  canonico  Sa- 
lione  di  Padova  :  e  più  illustri  Guido  Bonatto  ,  e  Gerardo  da 
Sabioneta  che  ci  chiamano  a  dir  di  sé. 

Guido  Bonatto,  che  testé  facemmo  parlare,  dimorò  il  più 
del  suo  tempo  a  Forlì,  viaggiò  fino  in  Arabia,  o  almen  lo  disse  : 
studiò  i  classici  d'astrologia  ;  e  dell'opere  loro  diede  la  quintes- 
senza in  trattati  che  conserviamo  ^.  Nei  quali  —  coll'aiuto  di 


9  Questi  anni  si  iili.^ò  sulla  patria  sua;  titolo  d'onore,  liirebboro  i  pedanti, 
senza  ricordare  che,  ivi  noi,  si  è  disputato  con  tutto  il  calore  ammoniacale  delle 
gazzeUe,  se  una  cantatrice,  viva  e  nata  nel  paese  ove  se  ne  disputava,  appartenesse 
a  lina  provincia  o  alla  sua  vicina.  Filippo  Villani,  nella  vita  del  Bonatto  che  sta 
inedita  nella  biblioteca  Barberini  di  Roma,  dice:  Guido  Bomtti  iratus,  cutn  e>set 
florenlinus  orif/inr,  dr  Foro  Livii  se  matuiì  appellari. ..'  Fuit  sano,  quidquid  ipse 
iratus  loquatur,  oV  oppido  Coscinp  orhindus.  Cascia  è  terra  del  Valdarno  superiore. 

Non  è  d'onor  poco  argomento  l'essersi,  ai  comincia  nienti  della  tipografia,  fatte 


-  269  — 


qi 


Dio  e  di  san  Valeriano  patrono  di  Forlì,  discorre  nel  primo  del- 
l'utilità della  scienza;  nel  secondo  della  divisione  dell'erbe,  dei 
segni  e  loro  disposizione  e  percliè  sieno  dodici  appunto  ;  nel  terzo 
della  natura  dei  pianeti  e  delle  proprietà  ed  influenze  di  cia- 
scuno; nel  quarto  della  congiunzione  de'  pianeti;  nel  quinto  delle 
considerazioni  che  cadono  sopra  i  giudizi  del  moto  delle  stelle, 
e  di  quel  che  serve  ad  introdurre  i  giudizi  ;  ne'  seguenti  dei 
giudizi  stessi,  delle  case  de'  pianeti  e  del  come  si  possano  risol- 
vere le  varie  quistioni,  p.  e.,  di  dignità,  di  lode;  se  una  lettera 
contenga  bene  o  male  ;  quanto  durerà  un  convito  e  da  qual 
cibo  astenersi  ;  de'  viaggi,  del  comprare,  fabbricare  o  diroccare 
una  casa,  delle  ore  opportune  pel  matrimonio,  per  la  partenza, 
per  la  battaglia.  Al  primo  entrare  del  suo  libro  pone  che  i 
principii  non  si  possono  provare,  ma  si  devono  supporre  :  ora 
nessuno  dubita  che  il  moto  del  cielo  influisca  sul  mondo,  o  che 
con  questa  scienza  si  possono  conoscere  i  pensieri  de'presenti, 
dei  passati  e  degli  avvenire  :  concessa  la  qual  cosa  compren- 
dete che  tutte  le  trae  dietro  di  piano  e  di  cheto. 

Pregai  un  astronomo  volesse  guardare  per  entro  quell'opera, 


tre  edizioni  del  LHi''r  introductorius  ad  indicia  stellarum  del  Bonalto;  la  prima  ad 
Augusta  il  1491;  l'altra  a  Basilea  il  ISoO;  l'altra  a  Venezia  il  1506,  die  io  ho 
solt'occliio,  col  titolo  Guido  Bonatlus  de  Forlivio  decem  continens  tradatus  Astro- 
nomine.  È  in  carattere  quadro  in-foglio  di  191  carte,  con  incisionettc.  In  fronte 
v'è  Urania  e  l'astronomia  coi  dodici  segni  dello  zodiaco,  e  in  mezzo  seduto  Guido, 
avvolto  in  un  vestone  coirermellino  arrovesciato  sulle  spalle,  barbuto,  in  tesla  il 
berretto  aguzzo,  in  mano  un  globo  ed  un  qnadranto.  il  Mazzucchelli  dice  una 
copia  manuscritta  trovarsene  nella  bii)lioteca  Ambrosiana,  ma  in  fatto  non  è  che  la 
copia  di  190  considerazioni  de'  Giudizi  deWastvonomia.  Francesco  Sirigatti  (che 
nel  1500  fu  astrologo  della  signoria  di  Firenze)  tradusse  in  italiano  quest'opera, 
per  conforti  di  quel  valentuomo  che  fu  Gino  Capponi,  e  sta  manuscriito  nella 
Laurenziana.  Il  1572  fu  stampato  in  tedesco  a  Basilea  col  titolo  di  Auslesung  des 
menschlichen  Gebuii-Slunden.  Fu  pur  messo  in  francese,  e  certo  anche  in  altre 
hngue,  chi  avesse  voglia  di  cercarlo.  Giacché  o  nominato  il  Siragatti  aggiungerò 
che  nel  copialettere  di  monsignor  Goro  Ghcri  conservato  nella  biblioteca  Capponi, 
né  una  del  1"  marzo  1516  al  duca  Lorenzo  de' Medici,  silfatta.  El  Sirir/atto  mie 
venuto  a  trovare,  et  decio  eh'  io  ricordi  alla  Exc.  V.  che  non  faccia  fatto  d'arme 
da  V  a  Xll  di  questo  mese.  Ma  quando  venisse  uno  bel  tracio  che  con  racjion 
si  vedesse  da  vincere  e'  nemici,  io  attenderei  a  quello  che  io  vedessi  in  terra  el 
C  non  in  cielo. 


A 


"□  GUIDO    BONATTO  CJ    L-i 


r 


n 


10  Pars  I,  iract.  II,  png.  2,  cap.  22. 

—  271  — 


se  avesse  merito  scientifico  ;  egli  mi  disse  già  altri  averlo  fatto, 
e  mi  diede  libri  su  ciò.  Il  Ximenes  nel  Gnomone  dice  che  «  con- 
tengono pregevoli  no/ioni  di  soda  astronomia:  »  il  Montucla 
che  e' est  un  tissu  de  visions  astrologiques,  mais  qui  stipposerii 
toujours  des  connaissances  astronomiques  :  un  vivente  che  i 
matematici  chiamano  grande  erudito  e  gli  eruditi  buon  matema- 
tico, v'assicura  quii  n'estyas  douteuo:  quii  fut  considerò  cornine 
le  premier  homme  de  son  siede;  asserzione  che  vi  farà  come 
passionare  il  modo  con  cui  si  scrisse  la  storia  delle  matematiche; 
e  del  resto  rimarrete  sicuri  che  nessun  dei  tre  avea  letta  l'opera 
che  giudica  ;  come  fossero  giornalisti. 

Io  da  povero  storico  racconterò  siccome  esso  non  fu  sol- 
tanto insigne  nella  scienza,  ma  miracoloso  nella  pratica  dell'arte 
sua.  Infiniti  sono  i  responsi  che  diede,  invocando  sempre  l'aiuto 
divino  :  anzi  sostiene  che  Cristo  istesso  si  servì  dell'astrologia. 
A  Federico  II  a  Grosseto  palesò  una  congiura,  per  via  dei  suoi 
sogni  scoperta;  atteso  che  trovò  marte  nel  quinto  grado  di  là 
dal  vertice  dell'angolo  della  terra,  ed  era  in  capricorno,  e  l'ai-  ) 
titudine  sua  meridionale;  il  che  significava  l'uccisione  dell'im- 
peratore; donde  furono  accusati  Pandulfo  diFasanello,  Teobaldo, 
Francesco  ed  altri ,  e  uccisi  :  e  nessun  altro  de'  suoi  astrologi 
il  seppe  fare.  Il  Bonatto  abbaia  contro  Ezelino,  ci'Jus  ty rannidi 
non  fuit  inventa  similis,  qui  nulli  pepercit  ordini;  nidli pepercit 
religioni;  nidli  pepercit  nobilitati;  nulli  pepercit  aeiati  ;  nidli 
pepercit  sexui  ;  nulli  pepercit  sanguini  suo  vel  alieno  ;  immo 
sine  causa  proprium  fratem,  proprimn  nepotem  propriis  ma- 
nibus  interfecit.  Vale  a  dire  che  ,  a  guisa  dei  tragici  e  dei 
romanzieri,  non  pago  delle  atrocità  vere,  n'inventa  di  false,  e 
aggiunge  colla  solita  imprudenza,  et  ego  vidi  omnia  haec  '^^:  e 
le  avea  viste  come  i  succitati  storici  della  scienza  aveano  visto 
i  libri  di  lui.  Con  pari  sfacciataggine  asseriva  d'  avere  fabbri- 
cato una  statua  di  bronzo  sotto  si  prosperevole  congiunzione 
di  pianeti  che  rispondeva  oracoli,  e  di  aver  veduto  in  Ravenna 
nel  1223  uno  che  compiva  quattrocento  anni,  e  che  era  vissuto 
al  tempo  di  Carlo  Magno;    baie  che    i    filosofi    del    secolo    di 


Els 


jT-b  CAPITOLO   X.  ni 

Voltaire  si  lasciavano  dar  a  bere  dal  conte  di  Saitn-Germain 
e  dal  Cagliostro. 

Il  Bonatto  fu  astrologo  della  repubblica  di  Firenze;  e  Guido 
di  Montefeltro,  che  dagli  Italiani  era  chiamato  un  nuovo  Ulisse, 
nulla  intraprendeva  senza  sentirlo  :  qualora  uscisse  per  dar  bat- 
taglia, il  Bonatto,  salito  sulla  torre  di  San  Mercuriale,  con  un 
tocco  delle  campane  accennava  il  momento  di  vestir  l'armadura, 
con  l'altro  quello  di  montare  a  cavallo,  con  un  altro  il  partire. 
E  ben  glien'avvenne;  poiché  una  volta  predisse  sarebbe  ferito 
in  una  coscia ,  onde  portò  seco  le  ova  e  la  stoppa,  sicché 
subito  si  medicò  ^i. 

Nelle  opere  di  lui  ricorrono  frequenti  invettive  contro  i 
tunicati  cioè  i  frati,  perché  deridevano  le  sue  predizioni;  pure 
si  congratula  d'aver  avuto  anche  fra  essi  alquanti  fautori.  Di- 
cono che  venuto  vecchio,  egli  andasse  frate  Minore;  e  morì 
sul  declinare  del  secolo. 

Nomina  egli  molti  astrologi  del  tempo  suo,  Ugo  Abalugant, 
Beneguardino  Davidbain  (evidentemente  arabi),  Giovanni  Pa- 
vese, Michele  Scoto,  Stefano  francese  e  Gerardo  di  Sabioneta 
cremonese,  che  è  cosa  più  nostra.  Questo  medico  e  matematico 
tradusse  YAhìiagesto,  di  Tolomeo,  il  trattato  de'  crepuscoli  di 
Al  Hazen  e  un'infinità  d'altre  opere  dall'arabo,  per  imparar  il 
quale  e  conoscere  le  opere  era  andato  apposta  in  Ispagna. 
Diede  pure  la  Theorica  planeiariim,  la  quale  si  leggeva  nelle 
Università,  e  fu  stampata  a  Ferrara  il  1472,  a  Bologna  il  1477 
e  1480,  a  Venezia  il  1478.  Scrisse  anche  una  Geomanzia  astro- 
nomica ,  piena  di  osservazioni  per  conoscer  le  cose  preterite  , 
presenti  e  future,  a  vantaggio  di  medici,  chirurgi,  chimici,  ar- 
chitetti, cacciatori,  pescatori,  giardinieri,  agricoli  ed  altri;  e  se 
il  ventre  darà  maschio  o  femmina  ;  e  se  il  messo  che  reca  no- 
vella dica  vero  o  bugia;  e  se  si  scoprirà  il  ladro  che  rubò  ^2^ 


11  Benvenuto  da  Imola,  commento  a  Dante. 

1-  Negli  Atti  deW Accademia  dei  nuovi  Lincei,  18S1,  trovo  notizie  intorno  a 
Gherardo  Cremonese,  pel  principe  Boncompagni,  raccolta  paziente  di  quanto  di 
lui  si  ha  0  si  desse,  ma  nò  esame,  né  giudizio.  Importante  è  un  brano  inedito  di 
traduzione  d'un  trattalo  d'algebra,  che,  se  non  è  il  più  aiitico,  è  de'  primi  ove 
fosse  insegnala  agli  Europei  questa  scienza  del  raziocinio  generale  per  via  della 
lingua  simbolica.  Ivi  si  trova  anche  il  segno  negativo,  mentre  gli  Arabi  e  cosi  il  j 

^ :::: ^ 


GERARDO    DA    CREMONA 


Moltissimo    egli    era    interrogato    dai    principi ,    e    nella 
Vaticana    si    conserva    un    codice    manuscritto    de'  suoi    re- 


Fibonacci, non  conosceano  che  quantità  positive;  eppure  si  tardò  trecento  anni  a 
dedurne  l'utilissima  applicazione,  cioè  lino  a  Michele  Stifel.  La  soluzione  delle 
equazioni  di  secondo  grado  vi  é  espressa  con  questi  versi: 

Cum  rebus  ceusum  si  quis  dragmis  dabis  cquiiin 
res  quadra  medias  quadratum  adjice  drarjmas, 
radici  quorum  medias  res  excipe  demum, 
residuum  qucesH  census  radicein  osiendent. 

Non  v'è  chi  non  sappia  che  dagli  algebristi  per  cosa  s' intendeva  l' incognita,  per 
censo  il  quadrato,  per  numero  il  noto;  onde  coi  simboli  moderni  si  costruirebbe: 

x2  +  p  X  =z  9 
Donde  x  =-  -    p  -h  1/  l":  p-  +  9/» 

Seguono  gli  altri  casi:  e  ognun  vede  che  con  ciò  trovasi  prevenuto  fra  Luca 
Paciolo. 

Ai  dilettanti  di  tale  scienza  non  isgarberà  veder  qui  un  problema  e  la  sua 
soluzione. 

Quwrilur  qncenam  sint  ilice  partes  denarii,  quarum  dijferenlia^juncfa  (etragonis 
carundem,  collige  34. 

Sint  una  parlium  res,  altera  IO  minus  re  (cioè  x,  e  10  —  x).  Differentia 
10  minus  duabus  rebus,  ex  qua  2  parlium  tetragonis  conjunclis  coliigantur  100 
et  2  census  minus  20  rebus,  quae  data  sunt  aequalia  54  (cioè  x"^  +  (10  —  x)^ 
+  (10  —  x)  —  X  =  54).  Per  reslaurationem  itaque  reruw,  2  census  cum  HO 
equivalent  o'i  et  22  rebus  (cioè  2x2  +  li0rr=55  +  22  x).  Per  cjrclionem  vero 
abundantis  numeri  o6  et  2  census,  22  rebus  adaequaufur  (cioè  2  x^  +  56  =  22  x). 
El  per  conversionem  unus  census  cum  28  aequenlur  11  rebus  (cioè  x^  +  28  =  11  x). 
Resolve  par  quintum  modum,  et  re  tril  4,  cioè: 

x=-  11+1/    - 


onde  i  due  valori 


11  3 


X  =  7 
X  =  4. 


4 


L'autore  indica  solo  quest'ultimo. 

Se  non  isbaglio,  ivi  è  un  tentativo  di  rappresentare  le  quantità  per  mezzo  di 


CAPITOLO    X. 


^^ 


spensi  13,  Fra  questi  più  di  uno  ve  n'ha  diretti  ad  Ezelino  e 
ad  altri  personaggi  di  cui  si  occupa  il  nostro  racconto:  e  ne 
levammo  un  saggio ,  a  mostrare  come  costoro  procedessero 
franchi  a  spacciare  le  loro  fole  : 

«  Al  magnitìco  signor  suo  signor  Ezelino  da  Romano  il 
»  suo  devoto  Gerardo  si  raccomanda, 

»  Ricevetti  con  devozione  la  lettera  della  signoria  vostra, 
»  e  vistone  il  tenore,  vi  rispondo  breve  :  che  il  sabato  12  ago- 
»  sto  ascendendo  lo  scorpione,  non  mi  par  bene  eletto  per  fare 
»  esercito,  né  per  la  guerra,  per  ciò  che  marte  è  in  angolo 
»  ascendente,  e  il  Filosofo  dice  :  —  Torci  gli  occhi  dalla  figura 
»  ove  marte  sia  in  angolo,  e  principalmente  se  ascendente  sia 
»  lo  scorpione.  »  Lo  stesso  dice  Hall  filosofo  nell'  elezione  del 
»  principio  del  movimento  per  vincer  i  nemici.  È  necessario 
»  adattar  marte,  o  porlo  a  guardare  l'ascendente  in  trino  aspetto 


lettere,  come  noi  usiamo.  Perocché,  dove  cerca  qnaliter  figurentur  census  radiccs 
et  dragmc/',  insegna  :  Numero  censuum  lilera  e,  numero  radicum  lilera  r  ;  deorsum 
virgulas  hahenfes,  sublerius  apponanlur.  Drarjmai  vero  sine  liter'is  virgulas  habeant^ 
quotiens  hrvc  sine  diminuitone  proponuntur.  Verbi  grafia  duo  census,  tres  radice, 
quatuor  dragmoe  sic  figurentur. 


e 

equiv 

■ale 

al 

nostro 

2x^ 

3 
r 

a 

3x 

d 

al 

numero 

4 

Qui 


Chasles  aveva  asserito  che  l'al.^^ebra  numerica  fu  introdotta  in  Europa  dai 
traduttori  del  XII  secolo.  Guglielmo  Libri  lo  impugnò  amaramente.  Ecco  chi  avesse 
ragione. 

^^  Justicia  magislri  Girardi  de  Sablonela  cremonensi  super  multis  quaestionibus, 
et  certis  nativitatibus,  ac  annorum  mundi  revolutionibus. 


-274  - 


rr^a  GERARDO    DA    CREMONA                                                             D^T 

\         »  dopo  che  abbia  in  quello  la  massima  dignità  ;  e  meglio  è  che 

)         »  abbia  la  casa.  E  Cael  dice:  —  Convien  porre  ascendente  al- 

{         »  cuna  delle  case  dei  pianeti  più  alti,  dei  quali  il  più  forte  è 
<         »   quello  di  marte  quando  sia  nel  sestile  o  trino  aspetto    del- 

l^         »  l'ascendente.  »  Appare  dunque  pei  detti  dei  filosofi  che  marte 

(         »  non  si  deve  porre  in  ascendente,  ma  nel  trino  o  sesto  aspetto 

)         »  dell'ascendente,  principalmente  quando  sia  signore  dell'ascen- 

j         »  dente,  od  abbiavi  la  massima  dignità.  Cosi  Al  Kindo  dice  che 

»  lo  scorpione  è  buono  per  la  guerra  se  ivi  è  venere,  o  la  luna,  o 

»  marte  in  qualche  casa  buona:  ma  non  che  lo  scorpione  sia 

»  buono  per  la  guerra  quando  marte  è  in  esso,  ecc. 

»  Corrente  l'anno  di  Cristo  1255,  giovedì  15  luglio,  chiese 

»  il  signor  Buoso  di  Dovara  cosa  avverrebbe  tra  lui  e  alcuni 

»  che  crede  a  sé  avversi,  e  che  trattino  contro  lui  e  lo  Stato  suo 

»  tutto  il  male   che   possono;   se  potranno   adempiere   il   loro 

»  voto,  se  bisogni  temerli,  e  che  cosa  glien'arriverà. 

»  Corrente  l'anno  di  Cristo  1256,    mercoledì  26  luglio, 

»  sendo  l'altezza  del  sole  avanti  mezzodì  sedici  gradi  e  trenta 

»  minuti,  fu  domandato  se  il  Signore  (Uberto  Pelavicino)  per- 

»  severerà  nel  dominio  in  cui  è  ,    o  perverrà    a    maggiore ,  o 

»  discenderà  a  minore,  e  cosa  avverrà  tra  lui  e  gli  avversari 

»  suoi,  se  egli  loro  od  essi  lui  supereranno;  e  dell'esser  suo, 

»  della  salute  o  infermità,  abbondanza  o  penuria  di  danaro,  e 

»  della  durata  della  sua  vita. 

»  Corrente  il  1258,  martedì  17  settembre,  interrogò  1' 11- 

»  lustre  marchese  Pelavicino,  caso  che   il    signor    Ezelino   da 

»  Romano  non  volesse  concedergli  la  parte  sua  di  Brescia  che 

»  insieme  avevano  conquistata,  e  egli  si  opponesse  co'  suoi  fau- 

»  tori,  cosa  glie  n'avrebbe. 


»  Poi  il  venerdì  8  novembre  ;  se  egli  stabilisse  amicizia  e 
»  lega  colla  Chiesa  e  coi  nemici  del  signor  Ezelino  ,  e  gli  si 
>>  opponesse  cogli  amici  suoi,  gliene  seguirebbe  onore  e  van- 
»  taggio  1^?  » 


(  ^4  Codice  Valicano,  N.  4023,  caria  20,  C3  58,  59- 


CAPITOLO    X.  □" 


f 


I  fatti,  cui  tali  quesiti  si  riferiscono,  appariranno  nel  seguito 
del  nostro  racconto;  e  Gerardo  ne  acquistò  gran  nomea,  come 
attesta  il  suo  epitafio  ^^. 

Manfredo  di  Abano  ,  potente  e  ricco  signore  della  stirpe 
de'  conti  di  Padova ,  ebbe  un  figlio  che  chiamò  Artuso  ,  sulla 
cui  futura  vita  ,  mosso  da  un  sogno  sinistro  ,  interrogò  prete 
Lorenzo ,  suo  maestro  di  astrologia  e  zio  del  famoso  Pietro 
d'Abano,  Alferio  o  Alfeo  matematico  padovano,  e  Teobaldo  di 
Calavenna.  I  tre  astrologi  gli  dissero,  uno  che  perirebbe  ca- 
dendo da  un  albero  ,  1'  altro  per  fuoco  ,  1'  altro  per  acqua.  Il 
giovane,  cresciuto  e  promesso  sposo  a  una  figlia  di  Rarabaldo 
da  CoUalto,  stava  a  caccia,  quando  il  suo  falcone,  spaventato 
dal  turbine,  gli  sfuggi  dal  pugno  e  s' appoggiò  s'un  albero.  Il 
giovane  vi  s'arrampico  per  pigliarlo  ;  ma  in  quella  scoppia  il 
fulmine  e  lo  abbrucia  mezzo  ,  ond'  egli  cadendo  dall'  albero , 
s'afi'oga  in  un  sottoposto  stagno. 

II  fatto  cadrebbe  nel  1161,  ma  è  raccontato  solo  da  cro- 
nisti posteriori,  i  quali  aggiungono  che  Manfredi  ebbe  un'altra 
figliuola  di  nome  Cecilia,  sulla  quale  pure  interrogò  Alferio,  e 
questi  gli  rispose  : 

Nascitur  Euganea  bellorum  causa  virago 
impia  cognatas  motura  in  praelia  dextras; 
franguntur  populi,  et  canibus  lacerantur  iniquis; 
tertia  nunc  Ilelenae  vastabit  moenia  Trojae 
unde  cadent  orbes  et  yaspidis  arva  colentes, 
seque  secant  miseri,  et  saevis  cruciantur  in  armis. 

E  costei  fu  la  Cecilia  da  Paone,  che  vedemmo  quanti  guai 
cagionasse  a  Padova. 


18  Gerardiis  nostri  fons  lux  et  gloria  cleri, 

actor  consilii,  spes  et  solamen  egeni, 
volo  carnali  fvil  hoslis,  spiritvali 
applavdens,  liominis  splendor  fvit  intcrioris. 
Facta  viri  vitam  studio  llorente  perennant. 
Viventem  faniam  libri  qvos  Iranslvlit  ornant. 
Hvnc  sine  consimili  genvisse  Cremona  svperbit. 
Tolecli  vixit.  Tolectvm  reddidit  aslris. 
Dco  gralias. 


À 


jT]  ■  -27     - 


GERARDO   DA   CREMONA 


Fra  tanto  chiacchierare  di  indovinamenti  sarebbe  ommis- 
sione  ingiusta  il  non  toccare  dell'abate  Gioachino  ,  conosciuto 
da  tutti  non  foss'  altro  per  le  sue  predizioni  intorno  ai  papi , 
le  quali  ben  o  male  si  vanno  acconciando  fin  oggi  a  ciascun 
nuovo  eletto.  Visse  egli  sulla  metà  del  secolo  xii  in  Calabria, 
si  professò  cistercense,  faticò  molto  nelle  controversie  religiose 
d'allora  ,  dando  anche  in  eresie,  compatibili  però,  giacché  avea 
sottomesse  le  sue  opinioni  alla  decisione  della  chiesa.  1  con- 
temporanei raccontano  molti  miracoli  di  lui  e  molte  predizioni, 
singolarmente  intorno  a  pubblici  avvenimenti ,  per  le  quali 
anche  Dantelo  disse 

di  profetico  spirito  dotatola 

Le  predizioni  non  acquistano  credito  se  non  dopo  verificate; 
donde  la  gran  difficoltà  di  scernere  le  vere  dalle  posteriormente 
inventate.  Certo  allora  si  spargevano  gli  oracoli  di  lui  a  sfogo  ; 
di  passioni  ;  e  se  voleasi  incitare  alla  crociata,  diceasi  egli  avesse  ( 
predetto  fra  sette  anni  sarebbe  espugnata  Gerusalemme:  se  gli 
Svevi  spiaceano ,  si  dicea  che  l'abate  Gioachino  rivelò  ad  En- 
rico VI  che  la  vecchia  sua  moglie  Costanza  era  incinta,  e  par- 
torirebbe un  demonio  ,  cioè  Federico  II.  La  frase  non  disono- 
rerebbe troppo,  chi  pensi  che  i  frati  non  portavano  alle  corone 
quel  rispetto,  per  cui  ne'  secoli  civili  si  dissimula  ad  esse,  anzi 
si  mente  la  verità  ,  e  qualche  confessore  domanda  —  Quante 
volte  Vostra  Maestà  si  degnò  fare  il  tal  peccato  ?  »  Anzi  un 
cronista  racconta  che  Costanza  ,  piena  di  venerazione ,  pregò 
Gioachino  venisse  a  confessarla  :  e  lui  v'andò  ;  e  perchè  l' im- 
peratrice stava  sulla  consueta  sedia  ,  la  ammoni  che  1'  umiltà 
di  penitente  richiedeva  la  si  sedesse  per  terra.  Abbiamo  poi  a 
stampa  una  lettera  che  nel  1191  egli  dirigeva  ad  un  suo  amico 
di  Messina ,  il  quale  avealo  avvertito  che  re  Tancredi  stava 
forse  crucciato  contro  di  lui:  e  un'altra  del  1193  a  quel  re  che 
avea  minacciato  distruggere  tutti  i  conventi  di  cistercensi.  Or 
Gioachino  predice  senza  ambagi  la  ruina  della  dinastia  normanna; 
e  nel  97  ad  Arrigo  VI ,  chiamandolo  vipera  ,  vaticinava  che  , 


i'-  Paradiso,  XII,  14 
Cantù  —  Ezelino,  18 


« — h  CAPITOLO   X.  CJH^ 

alla  morte  di  lui,  due  emuli  si   disputerebbero  l'Impero;  uno 
prevarrebbe,  che  ben  tosto  sarebbe  spossessato  da  un  altro  ^'^  ;         ; 
come  in  fatto  avvenne  di  Ottone  vinto  da  Filippo,  e  Filippo  da         \ 
Federico  IL  Su  quest'ultimo  poi,  che  allora  aveva  appena  tre         \ 
\        anni ,  segue  a  dire  che  volterebbe  il  dente  contro  alla  Chiesa         > 
e  al  papa ,  dopo  averli  blanditi  ;  si  abbandonerebbe   al  vizio  ;         ) 
farebbe  ontosa  pace  coi  Saraceni  ;   sarebbe   colpito   dalla  sco- 
munica; infine  la  casa  sveva  resterebbe  ridotta  al  nulla  dalla 
spada  della  parola  i^.  \ 

Quelle  profezie  si  avverarono  ;  ed  erano  più  chiare  che  non  ) 
quelle  con  cui  designò  Pio  IX  e  il  suo  successore  coi  titoli  di  ) 
Criia:)  de  cruce  e  di  Lumen  de  coelo.  ì 

Poco  poi  gran  celebrità  acquistò  Pietro  d'Albano  medico  | 
e  filosofo,  chiesto  professore  a  gara,  e  persino  da  Costantinopoli  ; 
d'  onde  lo  richiamarono  onorevoli  lettere  de'  suoi  Padovani. 
Scrisse  il  Conciliatore,  pretendendo  metter  d'accordo  ducento- 
nove  opinioni  discordi  di  medici  e  filosofi,  e  spesso  ricorre  al- 
l'astrologia. Aveva  trovato  una  congiunzione  cosi  destra  di 
pianeti,  che  tentò  persuadere  i  Padovani  ad  abbattere  la  loro 
città  per  rifabbricarla  sotto  quell'oroscopo,  che  l'avrebbe  portata 
alla  sublimità.  I  Padovani,  non  essendo  scienziati  possedevano 
il  buon  senso,  e  non  accettarono  l'insigne  progetto. 

I  costui  libri  pizzicano  anche  d'eresia ,  e  se  non  impugna 
i  miracoli  di  Cristo  ,  parla  della  risurrezione  di  Lazzaro  come 
d'un  prodigio,  ma  non  divino.  Però  là  dove  insegna  che  pregar 
Dio  quando  la  luna   è  in   congiunzione  con  Giove  nella  testa 


^'  Vide  atiiein  tu  (jui  Vipera  dicfris,  ne,  le  percunle,  mortcque  praevenfo^ 
Iiiiprrii  Intera  disrumpaiìtur;  et  aliqui  quasi  duae  viperae  ad  apicem  potestatis 
asceitdant;  et  quasi  alter  Krìlmerodac  unus  eoruin  obtineaf,  qui  in  brevi  tempore  a 
inorsu  rer/ali  retro  cadef. 

18  Sane  ipse  rerfaìus  altius  rolahit  el  latius,  ut  per  cunclam  Imperli  latitudinem 
affìigat  Eeclcsiam...  Hic  tamen  interim  blandietur  [ade  in  principio  ortus  sui;  sed 
tempore  procedenti-,  vcluli  alter  Ballhassar^  abuletar,  in  fmminarum  concupiscentiis, 
templi,  scilicet  Eccksiae  vasis.  Nani  volatus  ejus,  elsi  culpam  insinuet,  tamen  dolose 
el  invide  ipsum  inuit  esse  vcnturum...  Cadci  in  gladio  non  viri,  et  (/ladius  non 
hominia   vorahit  eum...  gladius   scilicet  non  humanus,   sed  gladius  spirilus  verbi. 

\  Vedi   Papkbrocchio,    ;icla   SS.    l.    VI,   aJ   (lem  29  maji:    Salvatore  Spiriti, 

\  Memoria  dci,'li  scrjllori  cosenliiii. 

fi] 


in_n 


a  -  2TS  - 


del  dragoue  è  modo  infallibile  di  ottenere  ogni  grazia,  mi  pare  j 

non  faccia  che  riferire  un'opinione  di  Albumazar.  Fatto  è  che  l 

i  suoi  libri  seppero  d'eretico  all'Inquisizione,  onde   dopo  morto  | 

gli  fece  un  processo,  il  qual  non  tolse  che  i  Padovani  tenessero  { 

in  chiesa  il  suo  cadavere,  e  gli  ergessero  una  statua  nel  Prato  (^ 
della  Valle. 

Là  intorno    fu    famoso   professore   d'  astrologia   a  Padova  | 

stesso  Guglielmo  da  Montorso  modenese,  di  cui  l'epitafio  diceva:  ( 

Quem  Mutinse  rupes  genuit  Montorsia  Castri  ( 

Gulielmus  jacet  hic,  nunc  veri  cognitor  astri.  { 

(' 

È  pur  noto  Cecco  d'Ascoli,  che  spiegò  astronomia  in  Bo- 
logna e  come  mago  fu  arso  a  Firenze  il  1328. 


)  Certamente  il  buon  senso  v'  era  ,  ma  stava    nascosto    per 

\  paura  del  senso  comune;  e  vedemmo  i  monaci  e  fra  Giovanni 
'"  da  Schio  disapprovare  gli  strologamenti,  e  il  7  gennaio  1303 
il  celebre  fra  Giordano  da  Pv.ipalta  sulla  piazza  di  Santa  Maria 
)  Novella  a  Firenze  predicò  contro  chi  prestava  fede  agl'influssi 
I        delle  stelle  ^K 

/  Giovan  Villani,  mercadante  positivo  e  di  buon  senso,  a  cui 

{  il  maneggiare  il  braccio  e  le  bilance  non  toglieva  d'adoprarsi 
\  nei  primarj  uffìzj  della  patria,  vedendo  la  grandezza  di  Ca strucclo 
)  signor  di  Lucca  minacciare  di  servitù  l'intera  Toscana,  ne  scrisse 
a  fra  Dionisio  di  San  Sepolcro,  maestro  a  Parigi  in  divinitaie 
e  filosofìa  per  sapere  che  cosa  gliene  dicessero  gli  astri.  E  quello 
gli  rispose  :  Io  vedo  Castruccio  morto.  Arrivò  la  risposta  quando 
Castruccio  era  nel  più  vivo  delle  vittorie  ,  onde  il  ViHani  la 
tenne  celata,  e  ne  rescrisse  al  frate,  il  quale  rispose  :  lo  raf- 
fermerò ciò  che  io  scrissi  per  l'altra  lettera.  Se  Dio  non  ha 
mutato  il  suo  giudizio  e  il  corso  del  cielo,  io  veggo  Castruccio 
morto  e  sotterrato.  E  quando  la  lettera  capitò  a  Firenze,  Ca- 
struccio appunto  era  cadavere;  e  il  Villani  la  mostrò  a' priori 
suoi  comj>agni,  i  quali  convennero  che  «  di  tutte  le  sue  parti 
il  giudicio  di  maestro  Dionisio  fu  profezia  ^o.  » 


19  Vedi  le  sue    prediche,  ed.  da!  Maiini,  po;i.  98-105. 
.  20  Ut,  Fior.  1.  X,  So. 


CAPITOLO    X.  LJ    H 

Del  suo  tempo  ,  un  incessante  piovale    ingrossò  le    acque  ^ 

dell'Arno  per  modo,  che  copri  tutto  il  Casentino  e  il  pian  d'A-  ( 
rezzo  e  il  Valdarno  superiore  e  le  campagne  attorno  a  Firenze  ; 
la  città  stessa  credette  arrivato  l'ultimo  suo  giorno.  Cessato  il 
flagello  ,  i  savi  posero  in  disputa  se  fosse  venuto  per  giudizio 
di  Dio  o  colpa  degli  uomini  ;  e  il  Villani,  prendendo  l'opinione 
media  che  è  sempre  la  più  cauta  e  non  di  rado  la  vera,  crede 
che  il  corso  del  sole  s'  accordasse  in  ciò  a  punire  i  peccati 
dei  Fiorentini.  E  soggiunge:  «  La  notte  che  cominciò  il  detto 
»  diluvio,  uno  santo  romito  nel  suo  solitario  romitorio  di  sopra 
»  alla  badia  di  Yallombrosa  istando  in  orazione,  senti  e  visi- 
»  bilmente  udì  un  fracasso  di  demoni  e  di  sembianza  di  schiere 
»  di  cavalieri  armati  che  cavalcassero  a  furore.  E  ciò  sentendo 
»  il  detto  romito ,  si  fece  il  segno  della  santa  croce ,  e  fecesi 
»  al  suo  sportello,  e  vide  la  moltitudine  dei  detti  cavaheri  ter- 
•»  ribili  e  neri  ,  e  scongiurando  alcuno  dalla  parte  di  Dio  che 
»  gli  dicesse,  che  ciò  significava,  e'  gli  disse:  Noi  andiamo  a 
»  sommergere  la  città  di  Firenze  'per  li  loro  peccati,  se  Id- 
»  dio  il  concederà.  E  di  questo  io  autore,  per  saperne  il  vero , 
»  ebbi  dall'abbate  di  Valloml)rosa  ,  uomo  religioso  e  degno  di 
»  fede,  che  disaminando  l'ebbe  dal  detto  romito  2».  >  I  Fioren- 
tini riconoscendo  il  giudizio  di  Dio,  pensarono  a  migliorarsi, 
lasciando  i  mali  guadagni,  l'avarizia,  la  vanità,  i  soprusi  fatti 
ai  vicini. 

Quel  fra  Dionisio  che  sopra  nominammo  fu  in  molta  grazia 
a  Roberto  re  di  Napoli,  che  lo  pose  vescovo  di  Monopoli  ;  e  in 
molta  stima  al  Petrarca,  che  morto  lo  pianse  in  versi,  lodan- 
dogli sopratutto  la  sapienza  nel  leggere  degli  astri  23 .-  il  Pe- 
trarca che  pur  derideva  finfandwnlj  i  medici  e  la  medicina. 

Ma  Dante,  che  rappresenta  la  più  avanzata  dottrina  del- 
l'età che  immediatamente  succede  alla  da  noi  descritta,  fidava 
egli  nell'astrologia? 


21  hi.  Fior.  1.  XI.  Spesso  i  periodi  del  Villani  zoppicano.  ; 

*2                           Ouis  teciim  co  sulet  astra  \ 

factorum  secreta  niovens,  aut  ante  nolabit  / 

successus  belli  diibios  miindique  Uimullus,  ^ 
fortunasque  ducum  varias? 

—  280  — 


Egli  teneva  l'opinione  de'Platonìci,  che  alle  intelligenze,  o 
vulgarmente  agli  angeli ,  s'  addicesse  non  pur  la  vita  contem- 
plativa, ma  ancora  l'attiva,  facendoli  motori  e  regolatori  delle 
sfere,  non  già  per  via  di  moto,  ma  di  puro  intendimento  ^3. 
Esse  stelle  diventano  cosi  agli  occhi  suoi  altrettante  intelligenze 
ministre  della  Provvidenza ,  mosse  dall'  Amore  24^  che  penetra 
per  r  universo  e  splende  dove  più  dove  meno.  Il  qual  amore 
volgendo  il  cielo  empireo,  diffonde  di  sfera  in  sfera  fino  alla 
terra  il  moto  suo  ,  che  disposto  invariabilmente  ,  dispensa  ai 
mortali  diversi  gradi  delle  virtù  divine,  onde  le  stelle  sono  su- 
pernamente dotate.  Tale  influenza  non  porta  necessità,  altrimenti 
sarebbe  tolto  ogni  merito  e  demerito  ^5  ;  soltanto  inizia  i  movi- 
menti, senza  impedire  che  l'educazione,  la  ragione,  il  libero 
arbitrio  li  dirigano  ,  e  molto  ancora  i  casi ,  cioè  secondo  che 
natura  trova  la  fortuna,  discorde  a  sé  o  favorevole. 

Alle  stelle  concederebbe  dunque  soltanto  potenza  sui  tem- 
peramenti ,  ossia  sulla  potenza  vegetativa,  nella  quale  ,  unita 
colla  sensitiva  e  colla  razionale,  dice,  nel  Coìivivio,  consistere 
l'anima  dell'uomo.  Quando  adunque  si  congratula  seco  stesso 
di  riconoscere  dalla  costellazione  dei  gemini  tatto  il  suo  ingegno 
qual  egli  sia,  può  intender  solo  l'influsso  che  questa  costellazione 
ebbe  sul  suo  nascimento  in  conformarne  gli  organi,  dai  quali 
son  modificati  il  pensiero  e  la  volontà,  per  le  arcane  vie  che 
l'intelletto  umano  non  potrà  mai  scandagliare.  Quando  si  fa 
dire  da  ser  Brunetto  Latini  suo  maestro  che  se  segua  sua  stella, 
non  può  fallire  a  glorioso  porto  -^,  conformasi  al  costume  di 
quel  suo  maestro,  dedito  all'astrologia,  e  che  dicono  avesse 
formato  l'oroscopo  di  Dante  al  suo  nascere.  E  quando  nel  xxvi 
dello  Inferno  dice  ,   «  Si  che  se   stella   buona   o    miglior  cosa 


-^  Voi  che  intendendo  il  terzo  ari  nìovetr.  Il  primo,  o  dei  primi  a  negare 
anima  ed  intelligenza  agli  astri  fu  il  FracasLoro  di  Verona,  il  quale  pure  pel 
primo  notò  la  diuiinuziono  costante  deirobli(iirnà  dell' ocliltica,  e  siccqjiie  due 
vetri  messi  l'un  sull'altro  facciano  parer  più  grande  l'oggello,  primo  passo  verso 
il  leloscopio. 

24  L'amor  che  muove  il  sole  e  Callre  ftelk. 
;  2!5  Se  cosi  fosse^  in  voi  fora  dislrullo,  ecc. 

(  2(i  Inferno,  XV. 


CAPITOLO    X.  Q    ■— I 


m'ha  dato  il  ben  ,  »  la  dubitazione  esclude  1'  assoluta  podestà 
delle  stelle.  Anzi  Cecco  d'Ascoli  cita  una  lettera  diretta  a  lui 
dal  poeta  contro  l'influenza  dei  pianeti  2"^. 

Lo  stesso  suo  sistema  teologico  e  filosofico  elimina  tale 
necessità;  pure  a  tratti  egli  sembra  incliinarvi,  fosse  per  l'ab- 
bellimento poetico,  che  a  tante  irragionevolezze  è  scusa  ;  fosse 
per  le  solite  incoerenze  del  giudizio  umano. 

Le  scienze  occulte  ebbero  gran  potenza  per  tutto  il  me- 
dioevo; quando  l'energia  delle  credenze  imprimeva  un  carattere 
grandioso  a  deplorabih  superstizioni,  e  l'immaginazione  acquistava 
prodigiosa  vigoria  nell'esercizio  di  riti  misteriosi  che  isolavano 
l'uomo  fra  gli  uomini,  e  faceangli  sdegnar  il  mondo  reale  per 
uno  immaginario.  Proibite  dalle  leggi,  condannate  dalla  Chiesa, 
queste  arti  si  ridussero  secreto,  e  perciò  furono  circondate  di 
orribde  corredo;  fantasmi,  spettri,  folletti,  orchi,  vampiri  popo- 
larono la  natura;  donde  venne  più  tardi  la  caterva  delle  streghe, 
quasi  ignota  al  medioevo,  e  suscitata  dal  leguleio  farnetico  del 
secolo  XV,  che  il  mondo  contaminò  di  roghi  a  gara  coll'intol- 
leranza  religiosa.  Tanto  la  ragione  umana  ha  bisogno  di  sal- 
darsi su  basi  immobili,  onde,  dal  più  nobile  distintivo  ,  non  si 
cangi  nel  più  sciagurato  dono  della  Divinità. 

Eppure  le  scienze  vere  ebbero  giovamento  anclie  da  quelle 
fallaci,  perchè  tutto  veniva  opportuno  in  tempo  che  tutto  era 
a  creare.  E  il  secol  nostro,  che,  come  i  vecchi,  scambia  le  pro- 
prie infermità  per  virtù  ,  innanzi  deridere  i  delirj  dei  padri , 
mediti  i  suoi,  e  come,  in  mezzo  a  tanto  positivo,  e  dopo  aver 
ridotto  il  ben  essere  al  ben  nutrirs-i,  ben  vestirsi  e  affidare  al 
Governo  la  cura  di  educarci,  d'impiegarci,  di  difenderci,  di  di- 
vertirci, di  moralizzarci,  il  mondo  corre  affamato  a  certe  spe- 
culazioni, che  presso  gli  avvenire  non  avranno  maggior  valuta 
che  presso  noi  l'astrologia.  La  quale  se  non  altro  alzava  le  menti 
alla  contemplazione  delle  cose  superne  ,  e  alle  fantasie  apriva 
tanto  campo,  che  fin  i  moderni  vi  stesero  vantaggiosamente  le 
ale.  A  chi  non  è  noto  quanto  partito  dalla  credenza  nell'astrologia 


ÉL.- 


27  r  Acerba,  1.  HI,  e.  iO. 

—  282  — 


DANTE   E  l'astrologia  CT 


sapesse  trarre  Schiller  nel  suo  Wallenstein?  E  un  gran  poeta, 
che  fece  sforzi  anche  per  essere  grand'uomo,  faceva  esclamar 
dal  suo  eroe:  —  Stelle,  poesia  del  cielo!  Se  noi  tentiamo 
»  leggere  in  questa  brillante  pagina  del  gran  libro  della  crea- 
»  zione  i  futuri  destini  degli  uomini  e  degli  imperi,  perdonate 
»  all'orgogliosa  nostra  ambizione,  che  osa  trascendere  la  sfera 
»  mortale,  aspirando  unirsi  a  voi.  Tanta  misteriosa  bellezza  vi 
»  ammanta ,  tanto  amore  e  venerazione  ci  ispirate  dall'  alto 
»  della  celeste  volta,  che  la  fortuna,  la  gloria,  la  potenza,  la 
»  vita,  assunsero  una  stella  per  emblema  "^s.  » 


28  Bykon.  (Mde  Uarold,  III. 


Ma  il  doge  armo  e  pose  il  fuoco  a  quella  lune    sicché  i  pagani  che  s-eiano  su  appre- 
sere  a  Tolarc.... 


cap.  xii.  pag^sia  ja 


"^ 


CAPITOLO    XI 


I  TROVADORI,  SORDELLO,  CUNIZZA. 


Le  donne,  i  cavalier,  Tarme,  gli   amori 
le  cortesie,  l'audaci  imprese  io  cauto. 
Ariosto. 
Rime  d'amor  trovar  dolci   e  leggiadre. 
Dante. 


^%\  li  accigliati,  che  all'acquisto  della  libertà,  più 
ykìf.  che  le  ditirambiche  parlate  e  le  decasillabe 
invettive,  troverebbero  opportuno  il  costringere 
la  gioventù  a  quella  lettura  riposata  e  attenta 
che  invigorisce  la  facoltà  del  pensare,  quanto 
la  snerva  l'uso  del  leggere  e  scrivere  in  fretta,  pretenderebbero 
forse  noi  conducessimo  a  conoscere  anche  le  altre  scienze  di 
quel  tempo:  una  logica,  che,  invanendo  della  propria  potenza, 
e  prendendo  la  disputa  e  l'argomentazione  per  iscopo  anziché 
per  mezzo,  piacevasi  a  cavillare,  sbriciolava  il  pensiero,  eppure 
con  ciò  lo  analizzava:  una  filosofia,  che  confondeva  il  metodo 
colla  sostanza,  e  che  adagiandosi  ad  autorità  e  commenti, 
impastojava  la  ragione  perchè  non  camminasse  che  sulle  orme 
di  Aristotele  e  de'  suoi  voluminosi  chiosatori:  una  giurispru- 
denza di  interminate,  capricciose,  complicate,  incoerenti  chiose, 
intralciate  di  decreti  canonici,  statuti  municipali,  leggi  romane. 


3T[k 


—  285  — 


J 


^^ ^ — ^ E^m 

rrn  capitolo  xi.  m 

barbariche  consuetudmi ,  sicché  faceva  sempre  più  ardua  la 
cognizione  del  diritto  e  l'amministrazione  della  giustizia,  e 
produceva  i  litigi,  inevitabili  ogni  qualvolta  all'esame  dei  fatti 
si  surroghi  il  puntiglio  della  parola:  una  teologia  scolastica, 
che,  senza  conoscerla,  si  suol  qualificare  di  arida,  spinosa, 
cavillatrice,  tacciandola  che  con  impalpabili  distinzioni  produ- 
cesse frequenti  eresie,  e  invece  di  chiarire  la  religione  del- 
l'amore, sconnettesse  i  credenti  e  fomentasse  l'intolleranza,  ma 
che  se  tale  è  ravvisata  da  chi  non  guarda  che  alla  gamba 
storta,  va  in  ben  altro  conto  presso  chi  ricorda  come  le  sue 
lotte  impedissero  quel  torpore,  ch'è  la  malattia  più  incurabile 
sì  nel  fisico  come  nel  morale,  e  a  qual  altezza  allora  la  levasse 
uno  de'  maggiori  pensatori  d'ogni  tempo,  Tommaso  d'Aquino.  ( 

Di  queste  serietà  ragionino  i  volumi  in-folio;  noi  cono- 
sciamo l'obbligo,  che  il  luogo  e  \d.  dolce  stagione  c'impongono, 
d'esser  leggeri  ;  onde  ci  limiteremo  a  discorrere  della  genìa  più 
rumorosa  e  più  innocua,  i  poeti. 

L'amor  del  canto  non  crederò  io  sia  morto  mai,  neppure 
quando  la  soverchiava  il  barbarico  ululato  ,  ma  delle  lingue 
apparse  al  declinare  della  latina,  le  tre  che  dalla  particella  di 
affermazione  son  dette  lingua  d'oc,  à!ui  e  di  si,  erano  non  solo 
parlate,  ma  coltivate  al  tempo  che  discorriamo.  Nella  francese 
si  stendevano  romanzi  che  correvano  per  tutta  Europa,  e  fra 
gli  Italiani  stessi  la  preferirono  jNIarco  Polo  per  raccontare  i 
suoi  viaggi  fin  nella  Cina  e  nel  Giappone,  Brunetto  Latini  per 
esporre  l'enciclopedia  d'allora,  e  il  Da  Canale  per  la  storia  di 
Venezia.  La  provenzale,  nel  paese  che  ne  trasse  anche  il  nome 
di  Linguadoca ,  fu  coltivata  dai  trovadori ,  poeti  della  gaia 
scienza,  che  non  adopravano  la  poesia  come  adesso  a  produrre 
clorosi  ed  epatiti,  ma  a  divertile,  sicché  oggi  ancora  ricreano 
quei  tempi  di  forza  con  ricordi  d'amore,  di  prodezza,  di  galanti 
solennità,  di  gare  d'ingegno. 

Quella  lingua ,  non  ricca  e  corretta  come  divennero  poi 
l'altre  due  e  la  spagnuola,  ma  pari,  e  alcuno  dice  superiore  in 
dolcezza,  per  due  secoli  fece  la  delizia  del  mezzodì  d'  Europa  ; 
finché  i  terribili  fatti  che  altrove  accennammo  la  soffocarono 
in  torrenti  di  sangue,  e  coll'unità  amministrativa  imposero  colà 
anche  la  lingua  francese. 

La  versificazione,  che  i  letterati  latini  imitarono  dai  greci, 


236  — 


mai  non  divenne  popolare,  né  il  genio  indigeno  vi  si  acconciò  ; 
colla  rima  e  con  versi  sillabici,  anziché  metrici,  si  componeano 
le  canzoni  militari  e  vulgari;  onde,  appena  la  aristocratica  col- 
tura diminuì,  queste  forme  presero  il  sopravvento,  l'orecchio 
neglesse  la  ditferenza  di  quantità  ,  e  in  compenso  volle  essere 
accarezzato  dalla  rima.  Questa  novità  abbellì  le  poesie  de'  Tro- 
vadori, le  quali  erano  o  brevi  componimenti,  denominati  cans, 
cansons,  cantar els,  lays,  so7is,  sonyiets,  pastourelles ;  o  com- 
ponimenti serj,  detti  serventés,  destinati  a  servar  memoria  de' 
fatti  insigni  in  lodi  o  in  satire. 

Ma  quando  tu  ragioni  della  poesia  provenzale  ,  ti  spoglia 
affatto  delle  idee  nostre:  non  ti  figurar  più  l'assiduo  cancellare, 
limare  ,  ricopiare  d'  alcun  impallidito  cultore  delle  muse,  che 
medita  nel  silenzio  sulla  struttura  dell'  arpa  sua  ,  sul  tessuto 
delle  sue  corde,  sulla  forma  de'  bischeri  e  sulla  forza  de'  pedali, 
prima  di  mettersi  a  sonarla  ;  analizza  insomma  ,  col  pensiero 
della  gloria  in  capo,  col  rimario  alla  mano,  e  davanti  agli  occhi 
la  befana  del  giornahsta  che  gli  rivedrà  il  pelo  e  l'esporrà  al 
ridicolo  della  dotta  ciurmaglia  se  osa  esprimere  sentimenti  di- 
versi 0  in  modo  diverso  da  quel  che  i  giornalisti  hanno  dichiarato 
essere  l'unico  buono  e  legale;  e  dimostrerà  al  mondo  che  ha 
torto  di  ammirare  e  di  lasciarsi  commuovere  da  componimenti 
contro  le  regole,  appunto  come  il  medico  Botta  dimostra  che 
Buonaparte  ebbe  torto  in  tutte  le  sue  vittorie. 

Allora  la  poesia  non  era,  sto  per  dire,  l'emuntorio  di  tutti 
i  genj  incompresi,  ma  un'occupazione  della  vita;  era  mestiere, 
0  almeno  professione.  Non  diverso  dai  ì-'aiosodi,  che  cantando 
vagavano  per  la  Grecia  antica ,  il  trovadore  menava  vita  er- 
rante ed  avventurosa,  traeva  seco  l'intera  famiglia,  che  talora, 
ad  esempio  del  capo,  tutta  sapeva  poetare;  secondo  le  circo- 
stanze 0  il  capriccio  scorreva  d'un  in  altro  di  que'  castelli  ove 
s'annidavano  la  guerra  e  i  piaceri ,  la  ferocia  e  la  cortesia  ; 
non  mancava  a'  tornei  ,  alle  corti  bandite  ;  ed  ivi  dai  oniìie- 
strelli  faceva  cantare  sull'arpa,  sul  liuto,  sulla  mandòla  i  versi 
da  lui  trovati.  Altri,  venivano  novellando  d'avventure  proprie 
0  d'altrui;  altri  rappresentavano  rozzi  drammi;  altri,  in  tenzoni 
gareggiavano  d'ingegno,  talora  lanciandosi  ingiurie  grossolane, 
tal  altra  proponendo  dilicate  quistioni  di  amore  e  di  filosofia, 
e  il  migliore  n'andava  colla  lode  e  col  guiderdone.  Chi  sappia 

—  287  — 


CAPITOLO    XI. 


f°   _ 


figurarsi  il  vivere  isolato  de'  castellani,  sequestrati  colla  loro 
famiglia,  divisi  dai  pari  loro,  più  divisi  dai  dipendenti,  avendo 
scarsissime  quelle  occasioni  di  colloqui,  di  ritrovi,  di  divertimenti 
che  ora  tornano  ogni  dì ,  intenderà  quanto  festeggiare  vi  si 
dovesse  1'  arrivo  d'una  banda  di  trovadori  ;  e  come  questi  po- 
tessero in  cento  luoghi  ridire  la  canzone  e  la  storia  medesima, 
senza  produrre  la  noia  della  ripetizione. 

Fatti  d'amore,  cortesie,  imprese  de'  cavalieri  davano  sog- 
getto al  canto  loro  :  talvolta  ferivano  la  vigliaccheria  e  la  sle- 
altà, coperte  pur  fossero  di  corazze  rinterzate,  di  cappe  vene- 
rande ,  d' insigni  diademi.  Può  dirsi  insomma  una  cavalleria 
poetica  :  giacché  del  pari  trovadori  e  cavalieri  si  professavano 
devoti  ad  una  dama  ;  faceano  prove  questi  di  valore  ,  quelli 
d'ingegno;  pari  culto  della  religione,  della  guerra,  dell'amore; 
difendere  il  fiacco,  resistere  al  burbanzoso,  questi  con  le  armi, 
quelli  coi  versi  :  tutti  del  paro  anziosi  di  dar  prova  di  sé  :  tutti 
erranti  ed  ospitati  nelle  ròcche  ,  ove  trovavano  compenso  nei 
regali  de'  baroni  e  ne'  favori  delle  castellane  ;  non  separando 
mai  neir  intelletto  e  nelle  opere  Iddio  e  la  dama  ,  1'  onore  e  | 
l'amore,  la  gloria  e  la  ricompensa.  / 

Avvi  egli  poeta  senza  presunzione?  La  differenza  che  noi 
mettiamo  fra  verseggiatore  e  poeta,  voleasi  fra  giullare  e  tro- 
vadore ;  e  Bordello  ,  trovatore  lombardo  che  fra  poco  ne  darà 
a  discorrere,  così  insulta  ad  un  giullare. 

■ —  Esso  né  ferì ,  né  toccò  mai  colpo  ;  di  quale  bel  fatto 
»  può  vantarsi?  Pessimo  poltrone,  non  sa  impugnare  le  armi 
»  che  non  tremi.  E  chiama  me  un  giullare  !  Tale  nome  a  lui 
»  solo  s'addice,  a  lui  che  cammina  dietro  gli  altri,  mentre  gli 
»  altri  vengono  sulle  mie  tracce.  Esso  riceve,  e  non  dona  mai: 
»  io  dono,  e  non  ricevo  nulla.  Esso  si  vende  a  chi  vuole  pa- 
»  garlo  ;  io  non  ricevo  cosa  che  mi  possa  venir  rinfacciata  ; 
»  vivo  delle  rendite  mie  ,  né  accetto  da  chicchessia.  In  luogo 
»  del  giaco  esso  veste  una  camiciuola  a  maglia  :  in  luogo  di 
»  destriero,  un  ronzino  che  va  all'ambio:  in  luogo  di  caschetto 
»  un  cappuccio  crespato  :  in  luogo  di  scudo  un  mantello.  Si 
»  può  bene  imputar  1'  amore  dì  tradimento  se  con  ciò  esso 
»  guadagna  l'afietto  pur  d'una  donna  ».  ( 

Eppure  i  trovadori  degenerarono  presto  in  bufi'oni  e  gio- 
colieri :    perocché    vedendoli    blamHti   e   regalati   dai  principi ,         s 

—  2S8  —  r]    I 


^ 


1  Anclie  Dalile  iiilcrpone  versi  Ialini  a'  suoi. 

—  289  — 


I    TROVADORI 


troppi  entravano  a  quella  vita,  capaci  o  no,  scapitandone  la  ) 
poesia  buona  e  la  buona  opinione.  Essi  poeti  medesimi ,  non  i 
paghi  d'aver  trovato  tante  vaghezze  di  versi  e  di  strofe,  vollero  ) 
aggiungere  difficoltà  a  difficoltà,  sottigliezza  a  sottigliezza:  onde  ) 
facilmente  diedero  in  istravaganze  ed  in  concetti  lambiccati.  Di  ^ 
fatto  ,  mentre  la  loro  parrebbe  a  credere  un'  arte  meramente  ì 
distinta,  peccava  non  solo  d'eccessiva  prolissità  e  di  monotonia  > 
noiosa  ,  con  pochi  pensieri  rifritti ,  tra  i  quali  ravvisi  la  fan-  | 
ciullezza  dell'arte  e  la  licenza  de'  costumi,  ma  rinfronzivasi  di  ) 
artifizi ,   giuochi  di  parole  ,   sensi   ambigui ,   freddure   galanti ,  i 

gergo  convenzionale:  i  vizj  insomma  della  vecchiaia,  in  vece  ( 
dell'ispirazione  franca  e  semplice,  del  fervido  linguaggio  del  / 
cuore  ;  e  pochissime  individualità  si  discernano  fra  que'  suoni  ^ 
di  comuni  pregi  e  comuni  difetti.  Sostenere  ,  come  fu  moda  ^ 
testé,  che  quei  frammenti  son  capolavori,  è  un  tema  opportu- 
nissimo  agli  amatori  del  paradosso  ;  ma  non  pochi  son  quelli 
che  imitano  il  Bernini,  quando  asseriva  che  la  statua  più  bella 
di  Roma  è  Pasquino.  ) 

Venne  poi  quel  gran  delitto  della  crociata  contro  gli  Al- 
bigesi:  la  nuova  Arcadia  fu  contristata  di  eserciti,  di  micidj  , 
di  roghi,  di  stato  d'assedio  ;  e  fra  questi  come  potea  più  farsi 
intendere  il  canto  delle  Muse,  che  amano  orecchio  pacato?  Non 
mancò  allora  chi  cantasse  i  trionfi  dell'intolleranza,  fra  i  quali 
un  frate  domenicano  Izarn  che  vogliam  qui  compendiare,  men 
tosto  per  dar  saggio  di  cotesta  poesia,  che  a  corredo  di  quanto 
sopra  scrivemmo  intorno  ai  Catari. 

In  un  serveniese  egli  verseggia  il  dialogo  con  un  Valdese, 
press'a  poco  in  tal  modo  : 

—  Dimmi ,  eretico  ,  ragiona  con  me  :  ma  tu  noi  farai ,  a 
quel  che  intendo,  se  non  vi  sei  forzato.  Tu  ti  ridi  di  Dio;  fede 
e  battesimo  hai  rinnegato  ,  per  credere  che  il  diavolo  t'  abbia 
creato  e  possa  salvarti.  Iddio  solo  è  creatore  dell'uomo,  secondo 
è  scritto  :  Manus  luce  fecerimt  me  et  plasmavernint  me  i. 

»  Questo  testo  chiarisce  che  Dio,  non  il  diavolo  fece  l'uomo 
e  dopo  lui  la  donna.  Né  il  diavolo  ha  potenza  di  far  nulla  e 
nulla  dir  bene.  Or  come  avrebbe  fatto  l'uomo,  che  è  maggiore 


[^p^ . — --^m 

j— '□  CAPITOLO    XI.  Cn=7 

di  lui?  come  avrebbe  potuto  dargli  la  salute?  T'avrebbe  dunque 
dato  più  di  quanto  ritenne  per  sé?  Io  non  credo  tu  abbi  cen- 
V  anni  :  e  sou  oltre  cinquemila  anni  da  che  il  diavolo  ,  padre 
tuo ,  da  cui  ti  dici  formato  ,  non  potè  ottener  grazie.  Tu  che 
sei  pieno  di  Spirito  Santo,  e  che  a  tuo  grado  lo  distribuisci  ai 
discepoli ,  come  non  daresti  salute  al  padre  tuo  ?  No  ,  io  non 
crederò  mai  che  1'  uomo  sia  nato  da  un  si  tristo  padre  ;  ma 
vero  padre  suo  è  Dio:  Formami  hominem  ad  imaginem  et 
sim ilitudinem  suam. 

»  Ecco  due  grandi  testimonianze  per  convincerti  :  non  ti 
bastano?  dovrai  renderti  vinto  al  un  terzo  argomento.  Salomone, 
nessun  profeta,  né  apostolo  mai,  né  papa  non  disse  che  la  salute 
sia  venuta  per  opera  del  diavolo  :  né  lo  Spirito  Santo  è  si  da 
poco  da  voler  stabilire  sua  dimora  nell'edifizio  del  diavolo.  In- 
tanto tu  prodighi  questo  Spirito  Santo  come  se  fosse  lardo,  e 
pretendi  cosi  salvare  il  tuo  confratello. 

»  Tu  predichi  tua  dottrina  nelle  chiese  e  nelle  piazze,  ne' 
boschi ,  nelle  selve  ,  tra  le  macchie  ,  ove  le  signore  si  stanno 
intente  al  fuso  ed  al  pennecchio  ;  e  mentre  le  une  filano  ,  le 
altre  tessono,  ecco  loro  spiegato  il  vangelo,  e  cantati  i  sermoni. 
Quando  mai  fu  veduta  una  congrega  di  gente  che  non  sa  scri- 
vere né  leggere,  pretendere  di  spogliar  Dio  de'  suoi  diritti  ?  Ma 
che  serve  se  una  serie  di  testimonianze  prova  che  esso  formò 
il  cielo,  la  terra,  il  sole,  la  luna  e  le  stelle,  e  le  chiama  figli 
e  fratelli  secondo  l'ordine  di  creazione?  onde  su  ciò  il  profeta 
David  disse  :  Filii  tui  sicut  noveìlae  olivarum. 

»  Or  vediamo  se  perfidii,  o  eretico,  chiamando  l'uomo  fi- 
glio adulterino  di  Dio  e  dandogli  altro  padre  che  il  vero.  Tu 
menti  come  un  ladrone,  e  ladrone  dell'anima  se'  in  fatto;  ma 
io  ti  ridurrò  alle  strette  con  quest'altra  interrogazione.  11  dia- 
volo ha  fatto  r  uomo  ,  esso  dunque  fece  pure  il  Dio  che  mori 
in  croce  e  che  avanti  la  passione  fu  chiamato  uomo  :  Ecce 
homo.  Che  più  fa  di  mestieri  per  convincerti,  se  già  l'altre  mie 
prove  non  t'hanno  riscosso?  Ne  vuoi  una  ancora?  eccola.  Se 
tu  hai  podestà  di  togliere  i  peccati  dell'uomo,  e  il  diavolo  non 
l'ha,  come  la  concesse  a  te  ? 

»  Rispondimi  due  o  tre  parole  :  o  sarai  gettato  nel  fuoco, 
0  ti  porrai  dalla  parte  di  noi  che  avemmo  la  fede  pura  coi 
suoi  sette  gradini,  cioè  i  sacramenti  del  battesimo,  confessione, 

—  290  — 


L    INQUISITORE    TROVADORE 


matrimonio,  ordine,  estrema  unzione,  confermazione,  eucaristia, 
il  più  di  tutti  importante,  innanzi  al  quale  ogni  creatura  deve 
incliinarsi  profondamente,  e  che  ogni  di  gran  miracoli  compisce. 
Perciò  sia  il  prete  virtuoso  o  reo  ,  il  sacramento  s'  opera  del 
pari:  quando  il  prete  comincia  la  consacrazione  e  il  vere  di- 
g  num  et  justmn  est ,  quando  sull'  ostia  e  sul  vino  nel  calice 
pronunzia  le  sante  parole  ordinate  da  Dio,  infallibilmente  vi  fa 
discendere  il  corpo  di  G.  C.  morto  per  noi.  L'ostia  diviene  sua 
carne  e  suo  sangue  il  vino.  Che?  indocile  a  tutte  queste  au- 
torità di  Dio  e  di  san  Paolo  non  ti  vuoi  arrendere?  Ma  il  fuoco 
ed  i  supplizi  ti  attendono,  già  già  vi  sei  gettato. 

»  Prima  però  che  tu  vada  arso,  io  ti  vo'  commiatare  con 
un'altra  questione  sulla  risurrezione  dell'uomo  e  della  donna, 
che  tu  nieghi  al  pari  del  giudizio  universale.  Su  ciò  la  parola 
di  Dio  è    infallibile  ed    immutabile,  talché    se    la    testa    d'un 

)         uomo  fosse  oltre  i  monti,  un  suo  piede  ad  Alessandria,  l'altro 

\         al  Calvario  ,  una  mano  in  Francia  ,  1'  altra  ad  Altoilla-rd  e   il 
tronco  in  Ispagna,  infine  tutte  le  sue  parti  bruciate  e  ridotte 

^         in  cenere,  si  ricongiungeranno,  ecc. 

()  -p  0  maledetto,  che  pensi  rimettere  l'amministrazione  de' 

sacramenti  a  vili  laici  che  non  sanno  cosa  siano,  tolti  agli  ar- 
menti e  non  pratici  che  di  lavorar  in  terra  e  cianciare  empietà, 
e  non  adoprano  nò  acqua,  né  crismi,  né  incenso!  Non  così  fu- 
rono battezzati  madonna  santa  Fede ,  né  santa  Catarina ,  né 
sant'Agnese  patrona  degli  Albigesi,  né  tanti  santi  martiri,  che 

\         ad  ogni  di  fanno  miracoli.  Chi  non  crede  ciò,  nessun  lo  com- 

(         passioni  se  è  preso  e  bruciato...  » 


Qui  il  convertito  risponde  : 


—  Isarn  ,  datemi  sicurtà  ch'io  non  sarò  arso,  nò  impri- 
gionato, né  maltrattato;  e  mi  sommetto  a  qualunque  penitenza  vi 
piacerà.  E  vi  narrerò  gran  cose,  giacché,  per  quanto  gl'inqui- 
sitori abbiano  scoperto,  e'  non  sanno  la  decima  parte  del  fatto... 
Dacché  io  venni  eletto  vescovo  ,  consolai  di  queste  mani  che 
vedete  almen  cinquecento  uomini.  Se  gli  abbandono,  son  anime 
perse  al  diavolo  e  all'inferno.  Che  fora  di  me  se  mi  scontrassi 
in  alcuno  de'  loro  amici ,  e  voi  non  mi  deste  asilo  ?  Perderei 
la  dignità ,  e  diverrei  oggetto  di  spregio  al  nostro  concistoro. 

Un  ,  -  291  - 


À 


CAPITOLO   XI. 


\b^ 


ì  Non  fame  o  sete  o  indigenza  m' indussero  a  qui  venire  :  che 
(  a  noi  è  vietato  obbedire  alla  citazione.  Venni  di  buona  grazia. 
Molti  amici  ho  io  e  ben  agiati,  e  ognuno  stimasi  beato  di  darmi 
quanto  denaro  desidero  :  tengo  in  deposito  tutto  l'avere  de'  miei 
religionarì  :  quantità  di  abiti,  camicie,  calze,  panni  ben  lisciati 
e  bianchi ,  coperte  ,  nappe  ,  serviette  per  li  amici  quando  loro 
do  a  maDgiare  :  fo  buona  tavola,  con  cibi  squisiti,  salse  di  ga- 
rofani e  buoni  pasticci.  Il  pesce  scusa  bene  la  cattiva  carne^  : 
buon  estratto  di  garofani  scusa  il  vin  da  taverna:  pan  di  fior 
di  farina  scusa  la  pagnotta  di  convento. 

»  Mentre  voi  passate  le  notti  al  vento,  alla  pioggia,  e  tor- 
nate fradici,  io  stommene  ben  tappato  e  in  riposo  coi  confra- 
telli a  ber  che  mi  piace,  a  fare  che  m'aggrada  con  mio  cugino 
e  con  mia  cugina.  Poiché  io  posso  darmi  quante  assoluzioni 
voglio  ;  né  v'ha  peccato  da  cui  non  mi  purghi  o  per  me  stesso, 
0  pel  primo  diacono  in  cui  m'imbatto.  Tale  è  la  felice  vita  che 
io  meno...  Pure  mi  do  vinto  a  tante  buone  ragioni.  Se  vi  chie- 
dono chi  sia  il  novello  battezzato,  potete  rispondere,  è  Sigerio 
di  Figueiras ,  che  abiurò  gli  errori ,  e  che  quanto  fu  nemico 
della  Chiesa  romana,  altrettanto  diverrà  persecutore  degli  ere- 
tici e  degli  infedeli  :  senza  pace  o  tregua  con  essi  ;  io  che  ben 
li  conosco,  farò  prenderli,  ne  ruberò  i  poderi,  ecc.  » 

Il  frate  dimenticavasi  un  altro  testo,  cioè  che  «  la  giustizia 
di  Dio  non  si  opera  per  ira  d'uomini  ^  »  :  vero  è  però  che  egli 
finisce  benedicendo  al  convertito  *. 

In  questo  curioso  poema  di  ottocento  versi  alessandrini , 
volemmo  dar  saggio  men  tosto  della  poesia  provenzale  che  del 
predicar  d'allora  :  perocché,  se  Izarn  potè  far  parlare  debole  e 
ridicolo  l'avversario  ,  come  si  pratica  ne'  dialoghi ,  possiamo 
credere  che  a  sé  medesimo  avrà  messo  in  bocca  le  ragioni  che 
meglio  credeva  calzanti,  qual  é  la  replicata  minaccia  delle  fiamme. 

Già  di  qui  comprendete  come  d'ogni  sorta  persone  pizzicas- 


2  Molti  non  mangiavano  grasso. 

3  Iram  viri  juslitia  Dei  non  opcratur,  Jac,  I,  20. 

♦  Questa  scena  del  frale  caitolico  è  lima;  ma  è  storico  che  Enrico  Vili  di^piiiò 
cinque  ore  con  Lamberto  Simncl,  il  quale  negava  la  presenza  reale,  e  al  line  gli 
propose  di  cedere  o  di  morire.  Lamberto  preferì  la  morte,  e  l'ebbe  a  lento  fuoco 


—  292 


—  Or  che  nuove  rechi  ?  »  (Idiiiandù  il  tiraiino. 

E  quegli  :  —  Pessime,  signore  •.  l'aUova  e  [lerduta  >». 


Gap,  XII.  i'aif.  324. 


^^. ^ ^^ 

17^111  TROVADORI    ITALIANI  D^-1 

F ^ 

^  sere  la  mandòla  provenzale  ed  in  ogni  paese:  Federico  Barba- 
>  rossa,  Riccardo  Cuor  di  Leone,  Federico  III  di  Sicilia,  Guglielmo 
di  Poitu,  leggiadre  donne,  inesorabili  inquisitori.  Anche  ne*  pa- 
)  lazzi  e  nelle  corti  d'Italia  i  trovadori  erano  ricevuti  orrevolmente, 
{  fors'anco  per  simpatia  verso  le  opinioni  albigesi,  e  non  si  tardò 
'  ad  emularli.  Perocché  antico  è  nei  genj  italici  il  vezzo  d'imitare, 
e  quel  che  l'uno  fa,  far  gli  altri.  Cosi  trent'anni  sono,  tutti  i  poeti 
si  rifacevano  di  ombre  e  di  Dante  rigentilito:  poi  vennero  tutti 
devozione  ed  inni;  oggi  eccoli  tutti  broncio  e  bestemmie  contro 
gli  uomini  e  il  cielo:  domani  forse  saran  tutti  inni  e  baccanale 
e  adulazioni. 

Folchetto  da  Marsiglia  genovese,  grand'amico  di  san  Dome- 
nico, fu  il  primo  italiano  che  verseggiasse  in  provenzale;  altri 
gli  tennero  dietro  d'ogni  contrada  ;  e  Genova  intese  Percivalle 
e  Simone  Doria  ,  Ugo  de'  Grimaldi ,  Jacopo  Grillo  ,  Lanfranco 
Cicala;  Pietro  della  Carovana  clie  in  un  componimento  esorta 
i  Lombardi  a  non  si  fidar  de'  Tedeschi:  e  più  illustre  Bonifacio 
Calvi,  che  andato  giovinetto  in  corte  di  Castigha  il  1248,  s'inva- 
ghì di  Berlingcra  nipote  del  re,  e  compose  una  canzone  in  pro- 
venzale, in  spagnuolo  e  in  toscano  per  eccitare  a  guerra  contro 
il  re  di  Navarra ,  e  poco  stante  morì.  Il  Piemonte  ebbe  Pier 
della  Rovere,  iNicoletto  di  Torino,  che  disputò  con  Ugo  di  San 
Ciro,  e  poeticamente  morì  nel  1225  dal  rammarico  di  non  ve- 
dersi corrisposto  in  amore  ;  Albenga  ricorda  il  suo  Alberto  Qua- 
glio: Nizza  Guglielmo  Brieva  :  la  Lunigiana  Alberto  de'marchesi 
Malaspina:  il  Monferrato  Pier  della  Mula:  Pavia  un  Lodovico: 
Possano  un  monaco:  il  veneziano  Bartolomeo  Zorzi ,  in  viaggio 
preso  dai  Genovesi  e  tenuto  in  prigione  sette  anni,  avventò  un 
serventese  contro  Genova;  poi  liberato,  fu  messo  castellano  a 
Corone,  ove  mori.  Un  Siccardo  lombardo  è  l'originale  di  qualche 
nostro  contemporaneo  clie  «  dà  del  poltrone  a  tutti  i  vicini  suoi, 
ad  ogni  pericolo  è  il  primo  a  fuggire;  s'insuperbisce  delle  arie 
grossolane  che  adatta  a  parole  le  quali  non  hanno  senso  '\ 

Costoro,  che  sono  i  più,  appartengono  all'alta  Italia  ,  ove 
il  contatto  co'  Provenzali  e  il  parlare  men  addestrato  faceva 
meglio  disposti  a  quel  verseggiare.  Però  sono  ricordati   Paolo 


r  s  Pietro  d'AlviTiiia  piTSSo  Millot.  > 


,la 


Cantù  —  Ezelino.  19 


de'Lanfranchi  di  Pistoja,  Ruggerotto  da  Lucca,  Migliore  degli 
Abati  da  Firenze,  Rambertino  Bonarello  in  Bologna.  Ai  quali 
sorvola  Ugo  Catola,  perchè,  in  luogo  di  futili  galanterie,  dar- 
deggiò la  corruzione  de'  signorotti. 

Splendido  mecenate  di  tali  Grazi  fu  quell'Azze  d'Este  signor 
di  Ferrara  che  tante  volte  ci  tornò  sotto  la  penna  :  e  lui  e  le 
figliuole  sue  troviamo  spesso  esaltati  come  un  paragone  di  cortesia 
e  di  virtù  nelle  canzoni  di  poeti,  liberali  di  lode  a  chi  è  liberale 
di  doni.  Anzi  una  raccolta  di  poesie  provenzali  conserva  la  bi- 
blioteca di  Modena,  esemplata  fin  dal  1254  e  al  fine  del  libro 
una  annotazione  legge  cosi  : 

«  Maestro  Ferrari  fu  di  Ferrara,  e  fu  giullare,  e  s'intendeva 
meglio  di  trovare  ossia  poetar  provenzale  che  altro  uom  che  { 
fosse  mai  in  Lombardia.  E  meglio  intendeva  la  lingua  provenzale,  ( 
e  sapea  molto  bene  di  lettere,  e  nello  scrivere  persona  non  ^ 
aveva  che  il  pareggiasse.  Fece  molti  buoni  libri  e  belli.  Cortese  j 
uomo  fu  di  sua  persona;  andò  e  volentieri  servi  a  baroni  e  ( 
cavalieri,  ed  a' suoi  tempi  stette  nella  casa  d'  Este;  e  quando  ^ 
occorreva  che  i  marchesi  facessero  festa  o  corte,  vi  concorrevano  l 
i  giullari  che  s'intendeano  della  lingua  provenzale,  e  andavano  ) 
tutti  a  lui,  e  il  chiamavano  loro  maestro.  E  se  alcuno  ci  veniva  ) 
che  se  n'intendesse  meglio  degli  altri,  e  che  facessero  questioni  > 
del  trovar  suo  e  d'altri,  maestro  Ferrari  gli  rispondeva  all'ini-  | 
provviso,  in  maniera  ch'egli  era  il  primo  campione  della  corte 
del  marchese  d'Este.  Quando  era  giovane  attese  ad  una  donna 
che  avea  nome  madonna  Turca,  e  per  quella  dama  fece  molte 
buone  cose.  E  quando  arrivò  ad  esser  vecchio,  poco  andava 
attorno:  pure  si  conduceva  a  Treviso  a  messer  Gerardo  da 
Camino  ed  a'  suoi  figliuoli,  che  gli  faceano  grande  onore  ed  il 
vedeano  volontieri,  con  molte  accoglienze,  e  il  regalavano  lar- 
gamente. » 

Tra  i  figliuoli  del  buon  Gherarilo  da  Camino  ora  accennati 
va  distinta  la  Gaja,  che  prima  favori  e  coltivò  la  poesia  italiana. 
Dante  la  nomina  nel  XVI  del  Purgatorio,  ove  fra  Giovanni  da 
Serravalle  commentando,  dice  com'ella  fosse  prudente  donna  , 
letterata,  di  gran  consigho  e  somma  bellezza,  e  seppe  dir  bene 
in  poesia  volgare  ^. 


•»  Uno  di  coloro  die  la  storia  concepiscono  solo  col  disprezzo   di  liiLlo  e  di  ) 


rz-Q  SORDELLO  [J    t 


Amatore  e  cultore  delle  muse  era  anche  un  fratello  del 
marchese  Uberto  Palavicino  ,  nostra  conoscenza  ;  e  più  ancora 
Bonifazio  III  marchese  di  Monferrato  ,  alla  cui  corte  venuto 
Rambaldo  di  Vaqueiras  ,  e  con  lui  condottisi  in  Terrasanta , 
s'innamorò  di  Beatrice,  sorella  di  esso  e  moglie  del  signor  di 
Carretto.  Dallo  stesso  marchese  del  Carretto  e  da  Federico  II 
ebbe  cortesie  l'altro  poeta  Folchetto  di  Romans. 

Né  gli  Ezehni  rimasero  estranei  alla  protezione  dei  cantori; 
e  in  loro  corte  visse  il  trovadore  di  cui  restò  più  elevata  ri- 
nomanza, Sordello  di  Mantova,  che  accoppiò  la  palma  de'guer- 
rieri,  il  mirto  degli  amanti,  l'alloro  de'poeti.  Su  lui  strani  rac- 
conti cumulò  la  tradizione  il  poetatrasformando  in  uno  spadaccino, 
con  avventure  dedotte  evidentemente  da  que'romanzi  d'esagerato 
eroismo  che  allora  la  Francia  ci  mandava  ,  come  ora  ce  ne 
manda  di  putida  sensualità.  Aliprando  Buonamente,  che,  sul- 
l'entrar  del  XV  secolo,  in  rozzissime  terzine  italiane  espose  la 
storia  di  Mantova,  racconta  siccome  questo  cavaliero  di  gran 
paraggio  nacque  da  ricco  padre  della  famiglia  de' Visconti,  in 
G(5ito  potentissima  ;  studiò  e  ben  giovane  scrisse  il  Tesoro  dei 
tesori,  compendio  delle  imprese  de' più  famosi  governatori  di 
regni  e  repubbliche.  A  venticinque  anni  si  diede  tutto  alle  armi, 
e  divenne  leggiadro  assalitore  ,  il  più  destro  al  bagordare  ,  e 
riportò  l'onore  di  molte  giostre.  Mezzana  statura,  bell'aspetto, 
agile  e  durevole  alle  fatiche.  La  fama  di  sue  straordinarie 
prodezze  arrivò  al  re  di  Puglia  (che  doveva  essere  Federico  II), 
il  quale  inviò  Lionello,  il  più  prò' guerriero  del  suo  reame,  perche 
del  valor  suo  facesse  sperimento  con  Sordello;  promettendogli 
gran  mercè  se  lo  vincesse.  Lionello  viene  a  Mantova,  trova 
Sordello  che  piazzeggiava,  gli  espone  il  motivo  di  sua  venuta, 
e  accordano  fra  dieci  giorni  la  battaglia.  In  quel  mezzo  arriva 
pure  il  cavalier  Galvano ,  spedito  da  Luigi  re  di  Francia  per 
invitar  Sordello  a  quella  corte,  con  promessa  di  mari  e  monti 
alla  francese.  Indugia  a  rispondere  fin  dopo  la  battaglia.  Nella 
quale,  combattuta  cogli  estremi  dell'arte,  Lionello  rimane    di 


tulli,  e  presumono  correggerla  coi  punii  esclamativi  e  interrogativi,  asserì  che  la 
Gaja  era  tutt'allro,  e  cli(3  Danio  la  lodasse  per  ironia,  e  lo  prova   col    dar  del- 
(  r  ignorante  pel  capo  e  chi  disse  diverso.  —  Siile  d'oggi 


I — \2  CAPITOLO    XI 

( 

sótto,  e  il  Lombardo,  curatene  le  ferite,  lo  manda  con  Galvano 
in  Francia,  testimonio  di  sua  valentia. 

Egli  stesso  accingevasi  a  partire  per  colà,  quando  Ezelino, 
informato  dei  meriti  d'un  nostrale  dalla  stima  che  ne  faceano 
i  forestieri  come  non  di  rado  avviene,  volle  conoscerlo.  Bordello 
Ya  a  lui  ;  è  ricevuto  con  grande  splendidezza  ;  poi  è  chiesto  a 
Padova  da  Alberico.  Quivi  trova  Corrado  cavaliere  del  duca 
d'Austria,  venuto  per  seco  provarsi,  lo  combatte,  lo  vince,  e  sì 
lo  manda  in  Francia,  testimonio  di  sue  prodezze.  Alla  pugna  era 
presente  Cunizza  (1  testo  la  nomina  Beatrice),  sorella  di  Ezelino, 
la  quale,  presa  da  tanto  valore,  ne  perdette  il  sonno,  e  strug- 
geasi  pel  cavaliero,ma  non  gliel'aveva  ancora  potuto  manifestare. 
Confidossi  alfine,  alla  sua  nutrice  la  quale  andò  ed  avvisonne 
Bordello,  e  come  la  fanciulla  desiderasse  parlargli  e  divenir  sua. 
Bordello,  parendogli  slealtà,  sulle  prime  ristette,  e  riparti  per 
Mantova,  carico  di  regali  da  Ezelino.  11  rifiuto  irritò  l'amore  di 
Cunizza,  la  quale  travestita  d'uomo, /ugge  a  Mantova  e  interpone 
Pier  degli  Avogadri  parente  suo.  Questi  scrive  ad  Ezelino  come 
la  sorella  di  lui  fosse  con  seco  e  perchè  ;  e  fa  che  Bordello  passi 
tosto  ad  Ezelino.  Questi  al  primo  vederlo  gli  si  fa  incontro  , 
dicendogli,  come  soleva  a'  suoi  più  intimi.  —  Addio,  Bordello, 
fratelmo.  »  E  quegli  comincia  a  balbettare  sue  scuse  ;  udite  le 
)         quali  Ezelino  voltosi  ad  Alberico.  —  Che  ne  senti  fratelmo?» 

—  Io  dico  (soggiunse  questo)  che  la  sorelhx ,  cui  Dio  mandi 
il  malanno,  conculca  l'onor  suo  e  il  nostro.  » 

—  Io  al  contrario  (replicò  il  tiranno)  sostengo  ch'ella  lia 
ragione  d'  amar  Bordello  ,  uom  si  valente  e  d'  ingegno  e  di 
braccio.  » 

E  senz'altro  gliela  consenti;  si  fecero  gli  sponsali,  poi  le 
nozze,  con  balli  e  suoni  e  corte  ban(hta  per  tre  giorni  :  dopo 
dei  quali  Bordello  partì  per  Francia,  fra  i  lacrimati  congedi  dei 
nuovi  parenti.  Per  viaggio  sfidato  in  Lombardia  da  un  Giacchetto, 
il  vince,  e  anche  lui  manda  innanzi  al  re  di  Francia.  Ove  giunto, 
ed  accolto  come  suol  quella  gente ,  eh'  è  sempre  charmce  di 
vedervi  la  prima  volta,  avendo  un  certo  Grisolfo  cortigiano 
motteggiato  sulla  corta  e  lacera  veste  di  lui,  esso  lo  sfida  e 
vince;  e  vince  due  Inglesi,  un  Borgognone,  tutti  quegli  insomma 
con  cui  s'affrontò  ne'quattro  mesi  ch'ivi  si  tenne.  Poi,  per  quanto 
il  re  lo  pregasse  a  rimanere  ,  risoluto  di  tornare    a  casa ,  da 


n 


—  290 


@3^ 


BORDELLO 


questo  viene  armato  cavaliero,  donato  di  tremila  lire,  d'uno 
sparviere  dorato  ,  privilegio  dei  cavalieri  reali,  e  ripassa  le 
Alpi,  gridato  da  tutti  i  gazzettieri  d'allora  come  il  più  segna- 
lato campione  di  Lombardia.  E  i  nostri,  che  credono  uom  grande 
anche  un  compatrioto  quando  gliel  dicano  i  forestieri ,  fecero 
della  sua  tornata  un  continuo  trionfo;  da  per  tutto  la  gente 
affollata  incontro  al  miglior  cavaliere  d'  Europa ,  che  seco 
portava  l'onor  di  Francia.  Che  festa  poi  fecero  Ezelino,  Alberico 
e  la  sua  Cunizza!  che  festa  i  Mantovani  quando  condusse  fra 
loro  la  sposa! 

Fermato  piede  in  patria,  tenuto  come  il  primo  cittadino, 
avvenne  che  Ezelino  bramasse  soggettarsi  quella  città,  e  spe-  ( 
rava  riceverne  aiuto  dal  cognato.  Ma  s'ingannava:  perocché  il 
buon  patrioto  amava  la  libertà  più  che  il  parente,  e  guidò  egli 
stesso  i  suoi  ad  assicurarla.  Fece  ventitré  battaglie,  né  una 
sola  ne  perdette:  altrettanto  rimase  sempre  superiore  in  lotte, 
in  giostre,  in  trar  pilei,  in  tornei.  Cantore,  sonatore,  cacciatore, 
visse  sin  agli  ottant'anni,  fu  sepolto  in  San  Pietro:  la  sua  anima 
sia  con  Dio,  e  preghiamo  la  Madonna  che  altrettanto  avvenga 
a  noi  pure. 

Cosi  il  rustico  Aliprando,  tutti  questi  racconti  affastella  con 
tale  incongruenza  di  luoghi,  d'accidenti,  fin  di  persone,  da  di- 
sgradarne le  odierne  gazzette.  E  il  Plàtina,  in  fama  d'eccellente 
critico  perché  denigrò  i  papi,  se  li  bevve  come  di  fede,  e  ne 
rimpolpettò  la  sua  stona  di  Mantova. 

Realmente  mancano  d'ogni  appoggio.  L'accademia  di  Mantova, 
una  delle  poche  che  non  s'attenne  all'  antico  offizio  di  cotesti 
corpi,  qual  è  d'immiserire  gl'ingegni,  elevare  le  mediocrità  e  dar 
importanza  alle  frivolezze,  nel  1773  avea  proposto  per  concorso 
di  un  premio  «  l'elogio  di  Sordello  Visconti  di  Gcnto  principe 
»  di  Mantova,  guerriero  e  letterato  rinomatissimo  del  secolo  XIII, 
»  in  cui  desidererebbe  che  spiccasse  principalmente  l'idea  degli 
»  all'ari  politici,  l'indole  dei  costumi  e  lo  stato  della  letteratura 
»  di  que' tempi  ».  Se  alcuno  l'avesse  fatto,  era  bell'e  preoccu- 
pato l'arringo,  nel  quale  noi  ci  facciam  adesso  onore '^.  For- 


7  Nel  1783  fu  stampala  a  Cremona  una  dissertazione  intitolata  Sordello,  ano- 
nima ma  da  aiiril)iiirsi  al  conte  G.  H.  D"  Arco,  ove  sono  discnssi   i    latti    relativi 
al  nostro  trovadore.  Snlla  ledi!  di  Riccardo  di  Modi.^liana,  dice  che  Sordello   tra- 
V         dusse  tre  volle  i  Commentari  di  Cesare,  due  le  storie  di  0.  Curzio. 

r=l-P 


—  297  — 


CAPITOLO    XI.  Q    I— I 

^ 

tunatamente  ci  fu  lasciato  il  campo,  e  poiché  egli  si  lega  con 
Ezelino  suo  cognato  ben  altrimenti  che  il  confessionale  con 
san  Giuseppe,  andrem  cercandone  ne' vecchi,  e  più  negli  scritti 
suoi.  Nostradamus,  storico  de'  trovadori ,  il  fa  di  quindici  anni 
chiamar  alla  Corte  da  Raimondo  Berlinghieri  conte  di  Provenza  ; 
e  soggiunge  che  riuscì  il  più  elegante  dettatore  di  poesie  pro- 
venzali italiane ,  che  non  trattò  mai  d'amore ,  ma  di  filosofìa 
solamente.  Forse  allude  al  Tesoro  dei  tesori,  dove  cercava 
instaurare  la  morale  pratica  degli  Stati  ;  e  Benvenuto  da  Imola 
lo  cita,  senza  averlo  potuto  vedere.  Suoi  canti  però  e  piagnu- 
colamenti d'amore  ci  restano  a  bizzeffe,  e  ne  produciamo  una 
strofa  : 

• —  Ohimè!  che  mi  valgono  gli  occhi  miei  ,  se  più  non 
»  vedo  quella  che  desidero,  or  che  la  stagione  si  rinnovella  , 
»  e  si  veste  di  fiori  e  di  foglie?  Poiché  la  mia  donna  mi  prega 
»  ch'io  non  canti  lai  di  duolo,  solo  d'amore  canterò.  Io  muoio 
»  perchè  tanto  lealmente  amo,  e  si  poco  vedo  colei  che  adoro  : 
•»  ohimè!  a  che  mi  valgono  più  gli  occhi?  » 

Se  fosse  ancora  la  stagione  che  i  poeti  disarmavano  le 
belle  con  si  fatto  morire  per  metafora,  mi  crederei  in  dovere 
di  metterle  sull'avviso  contro  tali  poetiche  asserzioni,  giacché 
questo  Sordello  appassionato  mostrasi  poi  vagheggino  incostante 
in  un'altra  poesia,  che  esala  più  le  follie  di  don  Giovanni  che 
non  il  platonismo  del  Petrarca. 

—  Tutti  si  querelano  meco  per  gli  amori  miei  e  per  le 
»  dame  che  ho:  questi  per  invidia,  quelli  perchè  disturbo  i 
»  parenti  loro:  e  mi  consigliano  a  cangiare  stile,  e  mi  dipin- 
»  gono  i  perigli  cui  m'avVenturo.  Ma  di  nulla  tem'io  ;  vivo  al- 
»  legro  senza  impacciarmi  dell'altrui  malevolenze.  Che  siano 
»  gelosi  di  me  qual  meraviglia  ?  Si  ben  mi  conosco  in  amore  : 
»  non  v'è  virtù  di  dama  la  quale  dalle  dolci  mie  persecuzioni 
»  si  possa  difendere.  I  mariti  è  ben  dritto  se  si  crucciano  qual- 
»  volta  alle  lor  mogli  io  m'accosto  :  ma  che  m'importa  lo  sdegno 
»  loro  e  il  male  che  me  ne  vogliono,  purché  io  giunga  a'miei 
»  piaceri?  Io  son  dotato  dalle  fate  cosi,  da  ottener  in  amore 
»  tutto  quanto  bramo.  Onde  la  stizza  loro  ,  i  loro  gridi  non 
»  m'impediscono  di  soggiogar  le  dame  ». 

Perchè  non  si  creda  troppo  neppure  a  questi  vanti,  giovi 
avvertire  ch'erano  d'uso,  siccome  fu  poi  d'uso  che    chiunque 


ai 


'H  —  29S  — 


faceva  sonetto  o  canzone  ,  fosse  vecchio  o  giovane  ,  soldato  , 
frate  o  cardinale,  dicesse  d'essere  innamorato,  e  cantasse  bionde 
trecce  e  pupille  di  fuoco  e  cuor  tiranno.  I  trovadori  poi  pare- 
vano altra  vita  non  vivere  che  d'amore,  e  la  storia  di  essi  e 
le  poesie  loro  sono  un  tessuto  di  avventure.  Ed  è  proprio  un 
dolore  che  lo  fren  dell'arte  mi  rattenga  di  far  qui  uq  romanzo 
coi  romanzetti  raccolti  dal  Nostradamus,  dal  Crescimbeni,  dal 
Millot,  dal  Raynouard  :  ma  nulla  mi  terrà  dal  rammentar  qui 
Guglielmo  della  Tprre,  che  a  Milano  rubò  la  moglie  d'un  bar- 
biere e  la  condusse  a  Como,  seco  beandosi  in  quelle  amenità, 
che  incomparabilmente  deliziose  rende  l'amore.  Ma  la  morte 
colse  la  donna,  e  Guglielmo  non  seppe  più  darsene  pace,  e  de- 
lirante stette  dieci  giorni  interi  sul  sepolcro  di  lei,  e  la  notte 
ne  la  traeva  guardando  fiso  se  risuscitasse,  e  almen  pregan- 
dola a  dirgli  quali  pene  soffrisse,  che  ne  1'  avrebbe  redenta  a 
messe  e  limosine.  Si  trovò  in  fatto  chi  gli  die  a  credere  che, 
se  per  intero  un  anno  egli  recitasse  ogai  giorno  tutto  il  sal- 
terio e  centocinquanta  paternostri ,  e  desse  mangiare  a  sette 
poveri,  la  donna  sua  tornerebbe  in  vita,  senza  però  né  mangiar 
più,  né  bevere  o  favellare.  Guglielmo  si  consolò  d'aver  trovato 
questo  rimedio,  e  la  speranza  il  tenne  vivo  ,  e  quando  questa 
cessò,  cessò  pur  egli  dal  vivere  ^. 

Né  Sordello  era  diverso  da'suoi  confratelli.  Ch'  esso  abbia 
amato  la  suora  d'Ezelino  pare  dai  cronisti  :  e  raccontano  (ve- 
dete baja)  che  per  trovarla  in  Verona,  egli  si  conducesse  ,  di 
fìtta  notte,  lungo  un  viottolo  schifo,  per  attraversare  il  quale 
montava  in  spalla  d'un  servo  che  stavalo  poi  attendendo.  Ezelino 
n'ebbe  avviso,  e  un  bel  giorno  si  postò  in  A'ece  del  servo,  tolse 
in  ispalla  il  poeta,  lo  portò,  indi  lo  riportò,  e  depostolo  gridogh  : 
—  Ormai  ti  basti,  Sordello,  né  voler  più  per  luogo  si  sozzo  a 
più  sozza  opera  passare  ».  Cosi  le  cronache  vulgari  associavano 
il  lepido  al  terribile  ,  sino  a  far  del  diavolo  un  non  so  quale 
dabben  essere,  che  vien  ingannato  mille  volte,  e  prestasi  a 
mille  burle  e  piacevolezze. 

Cunizza,  l'amasia  di  Sordello,  nacque  intorno  al  1189,  e 
ricca  e  delle  belle  donne  d'allora,  andò  sposa  a  Rizzardo  conte 


8  Crescimbeni,  Giunte  alle  vile  dei  podi  provenzali,  p.  197.    Il  più  recente 
scrillorc  di  tal  materia  è  Diez,  Lehen  une!   Werhe  der  Trouhadours.  } 

299  -  nJil 


CAPITOLO  xr. 


^ 


di  Sambonifazio  avendo  ventiquattro  anni.  Né  quest'  età  era 
tarda  pei  maritaggi  nel  tempo  che,  come  Dante  ricorda,  non 
uscivano  di  misura  il  tempo  e  la  dote.  Ezelino  a  sua  figlia 
Palma  diede  in  dote  mille  lire  fra  denari  e  roba  :  e  Speronella, 
che  voi  conoscete,  nel  suo  testamento  del  1199  disereda  la  fi- 
gliuola Zamponia  perchè  ita  a  marito  avanti  i  venticinque  anni , 
non  le  lasciando  che  le  milletrecento  lire  ond'era  stata  dotata. 

In  corte  del  Sanbonifazio  viveva  Sordello,  divertendo  i 
principi  colle  canzoni  e  coi  racconti.  Cunizza  se  ne  invaghì  :  e 
pare  Ezelino  connivesse  a  quegli  amori:  e  forse  per  fare  onta 
al  Sambonifazio,  col  quale  era  venuto  in  rotta,  indusse  Sordello 
a  rapirla,  e  in  sua  corte  die  ricetto  ai  due  amanti.  Cunizza 
aveva  dal  marito  un  figliuolo,  Leonisio  o  Loisio,  che  poi  guer- 
reggiò da  prode.  Infine  essa  fece  divorzio  dal  conte,  e  quando 
Ezelino  cacciò  Sordello  di  corte ,  ella  si  volse  a  cercar  altro 
amante,  e  prescelse  il  cavaliere  Bonio  di  Treviso.  Benché  am- 
mogliato ,  ella  prese  accordo  di  fuggir  con  esso  e  andarono 
pel  mondo  cercando  divertimenti ,  e  facendo  le  ricche  spese. 
Tornarono  poi  in  Treviso  quando  vi  dominava  Alberico  ;  né  in- 
termisero 0  velarono  la  loro  tresca.  Bonio  nel  difendere  Treviso 
da  Ezelino  fu  morto:  ed  ella,  vedovata,  tornò  ad  Ezelino,  che 
le  procurò  nuove  nozze  con  Raineri  conte  di  Breganze  ,  uom 
ricco,  nobile  e  reputato  assai,  e  che  pure  non  si  recò  a  disonore 
lo  sposare  una  donna  vissuta  in  famigerato  adulterio.  Ezelino 
però  venne  inimico  ai  Breganze,  e  li  mandò  a  morte  tutti,  an- 
che il  cognato  :  eppure  Cunizza  dimorò  alcun  tempo  col  fratello , 
poi  a  Firenze  ,  e  dopo  la  catastrofe  de'  suoi  trovò  in  Verona 
altre  nozze. 

Mentr'ella  stava  a  Firenze  in  casa  Cavalcante  de'  Caval- 
canti, nacque  Dante  Alighieri,  quegli  che  doveva  fra  non  molto 
sorgere  gigante  a  capo  della  nuova  letteratura ,  cacciare  di 
scanno  i  poeti  vissuti  prima  di  lui,  e  all'alta  Italia  e  al  mondo 
dar  esempio  d'una  non  più  udita  né  più  imitata  poesia.  Ed  egli 
collocò  Cunizza  niente  meno  che  in  paradiso  nella  sfera  di  Ve- 
nere ^,    indulgendo  troppo  alle  colpe  d'amore,  cui  egli  stesso 


Cunizza  son  chiamata,  e  qui  rifulgo, 
perchè  mi  vinse  il  lume  d'essa  stella. 

Paradiso^  IX. 


^ 


—  300  —  D-— I 


-^s 


jjt]  SORDELLO  Cn^ 

inchinava,  e  fa  da  lei  predire  le  sanguinose  rotte  che  i  Guelfi 
della  Marca  toccherebbero  dallo  Scaligero.  I  commentatori  an- 
tichi non  dubitano  di  darle  il  titolo  che  ben  le  sta  di  magna 
meretìnx;  e  le  congetture  moltiplicate  dai  moderni  per  ispiegar 
questa  incongruenza  di  Dante,  poeta  storico  e  distributore  se- 
vero delle  lodi,  han  poco  peso.  Ugo  Foscolo  uom  d' ingegno 
quantunque  erudito  ,  in  quel  suo  bizzarro  commento  suppone 
che  Dante  ponesse  là  il  nome  di  Cunizza  finché  gliene  sovve- 
nisse un  altro  più  acconcio,  lo  che  non  fece  poi  per  morte  i'^: 
altri  asserisce  trattarsi  d'una  tutt'altra  Cunizza:  e  Benvenuto 
da  Imola  ,  tanto  per  iscusare  il  suo  poeta  ,  dice  che  costei  fu 
pietosa,  benigna,  misericorde  verso  gl'infelici  dal  fratello  tor- 
mentati. Di  lei  abbiamo  un  atto  del  1  aprile  1265  fatto  ap- 
punto a  Firenze  in  casa  dei  Cavalcanti,  ove  rende  la  libertà  a 
tutti  gli  uomini  di  masnada  del  padre  e  de'  fratelli ,  eccetto 
quelli  che  aveano  tradito  Alberico,  i  quali  tutti  coi  loro  eredi 
presenti  e   futuri,    manda    in    corpo    e  in  anima  a  mille  dia- 


voli 


;  il 


10  Discorso  sul  testo  della  divina  Commedia.  CLXIII. 

11  Anche  dopo  abolita  la  servitù  rustica,    la   servitù  domestica  durò  molto 
tempo  nelle  parli  dove  accaddero  i  fatti  del  nostro  racconto. 

Francesco  Novello  di  Carrara,  sul  fine  del  suo  principato,  ricompensò  maestro 
Giovanni  da  Genova  del  servizio  prestatogli  come  medico  donandogli  una   schiava 
nera   di    vent'anni,   che   chiamavasi  Epi,  e  dopo  il  battesimo  Maria:  e  più  tardi 
l  un'altra  di  ventiqualir'anni,  prima  India,  poi  chiamata  Barbara. 

)  Il  20  ottobre  1400  il  provido  uomo  Pietrobon,  figlio  di  Tommasino  de'Bel- 

}  domandi,  padovano,  vendette  al  banchiere  Nicolò  q.  Prosdocimo  da  Rio  una  schiava 

(  tartara  di  22  anni  circa,  senza  diletti  visibili  né  occulti,  pel  valore  di  50  ducati 

d'oro.  Gennari,  Ann.  di  Padova  al  1156.  Nel  1447  Francesco  Sforza,  presa  Vi- 
cenza, vendeva  10,000  cittadini  al  miglior  olTerente.  Sismondi,  l.  IX,  e.  72. 
Nel  1501  il  Valentino  fa  vendere  a  Roma  le  campane  prese.  Guicciardini,  1.  V,  e.  2. 
Ma  perchè  neppur  in  ciò  l'orgoglio  dell'età  nostra  possa  ingigantire  a  con- 
fronto della  passata,  adesso  appunto  (1855)  leggo  su  giornali  della  libera  Nord- 
America  questi  annunzi: 

«  Venti  dullari  di  mancia.  E  fuggita  una  giovane  negra  chiamala  Molli,  di  16 
»  in  17  anni;  figura  snella;  di  recente  marchiata  sulla  guancia  sinistra  con  un  R; 
»  un  pezzetto  dell'orecchia  sinistra  tagliato.  La  stessa  lettera  è  segnata  all'interno 
»  fra  le  due  gambe. 

«  Dieci  dollari  d'argento  a  chi  prenderà  o  mi  ronderà  il  mio  negro  Mosé  che  ) 

-301-  d3 


Degli  amori  di  Sordello  con  Cunizza  fa  pur  menzione  una 
vita  di  esso  poeta,  manoscritta  nella  Vaticana,  ove  è  soggiunto 
che  dopo  «  e'  se  n'andò  nel  Cenedese  ad  un  castello  di  quelli 
»  d'Este,  dai  seri  Guglielmo,  Enrico  e  Valpertino  molto  amici 
»  suoi,  vi  sposò  celatamente  una  sorella  di  loro  per  nome  Otta, 
»  fuggi  a  Treviso.  Il  che  come  seppero  i  signori  d'Este,  volevano 
»  offenderlo  nella  persona  ,  e  così  pure  que'  di  Sarabonifazio  : 
»  laonde  egli  stava  armato  in  casa  d'Ezelino  *^  ».  Segue  raccon- 
tando come,  allorché  andava  per  la  città  ,  cavalcava  su  buon 
destriero  e  gran  compagnia  di  cavalieri.  Per  paura  degli  avver- 
sarj  si  parti,  ed  andò  in  Provenza  dal  conte  di  colà,  ove  amò 
una  gentile  e  bella  donna,  per  la  quale  fece  di  molte  canzoni, 
in  cui  la  chiamava  dolce  nemica  i^. 

E  basti  degli  amori  di  Sordello  :  or  vediamo  del  valor  suo. 
Non  che  lo  ostenti  nelle  sue  poesie,  in  una  anzi  prega  il  conte 
signor  suo  che  noi  voglia  menare  alla  crociata:  e  ( 

—  Signor  conte  ,  non  esigete  da  me  ch'io  vada  a  cercar  / 
»  la  morte.  Volete  un  marinaro  ben  esperto  ?  eccovi  Bertrando  ( 
»  d'Alamanon,  che  conosce  i  migliori  venti,  e  nulla  più  agogna  / 
»  che  di  seguitarvi....  Ognuno  pel  mare  va  a  guadagnar  salute  ) 
»  eterna.  ?^Ia  io,  io  non  ho  fretta  di  salvarmi,  e  voglio  arrivare  \ 
»  più  tardi  che  posso  all'eterna  vita;  onde  non  m'imbarcherò  | 
»  giammai.  »  ( 


»  fuggi  stamattina:  ovvero  cinque  volle  tal  somma  a  chi  mi  darà  la  prova  positiva  '; 

»  ch'ai  fu  ucciso:  e  non  s'indagherà  chi  Tabhia  l'alio. 

«  Cani  da  negri.  Il  sotloscrillo  avendo  comprato  una  muda  compita,  si  assume  ) 

»  d'inseguire  i  Negri  fuggiaschi.  Prezzi:  3  dollari  il  giorno  per  la  caccia,  15  per 
»  la  presa  » .  ;, 

12  Un  commentatore  antico,  inedito,  al  VI  del  Purgatorio  di  Dante,  pone:  | 
»  Sordello,  del  Mantovano,  d'un  castello  che  ha  nome  Goito  ;  gentil  cattano;  fu  ( 
avvinente  omo  della  persona  e  grande  amatore.  Ma  molto  ei  In  scaltro  e  falso  ( 
verso  le  donne  e  verso  i  baroni,  da  cui  elli  stava.  E  s'intese  in  madonna  Cunizza  "" 
sorore  di  ser  Kccelino  e  di  ser  Alberico  da  Romano,  ch'era  mogliera  del  conte  (^ 
di  Sambonifacio.  E  per  volontate  di  ser  Eccelino  elli  involò  madonna  Cunizza  e  ^ 
menolla  via  » .                                                                                                           ^ 

13  Piacque  poi  quest'antitesi  al  Petrarca,  che  cantò:  «  Della  dolce  ed  acerba 
mia  nemica  —  Gli  orecchi  della  dolce  mia  nemica  —  M'oda  la  dolce  mia  nemica 
anzi  eh'  io  moia  —  Della  dolce  ed  amata  mia  nemica  »  ed  altre  volle  ;  poi  dietro 
lui  i  Petrarchisti  d'ogni  età  e  sesso. 


I — '□  SORDELLO 

Questo  Bertrando  d'Alamanon  era  prode  cavaliero  ed  in- 
sieme trovador  valoroso:  e  da  Sordello  è  indotto  a  seco  dialogare 
in  una  tenzone,  che  è  siffatta  : 

Sordello.  «  Se  tu  avessi  a  perdere  quanta  gioia  d'amanti 
»  e  di  amiche  avesti  o  sei  per  avere  ,  oppure  sagrifìcare  alla 
»  dama  di  cui  ardi  quanto  onore  acquistasti  o  sei  per  acquistare 
»  nella  cavalleria,  quale  sceglieresti? 

Bertrando.  «  Tanto  a  lungo  fui  rifiutato  dalle  dame  che 
»  amai ,  si  scarso  bene  ne  ricevett  i ,  che  preferisco  la  gloria 
»  acquistata  nella  cavalleria.  Lascio  a  voi  la  follia  d'amore,  ove 
»  gioia  non  v'  è  giammai  ,  perchè  più  se  n*  ottiene  e  men  ne 
»  rimane;  quando  nei  campi  delle  armi  sempre  nuove  conquiste 
»  restano  a  farsi,  nuova  gloria  ad  acquistare. 

Sordello.  «  Non  v'ha  gloria  senza  amore.  Tristo  partito 
»  abbandonar  il  godimento  e  la  galanteria  per  guadagnar 
»  colpi;  soffrire  fame,  freddo  ,  caldo.  Tutti  questi  vantaggi  di 
»  buon  cuore  io  cedo  per  le  supreme  gioie  che  aspetto  dal- 
»  amore. 

Bertran'DO.  «  E  come  osereste  comparir  innanzi  all'amica 
»  vostra,  se  non  osate  brandir  l'armi  per  combattere  ?>>'on  v'è 
»  piacer  vero  senza  la  gagliardi.i.  Essa  eleva  a  più  grandi  onori: 
»  ma  le  pazzie  e  le  gioie  d'amore  traggono  dietro  lo  svilimento 
»  e  la  caduta  di  chi  se  ne  lascia  sedurre. 

Sordello.  «  Purché  io  sia  prode  agli  occhi  di  colei  che 
»  adoro,  che  mi  cale  dello  spregio  altrui?  Lieto  vivrò  'con 
»  essa,  né  ad  altra  felicità  aspiro.  Voi  andrete  ad  abbattere 
»  ogni  cosa,  mentre  io  andrò  ad  abbracciare  il  mio  bene  ;  voi 
»  godrete  la  stima  de'  grandi  baroni  francesi ,  io  godrò  dolci 
»  baci,  che  mi  valgono  meglio  che  i  più  bei  colpi  di  lancia. 

Bertrando.  «  Amico  Sordello  ,  1'  amor  vostro  è  fondato 
»  sull'inganno.  Io  non  vorrei  aver  conseguito  quella  che  amo 
»  d'amor  sincero  per  mezzo  d'una  fama  che  non  meritassi.  Un 
»  bene  si  mal  acquistato  mi  renderebbe  infelice.  Lascio  a  voi  ) 
»  le  frodi  d'  amore,  io  non  voglio  che  l'onore  dell'armi.  Gran 
»  follia  é  la  vostra  di  mettere  in  bilancia  una  falsa  felicità  con 
>  una  gioia  legittimamente  ottenuta. 

V'ha  chi  si  gloria  in  verso  di  vizj,  di  cui  arrossirebbe  in 
prosa  ;  perchè  non  crederemo  che  Sordello  qui  pure  fìngesse 
soltanto  per  arte,  ovvero  col  fine  di  pungere  altri   trafìggendo 

—  303  — 


r— n  CAPITOLO    XT. 

sè  stesso  ?  Certo  il  più  delle  volte  egli  si  eleva  a  subietti  ge- 
nerosi, e  a  tacer  anche  una  sua  canzone  sul  vespro  siciliano, 
dei  trentaquattro  componimenti  che  di  lui  ci  arrivarono^  quin- 
dici sono  amorosi,  i  restanti  di  più  elevata  sentenza ,  e  sovra 
tutti  è  celebre  il  suo  Serventese  in  morte  del  trovadore  Bla- 
casso  :  ove  finge  di  spartir  il  cuore  di  quel  prode  fra  coloro 
che  men  ne  hanno,  ^togliendone  occasione  a  tartassare  i  principi 
d'allora. 

• —  Primieramente  ne  mangi,  perciocché  grand'uopo  ne  ha, 
l'imperatore,  s'ei  vuole  per  forza  conquistare  i  Milanesi,  che 
lui  tengono  conquiso,  sicché  vive  disertato,  malgrado  de'  suoi 
Tedeschi.  Ne  mangi  poi  il  re  francese:  e  ricupererà  sua  terra, 
che  perde  per  negligenza.  Ma  s'ei  crederà  a  sua  madre,  non  ne 
mangerà  punto,  perchè  ben  ella  desidera  ch'ei  non  faccia  cosa 
che  vaglia. 

»  Del  re  inglese,  perché  poco  coraggioso,  mi  piace  mangi 
assai  di  quel  cuore,  e  diverrà  valente  e  buono,  e  ricovrerà  la 
terra  che  gli  tolse  il  re  di  Francia  ,  perchè  il  sa  negligente. 
E  il  re  di  Castiglia  tengo  che  ne  mangi  due  porzioni,  perchè 
tien  due  reami,  e  non  basta  per  uno.  Ma  s'ei  ne  vuole  mangiare, 
se  ne  mangi  di  nascosto,  che  se  la  madre  il  sapesse,  batterialo 
col  bastone 

»  Il  conte  di  Provenza  tengo  che  ne  mangi ,  che  uomo 
diseredato   dal  regno,  se  vive  un'ora,  non  vai  più  nulla. . . , 

»  T  baroni  mi  vorranno  male  perchè  dico  il  vero;  ma  ben 
sappiate  ch'io  li  prezzo  tanto  poco,  com'essi  me. 

»  Donna,  mio  bel  ristoro,  sol  che  da  voi  possa  trovar  mercè, 
sfido  chiunque  non  mi  tien  per  amico  »  '*. 

In  un  altro  serventese,  di  ben  minor  nerbo,  Bordello  morde 
i  crociati  contro  gli  Albigesi:  in  un  altro  esorta  i  baroni  a  non 
lasciarsi  conculcare  e  tórre  gli  Stati  ;  in  un  altro  sferza  i  prin- 
cipi che  mentono  la  promessa.  Tradusse  le  storie  di  Cesare  e 


14  L'imperatore  é  Federico  II:  il  re  di  Francia,  Luigi  IX:  d'Inghilterra, 
Enrico  III;  di  Catiglia,  Ferdinamio  III;  di  Navarra,  Tibaldo  conte  di  Sciampagna. 
Cesare  Francesco  Balbi,  patrizio  veneto,  fece  uitimanienle  una  novella  in  quattro 
canti  sopra  il  faito  del  Oislcllo  d'amore,  da  noi  pure  enunciato  nel  Capo  I,  pag.  33, 
e  ne  fa  eroe  Sordello. 


—  301  — 


'^  Cioè  poetare:  donde  Irovadore. 


sl^. 


[ap^ E^ 

r-t]  SORDELLO  ^    ^ 

di  Curzio,  e  scrisse  al  consiglio  della  sua  patria  sull'arte  di  di- 
fendere le  città  forti.  Tutto  ciò  in  provenzale;  ma  anche  in 
italiano  egli  dettò:  giacché  non  avrete  tardato  finora  ad  accor- 
gervi che,  insieme  colla  poesia  provenzale,  era  sorta  l'italiana. 

Quel  sommo  pedante  di  Mario  Cresciml)eni ,  dietro  all'  E- 
quicola  e  al  Bembo  deduce  questa  da  quella  ;  e  anche  testé  , 
dimostrato  che  era  follia  il  sostenere  che  avessimo  imparato  a 
poetare  dagli  Arabi  alcuno  protese  l'imparassimo  dai  Proven- 
zali, e  ripeterono  quei  molti  che,  come  le  tarine  ,  prendono  il 
colore  dal  drappo  che  mangiano  ,  e  giudicano  la  libertà  una 
servilità  nuova,  o  verità  un  nuovo  errore. 

Il  fatto  sta  che,  come  alla  lingua  nostra  non  fu  mestieri 
d'innesto  forestiere,  ma  solo  nella  naturale  evoluzione  per  pas- 
sar dal  latino  parlato  al  vulgare  odierno  ,  cosi  la  poesia  ab- 
bandonata dalle  Muse,  cioè  dai  cultori  eruditi,  depose  i  metri 
fondati  sopra  la  quantità  delle  sillabe  ,  per  attenersi  a  quelli 
già  popolari,  che  badavano  solo  al  numero  di  esse,  e  ne  ven- 
nero i  ritmi  o  le  rime  nuove. 

Basta  ricordare  gl'inni  della  Chiesa  per  veder  come  le 
parole  fossero  latine,  vulgari  le  forme;  e  su  quel  fare  andavano 
le  canzoni,  e  ce  ne  resta  una  che  Buoncompagno  fece  contro 
fra  Giovanni  da  Schio,  entrambi  a  voi  noti: 

Et  Johannes  johoannizzat 
et  saltando  choreizat  : 
modo  salta,  modo  salta 
qui  ca^lorum  petis  alta. 

Noi,  che  diciamo  un  Pater  nostro  ad  ogni  grano  che  ci 
corre  sotto  le  dita,  abbiamo  qui  e  là  recato  saggi  di  poesia 
italiana,  ed  altri  ne  potremmo  addurre,  stando  anche  solo 
alle  persone  nominate  in  questo  scucito  racconto.  E  sia  primo 
l'imperatore  Federico,  il  quale  celebrando  la  donna  sua  le  diceva: 

Poiché  ti  piace  amore 
che  io  deggia  trovare   ^^, 


CAPITOLO   XI. 

farò  Oìine  mia  possanza 
che  io  vegna  a  compimento. 
Dato  aggio  lo  mio  core 
in  voi,  madonna,  amare 
e  tutta  mia  speranza 
in  vostro  piacimento 
e  non  mi  partiraggio 
da  voi,  donna  valente, 
eh'  io  v'  amo  dolcemente... 
Valor  sor  1'  altre  avete 
e  tutta  conoscenza  ^^: 
nuli'  uom  non  porria 
vostro  pregio  contare, 
di  tanto  bella  siete  ! 

Anche  Pier  dalle  Vigne  non  trovò  che  d'amore,  e  nelle 
canzoni  introdusse  l' invio,  cioè  1'  apostrofe  finale  alla  canzone 
istessa  : 

Mia  canzonetta,  porta  i  tuoi  compianti 

a  quella  che  in  balia  ha  lo  mio  core: 

tu  le  mie  pene  contale  davanti, 

e  dille  com'io  moro  per  su' amore; 

e  mandami  per  suo  messaggio  a  dire 

com'io  conforti  l'amor  che  le  porto. 

E  se  io  ver  lei  feci  mai  alcun  torto. 

Donimi  penitenza  a  suo  volere. 
Certo  ben  son  temente 

di  mia  voglia  mostrare: 

e  quando  creo  ^"^   posare 

mio  cor  prende  arditanza: 

e  fa  similmente 

come  chi  va  a  furare, 


16  Anche  Danto  elisie  conoscenza  per  sapienza: 

Falli  non  foste  a  viver  come  bruti, 
ma  per  seguir  virinde  e  conoscenza. 

17  Credo.  1  Siciliani  proniinciano  anche  adesso  IV  per  ?,  onde  si  trova  scritto 
eo,  meo,  ove  noi  mettiamo  /o,  luio.  ^ 


rOETI    ITALIA^'I 

che  pur  veder  gli  pare 

l'ombra  di  chi  ha  dottanza, 

e  poi  prende  ardimento 

quant'  ha  maggior  paura. 

Cosi  amor  m'assicura 

quando  più  mi  spavento 

chiamar  mercè  a  quella  a  cui  son  dato, 

ma  poi  la  veo  ^^,  oblio  ciò  ch'ho  pensato. 

È  di  lui  il  primo  sonetto;  forma  aggentilita  tanto  dal 
Petrarca,  abusata  dai  cinquecentisti;  a  torto  vilipesa  oggidì, 
perchè  gli  è  più  facile  deridere  che  farne.  E  un  sonetto  ab- 
biam  pure  di  Enzo  re  di  Sardegna,  figlio  naturale  di  Federico, 
che  daremo   meno  malconcio  che  non  gli  editori  ordinarj. 

Tempo  viene  a  chi  sale  ed  a  chi  scende, 
e  tempo  è  da  parlare  e  da  tacere; 
e  tempo  è  d'aspettare  e  da  imprende  '^, 
tempo  da  minacciare  e  non  temere. 

Tempo  è  da  ubidir  chi  ti  riprende; 
tempo  è  di  molte  cose  provedere: 
tempo  è  di  vengiare  chi  t'offende; 
tempo  da  infinger  e  di  non  vedere. 

Però  io  fengo  saggio  e  conoscente 
quegli  che  fa  suoi  fatti  con  ragione, 
e  con  il  tempo  si  fa  comportare; 

e  mettesi  in  piacere  della  gente, 
che  non  si  trovi  nessuna  cagione 
che  lo  suo  fatto  possa  biasimare. 

In  questi  primi  voi  riscontrate  un  parlare  ancora  lattajuolo, 
più  improntato  del  latino;  un  costrutto  perplesso;  e  in  uno 
stile  prolisso  gittati  pensieri  di  scarso  vigore,  e  quasi  unica- 
mente rivolti  alla  più  comune  delle  passioni.  Ma  aveste  anche 
letto  soltanto  questo  racconto  (che  poveri  voi!),  già  saprete 
che  m  Toscana  si  usavano  e   lingua    e    poesia   siffatta  ;    onde 


1**  Poiché  la   vedo. 
\  19  Imprendere. 


Jl 


20  Vulgare  eloquio,  1.  I,  e.  ì'2- 

21  È  assunto  di  Gabriele  Uossetli  ne' suoi  Misteri  dell'amor  platonico. 


CAPITOLO   XI.  D    'ri 

non  crederete  all'altro  specioso  paradosso  che  fa  l'italiano  \ 
nascer  in  Sicilia  e  alla  corte  di  re  tedeschi;  ma  insieme  ri- 
fiuterete il  ginnasiale  dettato  che  Dante  creasse  la  lingua, 
lingua  in  cui  si  scriveva  a  questo  modo  un  secolo  prima.  Il 
qual  Dante  la  fa  nascere  in  Sicilia  perchè  v'era  il  seggio 
reale;  adulazione  da  ghibellino,  dietro  aUa  quale  disse  che 
«  tutto  quello  che  i  nostri  precessori  composero  in  vulgare  si 
»  chiama  sicihano;  il  che  ritenemmo  ancora  noi,  e  i  posteri  \ 
»  nostri  non  lo  potranno  mutare  ^^  »,  come  ciascuno  può  ) 
vedere  verificato.  ^ 

Che  se  ci  piacesse  portar  titoli  di  passione  anche  in  tale 
materia,  denomineremmo  ghibelline  le  lingue  dei  dominatori 
d'origine  tedesca;  mentre  le  latine  guelfe  eransi  formate  in 
Sicilia  colla  dominazione  normanna,  in  Toscana  colla  repubblica, 
in  Roma  coi  papi.  E  que'  piaggiatori  dei  re  che  fanno  autori  y 
della  poesia  e  quasi  della  favella  nostra  Federico  II  ed  Enzo  ,  ) 
dimenticano  che  questa  non  era  la  loro  e  non  poteano  che  > 
averla  imparata  qui.  ^ 

E  mi  perdonino  i  sopracciò  se  non  credo  che  da  quei  te-  > 
deschi  principi  avessero  imparato  a  poetare  i  non  pochi  che  già  i 
il  faceano  ai  tempi  d'Ezelino,  e  che  potrebbero  paragonarsi  ai  ' 
muschi,  i  quali  a  poco  a  poco  s'un  arido  sasso  formano  col  loro  ) 
detrito  uno  strato  di  terra,  bastante  poi  a  nutrire  querce  ed  abeti.         ì 

Se  volessimo  far  valere  la  nostra  merce,  vi  dimostreremmo  ) 
air  evidenza  che,  cantando  d'amore,  costoro  intendevano  tut-  ( 
l'altro  ;  e  volevano  esprimere  il  loro  affetto  per  la  liìiertà  re-  ( 
ligiosa  e  l'avversione  alla  corte  di  Roma'^^.  E  se  procedendo  | 
voi  trovaste  che  Federico  e  Pietro  dicevano  spiattellatamente  > 
e  la  verità  e  le  ingiurie  ai  papi,  e  quindi  domandaste  clie  bi-  ( 
sogno  e'  era  di  quel  linguaggio  massonico  che  per  sei  secoli  ; 
rimase  incompreso  ,  noi  faremmo  spallucce  ,  conchiudendo  non  \ 
darsi  paradosso,  né  assurdo  che  non  trovi  appoggi  ed  esempi  e  ì 
credenti.  ; 

Fra  quei  primi  poeti  italiani  accenniamo  un  marchigiano,         \ 
buontempone  che,  dimentico  di  so  e  ignaro  di  Dio ,  s'era  dato 
alla  vanità,  ed  era  chiamato  il  re  dei  versi  perchè  nessuno  lo 


nra  POETI    ITALIANI  W 


2-  Sui  oblitus  ri  Dei  nrsriiiSj  se  tolum  /irosli/ucrat  vnnilali.  Vocabatur  rex 
versuum  eo  quod  princeps  foret  lasciva  contanliuin ,  et  rnvenlor  srcularinm  can- 
tionum,  eie.  Fra  Tommaso  da  Cklano,  che  scriveva  nel  iVi't. 

2^   Tanltis  eloquenliae  vir  exislens^  non  soluin  in  poetando,   sed  quomodolibel 
<  loquendo  patrium  vulvare  deseruit.  Vulg.  eloq.  1.  I,  e.  lo. 

rarf         •  ''''"  ^' 

Cantù  —  hzelino.  20 


agguagliava  nel  cantare  amori ,  aveva  inventato  canzoni  po- 
polari ^^ì^  e  tanto  si  levò  la  sua  gloria  che  Federico  II  pompo- 
sissimamente gli  cinse  quella  corona  di  poeta,  che  fu  poi  tanto 
ambita  dal  Petrarca  fino  alla  Bandettini.  L'ambizione  lo  traeva 
in  carrozza  a  perder  l'anima,  quando  la  divina  misericordia  il  \ 
fece  imbattere  in  san  Francesco,  che  lo  converti,  lo  vesti  frate,  ì 

e  trattolo  alla  pace  di  Dio,  lo  intitolò  fra  Pacifico  ;  di  che  venne  \ 

maggiore  l'edificazione,  quanto  più  scorretta  viveva  la  brigata         \ 
dei  suoi  compagni.  ) 

Di  san  Francesco  come  poeta  ho  dato  un  saggio;  ma  per  ) 
quanto  di  Padova  abbiamo  in  queste  carte  ragionato  ,  nulla  ì 
potrei  recarvi  di  Brandino  padovano  ,  che  Dante  ha  «  veduto  i 
partire  dal  suo  materno  parlare  e  ridursi  al  parlar  cortigiano  ». 

Di  questo  parlar  cortigiano,  sul  quale  ne  disser  delle  belle 
i  pedanti,  che  ammirano  i  classici  non  percliè  li  conoscano,  ma 
perchè  sono  canonizziti  classici ,  1'  Alighieri  dà  lode  al  nostro 
Sordello  ,  dicendo  nella  prosa  non  men  che  nel  verso  si  fosse 
scostato  dal  dialetto  mantovano,  il  quale  troppe  voci  ricevette  > 

dalle  vicine  città  di  Cremona,  Brescia,  Verona  '^^. 

Più  splendida  testimonianza  gli  rese  nella  Divina  Commedia, 
ove,  tra  coloro  che  si  purgano  dell'aver  fino  a  morte  indugiato 
a  pentirci ,  colloca  quei!'  anima  lombarda  ,  che  stassi  altera  e 
disdegnosa  ,  ed  onesta  e  tarda  nel  muover  gli  occhi.  Non  cu- 
randosi di  curiosità,  essa  lascia  ire  Dante  e  Virgilio,  solo  guar- 
dando a  guisa  di  leone  quando  si  posa:  se  non  che  interrogato 
da  Virgilio  sulla  miglior  salita,  prima  di  indicargliela,  l'inchiede 
di  che  paese  sia.  E  come  quegli  rispose  Mantova ,  gettasi  al 
collo  di  lui,  esclamando;  —  0  Mantovano,  io  son  Sordello  della 
tua  terra  ».  Tanto  valeva  in  lui  il  dolce  nome  della  sua  patria! 
Al  qual  atto  il  poeta  ghibellino  esce  in  quelle  sacrosante  parole 
contro  le  discordie  d'Italia,  che  tutti  sanno  —  e  tutti  inutilmente. 

Al  nostro  proposito  serve  indurre  di  qui,  primieramente 
che  Dante   aveva  in  alto   concetto  Sordello  ,  se  lo  pose  attore 


CAPITOLO    XI. 


della  stupenda  scena,  se  lo  fece  abbracciarsi  tre  o  quattro  volte 
con  Virgilio,  se  lo  tiene  coaipagno  a  sé  ed  al  Latino  per  buon 
tratto  di  via  nel  purgatorio,  e  fa  che  gli  dimostri  ombre  non 
di  privati,  ma  di  gran  re,  un  Rodolfo  imperatore  che  per  ne- 
cflisrenza  avea  sofferto  che  l'Italia  andasse  deserta:  un  Ottochero 
di  Boemia,  prode  padre  di  figlio  pasciuto  in  ozio  ed  in  lussuria; 
un  Filippo  di  Francia  che  morì  disfiorando  in  fuga  il  giglio,  e 
che  con  Arrigo  di  Navarra  sospira  dell'aver  dato  vita  al  male 
della  Francia  :  Lodovico  il  Bello  e  Carlo  di  Puglia,  i  cui  eredi 
possedono  il  regno,  ma  non  il  retaggio  migliore.  Uffizio  vera- 
mente degno  del  trovadore  che,  già  vivo  ,  non  avea  temuto 
cantar  la  verità  in  faccia  ai  re. 

Da  quel  passo  ancora  siamo  avvertiti  siccome  Sordello  fosse 
amantissimo  della  patria  ,  e  siccome  ,  vissuto  con  indifferenza , 
finendo  poi  di  morte  violenta  si  volgesse  a  Colui  che  prende 
ciò  che  a  lui  si  rivolge.  Ma  le  storie  non  ci  soccorrono  ;  solo 
narrando  come,  dopo  le  vicende  accennate,  Sordello  andasse  in 
Corte  di  Provenza,  ove  dal  conte  e  dalla  contessa  ebbe  onoranze, 
e  un  castello  e  ricca  sposa   ^'*. 

Quanto  ad  Ezelino,  farete  le  meraviglie  che,  fra  tanta  con- 
suetudine di  corrucci,  pur  ricevesse  con  cortesia  Sordello  ed 
altri  trovadori?  Era  usanza  del  tempo:  poi  la  paura,  siccome 
ingrandisce  le  atrocità  ,  così  giudica  amorevolezza  e  cortesia 
una  crudeltà  risparmiata.  E  qual  altra  cosa  se  non  paura  e 
rabbia  rimane  ai  popoli  oppressi? 

Ah!  rimane  la  speranza;  e  noi  passiamo  ormai  a  vederla 
adempiuta,  senza  più  scostarci  da  Èzehno  ed  Alberico. 


2*  Di  Sordello  racconlu  aliiiianto  (lilTorentenionte  Ballista  Frcgoso,  che  fu  doge 
di  Venezia,  e  composi»  nn  libro  Dei  dclli  e  falli  memorabili.  Lo  fa  dei  Visconti 
e  dei  dintorni  di  Coito  nato  il  1189.  Accennato  allo  sue  imprese  e  all'aver  com- 
battuto corpo  a  corpo  con  ventitre  foriissimi  cavalieri  e  rimastone  vincitore, 
soggiunge  che  la  sua  prodezza  apparve  principalmente  a  Parigi,  dove  lo  stesso 
giorno  combattè  con  Giachelino  e  Leopardo  inglesi,  e  con  Frassato  borgognone. 
Di  Cunizza  (e'  la  chiama  Beatrice)  narra  clic  s' invaghi  delle  prodezze  di  lui,  ma 
egli  non  le  rispose  d'amore,  ncppiir  (piando,  travestila  da  uomo,  fuggi  a  lui;  non 
volendo  mostrarsi  ingrato  verso  Ezijliiio,  se  questi  non  gliela  concedesse  in  moglie; 
•{  l'oneslà  dovendo  curarsi  piii  che  la  bellezza  e  la  passione.  ) 

\^u  -3.0-  nJ 


CAPITOLO     XII. 


LA  CROCIATA. 


Quante  volte  sull'Alpe  spiasti 
l'apparir  d'un  amico  stendardo'.... 
Ecco  alfln  dal  tuo  seno  sboccati 
stretti  intorno  a'  tuoi  santi  colori, 
forti,  armati  dei  proprj  dolori, 
i  tuoi  figli  son  sorti  a  puornar. 
Oggi,  o  forti,  sul  volto  baleni 
il  furor  delle  menti  segrete  : 
per  l'Italia,  si  pugna  :  vincete  '. 
il  suo  fato  sui  brandi  vi  sta. 

Un  Innaiuolo  1. 


neir  autorità  religiosa  che  ,  di  mezzo  ai  rancori 
inesorabili,  sorgeva  ad  intimar  la  pace,  non  man- 
cava pure  di  proteggere  la  libertà  e  i  concultati 
diritti  degli  uomini.  Deh  stata  non  fosse  mai 
abusata  per  ambizioni  e  per  malevolezze! 

Ora  che  a  danno  degli  uomini  inferociva  uno 
de'  peggiori  principi  che  la  storia  rammenti,  il  pontefice  ira- 
pugnò°contro  di  lui  le  armi  sue  ,  che  non  sono  di  ferro  e  di 
fuoco,  segregandolo  dalla  comunione  dei  fedeli.  Ezelino,  come 
quei  forti  che  non  vedono  potenza   se  non  nelle  spade  ,  poco 


1  Si   sa  che  questo  titolo  è  dato  dali'Emili:tni  fiiiiilici  al  Manzoni. 

—  311  — 


mia" 

I — \2  CAPITOLO    xir 

badò  alle  citazioni,  rinnovate  sotto  il  15  febbrajo  1251.  Inno- 
cenzo IV  ,  annunziandole  al  vescovo  di  Treviso  ed  a  Rolando 
da  Cremona,  priore  dei  Domenicani,  ordina  loro  che,  quando 
il  reo  non  obbedisca  alla  chiamata  ,  di  autorità  pontifizia  in- 
giungano ai  podestà,  ai  consigli  ed  ai  Comuni  di  tutta  la  Marca 
1254  Trevisana  e  del  patriarcato  d'Aquileja  di  evitare  ogni  contatto 
con  Ezelino  come  eretico  e  nato  da  eretici,  gli  ricusino  l'ob- 
bedienza, e  procurino  catturarlo;  se  noi  facciano,  tengasi  per 
bandita  anche  contro  di  essi  la  croce ,  quali  fautori  dell'e- 
retica pravità  ^.  ÌSè  perciò  lasciava  di  richiamar  all'ovile  la 
pecora  infellonita  ;  e  invitò  Ezelino  a  stabilire  un  luogo,  qual 
più  gli  paresse  sicuro  e  comodo,  ove  al  tribunale  ecclesiastico 
scagionarsi.  Quegli  non  ascoltò  al  comandamento  ;  anzi  sappiate 
che  colmava  il  sacco  specialmente  rincrudendo  contro  gli  ec- 
clesiastici sì  nella  roba,  si  nella  persona.  Parve  dunque  ora 
e  tempo  di  rivolgere  contro  costui  un'arma  ancor  più  terribile, 
la  crociata;  e  papa  Innocenzo  da  Anagni  scrisse  agli  inquisitori 
in  siffatto  tenore  ^: 

«  La  malizia  umana  in  diverse  parti,  ma  specialmente  in 
Lombardia,  portò  corruttela  di  costui,  talché  peggio  che  mai 
infierì  la  peste  ereticale.  Per  estirparla  ,  i  fedeli  del  vangelo 
sorgano  nosco  ;  e  ciascuno  di  voi  pubblichi  la  crociata  contro 
gli  eretici  e  loro  fautori  ;  chi  assume  la  croce,  acquisti  le  in- 
dulgenze stesse  di  chi  passa  in  Terrasanta  e  voi  potrete  as- 
solvere da  venti  a  quaranta  giorni  di  penitenza  chi  vi  ascolterà 
contrito  e  confessato.  Che  se  alcuno  vi  si  opponesse  e  non  vi 
aiutasse  a  tutta  possa,  senza  ostacolo  d'appellazione  procedete 
contro  di  esso  come  fautore  d'  eretici.  Noi  a  danno  loro  invi- 
teremo ,  i  re  ,  i  principi,  i  crociati  per  Terrasanta,  giacché  il 
serbare  la  fede  ne'  luoghi  vicini  non  importa  meno  che  il  di- 
fenderla nei  lontani.  Chi  toglierà  la  croce,  sia  per  voi  assolto 
da  ogni  interdetto,  sospensione,  scomunica,  principalmente  da 
quelle  incorse  per  incendi ,  rotture  di  Chiese  ,  violenze  contro 
ecclesiastici.  Cosi  dispensate  i  cherici  dalle  irregolarità,  commu- 
tate i  voti ,  se  non  sieno   i  perpetui  per  Terrasanta  ,  nissuno 


2  Rainaldi,  ail  ann. 

3  Coiiiiìcndio  la  bolla  drl  50  luglio  12o4  dal  Bollarlo  Romano. 


312  — 


LA   CROCIATA 


eccettuando ,  fuorché  Ezelino  da  Romano ,  Umberto  marchese 
Pelavicino,  ed  i  magistrati  e  le  città  che  incrudelirono  contro 
le  Chiese  e  gli  ecclesiastici;  occupandone  i  beni  ». 
1255  II  papa  moriva  il  dicembre  di  quell'  anno  ,  ma  Alessandro 
IV  successogli  s' infervorò  a  repressione  di  Ezelino  e  a  difesa 
della  conculcata  umanità  ;  ed  esortato  dal  marchese  d'  Este  e 
dai  primati  della  Marca  Trevisana  ad  efficacemente  togliere  di 
mezzo  il  comune  nimico,  deputò  legato  nella  Lombardia,  nella 
Marca  e  nella  Romagnola  Y onesto  e  paziente  Filippo  Dei,  eletto 
arcivescovo  di  Ravenna,  ingiungendo  a  tutti  i  vescovi  gli  dessero 
mano  per  ben  cominciare  una  guerra  di  tanto  momento  contro 
Ezelino  «  figlio  della  perdizione  ,  uom  di  sangue  ed  inumano 
»  agli  uomini,  il  quale  colle  scellerate  stragi  di  nobili  e  di  plebei 
»  avea  rotto  talmente  il  patto  sociale  e  la  legge  dell'evangelica 
»  libertà  che  sembra  ogni  spirito  di  confidenza  essersi  spento 
»  in  coloro  che  la  crudeltà  sua  lasciò  per  residuo  pascolo  della 
»  crudeltà  »  "*. 

Questo  legato  è  un  altro  carattere  opportuno  a  farci  co- 
noscere il  tempo.  Oriundo  di  Pistoja,  da  giovane  andò  a  Toledo 
per  imparare  necromanzia,  e  un  soldato  in  cui  s'imbattè  lo 
raccomandò  a  un  vecchio  che  n'era  maestro.  Ma  questi  gli 
disse:  —  Voi  altri  Lombardi  non  siete  fatti  per  quest'arte: 
lasciatela  a  noi  Spagnuoli,  simili  al  diavolo  in  fierezza.  Va  a 
Parigi;  studia  la  sacra  Scrittura  e  diverrai  grande  nella  Chiesa  ». 
Cosi  fu.  Di  grande  intelligenza  riusci  ben  addottrinato  nelle 
questioni  teologiche  che  avea  studiate  con  san  Tommaso;  rac- 
coglieva attentamente  le  dettature  di  Pier  Lombardo,  di  san  Bo- 
naventura e  degli  altri  scolastici  e  mistici  ;  conoscevasi  d'affari, 
e  teneva  poi  per  astrologo  frate  Everardo  de'  Predicatori  ^, 
nativo  sassone,  lodato  da  Guido  Bouatto  come  molto  discreto. 
Divenne  vescovo  di  Ferrara,  poi  arcivescovo  di  Ravenna;  andò 
legato  in  Germania  per  maneggiare  l'elezione  d'un  nuovo  im- 
peratore, del  che  tutto  c'informa  fra  Salimbene  ^  che  lo  conobbe 
di  persona,  anzi  lo  praticò.  E  dice  ch'era  uom  terribile  e  fiero; 


*  Rolla  30  dicembre  ISoo  ria!  Latorano.  ("Ili  storici  chiamano  Fontana  il  legato 

»  Nicola  Smekkgi.  Rer.  il.  Srr.  VIK,  101. 

^  Clironica,  Fr.  Svlimbknk  parmensi^,  l'aniia,  1837. 


—  313  — 


rpH  CAPITOLO   XII. 

menava  sempre  40  nomini  armati  a  custodia  della  sua  persona, 
ed  era  temuto  poco  men  di  Ezelino.  Cotesti  suoi  satelliti  teneva 
in  freno  con  rigore  atroce:  uno  fé  gettare  legato  nel  padule,  e 
la  barca  se  lo  tirava  dietro  come  un  pesce;  un  altro  pose  a 
dondolare  sopra  un  fuoco  ardente;  lasciò  mangiar  dai  topi  in 
prigione  un  gastaldo  infedele.  Benevolo  con  alcuni,  con  altri 
era  furibondo  così  che  niun  poteva  parlargli.  Aveva  un  figliuolo, 
bello  come  Assalonne,  e  una  figliuola  che  offri  sposa  ad  un 
signore,  il  quale  la  ricusò  perchè  illegittima,  e  perchè  non 
volea  sterponi  di  preti.  Gran  bevitore,  l'estate  teneva  sempre 
fiaschi  in  fresco  ad  ogni  angolo  della  villa  che  godeva  sul  Po. 
Amò  gli  onori  più  di  chi  si  sia;  e  più  di  chi  si  sia  seppe  do- 
minare e  baroneggiare.  In  un  concilio  provinciale,  i  preti 
faceano  lamenti  contro  i  frati,  perchè  adempiendo  essi  gli  uffizi 
ecclesiastici,  non  restavano  proventi  pel  clero  secolare.  Filippo 
lasciolli  dir  un  poco  e  un  poco;  indi  proruppe:  —  Miserabili!  a 
»  chi  affiderei  le  confessioni  se  non  le  ascoltassero  i  Minori  e  i 
>  Predicatori?  affiderei  a  don  Gerardo  cli'è  qua  di  confessar 
»  le  donne,  a  lui  che  ha  piena  la  casa  di  figli  e  figlie?  e  così 
»  fosse  egli  il  solo!  » 

Tutto  ciò  dal  Salimbeni;  il  quale  pure  racconta  come,  de- 
stinato legato  nella  Marca  contro  Ezelino,  convocò  in  San  Giorgio 
di  Ferrara  il  popolo,  ma  invece  d'una  lunga  orazione,  si  spicciò 
dicendo  esser  inutili  le  parole  dove  bisognano  fatti;  prendessero 
la  croce  per  rimpatriare  gli  esuli  padovani  e  abbattere  Ezelino; 
né  paventassero,  giacché  coi  soli  orfani  e  pupilU  e  vedove  e 
altri  offesi  dal  tiranno  poteva  formar  un  esercito  bastante  a 
vincerlo.  Il  popolo  accondiscese:  molti  preser  la  croce,  e  fra 
Garello,  laico  de'  Minori,  tolse  un  cavallo  a  un  villano,  e  cac- 
ciossi  innanzi  colla  bandiera;  mentre  un  altro  frate,  ch'era  un 
tempo  ingegnere  di  Ezelino,  era  chiamato  a  preparar  macchine 
d'assedio. 

Il  legato,  per  ben  riuscire  nella  spedizione,  conobbe  ne- 
cessario il  volgersi  da  prima  a  Venezia. 

Venezia!  Vi  fu  mai  paesista  o  romanziero  che  lasciasse 
sfuggirsi  l'occasione  di  ritrarne  qualche  parte  o  qualche  av- 
ventura? Donde  nacque  che  la  bella  ed  infelice  Eva  dei  mari 
sia  conosciuta  da  tutti  in  quel  miserabil  modo  che  la  danno 
romanzieri  e  paesisti.  Ma  io  promisi  non  far    più    digressioni; 

_n  -  314  - 


j — '□  ALESSANDRO    IV  1-1   'rn 

sicché  devo  accontentarmi  di  dire  come  allora  ci  vivesse  uno 
che,  cittadino  o  no,  la  amava  assai,  e  ne  scriveva  i  fatti  nella 
lingua  stessa  onde  un  altro  insigne  veneziano  dovea  poco  dopo 
narrare  i  proprj  viaggi  fino  alla  l]ina.  —  Venezia  (diceva  costui 
»  in  francese)  è  di  presente  la  città  più  bella  e  meglio  piacente 
»  del  secolo,  colma  di  beltà  e  di  tutti  i  beni,  e  le  mercatanzie 
»  vi  affluiscono  come  fanno  l'acque  delle  fontane;  da  tutti 
»  luoghi  concorrono  merci  e  mercanti  che  n'acquistano  d'ogni 
»  maniera  e  le  fanno  condurre  in  loro  paese.  Dentro  vi  si  trova 
»  vittovaglia  ad  abbondanza,  e  molto  grande  gentilezza  di 
»  vecchi,  di  mezzani,  di  damigelli,  che  fanno  assai  lodare  loro 
»  nobiltà,  e  cambiatori  di  moneta,  e  cittadini  di  tutti  i  me-  ( 
>?  stieri,  e  marinai  di  tutte  guise,  e  navi  per  condurre  in  tutti 
»  i  luoghi  e  le  galee  per  danno  degl'  inimici;  e  belle  dame  e 
»  damigelle  e  pulcelle  in  gran  numero,  molto  riccamente  ad- 
»  dobbate  »  '^. 

Coloro  che  imputano  le  sciagure  d'Italia  all'esser  allora  \ 
il  più  costituita  a  repubbliche,  o  ne' principati  non  avere  un  1256  ) 
regolato  ordine  di  successione,  potrebbero  ricordarsi  della  stu- 
penda prosperità  di  Venezia;  e  insieme  che  essa  non  ricono- 
sceva alto  dominio  di  signore  tedesco,  e  trovavasi  scevera  di 
nobiltà  castellana.  Dal  che  passo  passo  potrebbe  venire  a  un 
confronto  che  molto  gioverebbe  alla  bandiera,  la  quale  portiamo 
sul  cuore  quando  non  possiamo  sventolar  nella  destra.  Ma  è 
meglio  lasciarlo  nella  penna;  e  dir  soltanto  che  il  nostro  cro- 
nista tocca  naturalmente  dei  fatti  onde  ci  occupiamo,  e  delle 
nimicizie  del  papa  e  di  Venezia  con  Federico  II  ed  Ezelino;  e 
come,  ogniqualvolta  Ezelino  guastasse  le  biade  dei  Trevisani, 
il  doge  soccorrevali  di  vittovaglia,  nel  che  Venezia  spese  più 
che  una  buona  città  non  possieda  in  beni  mobili.  Federico 
mandò  Saracini  a  danneggiarla,  i  quali  a  Sant'Ilario  sopra  una 


)  7  La  nob'.e  cito  que  l'on  apele  Venise,  qui  est  orendroit  la  plus  belle  et  la 

{  plus  pluisant  Jou  siede;  pleine  de  biaule  et  do  los  biens.  Les  marcandies  i  corent 

5  par  cele  noble  cito,  come  fall  Teive  des  fonlaines...  L'eii  irouve  dedens  cele  vile 

ì  la   vitaille  a    grani   piante,  le  pam  et  le  vin,  le  gelines  et  oi>;aus  de  rivere  et  la 

)  char    fresche  et   salée  et  li  gran  poisson  de  mei-  et  de  lliins,    ctc.   La   cronique 

/  des   Veniciens  de  maistre  Martin  de  Canal,  scritta  nel  1267 


rrij  CAPITOLO  XII 

casa  di  religione  fabbricarono  una  fortezza,  e  come  ladroni 
assalivano  Venezia,  e  qualunque  pescatore  cogliessero  l'obbli- 
gavano a  riscattarsi  con  sale;  perchè  Padovane  difettava.  Ma 
il  doge  armò  e  pose  il  fuoco  a  quella  torre,  sicché  i  pagani 
che  v'erano  su  appresero  a  volare  ^,  essendo  stati  costretti 
dal  fumo  a  perigliarsi  dall'alto. 

Esso  doge  era  Jacopo  Tiepolo,  fortunato  di  continue  vittorie 
sopra  i  nemici;  se  non  che  suo  figlio,  essendo  podestà  dei 
Milanesi,  era  stato  preso  alla  battaglia  di  Cortenova,  e  vilmente 
appiccato  da  Federico  II.  Pensate  s'egli  vacillasse  nello  spingere 
a  vendetta  i  suoi;  indi  per  dolore  abdicò.  Marin  Morosino 
succedutogli,  mercè  le  vittorie  del  predecessore,  potè  usare 
sua  vita  in  pace,  e  Venezia  tenne  abbondevole  di  vettovaglie 
e  di  tutti  i  beni  e  di  gioja  e  letizia  9.  In  breve  ebbe  succes- 
sore Ranieri  Zeno,  al  quale  appunto  si  diresse  il  legato  pontifizio. 

Uno  così  potente  come  Ezelino,  accampato  sul  margine 
proprio  della  laguna,  e  donno  della  città  che  era  sempre  stata 
emula  sua  nel  commercio  di  terra,  dovea  recare  grand'ombra 
a  Venezia:  quando  anche  i  molti  che  dalla  dominazione  del 
tiranno  si  erano  ricoverati  sulle  sue  isole,  non  fossero  stati 
mantici  continui  di  paure  e  di  vendette.  A  gran  devozione  vi 
fu  dunque  accolto  il  legato,  che  cantò  messa  in  San  Marco 
assistito  dal  patriarca  d'Aquileja  e  dai  Vescovi  di  Venezia, 
Ferrara,  Treviso,  Caorle,  Jesulo,  Torsello,  Cittanuova,  Cioza,  da 
molti  abati  e  prelati  e  da  tutta  la  chieresia  di  Venezia,  colle 
croci  d'argento  avanti,  e  popolo  e  donne  e  frati  Minori  e  pre- 
dicatori e  di  tutte  le  religioni.  Appresso  la  messa,  uscirono  sulla 
mirabile  piazza,  dove  allora  appunto  erano  state  fabbricate  le  log- 
gie,  le  quali  vedeansi  affollate  di  dame  e  damigelle,  e  il  legato  sa- 
lito s'un  pergole,  cominciò  a  predicare  la  croce,  e  chi  la  pren- 
desse fosse  prosciolto  dalla  pena  di  tutti  li    peccati. 

Il  doge  attestò  quanto  riverente  figliuola  di  Santa  Chiesa  e 
del  papa  fosse  sempre  stata  Venezia;  soggiunse  le  lodi  del  legato, 


8  Et  piiis  fierent  ce  Venisiens  la  fumèe  dedens  li  clochcr,  dont  li  paiens 
aprisliont  a  voler:  que  il  se  geierent  de  li  soiiiet  dou  cloclier  a  lere.  '^  GXXII, 
CXXIll. 

k9  3  CXXVII. 
-  316  - 


Assalta  il  castello  di  Trezzo,  che  gli  darebbe  modo  di  traversarsi  ancora. 

Gap.  XIII.  Pag.  343. 


rr-Q  LA   CROCIATA 

uscito    di  nobilisimo    lignaggio,  molto  lodevole  per  gentilezza, 
prode  di  suo  corpo  e  savio  s'altri  mai  *^;  rammentò  quanto  i 
Veneti  operarono  in  Soria  ed  a  Ferrara  per   servigio  di  Cristo, 
e  promise  dare,  a  spendio  del  Comune,  il  naviglio,  le  armi,  lai256 
vettovaglia,  le  balestre  e  ogni  altro  occorrente. 

Come  tutti  i  gravi  convergono  al  centro  della  terrari,  cosi 
da  ogni  parte  v'accorsero  infiniti  ad  assumere  la  croce,  chi  per 
religione,  chi  per  vendetta,  chi  per  dare  sfogo  a  quella  necessità 
d'azione,  che  era  bollente  allora  negli  Italiani  quanto  ora  è 
accidiata.  Maggiori  in  numero  ed  in  ardore  vennero  i  Padovani 
fuorusciti,  ai  quali,  costituiti  in  una  specie  di  comune,  il  legato 
pose  a  capo  Marco  Quirin,  «  prode  uomo  e  savio,  stratto  d'alto 
lignaggio  »,  mentre  maresciallo  sopra  tutta  l'oste  fu  messo 
il  lodato  e  nobil  uomo  Marco  Badoer  ;  Tommasino  Giustinian, 
«  prod'uomo  e  savio  a  meraviglia  e  di  alto  paraggio,  »  guidava 
i  Veneti  con  mille  balestrieri  sotto  lo  stendardo  di  San  Marco; 
il  vessillo  della  croce  fu  consegnato  a  Clarello  di  Padova  frate 
minore. 

Torre  delle  Bebbe  fra  l'Adige  e  il  Brenta,  presso  Cioza,  fu 
il  punto  assegnato  ove  ritrovarsi  al  cominciare  di  giugno.  Queste 
imprese  popolari  paiono  sempre  numerossime,  ma  al  rettificar 
delle  somme  vi  si  trovano  troppi  zeri:  e  Rolandino  li  ridurrebbe 
a  duemila  appena  quando  in  barca  mossero  sopra  Castello  di 
Brenta.  La  scarsezza  naturale  delle  acque,  e  le  roste  fattevi  da 
Ansedisio,  impedirono  di  rimontare  il  fiume:  e  i  crociati,  tra- 
gittatisi a  Correggiola  ,  dispersero  la  resistenza ,  e  si  unirono 
ad  un  grosso  di  persone  uscite  da  Padova,  ai  Carraresi  e  a 
Tisone,  unico  rimessiticcio  della  divelta  famiglia  di  Camposam- 
piero,  giovane  d'età,  maturo  di  senno,  sicché  non  si  esitò  ad 


•10  11  est  ostrait  de  si  liaiit  lingnage,  qiie  miilt  fait  alocr  sa  gentilesse:  et 
puis  ost  si  prudome  de  son  cors  et  si  sage,  qiie  en  tos  leiis  lo  peut  i'on  aparilier 
a  prudome  et  a  sige.  §  CXXXV. 

^1  La  simililudine  non  è  nostra,  e  Rolandino  dice  preciso:  Ttinc  risa  est 
gens  Lombardorum  tota  prompla  ad  locuin  concurrore,  ubi  rrrditur  E.telinus;  non 
alitrr  qnam  ad  ptinrlum  tcrrac  medium,  qtiod  philosophi  centrum,  dicunt^  pondera 
cuncta  tendere  naturaliler  elaboranf,  I.  XII,  e.  9. 

Ecco  noia  comunemente  l'attrazione  di  centro  della  terra,  nei  tempi  d'igno- 
ranza, sei  secoli  avanti  ai  tempi  della  presunzione. 

-  317  — 


j—L]  CAPITOLO    XII.  '"ni 

eleggerlo  gonfaloniere,  invece  di  fra  Clarello,  perchè  guidasse 
l'esercito  contro  colui  che  aveva  sterminata  la  sua  casa*'^. 

Ezelino  accampava  allora  all'impresa  di  Mantova,  guastagli 
dal  patriotismo  di  Sordello:  e  avuta  notizia  del  movimento,  non 
mostrò  farne  gran  caso  ;  in  tanta  confidenza  era  venuto  di  sé 
0  degli  oroscopi  presi  dagli  astrologi  suoi ,  o  totalmente  di- 
sprezzava questi  accordi  popolari,  che  pur  troppo  prontamente 
sogliono  dar  luogo  a  litigi.  Adempiva  bene  le  sue  veci  il  nipote 
Ansedisio,  che  fortificò  i  castellari  circostanti  ,  singolarmente 
Conselve,  divertì  le  acque  del  Brenta  e  del  Eacchiglione  :  poi 
col  grosso  di  sue  genti  appostò  i  crociati  a  Montelungo.  Ma 
che?  non  appena  questi  comparvero,  i  soldati  del  tiranno  volsero 
le  spalle  ;  i  crociati  presero  a  forza  il  castello  di  Condalbero  , 
bruciarono  Bovolenta  e  Conselve,  e  mossero  ad  assediare  Pieve 
di  Sacco,  in  cui  erasi  afforzato  Ansedisio.  La  riuscita  sarebbe 
stata  difficile  né  pronta,  se  il  legato,  vòlto  allo  stratagemma, 
non  avesse  finto  dirizzare  sopra  Padova.  Ansedisio  ingannato 
volò  per  difendere  la  città  ;  e  i  crociati  ciuffarono  Pieve  di 
Sacco,  per  tal  guisa  assicurando  la  comunicazione  col  mare. 
125(3  II  primo  successo  crebbe  coraggio  ai  federati,  che  cresciuti 
di  sempre  nuove  genti,  voltarono  sopra  Padova  sulla  diana  del 
19  giugno.  11  legato,  il  quale  ribenediva  i  luoghi  man  mano  che 
venivano  riconquistati ,  procedeva  innanzi  col  clero  ,  cantando 
Vexilla  regis  prodeunt ;  e  l'esercito  rispondeva  a  coro,  e  molti 
piangevano,  dice  il  cronista,  veramente  come  Israeliti  marcianti 
contro  i  Filistei.  Il  provvedimento  d' Ansedisio  di  deviare  il 
Bacchigliene  e  il  Brenta  gli  tornò  sul  capo,  giacché  tolse  di 
far  resistenza  alla  villa  di  Roncaglia  ;  e  la  fossa  medesima  di 
Padova  rimase  in  asciutto  ;  onde  i  crociati  s'impadronirono  dei 
borghi  con  sì  poco  sforzo,  che  non  morirono  più  di  cinquanta 
ambe  le  parti. 

La  notte  s'accolsero  i  crociati  nelle  case,  ricevuti  quasi  da 
cielo,  e  raccontando  le  imprese  compiute,  benedicendo  un  giorno 
di  così  insperata  ventura,  un  migliore  domani  prevedendo  ed 
augurando. 


12  Questo  Tisone  non  era  già  figliuolo  di  Guglielmo,  come  lo  fa  il  Sisniondi, 
ma,  quaniunfiue  si  garzone,  era  zio  di  questo,  nascendo  da  un  altro  maritaggio 
C  di  Tisone,  avo  di  Guglielmo,  con  Guardionessa  di  Peraga 

L_n  -  318  - 


LA    CROCIATA 


^ 


Nell'interno  i  Padovani,  benché  la  paura  impedisse  di  mani- 
festare il  voto  comune,  guardavano  ansiosi  all'ajuto  esterno,  ad 
armati  che  erano  i  loro  liberatori.  Ansedisio  co'  Pedemontani  girò 
tutta  notte  a  tentar  egli  stesso  i  serrami ,  badare  alle  saracine- 
sche e  ai  caditoj,  steccare  e  affossare  ove  maggior  uopo,  ristau- 
rare  quel  che  si  fosse  guasto  ,  murare  le  più  delle  porte,  recar- 
sene le  chiavi  dell'altre,  distribuire  balestrieri  e  fanti  su  pei 
merli  e  le  torri.  Ma  altri  movimenti  che  d'armi  voglionsi  ad 
assicurare  una  città;  e  1'  amore  dei  popoli  mancava  a  quella 
causa.  Che  anzi  Ansedisio  aveva  in  si  gran  punto,  esacerbati 
gli  animi  coll'estorcere  danaro,  e  cacciar  prigione  gli  esattori 
che  non  trovavano  modo  di  pagargli  fra  tre  giorni  dugento 
mila  lire. 

Alla  nuova  alba  ,  salutata  dalle  preci  devote  ,  corsero  i 
crociati  all'assalto,  fra  le  grida  di  Croce,  Croce,  San  Marco, 
San  Marco  attaccando  la  città  dal  Ponto  alla  chiesa  di  San 
Michele.  «  Allora  se  là  foste  stati,  o  signori  (è  quel  Da  Canale 
»  che  parla)  potreste  avere  veduto  ^^  prodi  uomini  muovere  alla 
»  città  da  tutte  le  parti,  ebbene  la  battaglia  fu  cominciata  do- 
»  lorosa  e  fiera:  quelli  delle  città  si  difendeano  bellamente  pet- 
»  toreggiando  i  veneziani  ;  ma  i  balestrieri  cominciarono  a  gittare 
»  dagli  spalti  quadrella  sì  spesso  e  sì  puntualmente,  che  quelli  di 
»  dentro  non  osavano  metter  il  capo  oltre  i  merli  ».  La  guar- 
»  nigione,  e  principalmente  Pedemontani,  devoti  a  meraviglia 
al  tiranno,  armati  di  palvesi,  lance,  e  balestre,  con  valor  grande 
respingevano  i  crociati  ;  ma  questi  con  non  minore  coraggio  gli 
investivano,  e  bolzonando  e  manganando  pertugiavano  la  mura- 
glia, e  abbattevano  le  lizze.  Gli  inanimavano  i  frati,  che,  misti  con 
loro,  gli  esortavano  a  comportarsi  virilmente,  a  vincere  o  morire 
per  Dio;  e  non  contenti  a  parole,  si  erano  armati  come  in  guerra 
contro  infedeli,  ed  avevano  tra  loro  costruito  un  gatto,  ingratico- 
lato di  legnami  che  proteggeva  gli  approcci  da  superiore  offesa. 
Sotto  di  questo  poterono  gli  assalitori  avvicinarsi  alla  porta  di 
Ponte  Altinate;  ma  di  dentro  si  traboccava  tal  rovescio  di  pece, 
olio,  altre  materie  ardenti,  che  la  macchina  prese  fuoco.  Se  non 


13  Lors,  se  la  fussics,  seif/nors,  pcussirs  avoir  veu.  Qnfslo  inodo  è  nojosamente 
Consuelo  al  narratore,  e  jiii'i  (iiioH'allro,  Que  vos  dirojc  jc? 


n 


—  319 


m^ 


-ej:E' 


r— □  CAPITOLO   XII. 

che,  donde  parea  dover  il  danno,  venne  la  salute;  giacche  la 
fiamma  si  appiccò  ai  battenti  della  porta,  e  gli  incenerì  '■*. 

A  questo  accidente  Ansedisio  si  die  per  perduto.  Avendo 
1256 un  Padovano  osato  consigliargli  di  capitolare  col  legato,  per 
redimere  la  città  dal  saccheggio,  esso  lo  trapassò  d'una  stoccata. 
Ma  conoscendosi  incapace  a  reggere  contro  quel  turbine,  monta 
a  cavallo  e  via  per  porta  San  Giovanni  scampa,  co'  suoi,  nell'i- 
stante che  i  collegati  entrano  per  le  porte  Santo  Stefano  e 
Altinate.  E  gridavasi  miracolo  1'  aver  lui  disviate  1'  acque  del 
Brenta  come  quelle  del  Giordano  ;  miracolo  1'  avere  Ansedisio 
lasciata  una  città,  che  le  donne,  non  che  i  suoi  prodi  sarebbero 
bastate  a  difendere. 

Tisone  da  Gamposampiero  corse  sulle  pedate  del  fuggitivo; 
ma  non  arrischiandosi  più  avanti  per  non  rimanere  disgiunto 
(oggi  si  direbbe)  dalla  sua  base  d'operazione,  fece  alto,  sfogando 
la  rabbia  contro  la  gente  più  pigra  al  fuggire.  Ansedisio  quel 
giorno  stesso  accampò  a  Vicenza. 

Cosi,  per  modo  al  sentir  d'ognuno  miracoloso,  essendo  presa 
Padova,  tutte  le  porte  si  spalancano,  tutte  le  case  mettonsi  a 
festa,  tutti  gli  abitanti  escono  incontro  ai  liberatori,  ai  crociati, 
ai  santi.  A  sentire  fra  Salimbene,  i  crociati  neminem  ledere 
voluerunt,  nec  inierfecerunt,  nec  ceperunt,  nec  expoliaverunt, 
nec  aliquid  ahstulerunt,  sed  ommhus  pepercerimt  et  Ubere 
permiserunt  ahire:  però  non  solo  gli  storici,  ma  la  conoscenza 
dei  tempi  ci  assicura  che  i  più  di  questo  esercito  erano  schiuma 
delle  varie  città ,  insofferenti  della  disciplina  meno  ansiosi  di 
liberar  un  popolo  oppresso  che  di  bottinare  ;  ovvero  persone 
indurate  nella  guerra;  o  che  inviperite  dagli  oltraggi  sofferti 
anelavano  il  ristoro  de'  tristi ,  far  ad  altri  patire  quel  che 
esse  aveano  patito.  Quindi ,  appena  entrati  in  città  ,  si  pre- 
cipitano sulle  abitazioni  e  sugli  abitanti,  e  cominciano  un  or- 
ribile saccheggio.  Dovunque  credono  sia  denaro  o  merce ,  ac- 
corrono ;  chi  resiste  è  morto:  chi  è  trovato,  viene,  a  furia  di 
tormenti,  costretto  a  rivelar  tesori  che  forse  non  conosce.  Mi- 
sere donne,  povere  fanciulle,  che  osavano  finalmente  mostrarsi 
e  sperare  ,  cadono  in  quella  sfrenata  liì)idine.  Ululi  di  miseri 
torturati,  supplichevoli  voci  di  canuti  padri,  strida  di  amanti 


**  Deinde  cum  gatlo  stipponunt  ignem  portne  Altinati.  Dandolo, 

—  320  — 


PADOVA   LIBERATA 


r 


e  di  mariti,  offesa  e  resistenza,  feroci  Ijraverie  di  quella  bru- 
talità vulgare  che  prorompe  appena  una  persona  o  una  setta 
è  indicata  al  suo  odio;  spietate  canzoni  di  vittoria,  e  tra  queste, 
inni  devoti  e  ringraziamenti  al  Cielo,  facevano  un  misto  orribile 
che  stracciava  il  cuore.  (Jtto  giorni  interi  quello  scempio  durò; 
né  i  capitani  seppero  o  vollero  porvi  modo;  e  una  guerra  as- 
sunta colle  sacrosante  parole  di  libertà,  d'umanità,  di  religione; 
bandita  a  nome  di  Dio  contro  il  nemico  degli  uomini ,  veniva 
contaminata  non  solo  con  superstizioni,  ma  colla  viltà,  col  di- 
sordine ,  colle  atrocità;  Padova  da  una  pessima  tirannia  ca- 
scava ad  orribile  saccheggio. 

Fu  l'unica  volta  che i liberatori  guastasser  peggio  del  nemico? 

Pure  riusciva  di  consolazione  il  respirar  finalmente:  il  mu- 
tare quel  sordo  e  trepido  gemito  degli  oppressi  in  fremito  schia- 
mazzante ;  poter  ridire  ed  esagerare  le  sofferte  crudeltà  ; 
veder  rimesso  in  onore  il  carroccio  che  tutto  quel  tempo  era 
rimasto  squallido  ed  avvilito  :  e  le  madri  ai  bambini  in  braccio 
insegnara  ripetere,  Viva  Padova,  —  Can  d' Ezelino.  Bisognava 
vedere  come  impazzivano  dalla  gioja  quelli  che  meno  aveano 
bramato  la  caduta  d' Ezeliuo  ;  come  ripeteano,  — •  Noi  fummo, 
Noi  soffrimmo  »  coloro  che  più  erano  rimasi  inerti  e  paurosi.    i256 

Che  dirò  poi  di  quando  furono  aperte  le  orribili  prigioni,  e 
sei  case  destinate  a  quell'uso  ?  Trecento  miserabili  erano  chiusi 
in  Santa  Sofia  ,  altrettanti  nella  Malta  in  cittadella  ,  quattro- 
centosessantaqaattro  nelle  Zilie.  Con  gran  maniere  di  giubilo 
spalancate  quelle  tane ,  usciva  gente  accecata ,  storpia  ;  chi 
si  levava  il  suo  caro  in  collo  :  chi  carpone  sulle  monche 
braccia  e  sui  piedi  incancreniti;  chi  senz'  ocelli  addomaudava 
la  guida  d'un  figlio;  — ■  ahimè!  il  figlio  era  perito  sul  patibolo. 
Quegli  vorrebbe  rispondere  all'affetto  de'  ricuperati  parenti,  ma 
gli  fu  mozza  la  lingua:  quest'altri  in  lunglie  torture  o  a  lento 
fuoco  perdettero  le  membra  ;  alcuni  vi  furono  posti  fanciulli 
ancora  in  fascie,  e  crebbero  ignari  delia  luce.  E  al  trovarsi 
fra  le  braccia  de'  loro  cari,  dei  cittadini,  de'  liberatori,  era  un 
pianger  di  dolore  e  di  contento,  un  premersi  al  seno,  ese- 
crare il  perfido  tiranno,  benedire  il  papa,  i  frati,  la  croce, 
la  libertà,  ed  esuberare  in  quelle  esultanze  in  cui  s'ubbriacano 
i  popoli  al  primo  respirare  della  servitù. 

Il  legato  prosciolse  la  città  dall'interdetto,  ove  era  incorsa 


—  321  — 


rr-b  CAPITOLO  xir.  u  'ri 

obbedendo  ad  Ezelino  :  allora,  riaperte  le  chiese,  non  è  lingua 
d'uomo  che  possa  descrivere  il  nuovo  giubilo  al  vedere  ,  dopo 
tanti  anni,  rinnovarsi  que' sacri  riti,  che  dalla  fanciullezza  toc- 
carono di  devota  compunzione  ;  e  ancora  serenarsi  ai  cantici 
sacri ,  tornare  a'  sacramenti  dismessi,  udire  grosse  compagnie 
girar  per  la  città  cantando  le  laudi  del  signore  che  aveva  redento 
il  popolo  fedele.  Dalle  città,  dai  villaggi  circostanti  traeva  gente 
a  torme  per  baciar  i  piedi  al  legato,  ai  frati,  e  farsi  mettere 
sul  petto  la  croce  quando  la  croce  era  vincitrice  ;  e  tutte  le 
terre  e  i  castelli  del  padovano  ritornarono  volenti  ad  obbe- 
dienza della  santa  Chiesa,  cioè  alla  libertà. 

Attraversava  la  piazza  del  palazzo  un  Padovano  ,  fuoru- 
scito sin  dal  principio  della  guerra,  e  cui  nell'esilio  era  nato 
un  figliuolo;  il  quale  vedendo  il  carroccio  rotto  e  disformato  , 
—  Babbo  (domandò),  che  arnese  è  cotesto?  Alla  forma  so- 
»  miglia  un  carro;  ma  cosi  grande,  due  pardi  bovi  noi  tire- 
»  rebbero.  0  forse  è  vero  che  una  volta  animali  e  uomini  fos- 
»  sero  più  grossi,  talché  ogni  utensile  facevasi  più  massiccio  ?  » 

Cui  il  padre:  — ■  Questo,  vedi,  è  il  carroccio  di  Padova, 
»  tenuto  come  una  fortezza ,  e  che  con  solennità  ed  onore  si 
»  trae  fuori  allorché  la  città  muove  ad  oste.  Sovr'esso  in  an- 
»  tenna  sublime  si  spiega  il  vessillo  rosso  trionfale,  a  cui  tien 
»  dritti  gli  occhi  l'esercito  tutto.  Non  v'è  castello  del  distretto, 
»  in  monte  o  in  piano,  a  difesa  del  quale  i  Padovani  volessero 
»  combattere  con  tanta  fermezza,  quanto  per  questo:  giacché 
»  in  esso  son  posti  l'onore,  il  vigore,  la  gloria  del  nostro  Co- 
»  mune.  Ma  que' di  Romano;  per  vilipendio  ,  da  sedici  anni  e 
»  più  lo  lasciano  qui  al  sole,  alle  pioggie,  ai  vermi.  Un  tempo 
»  era  bello  a  meraviglia ,  distinto  a  preziosi  colori ,  splendea 
»  come  argento  ed  oro  ,  ed  incutea  paura  ai  nemici  quando 
>>  movendosi,  come  il  tuono,  faceva  tremare  la  terra.  Vuoi  tu 
x>  sapere  onde  traesse  origine?  Guarda  sopra  l'altare  della  chiesa 
»  maggiore,  ed  ivi,  bello  ed  artificiosamente  ritratto  in  pittura, 
>  vedrai  Milone  vescovo  di  Padova,  e  re  Corrado,  e  Berta  sua 
»  donna,  la  quale  impetra  dal  marito  che  ai  Padovani  sia  con- 
»  cesso  d'aver  carroccio i"\  E  questi  ottenutolo,  il  fecero  quel 


■"^  Se  più  ne  occorro,  ceco  \in  nitro  esninpio  clie   pittura   sussisteva   avanti 
Gioito.  Questo  racconto  è  da  Ilolaiidino.  1.  IX,  e.  2. 


—  322   — 


"l]  festeggiamenti 


»  più  splendido  che  seppero  e  per  gratitudine  lo  denominarono 
>f  Berta,  nome  che  serba  anche  oggi  e  serberà  in  eterno,  giac-  1256 
»  che  eterna  fia  la  libertà  di  Padova  ». 

Marco  Quirin  fu  gridato  podestà;  si  fece  decreto  che  tutti  i 
beni,  le  cose  e  gli  uomini,  da  Ezelino  posseduti  nel  Padovano, 
si  vendessero  per  risarcire  la  città  dei  danni  patiti,  e  dar  premj 
a  quelli  che  meglio  avevano  giovato  alla  causa  comune.  Fu  poi 
preso  il  partito  che  ogni  anno  il  19  giugno  fosse  feriate,  e  il 
podestà  colla  corte  e  colle  fraglie  del  popolo  andassero  a  visitar 
la  chiesa  del  Santo:  al  domani  il  vescovo  col  clero,  e  il  po- 
destà colla  sua  famiglia,  tutti  con  ceri  accesi  vi  tornassero  a 
sentir  messa  ,  e  vi  si  regalasse  dal  Comune  tredici  braccia  di 
panno  scarlatto,  uno  sparviere  del  valor  di  sessanta  soldi,  un 
par  di  guanti  che  fossero  premj  a  tre  cavalieri,  i  quali  vincessero 
alla  corsa  del  pallio  in  Prato  della  Valle;  né  fosse  ammesso 
alla  gara  cavallo  che  valesse  meno  di  lire  cinquanta  i^.  Per 
compenso  dei  Veneziani  il  papa  confermò  i  loro  privilegi,  ed 
aggiunse  la  facoltà  di  eleggere  i  vescovi  in  tutti  i  paesi  che  posse- 
devano in  Driente. 

Divulgandosi  frattanto  la  fausta  novella,  il  marchese  Azzo 
d'Este,  con  molta  gente  sua  e  di  Ferrara,  s'affrettò  a  Padova; 
v'accorse  Bianchin  da  Camino  con  bella  compagnia  ;  v'accorsero  ) 
i  fuorusciti  di  Vicenza  e  di  A'erona;  v'accorsero  altri  Veneti  e  ) 
Ciozotti  e  Romagnuoli  e  i  tanti  che  fanno  da  eroe  al  domani  ì 
di  una  vittoria  ,  fra  cui  grande  stuolo  di  Bolognesi,  guidati  da  i 
un'  antica  nostra  conoscenza  ,  da  quel  fra  Giovanni  da  Schio  \ 
domenicano,  una  volta  apostolo  di  pace,  e  allora  ricomparso  ad  ) 
animare  alla  guerra.  Pero  que'  suoi ,  venuti  al  trionfo,  non  alle  ) 
battaglie,  appena  si  trattò  di  marciare  contro  il  nemico,  si  ì 
posero  al  no,  e  tornarono  a  casa,  né  di  fra  Giovanni  é  più  ) 
parola.  l 

Ezelino,  all'udire  le   mosse    del   nemico,   a  vero   dispetto         ( 
erasi  tolto  dall'assedio  di  Mantova,  ed  affrettava  sopra  Verona  ; 
quando  a  Valleggio,  sul  passare  il  Mincio,  vede  venirsi  incon- 
tro un  messo  tutto  spericolato  e  trafelante. 


^<'  Gennari,  Annali  di  Padova,  tóm.  IH,  pag.  19.  —  Vedi  pure  Bonaven-  \ 

(^  TURA  Sbkrti,  Spellacoti  e  feste  che  si  facevano  in  Padova,  1820.  ,. 


rr-Q  CAPITOLO  xir. 

— •  Or  che  nuove  rechi?  »  domandò  il  tiranno. 

E  quegli:  —  Pessime,  signore:  Padova  è  perduta.  » 

—  Tu  menti  per  la  gola.  Sia  costui  appiccato  a  quest'al- 
bero »,  ordinò  Ezelino,  e  come  detto,  cosi  fattola.  Ma  poco 
stante  ,  ecco  un  altro ,  il  quale  pure  interrogato  che  novità  , 
chiese  di  parlare  ad  Ezelino  in  disparte.  Questi  accoltolo,  per 
quanto  cruccioso,  udì  con  apparente  calma  la  presa  di  Padova, 
che  i  capitani  della  guarnigione  sopraggiunti  confermarono,  e 
senza  un  riposo  continuò  sua  marcia  sino  a  Verona.  Colà  ra- 
dunato il  consiglio  generale  ed  esposto  il  caso,  domandò  che 
dovesse  fare  de'Padovani  che  traeva  seco  nell'esercito.  Questi, 
che  i  cronisti  sommerebbero  a  dieci  in  dodici  mila,  erano  stati 
congregati  senz'armi  in  un  recinto,  sotto  specie  d'ascoltare 
qualche  comunicazione  ;  ma  poiché  troppo  eonoscevano  1'  effe- 
ratezza di  Ezelino  ,  non  era  male  che  non  s'aspettassero.  Per 
allora  fu  deliberato  solo  di  tenerli  custoditi  in  Verona  nelle 
carceri  di  San  Giorgio. 
1256  Intanto  il  legato  pontifizio  ,  munita   Padova   e  ingrossato 

di  balestrieri  e  pedoni  veneziani,  spiegato  lo  stendardo  ,  volse 
coi  più  animosi  e  meglio  in  armi  sopra  Vicenza,  sperando  age- 
volmente ridurla  a  obbedienza.  Faticava  Ansedisio  per  tenere 
i  Vicentini  in  soggezione;  e  li  costrinse  ad  uscire  in  armi:  si 
fé  giornata  ;  i  cittadini  restarono  colla  peggio  :  e  l'esercito  del 
legato,  rotte  a  Longarò  le  diglie  fatte  per  impedire  che  il  Bac- 
chiglione  scorresse  a  Pa<lova,  vi  s'accampò,  adagiato  in  abbon- 
danza d'ogni  ben  di  Dio.  Gli  abitanti  apersero  i  molti  còvoli 
0  grotte  in  cui  serbavano  i  vini,  e  massime  uno  lungo  un  miglio, 
e  mescendone  ad  abbondanza,  giocondarono  l'esercito. 

Il  bastone  del  comando  fu  consegnato  al  marchese  d'Este 
come  il  più  savio  di  guerra,  sicché  colla  croce  d'oro  sventolava 
r  aquila  bianca  ,  che  Rinaldo  suo  antenato  aveva  adottata  in 
opposizione  alla  nera  di  Federico  II.  Ma  l'annunzio  che  Ezelino 
sopravveniva  con  formidabile  esercito  mise  i  brividi  a  quello 
stormo  di  crociati,  che  più  ad  empito  che  a  ragionamento  si 
conduceva;    e    che    inavvezzo    all'obbedienza,    e    alla    prima 


17  Abbiamo  visto  coi  nostri  occhi  scannarsi  da  cittadini  i  cittadini   che  an- 
nunziavano esser  stata  Milano  resa  agli  Austriaci  il  5  agosto  del  48. 

—  321  —  Q. 


-Jq  riscossa  li  ezelino 


r 


qualità  d'un  soldato,  la  disciplina,  al  solo  udirlo  diede  le  spalle  ; 
molti  anche  disertarono:  talché  il  marchese  ed  il  legato,  non 
vedendovi  riparo,  giudicarono  meglio  ritirarsi  in  Padova. 

Ezelino  di  fatto  s'avvicinava.  Mosso  ad  oste  bandita  da 
Verona  a  Vicenza,  ivi  con  gioia  ebbe  contezza  dello  scompiglio 
dei  crociati ,  e  rincorò  i  Vicentini ,  che  di  grado  o  per  forza 
promisero  aiutarlo  alla  vendetta.  Uscente  agosto  ebbe  dunque 
all'ordine  un  grosso  esercito,  che  gridava  A  Padova,  A  Padova. 
Aveva  in  quello  le  milizie  di  Verona,  Vicenza,  Feltre,  Belluno, 
molti  bergamaschi  e  Bresciani,  Cremonesi,  Piacentini,  Pavesi, 
Vercellesi:  maggior  conto  però  faceva  de*  Bassanesi  e  degli 
Asolani,  fedeli  mercenari,  e  de'Tedeschi,  dei  quali  teneasi  ben 
allestito  chiunque  volesse  spegnere  la  libertà.  Con  questi  prese 
Ezelino  la  campagna:  a  Longarò  steccò  di  nuovo  il  fiume,  ri- 
prese i  castelli  caduti  ai  collegati,  e  fra  questi  Montegalda,  che 
erasi  arresa  al  legato,  ove  i  più  rei  della  dedizione  fece  appic- 
care, i  meno  accecare.  Il  27  agosto  accampava  a  Villavieta  ^ 
(che  fu  poi  detta  Chiesanuova)  presso  un  raigho  a  Padova.  De-  ] 
solate  le  campagne  ed  i  villaggi  intorno  ,  convocò  il  consiglio  ) 
di  guerra  per  decidere  sul  da  farsi.  I  Padovani  a  lui  venduti,  s 
che  aveva  nell'  esercito  ,  consigliarono  bloccasse  la  città  e  lo  ì 
spaldo  esteriore:  tanta  gente  concorsavi,  fra  non  molto  n'an-  > 
drebbe  disciolta,  come  avviene  di  queste  masse;  ed  egli  correbbe  ( 
cosi  la  vittoria  senza  pericolo.  Ma  ad  Ezelino  tardava  l'ora  della  ' 
vendetta,  e  sentendosi  superiore  di  forze  disciplinate,  avventurò  ^ 
l'assalto.  ( 

In  effetto  l'esercito  del  legato,  benché  fosse  cresciuto  dai  ? 
soldati  del  patriarca  d'Aquileja,  dai  Caminesi,  da  tutta  la  ca-  > 
valleria  di  Ferrara,  da  molte  milizie  padovane,  da  nuovi  rin-  ì 
forzi  sopraggiunti,  sommava  poco  meglio  che  ad  un  terzo  di  ) 
quel  d'Ezelino  :  tant'è  più  facile  avere  soldati  per  forza  che  per  > 
devozione ,  tant'è  ragionevole  il  creder  giuste  le  cause  che  rie-  ( 
scono  trionfanti  nelle  battaglie  !  Che  dirò  poi  della  disciplina  e 
de'provvedimenti  ?  Gridar  morte  e  cantare  inni,  nessuno  il  fa- 
ceva meglio,  assicuravansi  che  una  buona  causa  non  può  soc- 
combere, e  tanto  meno  questa,  benedetta  dal  pontefice;  onde, 
invece  di  allestire  tutti  i  mezzi  al  vincere,  con  insensata  pre- 
sunzione si  esponevano  al  pericolo  senza  calcolare  i  ripari; 
andavano  sguarniti  di  provvigione,  per  attenersi  letteralmente 


r— b  CAPITOLO   xir.  ^   "rj 

al  consiglio  del  vangelo;  non  si  brigavano  d'avere  i  più  abili  uffiziali: 
1256  Dio  farebbe  miracoli;  Dio  che  attraverso  al  deserto  guidò  le 
migliaja  d'Israeliti,  e  li  nutricò  di  manna  e  di  starne.  Sbandati, 
inobbedienti,  battevano  la  campagna  saccheggiando,  stuprando, 
poi  ubbriachi  si  riducevano  sotto  la  croce,  cantando  il  Vexilla 
regis  prodeunf. 

iSon  è  da  questa  ridicola  baldanza  che  nascono  i  pronti  e 
irreraediabili  scoraggiamenti  ? 

All'accostare  del  pericolo,  rigorose  provisioni  aveano  man- 
date fuori  i  capitani;  nessuno  ardisse  varcare  la  trincea,  per 
non  trovarsi  costretti  ad  accettare  battaglia  in  posizioni  ad 
Ezelino  vantaggiose  :  stessero  ben  all'erta  vigilando  il  nimico, 
e  disposti  a  respingere  l'attacco  a  fine  forza  ;  i  sacerdoti  comparti- 
vano le  consolazioni  sacramentali,  che  per  molti  doveano  essere 
le  estreme.  I  Padovani  In  quella  difesa  adoprarono  l'ardente 
coraggio  d'uomini  che  hanno  testò  ricuperata  la  libertà  e  ne 
sentono  il  pregio;  tanto  che  Ezehno,  perduti  i  convogli  de'viveri, 
tentati  invano  tre  assalti,  dovette  togliersi  dinanzi  alla  città  , 
e  bestemmiando  Ansedisio  perchè  non  avesse  almeno  conservato 
il  castello,  bruciò  gli  accampamenti;  e  codiato  sempre  dall' e- 
(j  sercito  crociato,  ardendo  le  ville  che  scontrò  sul  cammino,  tornò 
?ett.  smaccato  a  Vicenza. 

Quivi  radunati  i  cittadini ,  e  raccontata  l' impresa  colla 
veridicità  d'un  bullettino,  esagerò  la  viltà  dell'esercito  crociato: 
—  ìS'ò  per  ingiurie  di  parole,  né  per  provocazione  d'arme  osarono 
»  uscire  delle  trincee,  mostrandosi  quali  sono  veramente,  persone 
»  disutili  e  vigliacche,  soldati  d'antifone  e  di  messe.  Voi  all'in- 
»  contro  (soggiungeva)  mostrerete  il  coraggio  vostro  collocandovi 
»  tutti  nei  borghi  della  città,  ed  accogliendo  ivi  i  nemici  com'è 
)         »  degno  di  voi  ». 

\  Quest'era    un    pretesto   per    farli  uscire  tutti  dalla  città, 

e  stanziarvi  in  loro  vece  una  guarnigione  fedele  ,  nel  timore 
che,  appena  partito,  i  Vicentini  non  s'arrendessero  al  le- 
gato. Lo  scherno  seppe  di  si  atroce,  che  molti  fuggirono  a 
Padova. 

Allora  il  tiranno  si  rese  a  Verona,  dove  licenziò  parte  di 
sue  truppe,  affine  eh  mostrare  quanto  poco  diffidasse,  e  tenne 
quattromila  cavalieri  a  cavalli  covertati,  tremila  altri  assai  ben 
montati,  non  contando  gli  uomini  a  piede,  di  cui  poco  caso  si 


—  320  — 


PROCEDIMENTO    DE    GUELFI 


faceva  1'.  E  tornò  a  mettere  in  consulta  la  sorte  de' tanti  pri- 
g-ionieri  padovani,  che,  come  dicemmo,  ivi  erano  custoditi.  Ese- 
crabili ministri  secondavano  un  esecrabile  tiranno:  l'assicuravano 
che  quei  miseri  ogni  di  imprecassero  alla  sua  impresa  ;  aver 
l'uno  colla  geomanzia  predetto  che  Padova  non  si  poteva  espu- 
gnare; un  altro,  consultate  le  sorti  in  un  libro  detto  Archa- 
lendrino,  averne  avuta  risposta  infausta  ali'  impresa  di  Ezelino. 
Lunga  non  durò  dunque  la  quistione,  e  si  fermò  che  con  ferro, 
fuoco  e  fame  venissero  tolti  di  vita. 

Comincia  a  domandar  quelli  del  borgo  di  Sano,  ove  il  legato 
avea  raccolto  i  crociati,  e  i  compagni  li  consegnano  volentieri, 
sperando  così  salvare  sé  stessi.  Uccisi  loro  ,  Ezelino  domanda 
quei  del  castello  che  prima  accolse  il  legato;  poi  quelli  del 
sobborgo,  poi  della  tale  strada  o  della  tal  altra,  ovvero  tutti 
1256 i  nobili,  o  tutti  gli  artigiani:  e  mentre  ciascuno  spera  salvar 
sé  colla  ruina  degli  altri,  tutti  invece  periscono.  Anche  un 
gran  numero  di  frati  mandò  al  supplizio  Ezelino  ,  fidando  in 
quel  terrore  panico  delle  moltitudini  per  cui  non  si  oppone 
all'assassino  governativo  la  resistenza  che  si  farebbe  all'assassino 
di  strada. 

Chiese  poi  al  cancelliere  se  avesse  il  nome  di  tutti  i  rin- 
chiusi. 

—  Messer  sì  (rispose  colui):  tutti  gli  ho  qui  notati  s'un 
libro  ». 

—  Ebbene  (soggiunse  l'atroce):  ho  stabilito  ofifrire  tutte 
»  quelle  anime  al  diavolo  per  molti  favori  che  ne  ricevetti.  Tu 
»  vanne  all'  mferno  con  essi ,  e  da  parte  mia  ghene  rassegna 
»  la  nota  ».  E  lo  fece  scannare.  Orribile  carnificina,  che  fa 
inorridire  anche  fra  le  atrocità  onde  va  contaminata  ogni  pa- 
gina di  que'tempi.  Eppure  comepotrà  il  secolo  nostro  rinfacciarla, 
il  secolo  nostro  che  vide  scene  somiglianti  rinnovate  dal  bascià 
di  Giannina,  e  dal  gransignore  contro  i  Giannizzeri:  e  quel  che 
è  peggio,  non  che  vedere  brandite  le  armi  contro  que'carnefici, 
intese  riprovare  e  disprezzare  coloro  che  con  isforzi  di  sangue 
sottraevano  il  collo  alla  vergognosa  tirannia? 

Almeno  ne'  tempi  antichi  la  politica  non   aveva  soffocato 


^s  Da  Canale,  Z  CXL. 

—  327  - 


ni 
-^-Ejt9 


CAPITOLO  xir. 


'"^ 


il  sentimento  naturale  :  un  comune  fremito  si  propagò  :  trecento 
sfuggiti  alla  morte  ma  inutili  e  sfiniti,  passavano  di  terra  in 
terra  e  fra  gli  stuoli  dei  crociati,  aizzando  vie  più  l'odio  contro 
del  maledetto*^.  A  lungo  i  popoli  con  orrore  guardarono  la 
spianata,  ove  tanti  miserabili  furono  tradotti  a  carnificina  :  e 
dicevasi  che  fil  d'erba  non  germogliasse  più  sovra  il  suolo 
contaminato. 

Tanta  crudeltà  aumentò  il  numero  e  l'ira  degli  insorgenti: 
ed  incalorì  il  legato  a  giocare  l'ultima  posta.  Fattosi  a  Mantova, 
procurò  ogni  via  di  togliere  Brescia  ai  Ghibellini ,  fautori  del 
tiranno  ,  i  quali  avevano  destra  la  fortuna.  Si  affidò  per  tal 
uopo  al  domenicano  Everardo,  uno  de'tanti  frati  che  mestavano 
nelle  politiche  faccende,  e  che  in  Mantova  coU'eloquenza  e  colla 
destrezza,  aveva  restaurato  la  parte  guelfa.  Con  pari  prudenza 
in  Brescia  ottenne  che  ai  Guelfi  cacciati  od  imprigionati  fossero 
rese  la  libertà,  la  patria,  gli  averi. 
1257  Tenne  a  lui  dietro  con  poca  scorta  il  legato,  e  saldò  nella 
concordia  quei  cittadini.  Cosi  in  Pavia,  così  in  Piacenza  scadde 
la  bandiera  ghibellina:  nel  Padovano,  .Cologna  si  ribellò  ad 
Ezelino,  Legnago  gridò  Viva  il  signor  Azzo  d' Este ,  il  quale 
potè  a  gran  contento  ricuperare  le  fortezze  da  Ezelino  tenute. 
In  quella  che  più  gl'importava,  Monsélice,  riuscì  ad  entrare  per 
tradimento  di  Gerardo  e  Profeta  capitani  d'Ezelino:  ma  questi 
due  non  tenendosi  forse  paghi  del  premio,  o  disleali  come  sono 
sempre  i  traditori,  si  ritorsero  ad  Ezelino,  esibendosi  di  dar 
morte  al  marchese.  La  trama  fu  scoperta  ;  Gerardo,  guasti  il 
naso  e  gli  occhi,  fu  rinviato  ad  Ezelino,  e  Profeta  tra  festevole 
cantar  di  Te  Deum  fu  decapitato  in  Monsélice,  ove  di  assai 
crudeltà  erasi  diffamato. 

Continuavansi  intanto  dagli  eserciti  vicendevoli  le  stragi  : 
i  fuorusciti  vicentini  corsero  saccheggiando  fin  nei  sobborghi  di 


19  €  Airaniiiinzio  di  ciò  (scrive  il  Bernini  nella  a  torto  lodata  Storia  delle 
eresìe)  corse  saiii'Anlonio  di  Padova  al  tiranno,  con  acerbe  parole  gli  rinfac- 
ciò, ecc.  »  —  Sant'Antonio  era  morto  venlicimiue  anni  prima.  Come  avviene  dei 
fatti  di  rivoluzione,  variano  assai  le  relazioni  sul  numero.  Il  Da  Canale  dice:  1  avoil 
en  sa  comparjnie  XI  mil  Pavens:  si  les  fisi  mainlenan!  prendre  et  (jeller  en  charcre, 
doni  il  moururent  ileuc  Ics   17  partics. 


—  323  — 


ni 


PROCEDIMENTO   DE    GUELFI 


Bassano,  ma  nelritorno  soprarrivati  dai  Tedeschi  presso  Cittadella, 
perdettero  la  preda,  e  molti  la  vita  o  la  libertà.  Per  vendicar- 
sene, quei  della  croce  malmenarono  le  terre  d' Ezelino  e  bru- 
ciarono Villanuova,  ed  essendo  egli  per  soccorrerle  volato  con 
quattrocento  Tedeschi,  n'ebbe  la  peggio;  egli  medesimo,  uccisogli 
sotto  il  cavallo,  andava  preso  o  morto,  se  non  fosse  rimasto 
sconosciuto. 

Che  faceva  intanto  Alberico? 

Era  costui  uno  di  que'  caratteri  a  mezzo  che,  non  osando 
apertamente  mal  fare  ,  riescono  funesti  agli  altri  non  men  di 
coloro  che  son  del  tutto  ribaldi,  mentre  per  sé  non  hanno  tam- 
poco i  vantaggi  di  chi,  propostosi  un  fine,  vi  adopra  risoluta- 
mente tutti  i  mezzi.  Già  vedemmo  come   si  fosse   inimicato  al 
fratello,  e  specialmente  stabilito  dominatore  di  Treviso.  Il  Verci 
chiama  soavissimo  il  giogo  ch'esso  imponeva  ai  sudditi ,  e  che 
«  tutto  applicato  alla  felicità  de'  suoi  popoli,  studiava  di  con- 
»  tinuo  i  mezzi  onde  procacciarsi  l'amore,  la  stima,  il  rispetto 
»  d'ognuno  20  ».  Tutt' altrimenti    il  Monaco  padovano  asserisce 
che  la  tirannia  di  esso  in  Treviso  non  fu  per  nulla  diversa  da 
quella  di  Ezelino  ,  anzi  gli  entrava   innanzi  perchè   univa   alla 
barbarie  una  rotta  libidine.  Né  i  tremanti  Trevisani    ardivano 
opporsegli,  e  solo  coi  gemiti  sfogavano  l'amarezza.  —  Disonesto 
>  senza  vergogna  (seguita  il  cronista),  senza  misericordia  inu- 
»  mano,  superava  in  ferità  di  vendette  tigri  e  leoni  ;  non  pianti 
»  o  gemiti  di  donne  e  fanciulli  lo  toccavano.  E  basti  per  saggio, 
»  che,  avendo  ordinato  s'appiccassero  per  la  gola  certi   cava- 
»  lieri ,  prima  che  il  carnefice   stringesse  il  laccio  ,   fece   con- 
»  durre  le  mogli  (U  essi,  affinché  assistessero   all'orribile   spet- 
»  tacolo  :  indi  alle    misere  fé  mozzare    i   capegli ,    recidere    le 
»   vesti  dal  seno  in  giù,  e  poi  ch'ebbero  veduto  impesi  i  mariti, 
»  le  cacciò    in  tal    arnese  dalla    città    ».  Ne    vedremo   presto 
»   un'orribile  vendetta. 

Il  peggio  é  che  costui  dava  voce  di  far  tutto  ciò  per  van- 
taggio di  santa  Chiesa;  sicché  egli  puniva  i  traditori  di  questa 
colhi  ferocia  onde  Ezelino  giudicava  i  traditori  dell'  impero. 
Tanto  quei  nomi  erano  idoli  senza  soggetto  2*  ! 


20  Voi.  II,  p.  38  e  p.  506. 

21  Anche  il   Da  Canale  .scrive  di   Alberico   El   sacliies  que  il  avoit  gardée  ? 

-  329  —  n — • 


CAPITOLO    XII.  □    H" 

Come  dei  tentennati,  è  difficile  il  giudicarlo  né  accertarne 
i  motivi,  pure  sembra  volesse  tenere  il  piede  su  due  cavalli,  e 
vantaggiare  della  grandezza  come  della  ruina  del  fratello.  Udito 
che  il  papa  fosse  per  venire  ad  accordo  con  Ezelino,  gli  scri- 
veva lamentando  d' esser  abbandonato  finché  il  pontefice  1'  as- 
sicurava che  col  tiranno  non  patteggerebbe  mai:  e  in  ogni  caso 
non  lascerebbe  pregiudicare  i  diritti  già  a  lui  conceduti.  Con 
tal  modo  Alberico  mirava  non  solo  a  campare  i  propri  beni 
dall'Inquisizione,  ma  a  potere  accrescerli  colle  spoglie  fraterne. 
A  chi  la  va  destra  per  savio ,  e  l'odio  che  egli  portava  e  mo- 
strava al  fratello  valevagli  per  mille  virtù  sulla  bilancia  dei 
Guelfi:  onde  sterminate  lodi  gli  profusero  i  papi;  Gregorio  IX 
lo  chiamò  «  dilettissimo  figliuolo  e  nobil  uomo,  pieno  di  virtù, 
»  cui  non  verrà  meno  giammai  il  favore  dell'apostolica  sede; 
1257»  e  tornerà  a  perpetua  gloria  l'essere  zelante  della  fede  orto- 
»  dossa  e  persecutore  dei  nemici  della  Chiesa,  mostrandosi  fi- 
»  gliuolo  di  questa  d'ogni  laude  degno  ».  Pei  quali  meriti  toglie 
la  persona  e  i  beni  di  esso  in  protezione  ,  e  minaccia  di  sco- 
munica chi  lo  molesterà.  Cosi  Innocenzo  IV  nel  1250  lo  diceva 
devoto  nostro  e  della  romana  Chiesa  ;  Alessandro  IV  sog- 
giunse aver  lui,  per  la  costanza  di  sua  fede,  meritato  la  spe- 
ciale benevolenza  della  santa  sede  sovra  gli  altri  grandi  d'  I- 
talia  ;  lo  ringrazia  di  quanto  egli  e  Treviso  suo  patirono  a 
prò  della  Chiesa  romana ,  perché  abborrendo  la  fraterna  em- 
pietà, ruppe  i  legami  di  natura,  e  si  chiarì  nemico  d'Ezelino  , 
di  che  indelebile  memoria  sarà  conservata. 

Quando  fu  bandita  la  crociata,  Alberico  le  diede  favore,  ed 
allorché  il  campo  stava  a  Longare ,  esso  vi  si  recò  a  fare 
omaggio  al  legato  co'  suoi  Trevisani.  Ma  a  non  pochi  parea 
finta  r  inimicizia  di  lui  col  fratello  ,  e  concertata  per  meglio 
riuscire  ai  loro  fini  ambiziosi  :  onde  al  venir  suo  levossi  un 
bisbiglio  pel  campo,  e  gli  si  fecero  accoglienze  men  che  cortesi, 
tanto  che  egli  reputò  savio  consiglio  di   ritirarsi  di  celato.  In 


pour  Sainte  Jglise  XVU  ans  et  plus:  et  avoit  fall  si  felenesse  juslise  en  Tervise, 
come  de  (aire  treitchier  et  pies  et  mains,  et  ile  trcnckier  mamclles  et  nes  a  femes  ; 
et  de  abalre  tors  et  maisons  a  terre  ;  et  disoil  que  ce  fesail  il  a^  trailors  de  sainte 
Jfjlise:  et  mesire  Ecelin  fasoit  faire  autretel,  et  disoit  que  ce  fasoit  il  as  traitors 
de  la  corone.  §  CXLII. 


—  3*1  — 


^:=LL                                                            FINE   DI    .^NSEDISIO  LJ    ^ 

f^    _.__^™-..— — -^^ ^__,™^._™-™  H^ 

Via ,  presentatosi  a  Padova  ,  non  fu  voluto  ricever  dentro  , 
sicché  la  notte  serenò  a  disagio.  0  fosse  veramente  traditore, 
0  l'irritassero  questi  portamenti,  egli  stabili  buttar  giù  la  buffa 
e  rinnegando  la  lega  ,  ricongiungersi  col  fratello.  Per  inter- 
posto d'uomini  creduti,  e  persino  dell'abate  di  Santa  Lucia,  po- 
terono i  due  accordarsi,  e  dopo  diciott'anni  si  rividero  m  Ca-«iag-> 
stelfranco  ,  si  baciarono  ,  si  promisero  benevolenza  ed  amistà  , 
della  quale  quanto  si  fidasse  Ezelino  il  mostrò  col  chiedergli 
in  ostaggio  tre  de'  suoi  figliuoli.  Alberico  ,  che  alle  sue  ini- 
quità neppur  univa  quella  risolutezza  che  le  fa  men  vergognose, 
glieli  diede,  scavando  la  fossa  dove  miseramente  egli  e  tutti  i 
suoi  non  tarderebbero  a  precipitare. 

Papa  Alessandro,  che  prima  l'aveva  colmo  di  lodi,  allora 
lo  proferisce  scomunicato  insieme  col  Pelavicino  e  con  tutti  i 
fautori  d'Ezehno,  quale  scandalo  della  fede,  morbo  d'Italia,  con- 
taminazione del  popolo  cristiano:  sospende  ogni  benefizio  a  loro 
ed  ai  figli  e  nipoti  cherici  ;  cassa  qualunque  privilegio  ad  essi 
conceduto;  comanda  ai  vescovi  di  Treviso  e  di  Vicenza  rendano 
in  libertà  i  servi,  le  serve,  gli  nomini  di  masnada,  i  quah  de- 
testassero l'empietà  dei  due  fratelli;  i  fautori  di  questi  siano 
infami,  non  ammessi  a  deporre  testimonio,  non  ad  eleggere  od 
essere' eletti  a  qualunque  carica,  non  a  testare;  né  tampoco 
siano  ascoltati  in  giudizio,  nò  valgano  la  sentenze  a  favor  loro. 

Le  scomuniche  papali  e  l'esempio  della  vicina  Padova  mos-  1257 
sero  i  Trevisani  ad  insorgere  contro  Alberico,  che,  secondando  i  ""^^ 
fraterni  consigli  ed  esempj  ,  tentava  comprimerli  col  terrore. 
Molti  fuggirono  dalla  patria;  altri  rimasero  nell'intento  di  li- 
berarla ;  e  chiesero  a'  fuorusciti  facessero  una  punta  sopra  la 
città ,  ch'essi  di  dentro  leverebbero  a  rumore.  E  i  fuorusciti , 
attestatisi  in  buon  numero  a  Cittadella  ,  nottetempo  mossero 
sopra  Treviso  ;  ma  un  traditore  n'avea  recato  spia  ad  Alberico, 
che  co'  Tedeschi  suoi  gli  attese  in  agguato.  Alcuni  pedoni  ed 
arcieri  avanzatisi  per  sorprendere  le  scolte,  entrano  nelle  sbarre 
per  porta  Santiquaranta,  ma  subito  hanno  addosso  i  Tedeschi  ; 
ed  avanti  che  giunga  il  grosso,  sono  presi  e  morti:  quei  che 
seguivano,  si  ritraggono  a  precipizio.  L'alba,  quando  schiarì  la 
spaventata  città,  mostrò  impiccati  ai  merli  gli  sperati  liberatori, 
e  le  teste  de'  congiurati  confitte  alle  lancie  su  per  le  torri.  Ma 
t         il  sangue  versato  da'  tiranni  è  semenza  di  libertà 


CAPITOLO    XII. 


Ezelino  a  sicurezza  del  fratello  inviò  cento  Tedeschi  e 
cento  Italiani:  ma  scontrati  per  via  dai  Padovani,  furono  rotti 
e  in  gran  parte  uccisi.  Per  vendetta  i  presidj  d'  Ezelino  gua- 
stavano il  Padovano,  ma  anche  qui  sopraggiunti,  andarono  in 
fuga  ,  lasciando  trentaquattro  prigionieri  cui  furono  cavati  gli 
occhi.  Così  le  due  parti  gareggiavano  in  violare  i  doveri  del- 
l'umanità. 

Ezelino  dovea  però  sentirsi  in  male  peste  ,  i  nemici  suoi 
crescendo  di  forze  alla  giornata,  e  ormai  solo  il  terrore  tenen- 
dogli i  sudditi  in  fede.  ?suove  congiure  scoperse  in  Verona  , 
per  le  quali  Bonifazio^^»  e  Federico  della  Scala  {famiglia  allora 
appena  sorgente,  ma  che  poco  poi  riuscì  dominatrice  di  quella 
Città)  furono,  tra  il  suono  delle  campane,  strascinati  per  le  vie 
a  coda  di  cavallo  e  bruciati  vivi. 

Ezelino  fu  dunque  anche  stolto,  perchè  non  perdonò,  che 
è  il  primo  dovere  come  il  primo  artifizio  dei  restaurati.  Rima- 
neva che  Dio  lo  toccasse  col  flagello  che  serba  ai  tiranni;  ed 
egli  in  fatto  prese  in  sospetto  quel  suo  nipote  Ansedisio;  fedele 
sino  a  farsi  esecrare,  e  ricco  di  quel  coraggio  da  soldato  che 
sta  nel  braccio  anziché  nel  cuore  :  chiamando  tradimento  la 
mala  riuscita,  come  suole  il  vulgo  dotto  e  il  vulgo  ignorante, 
l'incolpò  d'aver  resa  Padova,  e  gli  fece  a  brani  a  brani  lace- 
rare le  viscere.  Il  terrore  panico  spinge  al  sangue  la  plebe 
come  i  suoi  oppressori. 


22  Un  aliro  Bonifazio  della  Scala  esulò  allora,  e  anelato  a  Perugia,  fu  inca- 
ricato (la  quel  Comune  di  scriverne  la  storia,  cli'ei  foce  col  titolo  di  Euìistoa.  in 
versi,  poi  la  ridusse  in  prosa  latina,  e  fu  in  parte  stampata  n&W Arckivio  Storico, 
voi.  XVI.  ^eW'Eulistea  egli  scriveva  per  sé  quest'epilaflio  : 

Me  Verona  tvlit:  me  repulit  inde  tyrannus 
Ecelinus  atrox.  Aqvilas  et  lilio  scripsi, 
divinos  apicc>;  Griphonis  et  arma  poKMitis, 
gcslaqve  mvltorvm  qvorvm  sva  lata  peroibcm; 

e  con  una  vanità  che  almen  oggi  si  dissimula,  chiedeva  gli  fosse  posta  nel  teatro 
di  Perugia  una  veneranda  figura  con  questi  versi  : 

Hic  est  (|vi  cecinit  pervsinac  prtelia  gentis  : 
gloria  Verona»  nvsqvaiu  nioritvra,  si^d  ;evo 
perpetvo  virens,  Griphons  svperslite  sccura. 

—  332  — 


ma  assalito  e  i^reso  in  mezzo,  si  dovette  ai  rendere. 

CAr.  XIII.  Pag.  345. 


CAPITOLO    XIIL 


LA  CATASTROFE. 


Non  di  sperar  si  stancliino 
né  di  sperar  ancora 
gli  oppressi:  né  mai  dicano, 
più  non  verrà  quell'ora... 

Pace,  lombardi  popoli, 

pace,  fraterne  genti 

Vinto  è  l'inferno  in  guerra  : 
Ezelin  non   è  più  :  pace  alla  terra. 
Marengo,  Tragedia. 


tante  minacce  Ezelino  opponeva  quella  fiera  virtù 
che  non  si  frange  alle  traversie,  e  insieme  i  ma- 
neggi d'  una  politica  scaltrita  e  ricca  di  ripieghi. 
Gli  elettori  dell'impero  germanico  non  erano  mai 
potuti  accordarsi  nello  scegliere  un  successore  agli 
imperatori  svevi  ;  temendolo  robusto  ,  e  noi  vo- 
lendo fiacco:  e  divisero  i  voti  tra  Riccardo  conte  di  Cornova- 
glia  e  Alfonso  di  Castiglia,  quel  re  astronomo  che  altrove  ab- 
biamo menzionato  di  transenna.  Questi,  bramoso  di  fare  una 
comparsa  in  Italia  ,  procurava  acquistarsi  partigiani  :  e  cono- 
scetido  di  quanto  peso  sarebbe  Ezelino,  ne  scandagliò  le  inten- 
zioni. Ezelino,  che  nulla  meglio  desiderava  d'un  imperatore,  il 
quale,  colla  prepotenza  dell'armi  e  dell'opinione,  comandasse  la         > 


CAPITOLO  xiir. 


quiete,  e  allora  e  altre  volte  sinonimo  a  servitù,  gli  rescrisse, 
promettendogli  tutto  sé  stesso  purché  accelerasse  la  calata. 

I  Cremonesi  non  aveano  mai  potuto  darsi  pace  della  scon- 
fitta toccata  sotto  Parma  nel  48  ;  pertanto  elessero  podestà  il 
marchese  Oberto  Pelavicino,  ghibellinissimo,  che  condusse  l'e- 
sercito contro  Parma,  accompagnato  dai  faorusciti ,  e  vi  potè 
entrare  ,  far  molti  prigionieri  e  ricuperare  il  carroccio.  I  pri- 
gioni furono  rilasciati  ma  senza  brache;  è  da  questo  fatto,  che 
fra'  i  Parmigiani  fu  detto  la  mala  zobia  perché  cadde  in  un 
giovedì,  comincia  il  credito  del  marchese,  che  si  formò  un  vasto 
dominio  fra  1'  Adda  e  1'  Oglio.  Appoggiato  pure  ai  Ghibellini 
erasi  innalzato  Buoso  di  Dovàra,  che  capitanando  i  Cremonesi, 
alla  battaglia  di  Fossalta  era  rimasto  prigioniero  de'  Bolognesi, 
e  solo  dopo  due  anni  liberato  ad  istanza  d'Innocenzo  IV.  Col 
Pelavicino  divideva  egli  il  dominio  del  Cremonese  ;  ed  Ezelino 
fece  con  lui  appuntamento  d'  alleanza ,  e  scagliossi  alla  spe- 
ranza di  signoreggiare  insieme  con  essi  l'alta  Italia. 

A  tale  intento  conosceano  importantissimo  l'occupare  Bre- 
scia. Questa  città 

ricca  d'onor,  di  ferro,  di  coraggio, 

fu  troppo  spesso  il  campo  di  fraterne  guerre  ;  sicché  sul  mau- 
soleo di  Gian  Galeazzo  Visconti  fu  scritto  : 

Brixia,  civili  nec  enervata  duello. 

1258  Fra  Giovanni  prima,  poi  il  legato  pontifizio  ne  aveano  un 

) aprilo  tratto  sopito  le  fazioni,  ma  tornarono  a  tempestare  i  ghibel- 
lini Rodenghi,  Gescherj  ,  Tengattini,  Federici,  Otanoni,  Oldo- 
fredi  d' Iseo  ,  Bocacci ,  Pregnacchi ,  INIandaguseni  ,  Fregameli , 
Gigli,  contro  i  Guelfi  Lavelongo,  Bornato,  da  Palazzo.  Vi  sof- 
fiava Ezelino,  dal  cui  fiivore  preso  animo,  e  dall'  avere  della 
loro  il  podestà  Griffo,  i  Ghibellini  assalirono  gli  avversar]  ;  com- 
battuto r  intera  notte ,  rimasero  al  di  sotto  ,  e  camparono  a 
Verona  e  Cremona,  lasciando  molti  prigionieri,  e  fra  questi  il 
podestà. 

Chiamar  ingiuria  il  non  lasciarsi  vincere  è  tema  antico  , 
per  lo  meno  quanto  la  favola  del  lupo  e  dell'  agnello  :  e  tale 
(         pretesto  ghermirono  i  tre  alleati  ghibellini  per  assalire  Brescia 

m 


ILn 


O  -  33i  - 


LA  CATASTROFE 


Mossi  d'accordo,  a  Gàmbara  scontrarono  l'esercito  de'  crociati,  30  { 
e  lo  sconfissero,  si  che  caddero  in  mano  di  Ezelino  il  vescovo  **°*'*> 
di  Verona,  i  podestà  di  Mantova  e  di  Brescia,  il  fiore  de'  no- 
bili di  queste  città  ,  ed  il  medesimo  legato  Fontana  ,  insieme 
col  suo  astrologo  Everardo.  Cavalcano  da  Sala  vescovo  di  Bre- 
scia, consigliato  da'  canonici  e  da'  cittadini,  aprì  le  carceri  a 
Griffo  e  agli  altri  Ghibellini ,  forse  credendo  (ignaro  della  na- 
tura de'  faziosi)  che  a  questi  più  starebbe  a  cuore  la  libertà 
della  patria  che  il  trionfo  del  proprio  partito  :  ma  essi  tosto 
schiusero  la  città  ad  Ezelino,  al  Pelavicino  e  a  Buoso. 

Brescia  era  distinta  in  quartieri,  separati  da  fortificazioni. 
Sulla  collina  che  la  signoreggia  stava  il  castello  ,  con  doppia 
mura  e  torri  assai  vicine:  in  sulla  dritta  la  cittadella  nuova, 
spettante  a  porta  Pila  ,  e  un  altro  ricinto  chiamato  città  de' 
Ghibellini  ;  a  mancina  diceasi  città  Guelfa  il  quartiere  della 
città  bassa. 

I  tre  nuovi  padroni  se  la  spartirono  in  modo  ,  che  metà 
toccasse  ad  Ezelino,  metà  fra  gli  altri  due  ;  allora  confìsche  di 
beni,  nuovi  statuti ,  demolire  le  torri  ,  empier  le  prigioni,  uc- 
cidere i  capi  a  sé  contrari,  fabbricare  fortini.  Ci  vivea  proba- 
bilmente queir Albertano  Giudice,  il  quale,  vent'anni  prima,  al- 
l'assedio di  Gavardo  era  rimasto  prigioniero  di  Federico  II,  e  in 
carcere  scrisse  tre  trattati,  Dell'amor  di  Di)  e  del  prossimo  e 
della  forma  della  vita  onesta;  Del  dire  e  del  tacere;  Del  con- 
siglio e  del  consolamento ,  opere  di  dottrina  più  che  di  forza 
e  di  originalità,  ma  prestamente  diffuse,  e  tradotte  in  italiano, 
in  francese  ,  in  inglese  ,  in  fiamingo  ,  per  i  primi  tentativi  di 
queste  inesperte  favelle  :  ci  viveva  un  certo  Bartolomeo,  pro- 
babilmente di  casa  Avogadro  ,  celebre  canonista  ,  carissimo  a 
Gregorio  IX,  ad  Alessandro  IV,  a  san  Domenico,  cui  diede  al- 
loggio in  casa  sua:  e  non  volendo  soscrivere  le  condizioni  im- 
poste da  Ezelino,  fu  ucciso  di  ottantaquattro  anni.  Il  vescovo, 
per  non  partecipare  con  iscomunicati ,  e  perchè  mal  visto  da 
entrambe  le  parti,  si  cansò  coi  più  del  clero  a  Lóvere  ,  dove 
mori  1  :  e  i  Guelfi   sparsero    per  ItaUa  la  notizia  del   fatto  e  i 


1  II  catalogo  de'  vescovi  bresciani  meltc  Cavalcanus  de  Salis...  fuil  cjcclus  a 
pessimo  Ecelino. 


—  335  — 


nrb  CAPITOLO  XIII.  Q  '-i 

lamenti  della  soggiogata  patria.  —  Oh  imparino  (esclama  Ro- 
»  lanrlino) ,  imparino  i  Bresciani  ad  abborrire  i  tiranni ,  e  fin 
»  all'ultimo  sangue  difendere  la  libertà.  Non  v'è  diluvio  ,  non 
»  incendio,  non  peste,  non  inferno,  che  rechi  a  tanta  miseria, 
»  quanta  la  privazione  della  libertà  ,  la  quale  da  prezzo  nes- 
»  suno  può  esser  compensata  ». 
125S  Ezelino  in  Brescia  era  circondato  da'  suoi  astrologi ,  e 
principalmente  dal  Bonatto  ;  e  una  volta  sognò  esser  uscito 
dalla  sua  ròcca  di  Romano  ;  e  andato  in  una  vastissima  fo- 
resta dandosi  alla  caccia,  aver  ordinato  ai  servi  corressero  in- 
nanzi a  preparar  da  cena  e  da  dormire ,  ed  essi  così  fecero. 
Svegliato  ,  e'  ne  volle  la  spiegazione  ,  e  gli  astrologi ,  chiesto 
una  giornata  a  pensarci ,  gli  dissero  che  era  nunzio  di  futuri 
trionfi,  e  che  gli  sarebbe  tocco  il  principato  di  tutta  Lombardia^. 

Quando  l'esito  usci  tanto  diverso,  dissero  aver  parlato  cosi 
per  paura  del  tiranno:  ma  quel  tiranno  lasciavasene  lusingare; 
e  godendo  i  frutti  della  vittoria  ,  precorreva  colla  speranza  il 
momento  che,  debellati  i  nemici,  spegnerebbe  nel  sangue  l'ec- 
citata ribellione. 

Un  giorno  volle  seco  a  pranzo  il  legato  prigioniero.  Erano" 
gli  ultimi  del  carnovale,  quando  si  suole  scialar  più  profuma- 
tamente ,  in  rimpatto  della  penitenza,  che  allora  con  rigoroso 
digiuno  si  esercitava  la  intera  quaresima.  Allo  splendido  ban- 
chetto Ezelmo  trattò  con  isquisitezza  il  legato,  amico  del  ben 
pasteggiare,  e  caduti  d'un  in  altro  discorso,  ■ —  Come  mai  (gli 
domandò)  la  Chiesa,  comune  madre,  patisce  che,  sotto  al  suo 
»  manto,  un  cristiano  rechi  danni  ed  ingiurie  ad  un  altro?  che 
»  i  ministri  suoi  prorompano  alle  rapine  ?  che  sotto  gli  sten- 
»  dardi  della  croce  siasi,  nella  presa  di  Padova,  ecceduto  cosi 
»  scelleratamente,  vantando  che  il  santo  padre  permetteva  ed 
»  assolveva  que'  misfatti ,  e  clie  teneva  dispensati  dal  resti- 
»  tuire?  Certo  v'è  un  Dio  che  non  lascierà  impuniti  costoro  >. 

Il  legato  si  scusò  allegando  i  divieti  rigorosi,  ma  che  non 
aveano  bastante  vigore  a  frenar  la  baldanza  della  vittoria; 
sarebbe  però  cura  pressante  de'  ministri  della  Chiesa  l'obbligar 
ciascuno  a  restituire  il  mal  tolto. 


2  Malvech  C/tronicon.  Disliiictio  Vili,  e.  2^. 

—  336  —  n  "i 


i 

■Euifl 


BRESCIA  ^] 

Lega  di  volpi  è  tribolo  di  galline  ;  ma  neppure  i  tre   ti- 
ranni di  Brescia  poterono   durare  in  unione  ,   agognando   cia- 
scuno di  possedere  da  solo  una  cittcà  cosi  bella  e  generosa.  Vi 
si  aggiungeano  le  istigazioni  di  Manfredi,   figliuolo  d'amore  di 
Federico  II ,  che    amministrava  il  regno  di  Sicilia   a  nome   di 
Corradino  suo  nipote,  e  capitanando  i  Ghibellini  di  tutta  Italia, 
avea  concetto  il  pensiero  di  spodestare  il  proprio  nipote,  farsi  re, 
e  forse  l'intiera  penisola  ridurre  a  un  solo  dominio;  pensiero  tante 
volte  germogliato  in  anime  or  tirannesche,  or  generose,  e  sempre 
sventato  da  una  serie  di  follie  e  di  colpe,  lo  studiar  le  quali  sa- 
rebbe di  somma  importanza,  quant'è  puerile  il  trattarlo  di  caso  o 
il  giudicarle  con  epigrammi. 

A  ^lanfredi  aderivano  strettamente  il  Pelavicino  e  quel  da  . 
Romano  •  ma  allorché  questo  seppe  come  ,  spargendo  la  falsa 
notizia  della  morte  di  Corradino,  Manfredi  ne  aveva  usurpato 
lo  scettro,  —  che  ?  (esclamò)  vive  la  prole  di  Corrado  ;  ed  ogni 
poter  mio 'farò  »  perchè  torni  in  possessione  del  regno  paterno, 
»  cacciando  questo  bastardo,  che  regna  indebitamente  3  ». 

Il  detto  fu  rapportato  a  Manfredi,  che  d'allora  s'adopro  a 
staccare  da  lui  il  marchese  Pelavicino;  Ezelino  invece  mostra- 
vasi  grande  amico  a  questo,  e  tentava  avversarlo  al  Dovara; 
e  gl'insinuava:  —  Quest' è  l'unico  che,  per  le  ricchezze  e  il  i25s 
»  poter  suo  v'impedisca  di  diventar  donno  e  padrone  di  Cre- 
»  mona:  perchè  dunque  noi  togliete  di  mezzo?  » 

Sono  in  piccolo  que'  garbugli,  che  in   grande  si  ammirano 

come  politica  della  sopraffina.  Il  marchese  però,  o  indovinasse 

l'insidia  coperta,  o  in  realtà  non  credesse  maturo  il  pomo,  nego 

ascolto  alla  suggestione.  Per  allontanare  il  Doyara,  Ezelmo  gli 

propose  la  podestaria  di  Verona  :    ma  né   esso    pure  aasciossi 

pigliare  a  quell'esca  :  ed  egli  e  l'altro  temettero,  o  s'accorsero 

che  Ezelino  rogumasse  qualche  spediente  più  compendioso.  Non 

u^^civano  dunque  mai  per  la  terra  se  non  armati  e  con  buona 

scorta  •  poi  ravvicinatisi ,  a  vicenda  si  palesarono  le    ambigue 

soggestioni  di  Ezelino,    e  conoscendo  non  poter  reggere   alle 

arti  di  lui,  e  ripetendo  quel  verso  di  Virgilio, 

hcu  furje  crudeìes  ierras,  fuge  Uius  amrwn. 


3  Fb.  PiiMM  Cliroììicon. 

—  337  - 


CAPITOLO  xiir. 


deliberarono  partirsi  da  Brescia.  Cosi    Ezelino,    se   restava  in 
dominio  di  quella  città,  s'era  però  tratto  sulle  spalle  due  po- 
tenti nemici. 
1259  Essi  in  fatto  si  buttarono  con  Azzo  d'  Este  ,  col  conte  di 

(  Sambonifazio  ,  co'  Ferraresi ,  Cremonesi ,  Padovani ,  Parmensi , 
Mantovani,  per  difendersi  reciprocamente  omnibus  virihus  et 
posse  ;  sbaldanzire  ed  abbattere  ad  ignem  et  sanguinem  Ezelino 
ed  Alberico  da  Romano  e  loro  fautori;  dar  opera  cum  oìnni 
suo  sforerò  a  liberar  de  dominio  et  jìo testate  et  forcia 'perfidi 
Ecelird  Brescia  e  qualunque  luogo  i  «iue  fratelli  tengano  nella 
Marca,  nel  Veronese,  nel  Feltrino,  nel  Bellunese  ;  per  la  costoro 
uccisione  e  per  favorire  Manfredi  di  Sicilia  si  assoldino  mille 
ducento  cavalieri,  tra  cui  ducento  balestrieri  a  cavallo  ;  pagati 
da  quelle  comunità ,  comandati  dal  Pelavicino  ,  che  in  tutta 
quella  lunga  stipulazione  '^  mostra  l'intento  di  surrogarsi  nella 
dominazione  ad  Ezelino  ,  e  che  intanto  si  era  fatto  costituire 
perpetuo  podestà  e  signore  di  Cremona. 

In  quel  mezzo  i  Padovani  aveano  mandato  a  sacco  altre 
terre  di  Ezelino  ,  bruciato  Tiene  ,  preso  la  Friola.  Accorso  ad 
arrestarne  i  trionfi,  il  tiranno  riebbe  la  Friola,  e  presone  i 
presidiali,  fece  tutti  legare,  e  chi  uccidere,  chi  mutilare,  ac- 
cecare ,  evirare  ,  rimandandoli  poi  così  a  dare  di  sé  orribile 
spettacolo.  Abbandonò  quindi  la  Marca,  stampata  a  tante  orme 
di  sangue,  e  che  piìi  non  dovea  rivedere  :  e  posto  quartiere  in 
Brescia,  preparò  nuove  forze  a  nuovi  intenti;  ed  alla  lega  dei 
nemici  ne  oppose  un'altra. 

Due  città  vicine  chiamavano  l'attenzione  e  la  cupidità  di 
Ezelino  :  Bergamo  e  ]Milano.  In  Bergamo  erano  prevalsi  sempre 
i  nobili,  discendenti  la  più  parte  da  stirpe  longobarda,  quali  i 
Suardi,  i  Coleoni,  i  Rivela,  i  Lazzaroni,  i  Capitani  di  Mozzo. 
Costretti,  attorno  al  1221,  a  cedere  i  castelli  forensi,  accasarsi 
nella  città,  e  giurar  il  Comune,  teneano  quasi  soli  le  cariche, 
onde  non  vi  appare  la  lotta  de'  patrizj  co'  plebei ,  bensì  fieri 
dissidj  fra  i  nobili  stessi ,  pei  quali  la  città  andò  a  sperpero. 
Esacerbavano  il  male  i  molti  Patarini ,  difi'usi  nella  città 
e   nel    contado,    per  cui    colpa  furono  scomunicati  i  Suardi,  i 


*  È  prodoUa  dal  Campi,  Si.  di  Cremona,  lih.  IH. 
a  —  33S-  — 


ni 


r— □  DOVARA    E    PELAVICINO    SI    SEPARANO 

)  Rivola  e  lor  fautori,  e  la  diocesi  rimase  interdetta  per  oltre 
;         venti  anni. 

(  Fra  gli  eretici  del  Bergamasco  non  vogliamo  tacere  il  conte  1259 

l         Egidio  di  Cortenova,  il  quale,  nel  castello  di  Mozzànica,  posto 

\         fra  le  mose  del  Serio,  aveva  raccolto  un  centinajo  di  Patarini, 

)  dando  loro  sussidj  e  difesa.  Reo  di  ciò  e  di  tenere  alleanza  con 

f         Oberto  Pelavicino  ,  i  papi  lo  perseguitarono;  e  con  bolla  data 

da  Assisi  il  22  luglio  1253,  e  con  altra  del  23  marzo  anno  se- 

(  guente,  Innocenzo  papa,  chiamandolo  vir  nahilis  genere,  fide 

tamen  ignohilis,  es(*rta  il  podestà  e  il  consiglio  di  Milano,  di 

Crema,  di  Bergamo  a  osteggiarlo ,  prenderlo  e  consegnarlo  a 

;         fra  Ranerio  e  fra  Simone  inquisitori^. 

■^  Con  simil  pasta  potea  sperare  di  far  prò   Ezelino  ;    ma   il 

\  marchese  Oberto  quando  se  gli  avversò  ,  trasse  seco  anche  il 

■  conte  di  Cortenova.  Inoltre  avversissimo  gli  si  professava  uno, 
(  famoso  nelle  cronache  bergamasche  ,  Enrico  Rìvola ,  il  quale 
;  comandava  Mantova  quando  la  guerreggiò  Ezelino;  ed  allora 
{         infervorava  la  patria  contro  di  questo. 

l  Meglio  riuscì  il  tiranno  coi  Cappellazzi,  come  erano  detti 

i  nobili  di  Milano.  In  questa  città  ferveva  la  briga  fra  plebei 
e  patrizj  ,  0  vogliam  dire  fra  proletarj  e  possidenti;  volendo  i 

/  primi  ricuperare  i  diritti  della  libertà  naturale,  conculcati  dagli 

)  altri  a  segno  che  avevano  decretato,  un  nobile,  quando  uccidesse 

)  un  popolano,  potesse  riscattarsene  pagando  un'inezia  di  sette 

'(  lire  e  dodici  soldi  di  terzoli.  Eransi  adunque  i  plebei  collegati 

l  nella  Credenza  di  Sant'Ambrogio,  una  di  quelle  società  popolari 

l  che  nelle  repubbliche  italiane  si  tenevano  a  salvaguardia  della 

■  libertà;  dovea  vigilare  sugli  abusi  di  Stato,  eleggendo  consoli, 
)  anziani,  podestà  suoi  proprj,  che  elidessero  la  potenza  de'ma- 
(  gistrati  d'  egual  nome,  eletti  dal  Comune  de' nobili;  e  se  mai 
,j  contro  un  popolano  venisse  commessa  alcuna  soperchieria,  ne 
j  curassero  presso  i  magistrati  la  riparazione  0  la  vendetta. 

(  iSel  1256  il  Comune  dei  nobili  tolse  a  podestà  Guglielmo 

da  Soresina  :  e  la  Credenza  de'  popolani  si  elesse  Martin  Torriano. 

]  Questo  signorotto  della  Valsassina,  fedele  alla  bandiera  guelfa, 
erasi  amicato  il  popolo  quando,  dopo  la  rotta  di  Cortenova  che 


^  Dullarium  Itomauum,  1.  I,  p.  2'i,0. 
Un  -  33-.)  - 


I — '□  CAPITOLO  xiir.  D   '-i 

l  indicammo,  lo  raccolse  verso  Lecco  e  lo  nutrì  ;  e  col  blandire 
(  alla  plebe  cercava  grandezza,  già  forse  fantasticava  il  dominio, 
come  spesso  fanno  i  poco  disinteressati  demagoghi.  La  plebe 
vuol  essere  adulata,  come  tutte  le  podestà  ;  e  Martino  mostrò 
tanto  reputare  la  podestaria  da  essa  attribuitagli,  che  per  questa 
ricusò  la  carica  di  senatore  di  Roma. 

Sotto  le  due  bandiere  trambustavano  allora  peggio  che  mai 
i  Milanesi;  e  singolarmente  i  monsignori  del  duomo  non  voleano 
compatire  che  sedesse  sui  loro  stalli  se  non  chi  fosse  scritto 
in  un  ruolo  di  famiglie  patrizie,  allora  compilato,  e  che  è  il 
più  antico  libro  d'oro  della  nobiltà  milanese.  Ne  sosteneva  le 
pretensioni  l'arcivescovo  Leone  da  Pérego,  di  spiriti  secolare- 
schi ,  e  ambizioso  di  signoreggiare  la  città  insieme  coi  nobili 
suoi  pari. 

Quando  lo  scontento  è  esteso,  basta    una   favilla   a    farlo 
prorompere.  Un  tal  Guglielmo  da  Salvo,  popolano  di  porta  Ver- 
cellina,  dovea  avere  non  so  qual  somma  da  Guglielmo  di  Lan- 
driano  patrizio.  Ne  lo  richiese,  e  questi,  mostrandosi  disposto 
a  soddisfargli,  lo  invita  alla  sua  vilhx  di  Malnate  ,  e  quivi    ]> 
ammazza.  L'indegno  fatto  viene  in  luce,  il  cadavere  è  portato 
a  Milano:  e  il  popolo,   levatosi    a  tumulto,  distrugge   le  case 
de'Landriani,  espelle  i  nobili  che  seco  parteggiavano  e  l'arci- 
1259  vescovo.  Si  ritrassero  questi  nel  Varesotto,  che  allora  dicevasi 
(        contado  del  Seprio  ,  donde,  sostenuti  dai  Comaschi,  più    volte 
ritentarono  invadere  la  città,  e  sempre  furono  respinti  dal  po- 
polo, capitanato  da  Martin  della  Torre.  Interpostosi  papa  Ales- 
sandro ,  fu  conchiusa  la  pace  di  Sant'  Ambrogio  ,  che   dovesse 
durare  cento  anni.  Durò  tre  mesi,  e  tutto  fu  di  nuovo  baruffe 
e  avvisaglie.  Martin  Tornano,  eletto  anziano,  ricaccia  di  città 
l'arcivescovo,  reprime  gli  emuli  e  signoreggia.  Il  legato  Filippo 
Dei,  che  ancora  non  era  caduto  in  mano  di  Ezelino  ,    accorre 
per  rassettare  la  pace  in  Milano  ;  ed  ai  due  capiparte   Martin 
Torriano  e  Guglielmo  di  Soresma  intima  vadano  entrambi    ai 
confini.  Il  Torriano,  come  i  prudenti,  ammainò  la  vela  sinché 
passasse  la  prima  bufera  :  ma  non  era  uomo  da  piegare    age- 
volmente a  comandi  di  preti^,    e   tornato   vigoroso  ,    fiaccò   la 


6  Lo  mostrò  più  apertamente  pochi  anni  appresso  (1261)  quando  il  cardinale  i 


—  310  — 


.  si  comincia  un  assalto,  e  fra  un  jjridare  Aììmiazza,  ammazza  ;  il  jiaradiso  a  chi  gli 
uccide,  un  popolo  di  nemici  avventasi  contro  il  castello. 


Gap,  Xlll.  Pacr.  352. 


potenza  de'  patrizj,  ne  espulse  la  parte  più  poderosa  coll'arci- 
vescovo  e  con  quel  di  Soresina. 

I  vinti,  non  sentendosi  pari  agli  avversar],  ebbero  ricorso 
ad  Ezelino  ;  si  poco  i  partiti  sono  scrupolosi  nei  mezzi  di  trion- 
fare! ed  esibirono  dargli  a  furto  la  signoria  della  loro  città, 
consegnandogli  per  ostaggi  i  propri  figliuoli. 

Quest'era  la  sciagura  delle  repubbliche  d'allora;  l'essere 
pòste  all'arbitrio  de'faorusciti,  i  quali,  sempre  avversi  alla  pace 
da  cui  nulla  potevano  sperare,  e  coll'avventatezza  di  chi  non 
ha  cosa  da  perdere  ,  pretendevano  esser  essi  soli  i  generosi , 
essi  i  patriotti,  essi  la  patria  ;  di  conoscere  soli  e  soli  volerne 
il  meglio  ,  e  deciderne  le  sorti.  Che  1'  esperienza  mostrasse  il 
contrario  ,  lo  diceva  il  popolo  con  un  proverbio  che  non  ha 
perduto  ancora  la  verità  :  —  Mai  sbandito  fé  buona  terra.  » 

Ezelino  accolse,  pensate  come  volonteroso,  l'occasione  di 
ciufi"ar  la  prima  città  di  Lombardia,  la  quale  saria  bastata  non 
solo  a  rimettere,  ma  cingere  d'inusato  splendore  la  sua  fortuna, 
e  forse  consolidare  un  dominio  qual  poi  l'ebbero  i  Visconti  e 
gli  Sforza. 

Prese  dunque  appuntamento  'coi  Ghibellini  di  cavalcare  30 
sopra  Milano:  e  per  meglio  riuscire  al  disegno  col  tenerlo  ce-^^ositti 
lato  ,  finse  voler  andare  a  oste  sopra  Orzinovi ,  la  sola  terra 
del  Bresciano  che  non  fosse  in  suo  potere,  tuttavia  restando 
occcupata  dai  Cremonesi.  Da  Guido  Bouatto  fece  prendere  di- 
(  ligentemente  l'oroscopo,  e  quegli  trovò  che  avea  stupenda  ec- 
cellenza: avvegnacchè  ascendente  fosse  il  segno  del  sagittario, 
il  sole  stesse  nella  vergine,  la  luna  nello  scorpione,  saturno  in 
acquario  ;  giove  retroguardando,  era  diretto  nella  libbra,  marte 
nel  leone,  il  capo  e  la  coda  del  dragone  in  segni  fissi.  Dispo- 
sizione opportunissima  a  vittoria  come  ognuno  comprende  ;  ma 
agli  astrologi  sfuggi  una  piccola  eppur  rilevantissima  osserva- 


Ubaldini  venne  per  introdurre  alcune  novità  in  Milano.  Questi  una  mattina  intende 
sulla  piazza  di  Sant'Ambrogio,  dove  alloggiava,  gran  fragor  d'armi,  di  trombe,  di 
cavalli,  cliicde  clic  sia;  ed  eccogli  alcuni  messi  di  Martino,- tutti  cortesia,  a  dirgli 
che,  avendo  ii  signor  loro  inteso  come  e'  l'osse  in  sul  partire,  mandava  per  accom- 
pagnarlo sin  inori  di  ciilà  il  più  presto  die  potesse.  Il  cardinale  inlese  il  latino, 
e  voglia  0  no  die  ne  avesse,  aggradi  ipiest'allo  di  violeiila  onoranza,  0  se  n'andò. 


341  — 


Cantù  —  Ezelino. 


CAPITOLO  xiir. 


zione,  qual  era  che  la  luna,  astro  di  capitale  influenza,  toccava 
lo  scorpione  ;  e  lo  scorpione  tiene  il  veleno  nella  coda.  Chi 
non  avrebbe  capito  da  ciò  che  l' impresa  sarebbe  proceduta 
col  vento  in  poppa  da  principio  ,  ma  alla  fine  tornerebbe  in 
peggio?  _  . 

1859  Sorriso  dalle  prospere  ominazioni,  Ezelino  cominciò  sua 
marcia,  ed  entrato  sul  terreno  degli  Orzi,  lo  mandò  ad  orribile 
guasto  ;  e  incendiò  Quinzano,  che  aveva  ardito  fare  alcun  mo- 
vimento. I  Cremonesi ,  condotti  dal  Pelavicino  e  da  Buoso  di 
Povara,  non  tardarono  a  muover  l'esercito,  e  si  posero  a  Son- 
cino,  paese  sulla  destra  dell'Oglio  ,  quasi  equidistante  da  Cre- 
mona, da  Brescia  e  da  Bergamo,  partito  anch'esso  fra  i  Barbò 
e  i  Fondulo,  e  nemico  degli  Orzinuovi  pel  passo  del  fiume.  Di 
qui  voleano  tener  d'  occhio  Ezelino  ,  accampato  sulla  sinistra 
dell'Oglio,  sul  quale  pure  a  Marcaria  attendeva  il  marchese 
d'Este  con  Ferraresi  e  Mantovani. 

Martin  Tornano  ignorava  il  divisamento  di  guerra  di  Eze- 
lino ;  ma  per  dar  favore  ai  Guelfi  e  per  tener  testa  ai  nobili 
milanesi  che  stavano  a  campo  con  Ezelino,  usci  di  città  coU'e- 
sercito ,  si  spinse  fino  a  Cassano  ,  dove  1'  Adda  contermina  il 
contado  milanese  e  il  bergamasco  :  quivi  librandosi  sull'  ale  , 
pronto  ad  accorrere  ove  accadesse  bisogno.  E  appunto  Ezelino 
avea  fatto  calcolo  di  trarre  il  Tornano  fuor  di  città,  per  potere 
girivoltargli  alle  spalle,  e  improvviso  piombare  sopra  Milano, 
di  cui  le  precorse  intelligenze  gli  avrebbero  reso  facile  l'acquisto. 
Il  diavolo  è  sottile  e  fila  grosso.  Di  fatto  i  nobili  che,  rimasti 
dentro  o  nelle  campagne  circostanti,  non  cessavano  di  corri- 
spondere co'  fuorusciti,  dubito  diedero  avviso  della  mossa  ad 
Ezelino  ,  che  ,  congedati  i  fanti  bresciani ,  i  quali  diceva  che 
«  hanno  la  fede  nella  falda  degli  abiti,  »  cioè  che  trovava  inetti 
a  un  tradimento  ,  e  tenendo  seco  da  cinque  a  sei  mila  uomini 
tutti  di  cavalleria , 

Exigui  numero  sed  hello  vivida  viì^tus, 

colle  genti  sue  di  Vicenza,  Verona,  Asolo,  Bassano,  e  co' Te- 
deschi e  Padovani  rimastigli,  levò  il  campo  dagli  Orzi,  e  senza 
che  niun  ne  sentisse,  rimontò  lungo  l'Oglio  sulla  sinistra  per 
Roccafranca  ,  liudiano  ,  Urago,  Pontoglio,  fino  a    Palazzuolo,         '^ 

S  n  -  3*2  -  q-3 


^ 


> 


rrn  I  MILANESI  UT 

terra  succeduta  a  Cividino,  e  che  allora  già  era  fortificata  su 
entrambe  le  rive.  Tutto  quel  confine  era  munito  coi  castelli  di 
Paràtico,  ove  poco  poi  alloggiò  Dante ,  di  Vanzago,  Capriolo , 
Mussiga,  cui  Bergamo  contrapponeva  Tagliuno,  Caleppio,  Ram- 
pino, Montecchio  di  stupenda  vista,  Merlo,  Sàrnico  sul  lago 
'  d'Iseo,  da  cui  l'Oglio  deriva. 

Ezelino,  tragittatosi  sul  ponte  che  accavalcia  quella  tanto 
pittoresca  vallata,  e  passato  anche  il  Cherio,  traverso  al  Ber- 
gamasco giunse  all'Adda,  la  guadò  alla  Canonica,  e  sulla  riva 
destra  ch'è  già  milanese,  prese  la  borgata  di  Vaprio,  benché 
munito  da  un  castelletto  e  dalla  propria  postura  su  quel  ci- 
glione; e  potea  già  dirsi  alle  porte  di  Milano.  I  nobili  del  contado 
non  istettero  colle  mani  alla  cintola  ad  aspettar  il  liberatore, 
ma  accorsero  a  fargli  omaggio:  e  già  l'assicuravano  che  la  gran 
città  era  senza  riparo  sua.  Diceano  trentuno  prima  d'averlo  in 
sacco.  Perocché  ad  ogni  passo  del  tiranno  avea  tenuto  occhio 
il  bergamasco  Enrico  Rivola  e  come  fiutò  qual  direzione  l'e- 
sercito prendesse ,  ne  avvisò  per  istaffetta  Martin  Tornano, 
Fortuna  volle  che  questi  non  avesse  ancor  varcata  l'Adda:  onde 
all'inaspettata  novella,  subito  fece  voltafaccia,  a  marcia  forzata 
giunse  a  Milano,  fé  dar  nella  campana  a  martello,  tromba  del 
popolo,  e  il  popolo  a  stormo  saltò  all'armi  e  alla  difesa. 

Ezelino,  che  si  vede  sguizzar  la  preda  quando  già  la  cre- 
deva adunghiata,  dà  nelle  smanie,  e  colla  peggior  rabbia  mette 
a  guasto  il  Milanese  :  s'avventa  per  sorprendere  Monza ,  ma  1 
prodi  abitatori  barricatisi  lo  respingono:  assalta  il  castello  di  1259 
Trezzo  ,  che  gli  darebbe  modo  di  traversarsi  ancora  sulla  si- 
nistra dell'Adda,  ma  di  là  pure  vien  ributtato:  onde  a  ferro  e 
fuoco  indietreggia  nel  bel  munito  borgo  di  Vimercate  '^  per 
rinfrescarvi  la  gente  sua,  abbattuta  e  svilita  some  suole  un 
esercito  perseguitato  in  terra  nemica  e  che  non  sia  poltrona. 
Al  volto  l'avresti  detto  sicuro,  alle  parole  baldanzoso  ;  talmente 


7  Fra  le  poche  reliquie  di  antichi  castelli,  rimasi  nella  pianura  lombarda,  è 
delle  più  pittoresche  il  casllole  di  Trezzo,  che  in  paese  più  voglioso  di  tali  scene 
trarrebbe  a  torme  i  curiosi  per  la  postura  non  meno  che  per  reli(iuie.  Vimercate 
conserva  ancora  una  porta  e  un  ponte  sulla  Mólgora,  opera  di  quel  tempo.  Meglio 
conservato  e  là  vicino  il  castello  di  Sulbiate,  che  già  fu  degli  Olgiati. 


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jp  -  343  - 


^^U^. ^^^ Eira 

I — '□  CAPITOLO  xiir.  ni 

parlava  con  dispregio  de'  nemici ,  con  certezza  della  vittoria  ;  ) 
ma  avea  troppo  senno  per  non  conoscere  che  navigava  in  pes-  l 
sime  acque.  Un  grosso  fiume,  e  che  a  Napoleone  parve  il  più 
difendibile  della  Lombardia  gli  interdiceva  il  ritorno:  di  qua  nu- 
merosi e  risoluti  i  Milanesi,  di  là  i  collegati  si  venivano  atte- 
stando all'Adda  ,  e  cacciate  le  squadre  che  per  assicurarsi  la 
ritirata  avea  spinte  ad  occupare  il  ponte  di  Cassano,  aveangli 
tolta  queir  unica  via  di  scampo  :  per  soprappiù  i  Milanesi  gli 
intercettarono  il  convoglio  dei  viveri.  Una  battaglia  sarebbe 
stato  il  suo  desiderio,  ne  Martin  Torriano  mostravasi  restio  ad 
accettarla,  se  i  collegati  d'oltre  l'Adda  non  gli  avessero  fatto 
sentire  come  fosse  pericoloso  il  venir  alle  braccia  con  gente  dispe- 
rata; temporeggiasse,  senza  molto  sangue  prenderebbe  l'inimico. 

Il  Tornano  s'attenne  al  consiglio:  onde  Ezelino,  pertluta 
l'occasione  di  combattere,  determinò  di  navigare  per  perduto; 
e  di  ricapo  diffilò  sopra  Cassano,  per  forzare  serrato  quell'unico 
varco.  Benché  già  oltre  di  tempo,  a  pochi  e'  la  cedeva  in  ga- 
gliardia  di  corpo,  a  ninno  in  fermezza  di  cuore.  Squadrona  le 
truppe  ,  le  conforta  con  parole  e  promesse,  le  spinge  a  corpo 
perduto  contro  i  difensori  ;  un  lampo  di  gioia  feroce  spiana  la 
corrugata  sua  fronte  al  vedere  benavviarsi  l'impresa:  corre  qua, 
là,  dove  più  ferve  la  mischia;  quando  una  freccia  scoccata  da 
una  balestra  gli  si  conficca  nel  piede. 

Il  suo  fermarsi  lento  l'impeto  de'  soldati  :  onde,  per  quanto 
egli  stesse  in  coraggio,  non  riusci  a  meglio  che  a  raccorrò  le 
truppe  in  buona  ritirata.  Cosi  ridottosi  a  Vimercate,  si  fa  ca- 
vare la  freccia  che  erasi  infissa  nell'osso  :  e  il  di  seguente  trova 
nuovo  ardore  per  ispingersi  ancora  all'Adda  verso  Vaprio,  s'av- 
ventura al  guado,  e  comincia  a  tragittare  i  suoi  squadroni.  Egli 
medesimo ,  sovra  generoso  destriero  pomposamente  bardato  , 
incoraggia  i  deboli,  loda  gli  animosi,  dà  ordini  e  disposizioni  : 
e  se  r  abilità  delle  ritirate  bastò  a  far  gloriosi  alcuni  eroi  da 
Senofonte  fino  a  Ney,  non  può  negarsi  lode  alla  posata  marcia 
con  cui  Ezelino  riguadagnava  il  Bergamasco.  Ma  ecco  sulla  si- 
nistra riva  compaiono  il  marchese  d'Este,  il  Pelavicino,  il  Do- 
vara  e  gli  altri  alleati  ,  i  quali  abbarrano  il  passo  ,  talché  è 
costretto  schierarsi  in  battaglia. 

0  sia  vero,  o  perchè  ogni  sconfitta  vuoisi  dalla  grossola- 
nità ignorante  o  dalla  orgogliosa  finezza  attribuire  a  tradimento,        j 


314  — 


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□  SUA   MORTE  D  ■'— j 

alcuni,  invece  d'obbedirgli,  disertarono  al  nemico:  laonde,  se  ) 
gli  bastava  il  coraggio  conobbe  non  bastargli  più  1'  esercito  ,  sett.  ) 
non  che  a  vincere,  né  tampoco  a  difendersi.  Mescolata  la  bat-  1259  \ 
taglia,  più  volte  egli  vide  i  suoi  scompigliati,  più  volte  li  ran- 
nodò, soldato  a  vicenda  e  capitano;  ma  il  numero  prevalse,  e 
l'esercito  suo  andò  rotto,  le  bandiere  a  terra,  tutto  in  iscom- 
piglio;  mentre  sulla  dritta  del  fiume  già  si  vedevano  arrivare 
freschi  i  Milanesi  ;  e  ognun  sa  che  le  riserve  son  quelle  che 
vincono  le  battaglie.  Data  allora  perduta  la  partita,  con  cinque 
Adattissimi  tolse  a  guadar  il  fiume,  ma  assalito  e  preso  in 
mezzo,  si  dovette  arrendere  ^. 

Altri  narra  che  Mazzoldo  de'  Lavelonglii  nobile  bresciano 
lo  ferisse  sul  capo  tra  il  combattere:  altri  che,  mentre  veniva 
trascinato  fra  gli  scherni  e  i  Mora ,  Mora  della  soldatesca  e 
della  ciurma,  senipre  coraggiosa  contro  chi  più  non  si  difende, 
un  villano,  cui  Ezelino  avea  fatto  mutilare  un  fratello,  gli  desse 
d'  una  falce  in  sul  capo  :  «  viltà  (esclama  Rolandino  ,  benché 
nimicissimo  del  tiranno) ,  poiché  sempre  è  delitto  il  ferire  un 
prigioniero  ,  nobile  0  ignobile  che  sia ,  come  il  ledere  un  ca- 
davere ». 

La  plebaglia,  che  testé  sbigottiva  pur  al  suo  nome,  allora 
accorreva,  superba  di  poter  insultarlo.  Cosi  a  chiaro  giorno  gli 
augellini  provocano  la  civetta,  da  cui  sfuggivano  spaventati  la 
notte;  così  a'  miei  giorni  ho  veduto  un  elefante  infuriato  cor- 
rere le  vie  di  Venezia ,  e  porre  a  scompiglio  la  gente ,  che 
lungi  fuggendo  non  osava  tampoco  guardare  ;  poi  quando  stra- 


8  Non  ppr  ponlcm,  ut  venerai^  sed  per  inexpertum  fntmjnis  raduni.  Giovan 
DA  r,EBM ETATE.  —  Per  medium  raduni  qiiaerens  evasionetn ,  safjilln  vuln>ratus 
est.  Bknvenuto  da  imola.  —  Passando  el  dito  fiume,  Boxio  de  Doara...  s'il  ferì 
in  mezzo  della  dita  acqua,  e...  fo  preso  e  menato  fora  del  fumé.  Pietro  Zagata. 
Girolamo  Baris,  soncinatc,  vissuto  a  mezzo  il  xvi  secolo,  che  scrisse  la  storia 
(Iella  sua  patria,  parla  dei  commeiiiarj  di  un  Giulio  da  Caravaggio,  die  militava 
in  (pipir  impresa  sotto  Marlin  Torriano,  e  che  descrisse  le  imprese  cui  ebbe  parte. 
Chi  sapesse  trovarli!  Tretende  il  liaris  aver  tratto  di  là  che  Giovan  Trucazzano, 
di  casa  Belinzonese  stabilita  da  un  secolo  in  Soncino,  vincesse  Ezelino  in  conflitto 
singolare,  e  lo  menasse  prigione  nella  sua  patria.  Paolo  Ceruti,  nella  Biofjrafia 
Soncinatc,  a  ccumula  prove  di  questo  fatto,  ma  si  riducono  ai  non  trovarsi  chi  vi 
contraddica  espresso. 


i^. 


345  — 


mazzo  a  terra,  e,  strana  impresa  !  con  un  colpo  di  cannone  fu 
morto,  tutti  sino  i  fanciulli,  volevano  avergli  percosse  1'  aspre 
cuoja. 

Il  ferito  venne  tradotto  nottetempo  a  Soncino  e  nel  padi- 
glione di  Buoso  da  Dovara,  trattato  coi  riguardi  che  la  sven- 
tura, anche  meritata,  richiede  dalla  cortesia  cavalleresca  e  dalla 
fratellanza  d'armi  :  e  che  la  religione  comanda  verso  chiunque 
sta  per  affacciarsi  al  giudizio  di  Dio. 

È  scritto  che  ,  allorquando  egli  udì  chiamarsi  Cassano  la 
borgata  presso  cui  erasi  combattuto,  rabbrividisse  :  poiché,  anni 
prima  avendo  interrogato  il  demonio  sul  luogo  di  sua  morte  , 
questo  gli  rispose,  si  guardasse  da  Assano,  Egli  credette  fosse 
indicato  Bassano,  e  per  questo  evitava  di  dimorarvi;  ma  come 
allora  udì  quel  nome,  veniva  brontolando:  —  Ah!  Cassano, 
Assano,  Bassano  !  » 

Né  di  minore  maluria  gli  era  Soncino  ;  perocché  ,  pochi 
mesi  avanti,  mentre  dimorava  in  Brescia,  aveva  sognato  essere 
a  caccia  ne'  bochi  di  Soncino,  e  un  cinghiale  feroce  l'affrontasse, 
ed  uccisi  i  cani,  si  diffilasse  contro  di  lui,  e  diffendentesi  invano 
il  trafigesse  in  una  gamba.  Alla  ferita  sognata  egli  mise  un 
acuto  strido,  sicché  accorsero  i  suoi  valletti,  ai  quali  raccontò 
la  visione,  voltandola  in  celia  sì,  ma  pure  conservandone  sini- 
stra apprensione. 

Inesorabile  sempre,  egli  non  sperava  pietà,  la  sua  superbia 
non  gli  permetteva  di  sopravvivere  alla  fortuna ,  né  l'empietà 
di  ricorrere  a  quel  Dio  che  avverte  e  che  perdona.  Adunque 
in  minaccioso  silenzio  rifiutava  ogni  medicina  del  corpo  e  dello 
spirito,  fin  il  mangiare;  in  ogni  atto  esprimeva  la  rabbia  della 
delusa  ambizione.  Se  ne  rincrudivano  le  ferite  :  sinché  ,  senza 
deporre  gli  odii  terreni,  senza  ricovrarsi  nelle  braccia  della  mi- 
sericordia, privo  di  consolazioni  e  di  speranze  ,  mori  il  giorno 
de'  santi  Cosma  e  Damiano  ®,  avendo  sette  mesi  sopra  i  ses- 
santacinque anni. 

Le  esequie  a  lui  rese  furono  quali  convenivano  a  principe, 
levatosi  pel  proprio  valore  al  primato  fra  i  signorotti  lombardi  ; 


9  La  data  del  28  seitembre  é  certa  ;  e  sbaglia  il  Muratori  ponendo  al  27  la 
battasrlia. 


—  846  — 


SUA   MORTE 


e  al  quale,  se  riusciva  conquistare  Milano,  non  vedremmo  qual 
nome  poter  bilanciarlo  fra  i  contemporanei.  Ma  cos'è  mai,  o 
Buonapartisti,  il  valore  separato  dal  suo  scopo?  Ed  Ezelino  non 
adoprò  il  suo  se  non  a  danno  della  patria:  dimenticò  che  le 
ragioni  dell'  umanità  non  impunemente  si  conculcano  ;  e  che 
viene  un'  ora  ,  in  cui  coloro  stessi  che  unico  diritto  conobbero 
la  conquista  e  la  forza  devono  render  conto  ad  un  tribunale  , 
innanzi  a  cui  il  gemito  del  soggiogato  ha  forza  contro  il  pre- 
potente che  lo  cagionò. 

Gli  onori  militari  sogliono  rendersi  al  proclamato  eroe  , 
come  al  coadannato  traditore:  ma  la  scomunica  impediva  di 
seppellirlo  in  luogo  sacro;  onde  fa  sotterrato  presso  la  torre 
di  San  Bernardino,  vicino  al  palazzo  pubblico:  e  l'epitafio 
ricordava  come  fosse  là  rinchiuso  Ezelino  da  Romano  ,  ter- 
rore un  giorno  dell'Italia,  prostrato  dalla  valentia  di  quei  di 
Soncino  ***.  Che  se  quest'iscrizione  è  delle  poche  che  di  ipo- 
tetiche virtù  non  adulino  l'estinto,  è  però  scevra  di  codardo 
oltraggio  per  parte  de'  vincitori.  Ma  la  plebe,  che  non  conosce 
misura  negli  odj  come  nell'amore,  disse  che,  appena  spirato  il 
tiranno,  la  camera  di  lui  ingombrarono  volumi  di  fumo  denso 
e  fetente:  era  il  diavolo,  venuto  a  portarsene  il  fìgliuol  suo: 
e  inventò  un  epitafio,  villano  perchè  ingiuria  al  sepolcro,  e 
che  si  traduce  così  : 

Dà  sepolcro  Soncino 
a  quel  can  d'  Ezelino , 
cui  lacerano  i  Mani, 
ed  i  tartarei  cani   ^^ 


10  Clavditvr  hoc  gelido  qvondam  svb  marmore  terror 
Italiae  de  Romano  cognomine  clarvs 

Ecclinvs  qvem  prostravit  soncinea  virtvs. 
Moenia  teslantvr  caedis,  Cassane,  rvinam. 

11  Terra  Svncini  tvmvlvs  canis  est  Ecelini 
qvem  lacerant  manes  larlareiqve  canes. 


11  diavolo,  eb!)C  l'anima  sua:  e  per  questa  morte  sia  glorificato  Iddio  per 


tutti  secoli  e  pili  ».  Smekego.  Chron.  Rerum  Italie.  Script.  Vili,  101. 

—  347  — 


4 


Il  tempo  colle  sue  fredde  ale  spazzò  fin  le  ruine  di  quel 
sepolcro,  ma  nella  torre,  che  fu  mozza  dopo  il  memorabile 
tremuoto  del  1802,  ti  mostrano  due  ferri  confitti,  come  se 
l'uno  indicasse  la  statura  di  Ezelino  in  piedi,  e  l'altro  a  cavallo. 
E'  saria  stato  un  vero  gigante,  mentre  i  contemporanei  ce  lo 
danno  per  mediocre;  né  questi  parlano  che  fosse  gobbo,  come 
1259 alcuno  posteriormente  asserì,  si.i  perchè,  d'una  ferita  tocca 
alla  spalla  nella  battaglia  di  Cortenova,  dovette  in  fatto  alcun 
tempo  soffrire;  sia  per  la  plebea  abitudine  d'associare  la  de- 
formità morale  colla  corporea.  Ninna  moneta  ci  trasmise  l'ef- 
fìgie di  lui;  e  i  ritratti  che  se  ne  hanno  nella  cappella  del 
beato  Luca  in  Sant'Antonio  ^^  e  in  altri  luoghi  di  Padova,  e 
quella  divenuta  comune,  che  il  Campi  pose  nella  sua  storia  di 
Cremona,  son  ideali. 

Chi  di  voi,  0  lettori,  dimenticherà  l'esultanza  di  tutta 
Italia,  quando  si  sparse  la  voce  che  i  Milanesi,  con  magnanima 
imprudenza  insorti,  avevano  in  cinque  giornate  vendicato  tren- 
taquattro anni  da  svilimento,  e  che  il  formidabile  esercito 
austriaco,  davanti  a  un  popolo  inerme,  si  ritirava  disfatto  da 
una  terra  che  non  gli  era  patria,  sicché  finalmente  l'Italia 
diveniva  indipendente?  —  bel  sogno,  e  fugace  come  un  sogno  ! 
Figuratevi  altrettanta,  ma  cresciuti  in  ragione  dell'entusiasmo 
proprio  di  quei  tempi,  la  gioja  di  quando  si  seppe  eh' Ezelino 
era  perito.  Dapprima  penavasi  a  credere  cosi  inaspettata  ven- 
tura; poi  confermatasi,  fu  un  respirare,  come  di  cui  sia  levato 
enorme  peso  dal  petto,  un  narrarselo,  un  festeggiare,  un  rin- 
graziar quel  Dio  che  tutti  i  vincitori  credono  d'aver  per  se  ^'. 
Papa  Alessandro,  in  lettere,  circolari,  invitava  ad  esultare  con 
lui,  ringraziando  la  mano  di  Dio,  che,  se  si  posa  sul  malvagio, 
il  malvagio  dov'è?  «  Le  campane  sonarono  per  tutta  Venezia  a 
Dio  lodiamo,  come  elle  sono  accostumate  sonare  alle  feste  dei 
santi,  e  la  notte  appresso  montarono  i  chierici  sopra   i    cam- 


12  Opera  di  Giusto  Fiorentino  de'  Menaiiuoi,  scolaro  di  Giotto. 

1'  Le  vittorie  dell' imperatore  di  Russia  sopra  gli  Ungheresi  nel  1849  erano 
annunziate  colle  parole  Mohiscum  Deus;  audile  populi:  vicimus  quia  nobiscum  Deus. 
Negli  avvenimenti  posteriori  si  fece  un  tale  abuso  della  parola  Dio,  che  non  ci 
resta  di  che  rimproverare  i  nostri  vecchi.  a 

in  -3«_  n| 


SUA   MORTE 


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panili,  e  per  tutte  le  torri  allumarono  ceri  e  torce,  e  fecero 
sì  grandi  luminarie  e  scampanj  sì  lieti  che  fu  una  grande 
meraviglia  del  vedere  e  dell'udire;  e  fu  bene  a  diritto,  perchè 
messer  Ezelino  avea  avuto  le  rendite  delle  religioni  di  Venezia 
e  de'  Veneziani,  che  tutte  hanno  in  Padovano,  sino  dal  tempo 
che  messer  Federico  lo  imperatore  donògli  la  signoria  della 
Marca  Trevisana  **  ».  Le  città  soggette  ad  Ezelino  alzavano 
il  capo  svegliate,  e  si  chiedevano  una  all'altra  perchè  avessero  \ 
una  contro  l'altra  combattuto,  e  gridavansi  libere,  e  si  credeano  ) 
riamicate.  Verona  ripatrió  i  fuorusciti,  ed  elesse  a  podestà 
Mastino  della  Scala,  la  cui  famiglia  dovea  poi  stabilirvi  una 
tirannide  più  salda  di  quella  d'Ezelino,  perchè  più  mascherata. 
Feltre  e  Belluno  si  diedero  reggimento  proprio.  I  Bresciani 
aveano  fatto  voto  di  erigere,  se  si  redimessero  da  quella  ti- 
rannide, un  tempio  a  san  Francesco,  e  lo  fecero  magnificamente; 
pure  i  Ghibellini  non  vollero  ricevere  i  Guelfi  cacciati;  ed  il 
marchese  Pelavicino,  entrato  a  titolo  di  comporre  le  discordie, 
se  ne  fece  gridar  signore,  e  rifiutò  di  lasciar  libero  il  legato 
Dei,  il  quale  però  riusci  a  fuggire.  I  Padovani  corsero  sopra  \ 
Vicenza  per  toglierla  ai  luogotenenti  d'Ezelino,  e  non  profittando 
colle  buone,  bruciarono  i  borghi,  e  tornaronsi  a  casa;  ma 
bentosto  gli  Ezelini,  conoscendo  non  potere  sostenere,  fuggirono; 
e  la  città  abbandonata  fra  mille  tripudj,  si  mise  sotto  la  pro- 
tezione de'  Padovani,  formò  nuovi  statuti,  uno  de' quali  metteva 
al  bando  i  parenti  d'Ezelino,  chiunque  fossero;  se  mai  capi-iseo 
tasserò,  sarebbero  tratti  a  coda  di  giumento,  poi  impiccati.  I 
Vicentini,  col  loro  ajuto  cacciata  la  guarnigione  tedesca,  ga- 
vazzarono e  stabilirono  che  il  giorno  di  san  Michele,  anniver- 
sario della  ricuperata  libertà,  si  corresse  ogni  anno  da  cavalli 
una  pezza  di  scarlatto.  I  Bassanesi  posero  in  disputa  se  ap- 
partenessero a  Vicenza  o  a  Padova:  ma  quest'ultima  ebbe 
r  accorgimento  di  dichiarare  ,  non  apparteneano  a  nessuna  ,  e 
poteano  far  di  sé  secondo  lor  voglia:  ed  essi  gridarono  popolo 
e  promisero  obbedire  alla  repubblica  padovana  in  ciò  che  con- 
cerne i  tre  punti  più  importanti  d'un  governo,  i  dazj,  gli  eser- 
citi, le  pubbliche  cavalcate,  salvi  tutti  gli  altri  diritti  :  dichia- 
rarono i  beni  di  quei  di  Romano  appartenere  al  Comune ,  né 


5_  14  Da  Canale,  §  CIL.  ? 

in  -«-  oS 


CAPITOLO  xiir. 


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doversi  ragione  a  chi  li  domandasse  per  titolo  qual  si  fosse  ; 
riformarono  anch'essi  gli  statuti,  dei  quali  uno  imponeva  che, 
se  alcuno  mai  trattasse  di  dare  un  signore  qualsiasi  a  Bassano, 
fosse  decapitato  ,  e  i  beni  suoi  messi  al  fisco  :  e  chi  osasse  in 
consiglio  muover  parola  a  sgravio  del  reo,  dovesse  cento  libbre 
al  Comune.  Venne  poi  tempo  che  lo  statuto  si  dimenticò,  e 
senza  esserne  richiesti,  furono  mutati  di  servitù  in  servitù. 

Quanto  ai  Milanesi,  Martin  Tornano,  saputo  che  i  nobili  , 
dopo  caduto  Ezelino,  eransi  riparati  a  Lodi,  andò  a  com- 
batterli; e  snidatili,  sottomise  quella  città.  Poi,  per  dominare 
senza  invidia  col  non  prenderne  il  nome,  propose  a  signore  per 
cinque  anni  Oberto  Pelavicino,  il  quale  applicò  tutta  la  sua 
possa  a  deprimere  i  Torriani ,  ma  dovette  in  fine  lasciarli  si- 
gnori di  quella  città. 

A  chi  scorre  le  storie  italiane  troppo  spesso  incontra  di 
vedere  mancate  di  efi'etto,  o  riuscite  a  scelleraggini  le  imprese 
meglio  e  più  santamente  auspicate.  La  libertà  de'  Comuni  im- 
bozzacchisce in  reciproche  schermaglie  fraterne:  la  Lega  Lom- 
barda s'a'ddormenta  nella  tirannia:  i  Vespri  siciliani  non  fanno 
che  mutare  la  servitù  angioina  in  servitù  aragonese:  e  questa 
guerra  santa  terminò  in  assassinj  e  negli  atti  brutali  d'una  so- 
cietà ineducata. 

La  gioja  universale  metteva  il  colmo  al  terrore  d'Alberico, 
che  si  sentiva  solo  contro  un  furore  armato  e  vincente.  Treviso  già 
trambustava,  e  la  repubblica  veneta  l'incitava  sott'acqua:  onde 
egli  senti  la  necessità  di  provvedere  come  meglio  alla  salvezza 
di  sé  e  casa  sua.  Aveva  esso  ,  fin  dal  1220 ,  sposata  la   bella 
non  meao  che  illustre  donna  Beatrice;  poi  velovato,  sugli  ul- 
timi anni  coudusse  Mirgherita,  bella  ma  triste.  E  n'ebbe  i-iiii 
figliolanza:  cioè  Giovami,   Alberico,  Ronmo,  Asolino,  Ezeliuo, 
Tornalesce  :  e  tre  fiaciulle  di  cui,  una  chiamita  A  lelaiile,  sposò 
Rinaldo  d'  Este  ,  e  andata  compagna  alla  prigionia  di   esso   in 
Puglia,  ivi  con  lui  fiai  :  le  altre  due  chi  le  nomina  Griselda  ed 
Amabilia,  e  chi  Lisia  e  Palmeria.  Infelice  dovizia  di  prole,  che 
non  dovea  se  non  crescergli  il  dolore  di  vederne  il  miserabile 
strazio  ! 
1260         Con  questi  uscito  nottetempo  di  città,  Alberico  si  ridusse 
a  San  Zenone,  terra  che,  a  chi  va  da  Asolo  verso  Bassano,  si 
presenta  ndentissima,  colle  case  scaglionate  alle  falde  del  colle 

—  350  — 


r  ESULTANZA    GENERALE  |_i    L,' 

quasi  a  spettacolo,  tramezzate  da  fiocchi  d'alberi  ^^.  Sull'altura 
della  Madonna ,  dominando  il  pianerotto  superiore ,  sorgeva  il 
castello,  fabbricato  da  Ezelino  il  Monaco  allorché  cominciò  ni- 
micizia  con  quei  di  Camposampiero  per  1'  oltraggio  recato  a 
Cecilia  di  Baone  sua  donna:  Ezelino  il  tiranno  avealo  ridotto 
in  miglior  essere,  nulla  trasandando  perchè  l'arte  crescesse  quel 
che  già  dava  la  natura,  cosi  da  farne  il  castello  più  forte  della 
sua  dominazione.  Macchine  d'  ogni  maniera  v'  erano  attelate  : 
grossa  ed  alta  muraglia  lo  abbracciava  tutt'intorno,  distinta  da 
robuste  torri;  nel  mezzo  a  quella  sorgeya  il  girone,  abitato  dai 
signori.  Unica  porta  yi  dava  accesso,  traverso  a  massiccio  tor- 
rione; quel  torrione  che  i  pacifici  tempi  tramutarono  in  cam- 
panile della  parrocchia. 

Alberico  con  tutta  la  famiglia  ed  i  tesori  suoi  si  ridusse 
in  questo  rifugio,  unico  rimasto  ad  una  famiglia  testé  in  pro- 
cinto di  sottomettere  tutta  Lombardia  :  e  colà  afforzatosf ,  si 
lusingava,  se  non  di  restaurare  le  proprie  fortune,  almeno  d'ot- 
tener comportevoli  accordi ,  e  salvar  sé  dal  naufragio  di  sua 
casa.  Ma  gli  pesava  sul  capo  1'  esecrazione  popolare  :  ed  egli 
stesso  l'accresceva  con  frequenti  sortite  saccheggiando  il  paese,  j 
e  singolarmente  giovandosi  de'  Tedeschi,  che  teneva  al  soldo.  [ 
Coi  quali ,  anche  nel  fitto  verno  ,  più  d'  una  volta  tornò  alle 
mani  coi  Bassanesi  nella  campagna  di  San  Zenone,  e  li  costrinse 
alla  ritirata. 

Viepiù  se  n'  esacerba  lo  sdegno  de'  popoli  della  Marca; 
Treviso,  chiaritasi  libera  ,  toglie  a  podestà  il  nobil  uomo  ve- 
neziano Marco  Badoero,  al  quale  il  doge  di  Venezia  avea  dato 
l'insegna  di  San  Marco  e  la  capitananza  dell'esercito:  poi  pub- 
hlica  nel  maggior  consiglio  una  sentenza  qualmente  «  Alberico, 
»  infedelmente  sottrattosi  al  servigio  ed  alla  volontà  della 
»  Chiesa  romana  ,  avea  guasta  la  città  di  Treviso  ,  e  gli  abi- 
»  tanti,  facendo  acceccare  fanciulli,  mandando  preti,  cherici, 
»  ed  altri  religiosi  al  supplizio  colle  cotte  e  i  paramenti  sa- 
»  cerdotali,  in  obbrobrio  della  santa  madre  Chiesa;  per  questo 


18  Bortolomeo  Burchelali,  Ritrailo  del  hello,  orrevole  e  vistoso  colle  di  San  Ze- 
none ricino  ad  Asolo  di  Treviijiana,  sovra  il  quale  fu  già  il  fortissimo  castello  di 
Alberico  da  Romano  ;  con  varj  passaggi  ben  curiosi  e  con  la  tragica  morie  di 
Alberico;  ottava  rima.  Trevigi,  i63l,  in-8". 


U-- 


—  351  — 


CAPITOLO  XIII.  D^Er 

? 

»  ne  confisca  i  beni,  sottopone  a  perpetuo  bando  Alberico  ed 
»  i  suoi ,  in  modo  che  più  non  si  possano  reintegrare  o  per- 
»  donare;  che  se  Alberico  o  sua  moglie  od  i  figli  capitassero 
»  in  forza  loro,  esso  ed  i  maschi  vengano  trascinati  a  coda  di 
»  cavallo  poi  appiccati  per  la  gola,  la  moglie  ed  i  figliuoli  bru- 
»  ciati:  bando  e  confisca  a  chiunque  movesse  parola  in  loro 
»  favore  o  ne  chiedesse  la  grazia  ». 

Per  dare  corso  alle  minacce,  si  collegarono  con  Padovani, 
Veneti,  Vicentini,  Veronesi,  Friulani,  Bassanesi,  insouima  con 
quanti  voleano  o  vendicarsi  dell'antica  grandezza,  o  insultar 
alla  presente  depressione  della  casa  di  Romano.  Entrando  giu- 
gno ,  uscirono  a  campo,  cinsero  d'ogni  lato  il  castello  di  San 
Zenone  ,  e  ne  cominciarono  l'attacco. 

Alberico ,  munito  d'  armi  e  di  viveri ,  eludeva  gli  assalti , 
ma  è  fatalità  delle  cause  perdute  che  qualunque  passo,  per 
prudente  ,  per  meditato  ,  non  fa  che  accelerarne  la  ruina.  Di 
singolare  giovamento  gli  tornava  la  perizia  di  Mesa  da  Porcilla 
ingegnere,  che  assai  destramente  dirigeva  le  opere  di  difesa  e 
di  offesa,  e  singolarmente  avea  tolta  in  custodia  tutta  la  cerchia 
esteriore,  munendola  di  bertesche,  di  manganelle,  di  petriere , 
di  quell'altro  armamento  che  facea  difficilissimo  espugnar  qua- 
lunque bicocca,  prima  che  l'artiglieria  desse  superiorità  all'offesa 
sopra  la  difesa.  Ma  questo  valente  non  possedea  quella  virtù 
cosi  rara  della  fedeltà  verso  la  sventura  :  udiva  il  suo  nome 
maledirsi  come  sostegno  de'  tiranni ,  come  avverso  alla  causa 
1260  italiana  ;  e  credette  forse  acquistar  benemerenza  presso  i  cro- 
ciati e  lode  presso  i  posteri  col  tradire  il  suo  padrone.  Tant'è 
vero  che  in  tempi  agitati  è  men  difficile  far  il  proprio  dovere 
che  conoscerlo.  Adunque  si  lasciò  corrompere  da'  collegati ,  e 
promise  rendere  la  forte/za  se  promettessero  lasciarlo  andar 
salvo  con  armi  e  cavallo  e  colle  paghe  e  un  buon  gruzzolo  di 
denaro.  Tratti  nel  suo  consiglio  alquanti  Tedeschi,  e  ogni  cosa 
disposto,  il  13  agosto  si  comincia  un  assalto,  e  fra  un  gridare 
Ammazza,  ammazza;  il  paradiso  a  chi  gli  uccide,  un  popolo 
di  nemici  avventasi  contro  il  castello. 

Alberico  e  la  sua  famiglia  dall'alto  del  torrione  stanno  os- 
servando l'esito,  se  impauriti  per  la  foga  de'  nemici,  confortati 
però  nella  robustezza  del  luogo  e  nella  valentia  de'  propugnatori. 
Ma  perchè  agli  assalitori  non  escono  addosso  i  prodi  Tedeschi? 

—  352  — 


PRESA   DI    SAN    ZENONE  QHi 

forse  è  imo  scaltrimento  di  Mesa  per  tirare  i  nemici  nel  di-  ) 
sposto  agguato.  Pure  i  nemici  continuano  ad  avanzarsi  :  la  di-  ) 
fesa  più  sempre  illanguisce:  ad  un  tratto  si  spalancano  le  porte,  '' 
si  calano  i  ponti:  —  non  era  un  sortita  a  difesa:  era  il  tra-  ) 
ditore  Mesa  che  apriva  il  recinto  ai  nemici.  ( 

Quali  a  tale  spettacolo  divennero  i  rinchiusi  !  E  come  il  f 
sangue  allo  sfuggir  della  vita  ritirasi  verso  il  cuore,  cosi  Al-  ) 
berico  co'  suoi  più  fedeli  si  raccoglie  nel  più  addentro  della  ( 
fortezza,  determinato  di  perigliarsi  all'estremo,  e  intanto  lasciar  ( 
tempo  al  tempo.  Ma  la  sete  struggeva  i  miseri  :  talché  giunti  ) 
al  terzo  giorno,  più  non  potevano  durarla.  ^ 

Chi  ritrarrà  l'anima  d'Alberico  ?  A'edevasi  intorno  la  moglie, 
caramente  diletta  ;  otto  figli,  de'  quali  alcuni  capaci  di  sentire 
tutto  il  peso  della   sciagura  ,  altri  più  compassionevoli   perchè         \ 
ignari  :  tutti  nati  alla  speranza,  tutti  educati  a  brillare  un  giorno 
fra  gli  agi ,  a  fianco  ai  principi  del  bel  paese.  Ed   ora  mirarli         S 
estenuati ,  non  potere  soccorrerli ,  e  preveder  1'  avvenire  colla         \ 
disperazione  della  ciurma  d'un  vascello,  che  calcola  quante  ore         ) 
j,         mancano  prima  che  la  scassinata  nave    coli  a  fondo.  Gli  ere-         <, 
l         sceva  terrore   la  fierezza  de'   nemici   che  lo   circondavano  :   ne         { 
avea  viste  e  udite  le  crudeltà:  gli  sapeva    infelloniti  dagli  ol- 
traggi di  lui  e  della  propria  vittoria  ;  ne  intendeva  le  minacce, 
più  formidabili  perchè  ispirate  da  un  sentimento  di  giusta  ven- 
detta e  di  liberalità  religiosa  e  cittadina.  Avria  potuto  sperare 
nella  generosità  di  cavalieri,  ma  non  di  turbe  concitate  a  guerra 
popolare;  onde  raccolse  i  desolati  suoi  cari,  e  cosi  ragionò: 

—  Figliuoli  dilettissimi,  a  che  noi  siamo  precipitati  da  tanta 
»  altezza  ,  non  è  mestieri  il  divisarvelo.  Ecco  io  vi  do  la  be- 
»  nedizione  paterna  e  l' estremo  abbraccio.  Il  signore  Iddio 
»  ascolti  la  mia  preghiera,  e  vi  conceda  senno,  copia  di  beni, 
»  costanza  d'amici,  prospera  vita  e  lunga.  Che  che  ne  sia  di 
»  me  ,  voi  eredi  di  nobilissima  prosapia  vivrete  ;  e  se  tanta 
»  forza  il  cielo  vi  comparte,  procurate,  com'è  dovere  d'ogai 
»  ben  nato,  vendicare  la  infelicissima  fine  del  padre  e  dello  zio. 
»  In  Lombardia,  nel  Pedemonte  v'abbondano  partigiani  :  dalla 
»  Toscana  non  vi  mancheranno  d'aiuto  i  conti  di  Mangone  pa- 
»  renti  vostri,  valorosi  e  potenti.  Ahi,  ahi!  Adelaide  madre  mia, 
»  quanto  verace  mdovina  voi  foste,  allorché  presagivate  le  scia-  ) 
»  gure  che  m'avrebbero  giunto  in  questo   castello  ».  \ 

353  -  n Jj 


{2  CAPITOLO   XIII. 


I']  gettossi  sul  letto  piangendo,  ed  intorno  a  lui  la  moglie, 
i  figli  inconsolabili.  Dimentico  delle  antiche  crudeltà  e  come  l'ira 
1260  d'un  popolo  sollevato  sia  in  proporzione  degli  oltraggi  sofferti, 
sperava  che  a  satollarla  basterebbe  il  sangue  suo  :  e  però  chia- 
mati i  più  domestici  suoi,  —  Meglio  è  (disse)  che  muoia  io  solo, 
»  anziché  voi  tutti  finiate  con  me.  Itene  pure,  ve  lo  consento, 
»  a'  miei  nemici,  e  trattate  di  salvezza,  i^la  deh  vi  prego,  pre- 
»  sentatevi  in  nome  mio  al  marchese  d'Este,  ricordategli  l'ami- 
»  cizia  nostra  antica,  i  nodi  stretti  fra  il  suo  Rinaldo  e  la  dol- 
»  cissima  nostra  antica,  i  nodi  strotti  fra  il  suo  Rinaldo  e  la 
»  dolcissima  figliuola  mia  ;  raccon. andategli  me  ed  i  miei  fì- 
»  o-liuoli,  che  mi  tolga  in  protezione  e  mi  scampi  dalla  ferocia 
»  de'  nemici  ». 

Lodoviso  ,  uno  de'  più  intimi  di  Alberico ,  andò  proporre 
patti  agli  assediatori  ;  ma  i  sacerdoti,  che  doveano  bandir  la 
pace  e  la  misericordia,  non  sapevano  se  non  ricordare  le  parole, 
onde  Samuele  impose  a  SauUe  che  tutti,  fino  ad  uno,  stermi- 
nasse gli  Ammoniti.  Adunque,  disperato  d'ogni  sosta  e  condizione, 
e  inabile  a  più  tener  saldo,  Alberico  si  rese  a  discrezione. 

Misero  chi  deve  commettersi  a  una  folla  irritata!  Non  sì 
tosto  egli  fu  nel  campo,  gli  venne  messo  uno  sbavaglio  perchè 
non  parlasse  ;  indi  si  chiamò  un  frate  Minore,  che  acconciasse 
dell'anima  lui  e  gli  altri,  destinati  ad  orribilissima  tragedia.  I 
figliuoli  furono  fatti  a  pezzi  ed,  aggiungono  alcuni,  gettatine  i 
brani  di  carne  palpitante  sul  viso  del  padre,  presente  allo 
spettacolo,  poi  spartiti  fra  le  città  di  Padova.  Vicenza,  Verona. 
Sulle  donne  si  cumularono  oltraggi  e  danni,  quantunque  belle, 
quantunque  giovani ,  quantunque  innocenti  :  con  mozzate  le 
vesti ,  furono  ad  obbrobrio  menate  in  giro  fra  1'  esercito ,  che 
applaudiva  come  a  giusta  retribuzione  delle  donne  trevisane , 
d'egual  ingiuria  offese  da  Alberico  :  poscia  raso  loro  il  seno  e 
il  naso,  furono  vive  gettate  nelle  fiamme.  Per  onore  della  uma- 
nità speriamo  che  queste  sieno  esagerazioni  degli  scrittori ,  i 
quali  piaccionsi  di  conservarsi  feroci  anche  in  secoli  di  sdilin- 
quita umanità  ^^. 


*6  Abbiamo  alla  mano  un  libro" di  persona  civilissima  (Giuseppe  Ricciardi), 
dove  un  simile  trattamento  é  proposto  pel  principe,  che  poco  poi  fu  preconizzato 
magnanimo  e  martire  della  causa  italiana. 


FINE   D'ALBERICO 


7 


In  San  Zenone  stava  rinchiuso  Giacomino  de'  Tebaldi  bo- 
lognese, giudice  e  consigliero  d'Alberico.  Chiese  egli  di  uscire 
cogli  altri  domestici:  ma  Alberico  —  No,  gli  disse,  rimani  a 
mangiar  meco  le  vivande  che  meco  ammanisti:  tu  che  quand'io 
incrudeliva  ,  non  mi  persuadesti  al  bene  ».  Anch'esso  fu  fatto 
a  brani. 

Alberico,  dappoi  ch'ebbe  veduto  le  turbe  sfamarsi  in  quel- 
r  orrendo  strazio;  dappoi  che  ad  uno  gli  spasimi  de'  cari  suoi 
dilaniarono  il  cuor  di  esso,  che  pur  era  cuore  di  padre,  venne 
a  coda  di  cavallo  trascinato  pel  campo,  e  su  pei  dirupi,  e  dopo 
tormentosa  agonia  ucciso  e  fatto  a  brani  i'^.  Compiva  i  sessan- 
taquattro anni  ;  ed  era  stato  meno  sanguinario  di  Ezelino,  ma 
più  di  lui  ingiusto  ;  tiranno  ipocrite  ,  come  quelli  del  cinque- 
cento che  offersero  il  tipo  a  Macchiavello:  quello  assomiglierei 
alla  tigre  che  sitibonda  di  sangue,  assale  drittamente  la  preda  ; 
questo  alla  iena  che  l'aspetta  negli  agguati,  vilmente  crudele; 
se  non  temessi  far  torto  alle  belve  col  paragonare  i  loro  istinti 
irriJflessivi  colla  cupa  malvagità  dell'ente  ragionevole. 

Questa  tragedia  fu  consumata  il  26  agosto  del  1260,  ed 
è  per  filo  e  per  segno  divisata  dai  croiMsti,  non  uno  de'  quali 
vi  aggiunge  una  parola  di  disapprovazione.  Treviso  nel  palazzo 
del  gran  consiglio  fé'  dipingere  il  fatto,  e  come  davanti  al  po- 
destà fossero  sbranati  quei  tapini  e  Alberico  trascinato  e  l' i- 
scrizione  tragico  Alberici  de  Romano  tyranni  uxoris  et  fìlio- 
rum  excidio,  respullica  farvi  sana  liane  horam  exjnavii  A.  S. 
MCCLX.  Perocché  questi  sfoghi  contro  gli  oppressori  sogliono 
applaudirsi  dai  liberalastri  come  atti  di  vigore  e  d'intenso  sen- 
timento; eppure  le  più  volte  sono  viltà  e  debolezza,  prorompendo 
quando  non  v'è  più  pericolo  ,  assalendo  chi  più  non  è  capace 
di  difendersi.  Il  castello  di  San  Zenone,  quelli  di  Fonte,  di  Ro- 
mano ,  gli  altri  del  Pedemonte  furono  diroccati  dalle  fonda- 
menta ;  le  città  collegate  si  spartirono  gl'immensi  beni  di  quella 
famiglia  straniera,  che  pagava  tanto  caro  l'essere  discesa  a 
dominare  e  a  gustare  la  patria  nostra. 


17  In  frusta  secalur.  Ricobaldo. 

—  335  — 


flìi3^~ 


CONCLUSIONE. 


Principale  condizione  nell'uomo  a  divenir 
felice  parmi  il  nascere  e  vivere  in  città  li- 
bera. . . .    Chi  la   dà    in   mano  all'uomo,  la 
lascia  in  potere  d'una  fiera  bestia. 
Paruta,  Perf.  della  vita  civile.  L.  III. 


n  ^luesto  "secondo  periodo  della  vita  de'  Comuni 
vedemmo  dunque  svilupparsi,  progredire,  declinare 
la  libertà  municipale.  Que'  padri  nostri  uscivano 
da  un'antichitcà  che  avea  sconosciuta  la  dignità 
dell'uomo,  da  una  barbarie  dove  erano  sinonimi 
uomo  e  servo  *;  dove,  eclissata  la  razza  vinta, 
più  non  apparivano  che  i  conquistatori,  o  al  più  i  preti,  che 
rappresentavano  il  popolo,  e  che  lo  elevavano  col  loro  elevarsi. 
Eredi  però  de' miglioramenti  tramandati  dagli  avi,  lottarono 
colla  prepotenza  degli  armati,  coli' inerzia  dei  vulghi,  colla 
esorbitanza  degl'insorgenti,  per  giungere  a  quel  punto,  ove 
potessero,  sotto  le  leggi  fatte  da  loro  medesimi,  avviare  il 
perfezionamento  individuale  e  pubblico.  Ottenuta  la  libertà  in 
prima  come  usurpazione,  poi  come  privilegio,  infine  come  di- 
ritto, combatterono  per  sistemarla  e  per  conservarla  contro 
quelli  che,  in  differenti  modi  e  per  fini  differenti,  vi  attentavano. 
Pel  primo  scopo,  che  è  sempre  difficilissimo,   vedemmo  i  loro 


*  Ancora  vulgarmenle  diciamo  il  mio  uomo  per  indicare  il  servo  domestico. 

—  3JT  — 


Cantù  —  1  .zelino. 


&t9 


CONCLUSIONE 


sforzi,  inconditi,  ma  generosi.  Per  l'altro  nacquero  lotte  varie, 
lunghe,  parziali,  sconsiderate,  perchè  non  ne  erano  bene  de- 
terminati i  motivi  né  gl'intenti,  e  perchè  mosse  sovente  da 
passioni  esuberanti,  da  un  convulsivo  punto  d'onore,  da  spirito 
di  parte:  lotte  che  devono  bensì  con  crepacuore  ricordarsi  da 
coloro  su  cui  ne  ricaddero  le  conseguenze;  che  possono  con 
ischerno  esserci  rinfacciate  da  quelli  che  ne  colsero  un  frutto 
inumano,  ma  che  certo  non  costarono  né  tanto  sangue,  né 
tante  amarezze,  quanto  le  guerre  agitate  da  un  capriccio  di 
re,  0  per  toglier  qualche  gomito  o  qualche  seno  in  un  territorio . 
lotte  ove  si  combatteva  la  causa  deirumanità,'ila  quale  ne  usciva 
sempre  con  alcun  acquisto,  se  non  altro  di  esperienza. 

Quelle  bestie  del  medioevo  erano  giunte  a  intendere  che 
ottima  forma  di  governo  è  quella,  ove  ad  ogni  uomo  sia  as- 
sicurato l'esercizio  de'  suoi  diritti  personali  e  reali,  e  dove  egli 
contribuisca  al  mantenimento  della  sicurezza  in  proporzione 
del  suo  interesse.  Il  qual  principio  ampliando,  credettero  ne- 
cessario 0  utile  che  tutti  partecipassero  egualmente  alla  sovranità 
e  Popolo,  2)opolo  era  il  grido  onde  si  chiamava  a  libertà.  Conscj 
per  istinto  se  non  per  raziocinio  che  la  libertà  non  è  durevole 
se  non  quando  meritata,  volevano  rendersene  degni  coll'adde- 
strarsi  nelle  arti  belle  e  nelle  utili,  supremo  mezzo  di  perfe- 
zionamento, eccellente  via  di  assicurare  i  diritti. 

Ma  una  nobiltà  costituita,  cioè  l'ufficialità  di  un  esercito 
forestiero  che  per  secoli  mantenne  l'Italia  (come  oggi  si  direbbe) 
in  istato  d'assedio,  lungamente  usata  a  comandare,  persuasa 
che  la  forza  ne  dia  il  diritto,  e  la  sconfìtta  non  lasci  al  vinto 
che  l'obbligo  d'ubbidire,  battendo  il  pugno  sulle  spade  giurava 
conservare  o  racquistare  i  privilegi,  che  credea  venutile  col 
sangue,  e  sanciti  dall'usurpazione.  Per  lo  sciagurato  contagio 
delle  idee  eccezionali  che  altrove  notammo,  propagavasi  il 
sentimento  della  disuguaglianza,  e  perfino  il  proletario  che  era 
divenuto  uom  del  Comune,  guardava  con  disdegno  a  chi  di 
fresco  vi  entrasse,  e  non  gli  concedeva  le  ragioni  di  cittadino 
che  a  misura,  e  le  negava  afi'atto  al  campagnuolo. 

Formavansi  dunque  tante  società  privilegiate,  ove  rispetto, 
benevolenza,  giustizia  non  si  accordava  che  ai  consociati.  L'e- 
lemento teocratico,  il  monarchico,  l'aristocratico,  il  popolano, 
r         il  feudale,  il  municipale  cozzavano   fra  loro;   e    l'impossibilità         S 


r  VICENDE   DELLA   LIBERTA  U    U 

che  l'uno  escludesse  tutti  gli  altri  manteneva  quell'equilibrio, 
che  non  è  l'essenza  ma  la  salvaguardia  della  libertà;  insieme 
però  toglieva  di  costituire  sodamente  lo  Stato.  Poiché  di  continuo 
la  classe  più  vicina  alla  dominante  voleva  prevalere,  finché  la 
plebe,  cresciuta  d'intelligenza  e  men  gravata  di  bisogni,  volle 
partecipare  al  governo. 

Di  qui  i  disordini  dei  Comuni  e  l'acerbità  delle  fazioni  e 
gli  esagerati  ricambi  de'  prevalenti;  non  aveasi  una  patria 
comune ,  ma  società  parziali  e  locali  ;  tradivasi  il  paese  al 
forestiere  per  abbattere  la  fazione  avversa  ;  consorterie,  trame, 
intrighi  si  drizzavano  ad  escluder  gli  altri  ;  osservavasi  il  vicino 
per  abbatterlo:  ciascun  partito  si  mostrava  violento  nell'usurpare 
e  sconsiderato  nell'esercitar  l'autorità;  e  come  sempre,  l'anar- 
chia portava  la  tirannide.  Nel  cuore  stesso  della  pace  i  tracotanti 
pretendeano  sottrarsi  alle  leggi,  dettate  dal  voto  comune  : 
ricorrendo  sempre  a  quella  superiorità  della  forza,  che  anche 
oggi  è  il  tribunale  de'  duellanti  e  dei  napoleonisti.  Ne  dovea 
venire  l'astio  contro  i  nobiU,  che  volea  dire  contro  gli  stranieri 
possessori  del  terreno,  e  correva  come  assioma  che,  tolti  i 
nobili,  Italia  godrebbe  una  pace  imperturbabile.  S'ingannavano, 
ma  sul  punto  stesso  e  per  gli  stessi  raziocinj  onde  s' ingannano 
anche  oggi  que'  molti,  le  cui  dispute  mostraao  quanto  l' ingegno 
umano  armeggi  volentieri  sulle  quistioni  mal  posate. 

Non  trovando  l'elemento  della  ricomposizione  in  sé  stessi,  , 
lo  cercavano  di  fuori.  Il  papato  aveva  atteso  a  fondere  le  idee  ) 
salvando  le  persone;  allo  straniero  conquistatore  intimò,  la  forza 
non  essere  la  ragione  di  Dio  ;  agli  Italiani  persuase  la  pace,  la 
fratellanza  attorno  all'altare;  istituì  un  imperatore  purché 
romano,  purché  eletto  dal  popolo,  purché  salvasse  questo  e  la 
Chiesa  dai  baroni  forestieri:  nell'unità  della  fede  e  della  morale 
nuove  riconcihò  i  vittoriosi  e  i  conquistati;  sicché  il  barbaro 
si  faceva  italiano,  e  l' italiano  papale.  Ma  quando  gli  imperatori 
furono  germanici,  le  volontà  si  divisero,  e  si  importarono  i 
nomi  esotici  di  Guelfi  e  Ghibellini.  Questi  ultimi  desideravano 
l'unità  italiana  mercé  la  vigorosa  dominazione  degli  imperatori  ', 


2  Si  Ics  cmpcrcurs   eussent   pu   s'(UaI)lir  à  Romo,  Ics  papcs  ii'cussont   ótó 
que    leurs    cliapclains.    Voltaire  ,    Essai  sur  les  mccurs,  e.  57.   —  1  Ghibellini 


—  359 


■v-elL§ 


[aj^^. , ^ E^ 

1 — \^  CONCLUSIONE  □    •— i 

ma  la  spinsero  fino  allo  stupro  della  nazionalità.  I  Guelfi  vo- 
leano  la  paterna  tutela  dei  papi;  il  patronato  morale,  non  già 
la  loro  dominazione  «;  li  amavano  come  freni  del  principato 
guerresco:  tant'è  ciò  vero,  che  la  città  di  Roma  stava  sempre 
in  contrasto  coi  papi  perchè  colà  riducevano  in  propria  mano 
i  diritti  sovrani  ;  tant'è  ciò  vero,  che  anche  le  città  più  guelfe 
afirontavano  le  scomuniche  quando  fosse  in  giuoco  la  propria 
libertà.  Ma,  come  avviene  de' principj  assoluti,  le  realtà  si 
risolsero  in  utopie,  e  quei  nomi  non  espressero  due  forme  di 
libertà,  ma  due  titoli  di  setta. 

Fra  questi  litigi,  le  città  credeano  sempre  raggiungere  il 
meglio  col  cambiare,  come  l'infermo  sul  letto  de' suoi  dolori; 
e  i  mutamenti  di  costituzione  erano  così  rapidi  e  talora  così 
insensati,  come  quei  della  Francia  odierna;  l'opinione  non  avea 
tempo  di  formarsi,  perchè  la  democrazia  la  convertiva  subito 
in  legge:  mutavasi  partito,  secondo  che  une  fazione  o  l'altra 
saliva  al  dominio,  né  la  turbolenza  rivoluzionaria  aveva  bastante 
contrappeso  di  poteri  tradizionali  o  di  idee  convenute.  Quindi 
uno  stato  di  incessante  rivoluzione,  e  la  rivoluzione,  sia  fatta 
dai  popoli  0  dal  principe,  è  prevalenza  della  forza  sopra  l' in- 
telligenza, uccide  la  libertà  sopprimendola  se  trionfante,  se  vinta 
invocandola  con  ruggito  spaventevole;  prepara  i  popoli  alla 
tirannia  col  renderneli  meritevoli,  e  induce  a  rassegnarvisi  per 
timore  di  peggio.  lU  fatto  l'ardore  di  libertà  e  l'abborrimento 
alla  servitù  s'intepidirono;  e  quando  le  arroganze  esorbitassero, 


antichi  furono  la  causa  principale  della  rovina  d'Italia;  i  GbibelJ^imoderni,  senza 
volerlo  e  saperlo,  continuano  la  loro  opera  ».  GioBERTr,  Proafu^elPJnlroduzione 
allo  studio  (iella  filosofia.  ^  's^'" 

Nel  185Ó  un  signore  piemontese,  Ferd.  Dal  Pozzo,  suggenva/^i  lasciare  sot- 
toporre tutta  Italia  all'Austria,  mostrando  i  meriti  della  sua  amministrazione,  e 
come  unicamente  la  potenza  di  essa  potesse  elTeltnar  l'unità  e  la  libertà  del  bel 
paese.  Nid  1816  un  li!)erale  di  Romagna  scriveva:  «  Italia  con  Austria!  chi  po- 
»  Irebbe  opporsi  loro  ?  Ah  se  l'osassero  !  Ben  potrebbe  qualche  remota  terra 
>  rivedere  ancora  una  volta  le  aquile  di  Cesare,  le  aquile  di  Trajano...  Io  sono 
»  Italiano;  ma  se  pur  fossi  Ghibellino,  lo  sono  con  Farinata  e  con  Dante». 

5  Nò  mai  l'hanno  voluta,  e  il  piij  accannito  sostiMiilore  delle  ragioni  papali,  il 
Rellarmino,  scriveva  :  Licei  resistere  pontifici  invadenti  aniinas  vel  turbanti  rempu- 
hlicam...  licei  ci  resistere  non  facendo  qnod  jubet,  et  impediendo  ne  cxequatur 
volunlatein  suam.  De  Romano  Pontifice,  1.  II,  e.  29.  > 

^-^_______  j^ ^ 


iD 


1^4 


DISU^■IONI    DEGLI    ITALIANI 


la  repubblica  rimetteva  in  un  uomo  i  poteri  popolari.  Questo 
uomo  abusava  del  potere,  allettato  al  mal  fare  dal  poterlo 
impunemente;  avvezzavasi  al  comando,  mentre  i  cittadini  s'a- 
bituavano all'obbedienza.  Le  repubbliche,  più  intente  ad  acqui- 
stare che  accorte  a  conservare  la  libertà,  più  diffidenti  del 
potere  che  degli  ambiziosi,  non  conoscevano  ancora  gli  abusi 
e  neppure  que'  ripari  che  vagliono  tanto  quanto  adesso;  e  il 
despotismo  livellatore  sottentrava  alla  democrazia  livellatrice, 
mercè  dei  magistrati  popolari  in  prima,  poi  dei  tirannelli. 
L'uomo  egoista,  che  la  benevolenza  sottomette  al  calcolo,  e  si 
vale  degli  uomini  come  di  strumenti,  prepondera  sempre  fra 
le  moltitudini,  operanti  a  slancio;  ed  è  in  questo  senso  che 
fu  detto  l'Italia  esser  la  patria  della  tirannia,  perchè  patria 
della  libertà. 

Questi  eletti  dal  popolo  cedeano  presto  il  luogo  ad  altri, 
che,  conoscendo  gli  uomini,  sapeano  adoprar  l'energia  del  popolo 
per  domarlo,  come  si  adopra  il  vento  contrario  per  ispingere 
il  vascello.  Questo  nuovo  egoista,  non  trovando  più  ostacoli, 
sevisce  contro  i  nemici,  poi  passa  a  sevire  contro  gli  amici,  e 
la  sua  fidanza  principale  sta  nell'egoismo  delle  moltitudini,  che 
guarda  a  sé  solo,  considera  come  estranio  ciò  che  non  è  lui, 
né  crede  fatto  a  tutti  il  torto  fatto  a  un  chicchessia. 

Per  abbatterli,  qual  altro  mezzo  restava  che  la  forza?  e  il 
più  deliberato  tentativo  fu  quello  che  descrivemmo  contro  i 
signori  da  Romano. 

Ezelino  aveva  adoperato  una  lunga  vita,  straordinarj  ta- 
lenti, sommo  coraggio  a  stabilire  una  tirannide  non  più  veduta. 
Col  chiamare  assurdo,  barbaro  stolto  un  dominio  non  si  spiega 
come  sussista;  al  più,  si  mostrano  più  barbari  e  stolti  e  assurdi 
quei  che  il  comportano.  Noi  cercammo  spiegare  l'ezeliniano;  e 
del  resto  il  tremare  tutti  davanti  a  uno  è  effetto  consueto 
della  credulità  rivoluzionaria,  per  la  quale  di  tutto  si  spera  o 
di  tutto  si  diffida;  tutti  insieme  sbraveggiano,  o  tutti  i  singoli 
s'avviliscono  contagiosamente,  e  perduta  la  misura  di  ciò  che 
si  può  fare  o  che  si  può  soffrire,  ogni  cosa  si  vuole  ed  ogni 
cosa  si  soffre  senza  idea  di  giustizia  o  d'onore. 

In  simili  disastri  delle  nazioni,  v'è  taluni  che  soccombono 
ai  mali  bestemmiando,  fremendo,  esagerando,  pur  non  dando  un 
passo  per  riscattarsene;  solo  sperando  arrivino  a  quell'eccesso, 

—  361  — 


rrin  CONCLUSIONE 


t 


dopo  il  quale  (dicono  essi)  nou  potranno  che  diminuire.  Questi 
sciauratl  abbondano  ne' tempi  della  decadenza  decorata,  cioè 
ciancerà,  quando  si  desidera  gloria  di  generosità,  ma  non  com- 
promettere sé,  né  i  parenti,  né  l'ora  del  pranzo  e  del  teatro. 
Polvere,  che  dalla  prima  pioggia  è  convertita  in  fango. 

Altri,  stomacati  a  quello  spettacolo,  diffidando  della  bontà 
in  faccia  alla  ribalderia,  dell'  intelletto  in  faccia  alla  violenza, 
si  ritraggono  dall'operare,  disperano  del  mondo,  del  quale  de- 
plorano la  irreparabile  decadenza  con  tono  elegiaco  o  sardonico, 
e  prevedono  sempre  peggiori  guai.  Di  loro  cantava  un  poeta 
del  mio  paese  ducent'anni  fa  : 

Or  che  oppur  si  dovrian  saldi  contrasti, 

accusando  si  sta  sorte  nemica  : 

par  che  nel  mal  comune  il  pianger  basti. 

V'ha  altri  che  soffrono,  ma  stando  in  fede,  si  mescolano 
alle  cose,  osservano;  s'accostano  all'idolo  del  giorno  non  per 
incensarlo,  ma  per  accorgersi  del  momento  in  cui  lanciare  il 
sassolino  a'  suoi  piedi  di  creta. 

Quella  volta  i  popoli  conobbero  che  la  forza  de'  despoti 
non  deriva  tanto  da  proprio  vigore  quanto  da  disaccordo  dei 
sottoposti;  uniti,  e  delle  croci  fatte  else  di  spada,  infransero 
il  giogo,  e  lo  batterono  sulla  nuca  del  tiranno:  e  credettero 
che  ad  espiare  tanti  delitti  non  bastasse  altra  ostia  che  il  reo. 
Caduti  gli  Ezelini,  chiedeansi  perchè  stassero  nemici  fra  loro, 
e  comprendeano  a  prova  che  la  morte  d'un  solo  potea  rimetter 
in  pace  tutti. 

Al  vedere  l'ardore  e  la  costanza  onde  fu  compita  questa 
impresa,  vorrebbesi  esclamare:  • —  Ecco  quanto  i  Comuni  ama- 
vano la  libertà  ;  ecco  siccome  la  Chiesa  li  sapeva  accordare  in 
un  pensiero  ». 

Ma  la  Chiesa,  sciaguratamente  avvoltolata  negli  interessi 
mondani,  si  diede  ben  tosto  ad  altre  scomuniche,  ad  altre 
crociate.  Gli  imperadori  svevi  avevano  creduto  consolidarsi 
col  divenire  sovrani  dell'  Italia,  ma  la  loro  contesa  coi  papi 
mutò  di  carattere,  e  vi  si  complicò  l'indipendenza  e  la  servitù 
del  nostro  paese.  Con  Federico  II  perì  quella  supremazia  im- 
^         periale  che  il   Barbarossa  avea  fatto  a  Roncaglia  proclamare         \ 


NUOVI   DISSIDII 


sovra  i  principi  e  i  potentati  tutti;  e  l'epopea  delle  grandi 
lotte  fra  la  tirannia  e  la  libertà  si  risolse  in  quistioni  fiscali 
di  dominio  sopra  la  Sicilia.  Se  questa  fosse  stata  essa  pure 
temperata  a  repubblica,  la  Santa  Sede  avrebbe  conservato  la 
primazia  morale  in  Italia;  costituita  a  monarchi,  fu  disputata 
da  re,  e  re  stranieri.  Nella  contesa  de' Comuni,  Alessandro 
aveva  adoperata  la  Lega  Lombarda;  nella  contesa  di  principi, 
il  papa  non  potè  che  preferir. le  uno,  e  Carlo  d'Angiò,  venuto 
coU'assistenza  de' Guelfi,  aggravò  colla  tirannide  francese  la 
tirannide  tedesca.  Questa  puzzava  agli  Italiani  in  modo,  che 
esultarono  quando  videro  Manfredi,  usurpatore  della  corona 
sicula,  soccombere  nelle  battaglia  di  Benevento,  e  Corradino, 
ultimo  rampollo  degli  Svevi,  terminare  sul  patibolo. 

Quel  sangue  preparò  i  Vespri  Siciliani,  e  per  l'avvenire 
interminabili  gare  fra  due  potenze  straniere,  che  si  disputarono 
il  bel  paese  coll'empirlo  di  ruine  e  di  guai,  i  quali  fin  ad  oggi 
non  sono  terminati.  Carlo  d'Angiò,  convocate  le  città  dell'antica 
Lega  Lombarda,  chiese  eleggessero  lui  per  re.  Alcune  assen-  ( 
tirono,  ma  le  più  rifiutarono  d'aver  un  padrone;  e  straniero  ;  i 

e  preferirono  darsi  una  dopo  una  in  servaggio  de'  tirannetti,  l 
che,  facendo  profitto  del  livellamento  introdotto  dalla  demo-  ì 
Grazia,  regnassero  senza  contrasto,  benché  ancora  come    cit-  ) 

tadini,  e  poc'  a  poco  spegnessero  le  virtù  sviluppate  al  tempo  { 
de'  Comuni.  ) 

Però  al  primo  momento  dopo  il  trionfo  sopra  Ezelino, 
quando  l'entusiasmo  fa  credere  possibile  ogni  sacrifizio  e  comuni 
le  virtù  più  rare,  abbonacciarono  le  battaglie  cittadinesche  ;  lofi» 
Verona,  Vicenza,  Padova,  Treviso,  congregatesi  in  Padova .,  ;fj^ 
avvisarono  le  guise  di  conservare  la  libertà  e  la  pace;  fecero 
giuramento  di  tenersi  in  ferma  e  perpetua  concordia,  società, 
amicizia,  fratellanza;  non  sopportare  più  dominio  di  un  solo, 
difendersi  reciprocamente  con  denaro  e  uomini  afferro  e  fuoco 
e  sangue,  perseguitare  a  vicenda  gli  infestatori  delle  strade. 
La  qual  lega  doveva  essere  giurata  da  tutti  i  cittadini  fra  i 
quindici  e  i  settant'anni ;  eccetto  i  cherici  ed  i  conversi;  poi 
ripetersi  il  giuramento  ogni  anno  nel  consiglio  generale,  ed 
ogni  tre  da  tutte  le  città  congregate. 

Ahimè!  queste  leghe  generali,  di  fine  indeterminato,  riu- 
scirono mai  a  togliere  le  discordie?  Poco  andava,  e  le  città,  che 


n 


—  3(53 


all'istante  del  trionfo  aveano  a  scialacquo  proclamato  l'unione 
e  la  fratellanza,  trovarono  nuovi  attizzamenti  di  sconcordia, 
dieronsi  sulla  testa  le  une  alle  altre:  e  Padova  e  Treviso,  in 
gran  caro  di  viveri,  negavano  di  fasciarne  trasportare  alla 
liberatrice  Venezia.  Onde  il  Da  Canale  esclamava:  —  Molto 
»  mi  meraviglio  de'  Padovani,  che  non  si  ricordino  dei  ventidue 

>  anni  ch'e'  furono  nelle  mani  di  messere  Ezelino  da  Romano, 

>  il  quale  danneggiavali  si  crudelmente,  allorquando  egli  loro 

>  facea  troncare  le  teste, "^  e  facevali  impendere,  e  scliizzape 
»  gli  occhi  dai  capi,  e  troncar  piedi  e  mani  e  coglie  ai  fìgliuoh 
»  loro,  e  loro  donne  faceva  menne  o  sceme  delle  mammelle  e 
»  del  naso,  ed  abbatteva  a  terra  loro  case,  sfacendole  sino 
»  delle  fondamenta:  ed  erano  fatti  si  ciechi  e  si  dissennati  che 
»  il  padre  domandava  a  messer  Ezelino  distroncasse  il  proprio 

>  figliuolo,  ed  il  figliuolo  il  padre,  e  l'uno  fratello  l'altro:  e  i 

>  Veneziani  ajutaronli  a  cavarsi  di  quest'ultimo  servaggio. 
»  Ancora  mi  meraviglio  io  più  de' Trevisani,  che  elli  non  si 
»  ricordino  di  messere  Alberico  da  Romano,  come  ben  di  tempo 

>  tenelli  in  sua  suggezione;  e  diceva  ch'egli  era  della  parte 
»  di  santa  Chiesa,  e  frattanto  faceva  loro  troncare  le  teste 
»  ed  abbattere  le  case  a  terra,  e  li  cacciava  di  Treviso,  ed  a 
»  molte  belle  dame  fece  egli  tagliare  le  treccie  e  scorciare  le 
»  vesti  davanti  e  di  dietro  sino  al  ventre,  e  gittarle  cosi  fuori 
»  di  Treviso;  e  la  donna  di  messere  Alberico  guardava  quelle 
»  dame  e  rideva,  e  potea  dire  che  rassomigliavan  camozze:  ed 
»  a  tanto  furono  ellino  e  loro  donne  ricevuti  in  Venezia,  do- 
»  nato  loro  fu  a  mangiare  ed  a  bere,  e  drappi  per  covrirsi,  e 
»  danari  per  ispendere.  Tutto  ciò  che  Veneziani  lor  fecer  di 
»  bene  hanno  elli  obliato,  né  più  ricordano  chi  ajiitolli  e  pren- 
»  derne   messer  Alberico,    allorquando    egli    si  parti  di  santa 

>  Chiesa;  d'onde  poi  i  Trevisani  fecero  di  lui  e  di  sua  donna 

>  e  di  suoi  figliuoli  crudele  giustizia,  ardendoli  e  distroncan- 
»  doli  tutti  ». 

Allora  i  popoli,  precipitati  in  quella  sfiducia  della  libertà, 
ch'è  la  più  funesta  conseguenza  delle  rinnovantisi  rivoluzioni, 
disperati  di  soccorsi  umani,  si  voltarono  al  cielo,  e  cominciarono 
a  vagare  per  l'Italia  bande  di  persone  devote,  che  si  flagella- 
vano a  sangue,  donde  il  nome  di  Battuti  o  Disciplini.  Prima 
i  Perugini  presero  ad  avviarsi  due  a  due  in  processione,   fla- 


—  361  — 


ni 


Adunque,  disperalo  d'  ogui  sosta  ei  condizione  ,  e  inabile  a  tener  più  saldo ,  Alberico  si 
e  se  a  discrezioue. 


Gap.  Xni.  Pag.  354« 


I    BATTUTI  Cl&r 

gellandosi  le  spalle  e  le  reni,  gridando  misericordia  è  perdono 
dei  peccati;  i  Romani,  poi  tutti  gl'Italiani  li  imitarono  colla 
rapidità  con  cui  si  comunicano  le  novità  buone  e  le  stolte. 
Scalzi,  nude  le  spalle,  irte  le  barbe,  spettinate  le  chiome,  stretti 
da  cilizi,  prendeano  una  croce,  e  dietro  a  quella  cantando  il 
Miserere  o  lo  Stabat  mater ,-  giorno  e  notte,  con  ceri  ardenti, 
d'ogni  sesso,  età,  condizione,  sin  pargoli  di  cinque  anni,  quasi 
ignudi  valicavano  di  città  in  città,  traendosi  dietro  sempre 
maggior  folla.  Trentamila  di  Bologna  tragittaronsi  a  Modena, 
e  incontrati  da'  Modenesi  a  Castellone,  giunti  a  San  Geminiano 
si  flagellarono,  e  avuta  ospitalità  tornarono  alle  case  loro. 
Altri  proseguivano,  e  talora  fin  centomila  fra  terrieri  e  fore- 
stieri si  congregavano  in  qualche  città.  Tacquero  le  musiche, 
tacquero  le  cantilene  d'amore,  né  più  altro  che  canti  di  pe- 
nitenza sonavano  per  le  città  e  le  ville;  molte  discordie  furono 
rimpaciate;  usurieri  e  rapitori  restituivano;  peccatori  invecchiati 
tornavano  a  resipiscenza;  resa  la  libertà  ai  carcerati,  la  patria 
agli  sbanditi.  Era  una  gara  di  alloggiarli  e  nutrirli,  ma  mol- 
tissimi doveano  serenar  sulle  piazze  o  sotto  i  portici;  e  in  \ 
quella  rimescolata  d'uomini  o  donne,  vecchi  o  fanciulli,  è  più"  ^ 
facile  immaginare  che  onesto  il  dire  quanti  disordmi  corressero.         ', 

Molti  signorotti  li  respinsero  risolutamente,  e  Oberto  Pe-  \ 
lavicino,  Obizzo  d'Este,  i  Torriani  di  Milano,  re  Manfredi  di 
Sicilia  piantarono  forche  per  farli  malarrivati  se  vi  capitassero  : 
altrove  lasciarono  traccie  del  loro  passaggio  nelle  compagnie 
de'  Disciplini,  che  con  vessilli  e  divise  proprie  continuavano  atti 
di  penitenza,  finché  si  trovò  ai  di  nostri  che  era  prova  di  li- 
bertà il  proibirli. 

Mentre  il  vulgo  pregava,  i  cittadini  contendevano,  gli 
ambiziosi  continuavano  i  loro  macchinamenti.  Oberto  Pelavicino 
erasi  unito  un  istante  alla  lega  guelfa  per  abbattere  quell'Ezelino 
che  non  volea  partire  le  prede  con  esso.  Il  papa  permise  al 
vescovo  d'  Embrun  di  rilevare  dalla  scomunica  lui,  Buoso  da 
Dovara  e  il  comune  di  Cremona,  purché  si  staccassero  da  re 
Manfredi  ;  ma  essi  negarono ,  onde  di  nuovo  i  Guelfi  si  sepa- 
rarono dai  Ghibellini  con  cui  si  erano  alleati,  e  che  si  strinsero 
viepiù  col  re  di  Sicilia.  Esso  Pelavicino  aveva  aria  di  aspirare 
a  sottentrar  agli  Ezelini;  cercò  ritenere  prigioniero  il  legato 
pontifizio,  ed  era  tacciato  di  patarino.  Eccellente  capitano,  fu 


365  — 


CONCLUSIONE 


il  primo  che  raccogliesse  un  numeroso  e  potente  stuolo  di 
cavalleria  mercenaria,  da  lui  solo  dipendente,  colla  quale  poteva 
andare  in  appoggio  di  varie  città,  e  facendosi  pagar  il  valore, 
divenne  signore  di  Piacenza,  Parma,  Novara,  dominando  con 
ambizione  meno  violenta  che  quei  da  Romano.  Dicemmo  come 
era  già  capitano  generale  di  Milano  e  signore  di  Brescia:  ma 
Brescia  l'ebbe  cacciato  ben  presto,  e  riformò  il  governo  e  gli 
statuti  a  libertà:  da  Milano  egli  dovette  uscire  allo  scadere 
del  quinquennio  prefìnito  alla  sua  capitananza,  e  lasciarvi  si- 
gnori i  Torriani:  di  Cremona  venne  soppiantato  da  Buoso  da 
Dovara. 

Neppure  Buoso  vi  pose  radici,  sebbene,  al  soccombere  degli 
Svevi,  sostegno  de' Ghibellini,  egli  si  buttasse  cogli  Angioini 
loro  nemici,  fin  ad  agevolare  a  Carlo  d'Angiò  il  passo  dell'Oglio 
(come  si  credette)  per  tradimento,  e  così  aprirgli  la  Lombardia  *. 
Né  per  ciò  ebbe  sostegno  dai  Guelfi,  anzi  la  loro  lega  abbattè 
la  Rocchetta,  ultimo  asilo  di  lui,  il  quale  allora  girò  per  gli 
Appennini,  abborrito  dai  Ghibellini,  come  traditore  sprezzato 
dai  Gaelfi.  Così  de'  due  compagni  d'Ezelino,  il  primo,  ritiratosi 
ne' suoi  castelli,  finì  i  giorni  quieto,  ma  spodestato:  Buoso 
morì  poveramente:  né  l'uno,  né  l'altro  tanto  risoluti  nell'am- 
bizione e  ne' delitti  da  consolidar  un  dominio,  e  potere,  come 
Ezelino,  difenderlo  in  lunga  guerra. 

I  nobili  milanesi  si  collegarono  con  Bergamo ,  ma  furono 
snidati  dal  Tornano,  che  molti  ne  cacciò  prigione.  Consigliato 
da  alcuno  a  sterminarli,  egli  ricusò,  dicendo  :  — ■  Non  seppi 
mai  procreare  un  uomo,  non  sarà  che  ne  ammazzi  alcuno  ». 
Eletto  anziano  e  signor  del  popolo  di  Milano,  presto  aggiunse 
al  dominio  suo  Lodi  e  Novara:  indi  i  suoi  discendenti  acqui- 
starono Como,  Vercelli,  Bergamo;  bella  signoria,  che  fu  loro 
strappata  dai  più  fortunati  Visconti;  a  questi  dagli  Sforza,  agli 
Sforza  da  chi  ebbe  più  astuzia  o  più  ferocia. 

La  casa  d'Este  fu  quella  che  meglio  vantaggiò  della  caduta 


Dante  ritrovava 

quel  di  Duera 
là  dove  i  traditori  stanno  freschi. 


C  là  dove  i  traditori  stanno  freschi.  > 


GLI   ESTENSI 


di  Ezelino,  e  (ciò  che  qui  importa)  per  le  virtù  religiose  che 
mancarono  a  Federico  e  ad  Ezelino.  Un.  monaco  padovano  riferì 
gli  eventi  da  noi  esposti,  con  supreme  lodi  di  quella  casa  e 
delle  due  Beatrici,  una  sorella,  l'altra  figliuola  di  Azzo  VII, 
entrambe  riverite  col  titolo  di  beate.  «  Iddio  campò  il  marchese 

»  da  gravissimi  pericoli,  cioè  non  solo  dalle  mani  del  magnifico 

»  Federico,  che  tutta  la  Marca  aveva  insudiciato  di  Tedeschi, 

»  Saraceni,   Pugliesi,  per  abbattere  lui  capitale  nemico  all'im- 

»  pero,  ma  anche  dalle  continue  insidie  di  Ezelino,  dalle  fin- 

»  terie  di  Alberico,  dalle  astuzie  dello  scaltrito  Salinguerra.  I 

»  quali  d'accordo,  comejeoni  ruggenti  alla  preda,  si  sforzavano 

»  ingoiarlo  e  sbriciolarlo:  ma  i  gravissimi  loro  urti  il  prod'uomo 

»  rintuzzò,  aiutante  Dio,  evitò  gli  scaltri  loro  lacciuoli,  dissipò 

»  gli  iniqui  divisamenti,  sempre  conservando  la  costanza  d'animo 

»  né  declinando  mai  dal  sentiero  della  verità.  E  sebbene  l' iniquo 

»  imperatore  tenesse  in  carcere  il  figlio  di  lui,  e  gli  promet- 

»  tesse  liberarlo,  e  fargli  immensi  benefezj  per  istornarlo  dalla 

»  devozione  della  romana  Chiesa,  il  principe  costantissimo,  qual 

»  colonna  immobile   e   impenetrabile   muro,  non    atterrito   da 

»  pericoli,  non  allettato  dalla  dolcezza  d'imperiali  promesse,  e 

»  in  Dio  solo  fidando,  non  potè  esser  divelto  dall'ossequio  alla 

»  Chiesa;  e  stabile  aiutator  di  questa   durò   nelle  tribulazioni 

»  e  nelle  angustie  sino  alla  fine.  A  ragion  dunque  il   Signore 

»  lui  custodi  dagli  avversarj,  e  dai  flutti  d'un  mar  procelloso 

»  dirigendolo  al  porto  della  salute,  gli  fece  vedere  la  mirabile 

»  vendetta  de'  fortissiad  suoi  nemici  ;  l'eccellentissimo  Federico 

»  privato  dell'onor  imperiale,  l'astuto  Salinguerra  imprigionato, 

»  il  tronfio    Ezelino  ucciso    di    mazza,    l'anguillante    Alberico 

»  trucidato  orribilmente  sotto  i  suoi  occhi.  Principi  d'iniquità, 

»  costoro,  come  quattro  venti  pestiferi,  s'erano  avventati  contro 

»  la  cattolica  casa  Estense  per  dissiparla  dalle  fondamenta  ;  ma 

»  essa  non  crollò  perchè  attaccata  alla   santa   madre   Chiesa, 

»  che  è  fondata  sopra  pietra  irremovibile.  ». 


»  Rerum,  hai.  Seript.,  l.  Vili. 

Fr.  Patrizi  senese  nella  Deca  istoriali'  poetica  lodando  gli  Estensi,  dà  merito 

-  367  -  p  uj 

--ere] 


à 


CONCLUSIONE 


E  lo  fa  morire  da  santo,  esortando  il  figlio  di  suo  figlio 
a  non  declinar  mai  dalla  giustizia,  né  dalla  devozione  verso 
la  Cliiesa,  seguendo  gli'  esempj  degli  avi.  Anco  Ricobaldo  lo 
chiama  uom  liberale,  innocente,  alieno  dalla  tirannide,  vergo- 
gnoso di  non  concedere  a  chi  lo  pregasse;  e  che  ne'  funerali 
suoi  fin  gli  avversar]  non  ritennero  le  lacrime  e  i  gemiti  (*). 
E  avversario  gli  era  l'autore  della  piccola  cronaca  di  Ferrara, 
partigiano  di  Salinguerra,  eppure  anch'esso  conchiude  che 
<  lutto  e  lacrime  non  finte  rigarono  le  gote  degl' intristiti  cit- 
tadini ;  e  que' medesimi  ch'erano  stati  di  fazione  avversa, 
con  lacrime  e  gemiti  deploravano  Azzo  ,  dicendo  :  E'  non  fu 
crudele ,  ma  henevolo  e  pio  ».  In  prova  degli  umori  liberali 
di  questo  cronista,  diremo  come  poco  dopo  soggiunge  che  ad 
Obizzo  d'Este,  di  diciasette  anni  ,  il  sindaco  eletto  in  Ferrara 
deferi  il  pienissimo  dominio  ,  talché  a  volontà  sua  potesse  e 
il  giusto  e  r  ingiusto  ,  onde  il  nuovo  signore  è  più  potente 
che  non  Dio  eterno  ,  il  quale  non  può  f^ir  le  cose  ingiuste  *. 

Di  fatto  Azzo  fu  il  primo  'che  in  un  Comune  libero  otte- 
nesse dominio  perpetuo  ,  che  trasmise  ad  Obizzo  ,  natogli  da 
una  figlia  di  Alberico  da  Romano. 

Verona,  mezzo  tedesca  e  sempre  caldeggiante  pe'  Ghibel- 
lini ,  continuava  guerra  a  Lodovico  conte  di  Sambonifazio,  che 


ad  essi  per  tanti  poeti  fiorili  a  Ferrara,  dove  nacque  la  commedia  per  opera  di 
Pandolfo  Collenuocio  e  Lodovico  Ariosto,  fu  perfezionata  la  tragedia  da  G.  B.  Gi- 
naldi  ;  la  poesia  latina  fu  coltivata  dai  due  Strozzi;  l'italiana  dal  Guarini,  dal 
Tasso,  dal  Molza;  e  ben  sei  poemi  eroici  vi  nacquero,  il  Maiiibriano  di  Francesco 
Cieco,  VOrlaitdo  innamoralo  del  Dojardo,  la  continuazione  dell'Agostini,  il  Rinaldo 
e  la  Gerosalemme  del  Tasso,  il  Furioso  dell'Ariosto. 

(*)  Questo  passo  ha  servito  in  questi  giorni  appunto  (dicembre  1865)  in  una 
strana  causa  che  un  dicentesi  principe  di  Crouy  Chanci,  ungherese,  intentò  contro 
il  duca  di  Modena,  pretendendosi  unico  legittimo  successore  dogli  anticlii  marchesi 
d'Fsie.  Insigni  giureconsulti  piemontesi  lo  sostennero;  ma  come  mancassero  e  alle 
ragioni  giuridiche  e  alle  storiche  lo  mostrarono  avvocali  inodejesi,  e  nominatamente 
Bartolomeo  Veralli,  il  quale  convinse  come,  tra  altre  aulorilà  falsamente  citate,  male 
slesse  quella  del  Cantù,  t  autorità  sempre  rispellahile,  e  più  in  materia  nella  quale 
lia  fatto  molte  indagini,  cioè  la  storia  d'Ezelino  ». 

Gli  Editori. 

e  dir.  parvum  ferrar..,  p.  487,  t.  Vili,  Rerum  llal.  Script. 

—  308  — 


L  AVVENIRE 


nel  1261  coi  fuorusciti  e  col  signore  d'Este  tentò  sorprenderla, 
ma  non  riuscì.  Elevavasi  intanto  Martin  della  Scala ,  già 
soldato  e  castellano  di  Ezelino  ;  ottenne  fra  breve  la  signoria 
della  città ,  e  gran  tempo  stette  capo  a'  Ghibellini  dell'  alta 
Italia. 

Che  i  Comuni,  rotto  appena  un  giogo,  ne  invocassero  un 
altro  ,  non  farà  meraviglia  a  chi  conosce  la  storia ,  fosse  pur 
solo  quella  de' nostri  giorni. 

Padova  e  Bologna  sole  rimanevano  omai  con  franco  stato. 
Padova,  in  lunga  e  florida  pace,  sottomise  Vicenza,  e  capi- 
tanava i  Guelfi  della  Marca  :  poi  Vicenza  venne  preda  di  Can 
della  Scala:  e  Padova  anch'  essa  si  sottomise  ai  Carraresi.  Cosi 
i  Comuni  perdeano  il  libero  stato  senza  accorgersene  ,  come 
senza  accorgersene  1'  avevano  acquistato,  e  le  armi  cittadine 
custodi  di  quello  ,  davan  luogo  a  bande  mercenarie  che  lo  di- 
struggevano. 

I  principotti  non  fondavano  la  tirannide  sopra  ferma  co- 
stituzione ;  laonde  non  veniva  consolidata  dal  tempo  e  dall'opi- 
nione ,  non  trasmessa  per  regolare  successione  :  non  appog- 
giavasi  al  popolo  ,  non  ai  nobili  ,  ma  solo  alla  forza  ;  abbat- 
tevano i  corpi  per  gelosia  ,  invece  di  fasene  appoggio  ;  ogni 
vacanza  apriva  il  campo  ad  ambiziosi  ,  che  credeano  aver  ti- 
toli purché  potessero  farli  valere;  e  dell'  osare  era  sanzione  il 
riuscire.  I  cittadini  godeano  di  vedersi  disarmati  per  vaghezza 
della  pace,  quantunque  senza  decoro;  i  migliori  cittadini,  sen- 
tendosi incapaci  di  frenare  la  prepotenza,  scomparivano  dalle 
assemblee,  e  ritiravansi  in  violenta  pace  ;  quei  che  fidavansi 
nel  braccio  tentavano  sommosse  ,  che  o  fallendo  consolidavano 
il  tiranno  ,  o  riuscendo  ne  surrogavano  un  altro. 

Una  libertà  che  non  rispetta  quella  degli  altri,  che  co- 
mincia dall' esihare,  dal  proscrivere  partiti  ed  opinioni,  non 
attecchirà,  perchè  con  ciò  palesa  d' essere  un  accesso  momen- 
taneo, non  un'  efflorescenza  de'  costumi  e  della  riflessione. 

Gli  Italiani  ne  mancarono  ,  e  deh  fosse  solo  nel  passato  ! 
Quella  potente  individualità  che  gli  fa  orgogliosi  e  fidenti  di  sé 
toglie  che  s'accomunino  per  rinvigorirsi  tutti  insieme  ;  dà  pre- 
valenza ai  sentimenti  e  alle  passioni,  donde  riasce  la  volubilità; 
e  lascia  che  soperchi  una  prepotenza  organizzata  o  risoluta  , 
come  fecero  gli  Ezelini ,  come    poi  sperava  il  Machiavello  nei 

—  369  — 


j 


CONCLUSIONE  U    i-. 

Borgia  ;  e  fa  credere  che  la  libertà  consìsta  nel  non  obbedire 
a  nessuno  ,  mentre  consiste  nel  non  esservi  nessuno  che  non 
obbedisca. 

Né  la  parte  guelfa,  né  la  ghibellina  aveano  dunque  otte- 
nuto trionfo;  non  si  garantì  la  libertà  e  si  compromise  l'indi- 
pendenza. Allora  la  storia  ,  non  più  scritta  da  Maurisio  sen- 
z'  altro  precetto  che  1'  impressione  istintiva  ,  ma  dal  Guicciar- 
dini coir  indagine  delle  cause  e  1'  antiveggenza  dei  fini ,  non 
trovò  degli  Ezelini,  ma  neppur  dei  sant'Antonio;  da  grandiosi 
e  generali  interessi  si  ridusse  a  parziali  vicende  di  famiglie , 
ad  emulazioni  di  tirannetti ,  né  tampoco  potenti  a  stringer  in 
un  solo  queste  divisioni  col  concetto  magnanimo  o  coll'istinto 
della  nazionalità;  non  descrisse  il  popolo  ,  ma  i  re;  i  quali  non 
versavano  brutalmente  il  sangue ,  ma  sapientemente  soffocavano 
lo  spirito  e  spegneano  la  reciproca  confidenza.  Le  guerre  non 
cessarono  neppur  colla  libertà  del  popolo,  sibbene  colla  borsa 
e  col  sangue  del  popolo;  1'  intelligenza  s'invigorì,  ma  scemò 
la  carità  ;  e  quella  scompagnata  da  questa  ;  'credette  che  il 
mondo  potesse  regolarsi  unicamente  a  calcoli,  a  sillogismi  ,  a 
teoremi,  a  statistiche.  Invece  delle  eresie  ,  insurrezione  d'una 
minorità  sediziosa  contro  la  maggiorità  costituita  ,  che  eserci- 
tando gì'  intelletti ,  inaspriva  i  cuori,  pure  generava  energia 
di  sentimenti,  profondità  di  fede,  sincerità  di  voleri  ,  sotten- 
trò r  indifferenza  che  produce  l'inattività:  e  la  polemica  poli- 
tica, mutabile,  individuale,  mancante  di  scopo  elevato,  si  ri- 
dusse ad  una  abbaruffata  tra  persone  che  aspirano  al  potere 
e  persone  che  vogliono  conservarselo. 

La  chiesa ,  tutrice  della  libertà  perchè  depositaria  della 
morale  ,  usufruttando  le  cose  sacre  per  interessi  terreni,  sì  con- 
taminò ,  e  diede  ragione  a  chi  la  rimbrottava  con  voci  bene- 
volmente austere  dapprima  ,  poi  ironiche  ,  poi  resistenti ,  poi 
protestanti  ;  laonde  essa  ebbe  a  combattere  per  la  propria  esi- 
stenza, e,  come  avviene  degli  spedienti ,  non  sempre  scelse  i 
più  opportuni  ed  incolpevoli.  Un  potere  contestato  non  eserci- 
tava più  queir  intero  dominio  sulle  credenze  ,  sugli  interessi , 
sulle  dottrine,  sui  forti,  sugli  oppressi,  sui  vulghi;  e  quando 
i  principi  tiranneggiavano  ,  il  povero  popolo  non  era  più  certo 
d'  un  ricovero  sotto  la  stola  ecclesiastica  ;  e  quando  la  patria 
periva,  gli  sguardi  non  si  sollevavano  più    con  fiducia  incon- 

,     .    n  -  370  - 


7    ~ 

cussa  a  quel!'  altra  patria,  in  cui  sono  concittadine  tutte  le 
nazioni ,  ma  dove  anche  i  prepotenti  vedranno  rigiudicate  le 
giustizie. 

Così  dall'illanguidirsi  delle  credenze  derivò  il  vacillamento 
del  dubbio,  da  questo  la  lentezza  delle  opere,  lo  scoraggiamento; 
e  spentesi  quelle  virtù  attive,  disinteressate,  svoltesi  nelle  re- 
pubbliche, si  imparò  non  la  nobiltà  dell'  obbedire  razionale, 
ma  r  ignavia  del  servire;  ogni  idea  più  elevata  che  non  il  fatto, 
si  venerò  dai  magnati  e  si  accettò  dai  popoli  il  brutale  diritto 
della  forza  ,  della  conquista  ,  del  numero  :  si  contò  la  felicità 
dai  quattrini  che  si  tributano  o  dall'  accidia  che  si  permette; 
a  quella  generosità  che  appare  quando  1' uomo  opera  per  fede, 
non  per  decreti ,  succedette  il  dovere  di  obbedire  a  poteri  cen- 
trali: l'esercito  fu  una  forza,  non  più  una  volontà;  alle  in- 
surrezioni per  acquistare  franchigie  si  surrogarono  le  trame , 
che,  fallendo,  le  diminuiscono;  alla  confidente  e  svelata  op- 
posizione i  susurri  scontenti  o  le  sonore  ciancie  d'  un  liberalismo 
cui  rode  l' invidia  e  pesa  il  rispetto  e  che  sa  soltanto  indebo- 
lire e  impacciare;  l'Italia  fu  divisa  fra  principi  che  volevano 
far  danaro,  e  papi  che  voleano  crear  domini  ai  nipoti;  e  a 
quel  bello  stato  apphcarono  il  nome  di  pace  ,  e  a  quei  tempi 
titolo  di  secol  d'  oro. 

E  a  noi  v'  è  chi  domanda ,  —  Perchè  occuparvi  sempre 
del  passato ,  mentre  tanto  presente  incalza  ?  »  Intanto  alcuni 
ci  appongono  di  farci  adulatori  delle  repubblichette,  altri  di 
non  saper  che  rimpiangere  i  Comuni:  perocché  di  trovarsi  sotto 
r  impero  di  passioni  generose  e  di  nobili  sentimenti  è  chia- 
mato delirio  da'  corpi  invecchiati  e  dalle  nazioni  logore;  e  in- 
tanto una  critica  che  ha  fegato  ,  non  cuore  ,  e  prende  sempre 
il  suo  livello  dal  basso  ,  dimentica  che  la  storia  non  è  un  de- 
siderio 0  un'  ipotesi ,  ma  un  fatto  ;  e  che  perfino  un  dei  meno 
filosofici  nostri  contemporanei  ha  detto  che  «  il  passatosi  trova 
non  s'  inventa  ».  E  fu  con  profondo  amore  che  noi  trattammo 
il  nostro  tema  ,  senz'  altro  odio  che  pel  delitto  ,  senz  '  altro 
favore  che  pel  bene,  senz'altro  disprezzo  che  per  la  viltà,  e 
col  proposito  di  cercar  la  verità,  non  di  farci  applaudire  dai 
folliculari.  Che  se  questi ,  con  un  articolo  scritto  tra  il  cafi"è 
del  dopo  desinare  e  il  tè  dell' avanti  dormire,  annicliileranno 
queste  povere  pagine,  forse  ci  avrà  qualche  non  miope  a  cui 

—  371  — 


f-t]  CONCLUSIONE 

vi  apparirà  uu    ordine  e  un'  intenzione    traverso  allo  svago  e 
allo  scompiglio  apparente. 

Ritraendo  il  secondo  periodo  de' Comuni  italiani,  quello 
ove  le  plebi  s'  accomunano  per  abbattere  gli  accomunati  si- 
gnori ,  non  ci  femmo  piacentieri,  non  detrattori ,  cercammo  esser 
veri:  professammo  fedeltà  a  una  causa,  che  più  ci  è  sacra 
perchè  momentaneamente  eclissata:  de' fratelli  che  combatte- 
vano per  noi  posteri  ammirammo  le  virtù ,  non  ^tacemmo  le 
colpe,  e  quella  suprema  di  non  sapere  accordarsi  alla  difesa, 
mentre  i  loro  nemici  s'accordavano  all'oppressione.  Quella  nau- 
seabonda leggerezza  che  sostituisce  gli  epiteti  all'indagine  delle 
cause  ,  cianci  pure  che  noi  vogliamo  ridestare  il  medioevo  e 
gli  sfrazionati  popoletti;  la  libertà  del  pensiero,  la  libertà  or- 
dinariamente operosa  è  quella  che  andiamo  a  cercare  senza 
distinzione  di  tempi;  e  la  troviamo  non  nel  denigrare  o  ab- 
borrire  il  passato,  ma  nell'  umiltà  d'  accettare  le  tradizioni  e 
farne  prò. 

Cotesti  continui  raffronti  ,  di  cui  1'  arte  ci  darà  colpa,  risul- 
tavano naturalmente    dallo   studio  di  un'  epoca    d'  ignoranza  , 
che  produsse  san  Tomaso  e  Dante,  di   un'  epoca  di    violenza  , 
dove  un  frate  inerme  faceva  impallidire  il  catafratto  paladino; 
di  un'  epoca  di  schiavitù,  la  quale  non  solo  proclamò   ma  ap- 
plicò, che  nessun'imposta  è  legittima  e  nessuna  legge  obbiga- 
toria  se  non  consentita    da    chi   deve  subirla:  epoca   la  quale 
non  avrebbe  mai  pensato  che  1'  educazione,  la  carità,  la  pre- 
ghiera ,  il  lavoro  ,  il  leggere  ,  quasi  il  pensare  dovessero  esser 
permissioni  clementi  d'  un  ente   ideale,   intitolato  il  Governo  ; 
epoca  di  attività  e  forza  ,   che  non    avea  le  gemebonde    con- 
templazioni e  gli  isterismi  della  sensibilità,  proprj   di  un  viver 
molle  e  di  una  civiltà  viva  e  insieme  infingarda ,  dove  le  anime 
si  trovano  senza    riposo  e  insieme    senza  occupazione   forte  e 
obbligata;  sicché  vi    predominano  la  nausea   de'  beni   attuali  , 
una  passionata    sensività  ai  mali  inseparabili  dalla   condizione 
umana  ,  una  falsa  stima  delle  cose  in  generale  e  dell'  uomo  in 
particolare;    e    fra    1'  illusione    impaziente    e    il    malcontento 
astioso,  una  collera    erudita  contro   1'  ordine    dell'  universo   e 
l'ordine  sociale;  una  insofferenza  dei  mali  insieme  e  dei  rime- 
dj.  Si  avventino  pure  invettive    ad  un'  età  che    non  si  è  stu- 
diata ,  e  contro  cui  si  sfogano  gli  odj   del  presente  ;  ma  il  po- 


—  372 


L  AVVENIRE 


polo  italiano,  ogni  qualvolta  rialzò  la  testa,  il  suo  grido  fu  la 
Chiesa;  si  dedicò  a  san  Giovanni,  alla  Madonna,  a  Cristo;  e 
fin  nel  secolo,  la  cui  eresia  consiste  nel  mutar  la  ragione  in 
passion  di  partito  ,  e  la  passione  eriger  in  principio  di  ragione, 
quando  volle  rigenerarsi  lo  tentò  nel  nome  di  Pio  IX.  E  la 
memoria  dei  Comuni,  per  quanto  mal  compresa,  rimane  da 
secoli,  perchè  opera  de'  secoli  ,  non  di  radicali  subitaneità;  e 
le  istituzioni  da  essi  introdotte  sopravvivono  a  riparare  la  sba- 
data insolenza  francese ,  la  fastosa  negligenza  spagnuola,  l'e- 
rudita oppressione  moderna;  a  mantenere  1'  alito  della  vita  in 
Italia,  per  rianimarla  allorché  le  sventure  (terribile  cura  con 
cui  Iddio  rigenera  le  nazioni)  le  avranno  insegnato  qual  fosse 
a  condizione  che  mancava  alla  Lega  Lombarda. 


FINE.   — 


-  373  - 


rfì 


Caktò  —  Ezelmo. 


n 


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K-J  D  I  e 


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Proemio Pag. 

poscritta » 

Seconda  poscritta » 

Capitolo  primo  — ■  Generazione  di  Ezelino  ...  » 

»        secondo  —  Prima  età  di  Ezeliuo  ...  » 

»         terzo  —  Guerre  municipali » 

»         QUARTO  —  Pace » 

»         QUINTO  —  I  tiranni » 

»         SESTO  —  Padova ^^ 

»         SETTIMO  —  L' imperatore » 

»         OTTAVO  —  Eresie,  Inquisizione,  Scomunica  » 

»         NONO  —  Crudeltà  d' Ezelino » 

»         DECIMO  —  Aneddoti,  Astrologia.     ...» 

»         DECIMOPRIMO-I  trovadori,  Sordello,Cunizza  » 

»        DECiMOSECONDO  —  La  Crociata    ....  » 

»        DECIMOTERZO  —  La  Catastrofe    ....  » 

Conclusione * 


5 

12 
14 

15 

51 

67 

75 

115 

127 

145 

171 

221 

249 

285 

311 

333 

357 


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